Ben Hur/Libro Primo/Capitolo VIII

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Capitolo VIII

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CAPITOLO VIII.


Torniamo alla corte descritta come parte del mercato della porta di Joppa. Erano le tre di giorno e parecchia gente era andata via; nondimeno la folla continuava ad accorrere senz’alcun’apparente diminuzione. Dei nuovi venuti, v’era un gruppo laggiù vicino alla parete, composto di un uomo, una donna e un asino, gruppo che meritava di essere notato. L’uomo era vicino alla testa dell’animale e teneva in mano una redine di cuoio appoggiandosi sopra un bastone che sembrava fosse stato scelto per il doppio uso di pungolo e di sostegno; il suo abito era come quello degli Ebrei che gli erano attorno, eccetto che aveva l’apparenza d’essere nuovo. Il mantello lo ravvolgeva fino alla testa, e la veste, che copriva la sua persona dal collo alle calcagna, era, probabilmente, quella ch’ei soleva indossare alla Sinagoga nei giorni festivi. Il viso però era scoperto e dimostrava una cinquantina d’anni, ciò che confermava il grigio screziante la sua barba nera. Guardava intorno a sè, per metà curioso e per metà smarrito, come un forestiere od un provinciale.

L’asino mangiava tranquillamente una bracciata d’erba della quale vi era abbondanza al mercato. Il suo naturale restìo non ammetteva che lo si disturbasse e non si rammentava già più della donna seduta sul suo dorso e accoccolata sulla sella imbottita. Una veste di stoffa di lana scura copriva completamente la persona di lei, mentre un bianco velo le adornava il capo ed il collo. Ogni tanto, spinta dalla curiosità di vedere e di sentire qualche cosa, ella si tirava da parte il velo, ma così poco che il volto non restava del tutto visibile.

Finalmente vi fu chi si accostò all’uomo e gli chiese:

— «Non siete voi Giuseppe da Nazareth?» —

Chi lo interrogava gli stava proprio vicino.

— «Così mi chiamo — rispose Giuseppe voltandosi con gravità. — E voi? Ah! pace sia con voi, amico mio, Rabbi Samuele!» —

— «Lo stesso v’auguro anch’io». —

Il Rabbi si fermò guardando la donna, poi aggiunse:

— «Pace a voi, alla vostra casa, e ai vostri servi». —

Ciò detto egli si mise una mano sul petto, e [p. 42 modifica]abbassò il capo in segno di saluto verso la donna, che, vedendolo, aveva già sollevato il velo abbastanza per lasciar scorgere un viso d’adolescente. Giuseppe e il Rabbi si porsero le destre come per avvicinarle vicendevolmente alle labbra; però, all’ultimo momento, le mani si lasciarono e ognuno baciò la propria, portando poi le palme alla fronte.

— «V’è così poca polvere sopra i vostri abiti — disse il Rabbi, famigliarmente, che arguisco voi abbiate passata la notte in questa città dei nostri padri.

— «No, — rispose Giuseppe, — poichè non potendo arrivare che a Betania prima che sopraggiungesse la notte rimanemmo laggiù nel Khan e ripigliammo il cammino allo spuntar del giorno». —

— «Il viaggio che dovrete fare sarà lungo allora; non sarà terminato a Joppa spero». —

— «No, terminerà a Betlemme». —

Il contegno del Rabbi, prima aperto ed amichevole, divenne chiuso e minaccioso, ed egli emise una specie di grugnito anzichè tossire come di consueto.

— Sì, sì, capisco — diss’egli. Voi siete nato a Betlemme e vi ci recate con vostra figlia per esser computati fra i pagatori di tasse come ordinò Cesare. I figli di Giacobbe sono come erano le tribù in Egitto: solo essi non hanno nè un Mosè nè un Giosuè. Come son decaduti i possenti!» —

Giuseppe rispose senza scomporsi:

— «La donna non è mia figlia». —

Ma il Rabbi s’era infatuato in politica e proseguì senza notare la spiegazione:

— «Cosa stanno facendo i fanatici laggiù nella Galilea?» —

— «Io sono un falegname, e Nazareth è un villaggio — disse Giuseppe prudentemente. — La strada sulla quale si trova il mio banco di operaio non è una via che conduce ad alcuna città. Spaccando e segando assi non trovo tempo per prender parte alle discussioni dei partiti».

