Ben Hur/Libro Ottavo/Capitolo VI

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Capitolo VI

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CAPITOLO VI.


Ben Hur scese alla porta del Khan, o albergo, dal quale, più di trent’anni prima, erano partiti i tre saggi per recarsi a Betlemme.

Lasciò il cavallo in consegna ai suoi servi arabi, ed in breve arrivò alla casa paterna, ove si diresse al gran salotto. Chiamò Malluch, ma questi era assente; mandò allora un saluto ai suoi amici, il negoziante e l’Egiziano, ma anche questi si erano fatti trasportar fuori per assistere alla celebrazione; l’Egiziano, gli fu detto, era in uno stato di grande debolezza e sembrava molto accasciato.

Il messo ch’egli aveva incaricato di chiedere notizie di Balthasar, s’era rivolto alla figlia, la quale veniva così informata dell’arrivo del padrone, ciò che probabilmente Ben Hur aveva voluto. Essa non tardò a comparire, leggiera come una silfide nei bianchi veli che le svolazzavano attorno avvolgendo nelle loro pieghe la sua bella persona di Dea. Se dobbiamo dire la verità, durante l’agitazione suscitata dai recenti avvenimenti. Ben Hur non aveva pensato che di sfuggita all’Egiziana, ma ora, al suo apparire, in tutto lo splendore della sua bellezza, irresistibilmente affascinato, fece per precipitarsi verso di lei colle braccia amorosamente tese; senonchè, fatto appena un passo, s’arrestò come se uno spettro gli si fosse rizzato sul cammino e guardò attonito la ragazza.

Fino a quel giorno, costei aveva messo in opera tutte le arti della più raffinata civetteria per ammaliarlo: — ogni suo sguardo era stato una confessione d’amore, confermato da ogni suo atto. Le sue parole blandivano dolcemente le orecchie del giovane, e gli risuonavano continuamente nel cuore durante le lunghe ore d’assenza. Per lui la seducente creatura pudicamente abbassava gli occhi come per celarne le fiamme, per lui erano i versi d’amore ch’essa aveva imparato dai menestrelli d’Alessandria e che sapeva recitare con irresistibile grazia; per lui le esclamazioni affettuose, i sorrisi, le suggestive strette di mano, i baci, le [p. 468 modifica]canzoni del Nilo, e gli studiati lenocinii dell’abbigliamento. L’idea, antica come i più antichi popoli, che la bellezza è il guiderdone degli eroi, non vesti mai forme così regali come quelle che si erano a lui rivelate.

Tale era stata l’Egiziana per Ben Hur dopo la notte della gita in battello sul lago presso l’Orto delle Palme. Ed ora?

Abbiamo già in altra parte di questo volume accennato alla duplice natura umana in rapporto ad un argomento sacro; qui è il caso di parlarne ancora, ma in senso ben diverso. Vi sono poche persone la cui indole non presenti due faccie, una natura genuina, spontanea, l’altra artificiale e finta, il risultato dell’educazione e delle circostanze, un intonaco di orpello che spesso finisce col diventare parte integrale dell’individuo, non meno della prima.

Lasciando ai pensatori la cura d’approfondire questo tema, diremo che in questo momento la vera natura dell’Egiziana si manifestò nel modo più schietto e più completo.

Le sarebbe stato impossibile di ricevere una persona estranea con più marcata ripugnanza. Eccezione fatta d’una leggiera inclinazione della sua testolina, di una insolita tensione delle nari e d’una maggiore incurvatura del sensuale labbro superiore, essa presentava l’impassibilità di una statua. Dopo una breve pausa incominciò freddamente: — «La tua venuta è opportuna, figlio di Hur. Desidero ringraziarti della tua ospitalità, poichè dopo la giornata di domani non avrò forse più occasione di approfittarne.

Ben Hur si chinò leggermente, senza rimuovere lo sguardo da lei.

Essa continuò;

— «Mi sovviene d’un costume in voga presso i giuocatori di dadi; quando il giuoco è finito, essi consultano le loro tavolette e tirano le somme; poi libano in onore degli Dei, e pongono una corona sul capo del fortunato vincitore. Anche noi abbiamo giuocata la nostra partita che ha durato diversi giorni e diverse notti: ora ch’essa è finita dobbiamo vedere a chi spetta la corona?» —

Sempre cogli occhi fissi su di lei, Ben Hur rispose in tono d’indifferenza — «Un uomo non può combattere contro una donna risoluta a fare la propria volontà.» —

— «Dimmi,» — proseguì essa inclinando maggiormente il capo e sogghignando, — «dimmi o principe di Gerulemme, ov’è quel figlio d’un falegname di Nazareth e non [p. 469 modifica]meno figliuolo di Dio, del quale tante grandi cose erano attese in questi ultimi tempi?» —

Egli fece un gesto impaziente, e rispose: — «Sono forse il suo custode?» —

La bella testa si chinò ancor più.

— «Ha egli distrutto Roma?» —

Ben Hur stizzito ripetè lo stesso gesto della mano.

— «Ove ha egli stabilita la sede della sua capitale?» — continuò la donna, — «E’ permesso vedere il suo trono e i suoi leoni di bronzo? ov’è il suo palazzo? Diamine! chi può far sorgere i morti deve poter costruire palazzi dorati!» —

Non era più ammissibile ch’essa volesse scherzare; le sue domande erano irritanti ed il suo contegno aggressivo. Ben Hur fu posto subito sull’avviso e disse con apparente bonarietà:

— «Oh, Egitto, aspettiamo un giorno ancora, anche una settimana, e vedremo lui, i leoni ed il palazzo!» —

Essa proseguì senza badare al significato di quelle parole:

— «E perchè presentasi vestito così? Non son quelle le vesti dei governatori o dei vicerè delle Indie o d’altri paesi. Mi ricordo d’aver veduto una volta il satrapo di Teheran, con un turbante di seta, un mantello di tessuto d’oro, con una spada dall’impugnatura e dalla guaina talmente tempestate di pietre preziose, che n’ebbi un capogiro. Credetti proprio che Osiride gli avesse prestato un raggio del suo sole. — Stupisco assai che tu non sia ancora entrato in possesso del tuo regno, di quel regno ch’io doveva dividere teco.» —

— «La figlia del saggio mio ospite è, senza volerlo, ben gentile con me, poichè m’insegna ch’Iside può baciare un cuore senza renderlo migliore.» — Ben Hur pronunciò queste parole con fredda cortesia. Iras, trastullandosi con un brillante che le pendeva dalla collana, tacque un’istante, poi riprese, — «Per un Ebreo, il figlio di Hur non manca di spirito. Ho assistito all’entrata in Gerusalemme del tuo Cesare sognatore, di colui che, a tuo dire, doveva proclamarsi Re dei Giudei sopra i gradini del Tempio. Vidi la processione che l’accompagnava e ne udii i canti; che bell’effetto facevano quelle palme agitate! Vi cercai invano una figura dall’aspetto regale, un cavaliere porporato, un cocchio d’abbagliante metallo, un maestoso guerriero dietro allo scintillante scudo, gareggiante in altezza colla propria lancia. Sarebbe stato pur bello vedervi un [p. 470 modifica]principe di Gerusalemme con una coorte delle legioni di Galilea!» —

Accompagnò le parole con un provocante sguardo di disprezzo, poi diede in uno scroscio di risa come se l’immagine da lei evocata fosse ancor più ridicola che spregevole.

— «Anzichè un Sesostri ritornante in trionfo o un Cesare incoronato, e con la spada al fianco, ah, ah, ah, vidi un’uomo dal volto muliebre e lagrimoso, montato su di un somaro! II Re! il Figlio di Dio! il Redentore del mondo! ah, ah, ah!» —

Suo malgrado Ben Hur sussultò.

— «Non lasciai il mio posto, no, oh principe di Gerusalemme,» — proseguì essa, senza dargli il tempo d’interromperla, — «no, non risi, ma dissi a me stessa: Aspettiamo: nel Tempio egli si abbiglierà come s’addice ad un eroe sul punto di prendere possesso del Mondo. Lo vidi oltrepassare la Porta di Shushan e la Corte delle Donne. Lo vidi arrestarsi davanti la Porta Magnifica. Il popolo assiepava il porticato e i cortili; si affollava nei chiostri e sui gradini dei tre lati del Tempio, e tutti trattenevano il respiro in attesa della proclamazione. Qual silenzio solenne! ah, ah, ah, nella mia fantasia mi pareva già di udire lo scricchiolìo del crollante edificio Romano; ah, ah, ah! O principe, il tuo Re del mondo si avvolse nella sua veste e se n’andò per la porta più lontana, senza neppure profferire una parola e... l’Impero Romano è ancora in piedi!» —

In pietoso omaggio ad una speranza, che in quel momento si spense del tutto e di cui egli aveva ansiosamente seguito col cuore i fuggenti barlumi, Ben Hur abbassò lo sguardo.