— «Ma voi siete un Ebreo» — disse con serietà il Rabbi — e siete un’Ebreo discendente di Davide. Possibile che voi possiate trovar piacere nel pagar qualsiasi tassa all’infuori del siclo dato per antico costume a Jeova?» —

Giuseppe si mantenne calmo.

— «Io non mi lamento» — continuò l’altro — dell’aumento della tassa. Un denario è una bagatella. È l’imposizione che io ritengo un’offesa. Che cos’è il pagarla se non una sottoscrizione alla tirannia? Ditemi: è vero che [p. 43 modifica]Giuda pretende esser il Messia? Voi vivete fra i suoi seguaci.» —

— «Io intesi dire dai suoi seguaci ch’egli era il Messia.» —

Il velo della donna si alzò con rapidità e per un secondo tutto il suo volto fu visibile. Gli occhi del Rabbi si volsero verso di lei e fecero in tempo a vedere un sembiante di rara bellezza, reso più attraente da uno sguardo di intenso interesse; ma un lieve rossore si sparse per le sue gote e sulla sua fronte ed il velo tornò a coprirla agli occhi dei curiosi.

Colui che discorreva di politica dimenticò il suo tema favorito.

— «Vostra figlia è avvenente» — disse parlando quasi fra sè.

— Non è mia figlia — replicò Giuseppe.

La curiosità del Rabbi era aumentata; accortosene il Nazareno si affrettò a soggiungere.

— «Essa è figlia di Ioachim e d’Anna di Betlemme dei quali avrete almeno udito parlare, poichè erano gente di gran fama.» —

«Sì, — rimarcò il Rabbi rispettoso — ne ho udito parlare. Erano discendenti in linea retta da Davide e li conobbi, assai bene». —

— «Ebbene ora sono morti» — procedette il Nazareno. Morirono a Nazareth. Ioachim non era ricco, pure lasciò una casa e un giardino da dividersi tra le sue figlie, Marianna e Maria. Queste è una delle due figlie, e per salvare la sua parte di proprietà, la legge l’obbligò a sposare un prossimo parente. Adesso essa è mia moglie».

— «E voi eravate suo parente?» —

— «Ero suo zio». —

— «Comprendo. E siccome siete nati a Betlemme così Cesare vi obbliga a condurre colà vostra moglie per computarla tra le persone tassabili.» —

Il Rabbi giunse le mani e guardò sdegnosamente il cielo esclamando:

— «Il Dio d’Israele vive ancora! La vendetta è sua!» —

Detto ciò si voltò e bruscamente partì. Un forestiero lì vicino, osservando lo sbigottimento di Giuseppe, disse tranquillamente:

— «Il Rabbi Samuele è un fanatico. Giuda stesso non è più feroce». —

Giuseppe non volendo parlare con quell’uomo, finse di non sentire e si affacendò a raccogliere il fascio d’erba [p. 44 modifica]che l’asino aveva sparpagliato; poi s’appoggiò al suo bastone, aspettando.

Dopo un’oretta la comitiva oltrepassò il cancello, e, voltandosi a sinistra, prese la via che conduce a Betlemme. La discesa della valle di Hinnom era abbastanza scoscesa, ed era adorna, qua e là, di olivi selvatici. Con molta sollecitudine e tenerezza il Nazareno camminava a fianco della donna tenendo nelle mani la cinghia di cuoio del somarello. Alla loro sinistra, a sud est, attorno al Monte Sion, sorgevano le mura della città, e alla loro destra si vedevano delle ripide colline che formavano i confini della valle.