Nè gli argomenti di Balthasar, nè i miracoli compiuti in sua presenza avevano mai sortito l’effetto di porre così spiccatamente in rilievo la contestata natura del Nazareno. Dopo tutto, il miglior modo per arrivare alla percezione di ciò che è divino, è lo studio di ciò che è umano. Nelle cose che trascendono l’intelligenza umana possiamo sempre riprometterci di trovar Dio. Così, nella descrizione fatta dall’Egiziana della scena in cui il Nazareno volse le spalle alla Porta Magnifica, l’azione principale rimaneva affatto inesplicabile se la si considerava da un punto divista puramente umano. Come parabola rivolta ad un popolo amante di parabole, quell’atto insegnava ciò che Cristo [p. 471 modifica]aveva così spesso affermato, e cioè che la sua missione non era politica. Questi pensieri attraversarono con la rapidità di un baleno la mente di Ben Hur, ma allo stesso tempo si radicarano fermamente nel suo cuore. Gli sembrò di vedere l’uomo dal volto dai capelli femminei farsi vicino a lui, piangendo, — abbastanza vicino per lasciare una traccia del suo spirito dietro di sè.

— «Figlia di Balthasar,» — egli disse con dignità. — «se questo è il giuoco di cui tu parlavi, prendi pure la corona, — essa è tua. Ma bastino le vane ciancie, e veniamo ad una conclusione. Che tu hai uno scopo, sono certo: esponilo, ed a questo io darò risposta; poi lasciamoci, e ciascuno vada per la sua strada. Parla: io ti ascolto.» —

Essa lo fissò con occhio intento, forse misurando la forza della sua volontà, poi disse, freddamente:

— «Tu hai il mio permesso — va.» —

— «La pace sia con te» — egli rispose.

Quando stava per passare sotto alla portiera, essa lo richiamò.

— «Una parola!» —

Egli si arrestò dov’era e la guardò.

— «Hai riflettuto a ciò ch’io so sul conto tuo?» —

— «O bellissima Egiziana» egli disse, ritornando indietro, «che cosa sai mai degli affari miei?» —

Essa lo guardò distrattamente.

— «Tu sei più Romano, o figlio di Hur, che tutti i tuoi connazionali.» —

— «Sono così diverso dagli altri Ebrei? — egli chiese con indifferenza.

— «I semi dèi sono tutti Romani ora» — essa riprese.

— «Mi dirai dunque che altro hai appreso sul conto mio?» —

— «Questa tua somiglianza non è senza effetto sopra di me, e potrebbe indurmi a salvarti.» —

— «Salvarmi?» —

Le rosee dita giuocherellavano distrattamente coi ciondoli scintillanti della sua collana, e la sua voce era molto dolce e carezzevole; solo il leggero battere del suo sandalo sopra il pavimento, lo ammoniva di stare in guardia.

— «C’era una volta un Ebreo, un forzato sfuggito alle galere, che uccise un gladiatore nel Palazzo di Idernee,» — essa cominciò lentamente.

Ben Hur trasalì.

[p. 472 modifica]— «Questo medesimo Ebreo uccise un soldato Romano sulla piazza del Mercato, qui in Gerusalemme; questo stesso Ebreo possiede tre legioni di Galilei pronte ad arrestare il Governatore Romano questa notte: questo stesso Ebreo ha stretto alleanza con vari principi per una sollevazione generale contro Roma; uno dei suoi alleati è lo sceicco Ilderim.» —

Avvicinandosi a lui, essa gli sibilò nell’orecchio;

— «Tu hai vissuto in Roma. Supponiamo che queste cose vengano ripetute ad alcune persone di nostra conoscenza... Ah — tu cambi colore?» —

Egli si ritrasse da lei, con l’espressione che possiamo immaginare sul volto di un uomo, che credendo di scherzare con un gattino, si trova improvvisamente d’aver fra le mani una tigre. Essa continuò:

— «Tu sei stato nell’anticamera imperiale, e conosci il ministro Seiano. Supponiamo che, con le prove alla mano — o anche senza le prove — gli si dica che questo Ebreo è l’uomo più ricco d’Oriente — anzi di tutto l’impero, i pesci del Tevere mangerebbero di grasso quel giorno, non è vero? E mentr’essi banchettano, o figlio di Hur, — ah, quale splendore regnerebbe negli spettacoli del Circo! Divertire il popolo Romano è un’arte difficile, procurarsi il denaro per divertirlo è un’arte ancora più raffinata; e quale artista ha mai eguagliato Seiano?» —

La commozione di Ben Hur al cospetto della profonda abbiezione che queste parole rivelavano, non era tale da oscurargli la memoria. La scena della sorgente, sulla strada verso il Giordano, gli riapparve davanti agli occhi; ed egli si rammentò il sospetto che gli era venuto intorno alla fedeltà di Ester. Con la medesima convinzione, e forzandosi di parer calmo rispose:

— «Per farti piacere, o figlia d’Egitto, io riconosco la tua abilità, e devo confessare che io sono interamente nelle tue mani. Potrei ucciderti, è vero, ma sei una donna. Ma non dimenticarti che il deserto è pronto ad accogliermi; e quantunque Roma sia assai destra nella caccia all’uomo, dovrebbe seguirmi a lungo prima di prendermi, perchè in quelle steppe vi sono selve di lancie e boschi di rovi, e la sabbia è clemente al Parto invitto. Nelle maglie della tua rete, zimbello e gonzo delle tue arti, un diritto mi rimane tutt’ora: Chi ti riferì tutto ciò che sai di me? Nella fuga e nella cattività, nell’ora della morte persino, mi sarà di consolazione pensare che ho lasciato al traditore la [p. 473 modifica]maledizione di un uomo che ha vissuto una vita di tossico e di fiele. Chi mi ha tradito?» —

Fu arte, fu espressione sincera, il volto dell’Egiziana si atteggiò a commiserazione.

— «Vi sono al mio paese, o figlio di Hur,» — essa disse — «operai che fanno dei quadri raccogliendo le conchiglie variopinte sparse qua e là sulla spiaggia dopo una tempesta, sminuzzandole, e ordinando le schegge sopra tavolette di marmo. Vedi tu quale insegnamento contiene quest’arte per coloro che vanno in cerca di segreti? Ti basti sapere ch’io raccolsi un cumulo di piccole circostanze ora da una persona ora da un’altra, e che, con un pochino di perseveranza riuscii a connetterle ed a coordinarle, esultando della riuscita come solo può esultare una donna che viene ad avere nelle proprie mani la fortuna e la vita di un uomo...» — quì s’arrestò e si volse dall’altra parte, come per celargli un subitaneo accesso d’emozione, poscia affettando uno sforzo di penosa risoluzione, completò la sua frase — «un uomo di cui essa non sa che cosa vuol fare.» —

— «No, questo non basta,» — replicò Ben Hur, insensibile a quella manovra, — «non basta. Devi decidere subito ciò che vuoi fare di me. Potrei morire domani.» —

— «Verissimo,» — fece ella vivamente e con enfasi, — «dunque ti dirò che qualche cosa appresi dallo sceicco Ilderim una notte ch’egli giaceva presso mio padre nel deserto. Era una notte tranquilla e io poteva udire attraverso la tenda ogni parola mentre ascoltavo i garriti degli uccelli, il ronzio degli scarafaggi e il sussurro del vento.» — Sorrise, come compiacendosi della poetica improvvisazione, poi continuò — «Altre piccole cose, semplici particolari da incastrare nel quadro, mi vennero da...» —

— «Da chi?» —

— «Dallo stesso figlio di Hur.» —

— «E da nessun’altra fonte?» —

— «No.» —

Hur trasse un sospiro di sollievo; lasciò cadere in tono d’indifferenza un — «grazie,» — poi disse tranquillamente:

— «Non è bene far attendere Sejano. Il deserto è più pietoso. Di nuovo dico: O Egitto, pace!» —

Fino a quel momento egli era rimasto a capo scoperto, ma ora prese il fazzoletto che gli pendeva dal braccio, ed avvolgendosi il capo, fece per partire. Essa lo trattenne [p. 474 modifica]con un gesto rapido, e nella sua impazienza tese una mano verso di lui.