Lentamente passarono il basso stagno del Gihon nel quale il sole rifletteva l’ombre rimpicciolite dei colli, e procedettero adagio adagio tenendosi paralleli all’acqua dallo stagno di Salomone sino al luogo ove era un casino rustico, luogo detto oggi Colle del Cattivo Consiglio. Giunti colà principiarono a discendere verso il piano di Refraim. Il sole riverbava i suoi raggi fortissimi sulla facciata della famosa località e al bacio dei suoi raggi Maria lasciò cader addietro il velo e scoprì il capo.

Giuseppe le raccontò la storia dei Filistei qui sorpresi nel campo da Davide. Ma nel suo racconto era minuzioso e parlava dandosi un’aria solenne e modi che parevano quelli di uno sciocco. Ella non lo ascoltava sempre. Tanto per mare che per terra gli Ebrei, ove s’incontrino, sono riconoscibili. Il tipo fisico della razza è stato sempre il medesimo; però, fra individuo e individuo, vi sono delle dissomiglianze. Il figlio di Jesse ci fu descritto rubicondo e bellissimo di aspetto. Gli uomini, d’allora in poi, si regolarono su quel tipo per giudicare gli Ebrei e dalla fisonomia dell’antenato, pretesero di conoscere quella dei discendenti. Così tutti i nostri Salomoni hanno bei visi e capelli e barba castagna, quando sono all’ombra, e color d’oro quando sono al sole. Così ci fanno credere che fossero le ciocche di Assalonne, il prediletto di Davide. E, non essendovi una storia autentica, la tradizione ci ha detto non meno bene di lei della quale discorriamo ora e che seguiremo nella città del biondo re che fu così bello.

Ella non aveva più di quindici anni. Le sue fattezze, la sua voce e i suoi modi eran quelli tra la fanciullezza e l’età dello sviluppo. Il suo viso era di un’ovale perfetto; la sua carnagione più chiara che bella; il naso regolare; le labbra, leggermente dischiuse, erano rosse come fragole mature, dando alla bocca ardore e tenerezza; gli occhi erano [p. 45 modifica]celesti e grandi, dalle lunghe palpebre, e dalle lunghe ciglia, ed in armonia con tutto ciò un volume immenso di capelli d’oro, tenuti nel modo concesso alle giovani spose Ebree, spioventi cioè per la vita sino a toccar la sella sulla quale essa sedeva. La gola ed il collo erano morbide, lanuginose, come talvolta si può osservare in alcune donne, e che mettono in un’artista il dubbio se si tratti di un effetto di linee o di colori. Aveva anche altre indefinibili bellezze, ad esempio un’aria di purezza che solo un’anima angelica può dimostrare, e un certo che di etereo che sembrava non poter essere toccato da mani mortali. Spesso, aveva le labbra tremule, e sollevava i begli occhi al cielo, divenuto anch’esso più chiaro; o incrociava, le mani sul petto come in atto di adorazione o di preghiera o alzava il capo come chi ascolta attento una voce che chiami dall’alto. Ogni tanto, interrompendo le sue noiose narrazioni, Giuseppe si voltava a guardarla, e, ammirando l’espressione del suo viso irraggiato di luce, dimenticava i suoi ragionamenti, e, chinando il capo, fantasticando, continuava a camminare.

Così essi terminarono di percorrere la gran pianura e infine raggiunsero il colle Mar Elias, dal quale, attraverso la valle, ammirarono Betlemme. Là si fermarono e riposarono, mentre Giuseppe indicava a Maria i luoghi sacri. Poi scesero nella valle e andarono ad un pozzo che recava istoriato uno dei meravigliosi fatti d’armi di Davide. Lo spazio angusto era pieno di gente e di animali. Giuseppe ebbe il dubbio, se la città fosse così affollata, che la gentile sua compagna, avesse potuto trovarvi ricovero. Senza por tempo in mezzo egli corse avanti, passò la colonna marmorea che indicava la tomba di Rachele, e, pel versante fiorito, non salutando alcuna delle persone che incontrò per via, continuò a correre finchè si fermò davanti alla porta del Khan che allora era fuori dalle mura del villaggio vicino a un crocicchio di strade.