— «Fermati,» — gridò.

Egli si volse, senza toccarle la bella mano scintillante di gioielli, e non gli fu difficile comprendere che il colpo di scena tenuto finora in riserva stava per iscoppiare.

— «Fermati, e non diffidare di me, oh figlio di Hur quando ti dichiaro di sapere la tua relazione col nobile Arrio. E per tutti gli Dei dell’Egitto, giuro ch’io fremo pensando a te, così avvenente e generoso, in potere di un ministro spietato. Tu hai passato parte della tua gioventù negli atrii della gran capitale; pensa qual contrasto sarà per te la vita del deserto. Oh, ti compiango, sì, di tutto cuore ti compiango! Fa soltanto quanto ti chiedo e, lo giuro per Iside sacra! io ti salverò!» —

Parole insinuanti, pronunciate in tono supplichevole, cui la bellezza prestava irresistibile fascino!

— «Quasi, sì, — quasi ti crederei» — mormorò con voce incerta Ben Hur, nel cui seno un dubbio lottava ancora, coll’impulso che lo spingeva a cedere.

— «La vita ideale della donna è una vita d’amore; la più gran felicità per l’uomo sta nel vincere se stesso, ed è questo, oh principe ch’io ti domando.» —

Essa parlava rapidamente, e con insolito calore; mai essa gli era apparsa più seducente.

— «Tu avevi una volta un amico,» — essa continuò — «un amico di gioventù. Scoppiò fra voi un dissidio e diveniste nemici. Egli ti offese, e dopo molti anni lo incontrasti nel Circo d’Antiochia,» —

— «Messala?» —

— «Sì, Messala. Tu sei il suo creditore. Perdona il passato. Ridiventagli amico, e restituiscigli la fortuna perduta nella grande scommessa. Salvalo! — I sei talenti sono una bagatella per te, mentre lui... Ah, egli è un uomo rovinato. O Ben Hur, principe magnanimo, per un Romano della sua schiatta la povertà è peggio della morte: Salvalo dalla miseria!» —

Se la rapidità delle sue parole erano un semplice artificio allo scopo di non lasciargli il tempo di pensare, fa duopo ritenere ch’ella ignorasse o avesse dimenticato, esservi certe commozioni affatto indipendenti dal pensiero, che penetrano senza preavviso alcuno e sono irremovibili. Mentr’essa parlava, parve a Ben Hur di vedere il volto di Messala dietro le spalle dell’Egiziana e l’espressione del [p. 475 modifica]Romano non era certamente quella di un mendicante o d’un amico; le labbra del patrizio erano sempre atteggiate al solito sorriso sardonico, e lo sguardo nulla aveva perduto della sua irritante alterigia.

— «L’appello è già stato deciso allora, e per una volta almeno Messala è stato sconfìtto. — Andrò a scrivere nel mio diario il grande avvenimento, che un Romano ha pronunciato giudizio contro un Romano! Ma dimmi, fu Messala a mandarti a me con questo messaggio, o Egitto?» —

— «La sua è una nobile indole, e alla stregua di essa giudicò la tua» —

Ben Hur prese la mano poggiata leggermente sopra il suo braccio.

— «Dal momento che tu sembri avere rapporti di così intima amicizia con lui, bella Egiziana, dimmi, credi che egli farebbe per me ciò che egli mi chiede, in caso che le sorti fossero invertite? Rispondimi, per Iside! Rispondimi, se ami la verità!» —

La mano e lo sguardo insistevano del pari che la voce.

— «Oh! — essa cominciò — egli è...» —

— «Un Romano, stavi per dire; significando con ciò, che io, un Ebreo, non posso paragonarmi a lui; che, essendo Ebreo, io devo restituirgli i miei guadagni, perchè egli è Romano. Se tu hai altro da dire, o figlia di Balthasar, spicciati, spicciati; perchè, per il Signore Dio d’Israele, questo mio sangue comincia a bollire, e potrò forse dimenticare che tu sei una donna, e bella! Io non vedo che la spia di un padrone doppiamente odioso perchè mio nemico e perchè Romano. Spicciati, ti dico.» —

Essa si liberò della sua mano, facendo un passo indietro nel cerchio di luce, e con tutta la malignità della sua natura raccolta negli occhi e nella voce, disse:

— «Vile bevitor di feccie, cane Israelita! Nella tua smisurata presunzione tu hai creduto che io potessi amarti dopo aver veduto Messala? I pari tuoi sono nati per strisciare a suoi piedi. Ed ora ascolta: Egli sarebbe stato contento che tu restituissi i sei talenti; ma io ti dico che ai sei devi aggiungerne venti — venti, mi intendi tu? Uno per ogni bacio che tu gli hai rubato, quantunque col mio permesso. Io t’ho seguita con protestazioni d’affetto ho simulato un’amore che non sentivo, ho sopportato la tua compagnia così a lungo, per servire Messala. Il negoziante è l’amministratore della tua fortuna. Se per domani, a mezzodì, egli non ha la tua cambiale in favore [p. 476 modifica]del mio Messala per ventisei talenti — nota la somma! — avrai da fare con Sejano. Sii saggio. Addio.» —

Mentre essa si avviava all’uscio, egli le si piantò innanzi, sbarrandole il cammino.

— «Il vecchio Egitto vive in te!» egli disse «Sia che tu veda Messala domani o dopodomani, qui o in Roma, fagli questa ambasciata:

Digli che ho ricuperato tutto il denaro, compresi i sei talenti, di cui egli mi spogliò, confiscando i miei beni paterni; digli che, superstite alle galere a cui mi condannò, nel pieno vigore delle mie forze, io rido della sua miseria e del suo disonore; digli che io credo che quella infermità di corpo che lo astringe, eterno invalido, alla sua poltrona, e che il mio braccio cagionò, è la maledizione del nostro Signore Iddio d’Israele, giusta ricompensa pei suoi delitti contro i deboli e gl’infelici; digli che mia madre e mia sorella, ch’egli fece rinchiudere in una cella nella Torre d’Antonia affinchè vi morissero della lebbra, sono vive e guarite, grazie alla potenza del Nazareno che tu disprezzi; digli che per colmare la coppa della mia felicità, esse sono state restituite alle mie braccia, e che nel loro affetto io troverò largo compenso alle impure passioni che tu rechi a Messala; digli — e questo anche per tuo conforto — o tigre in forma d’angelo, digli, che quando Sejano verrà a spogliarmi, egli non troverà nulla, perchè l’eredità ch’io ebbi dal duumviro, compreso la villa di Miseno, è stata venduta, e il ricavo della vendita è fuori della sua portata, in giro pei mercati del mondo, sotto forma di tratte; e che questa casa, e i beni, e le merci, e le navi, e le carovane, che ogni giorno portano a Simonide così principeschi guadagni, sono protetti da una salvaguardia imperiale, perchè una testa più saggia della tua ha trovato il prezzo dei favori di Sejano, e il ministro preferisce un guadagno onestamente procurato, a tesori macchiati di sangue; digli, che se anche non fosse così, se il denaro ed i beni fossero tutti miei, egli non ne avrebbe la benchè minima parte, perchè, quando, trovasse le nostre tratte Ebraiche, e obbligasse i detentori a consegnare le somme equivalenti, un altro mezzo mi rimane — un atto di donazione a Cesare; — questo almeno appresi negli atti della grande metropoli; digli infine che, insieme alla mia sfida, io non gli mando la mia maledizione a parole, ma quale migliore espressione del mio odio eterno, io gli invio qualche cosa che sarà per lui la somma di tutte le maledizioni; e [p. 477 modifica]d’egli ti vedrà ripetere questo messaggio, figlia di Balthasar, la sua astuzia Romana gli indicherà ciò ch’io intendo di dire. Ora va, come io vado.» —

Egli la condusse verso l’uscio, e sollevando la cortina con cerimoniosa cortesia, la lasciò passare per la prima.

— «La pace sia con te» — egli disse, mentre essa spariva.