Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno/Atto III

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Atto III

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Atto II Nota storica
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

. Camera del Re con sedie.

Il Re, la Regina, Aurelia ed Erminio.

Regina. Sposo e signor, questo piacer vi chiedo:

Rimandate costoro
Tutti alle case loro.
È troppo impertinente
Questa rustica gente: a noi vicina
Io non posso soffrir quella Menghina.
Re. (Già comprendo il perchè).
Aurelia. Non sembra giusto
Che donna vil, di rustico natale,
Sia veduta occupar stanza reale.
Erminio. (L’intendete, signor?) (piano al Re
Re.   (Son ambe oppresse
Dal medesimo mal). Sposa, germana,
Consolate sarete;
Oggi tornar vedrete
Questa gente che a voi reca disaggio,
Lungi da queste soglie al lor villaggio.
Itene, Erminio, e i preparati doni
Fate quivi recar; poscia guidate
A me, senza bisbiglio,
Bertoldo, Bertoldin, la moglie e il figlio.
Erminio. Il vostro cenno ad eseguir non tardo.
(Ha queste donne avvelenato il guardo).
  So che chi fido ha il core,
  Teme un rivale amore;
  So che l’amante sposa
  Suol sempre dubitar.

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  Ma quel timor geloso

  Che turba il suo riposo,
  Da sè femmina accorta
  Alfin dovria scacciar. (parte

SCENA II.

Il Re, la Regina, Aurelia.

Aurelia. Qual merto avran costoro

Per esiger da voi premio o mercede?
Germano, ah ben si vede,
Con vostra buona pace,
Che privarvene ancora vi dispiace.
  Se non dorme il vostro cuore
  In un cieco indegno amore,
  Saprà fare il suo dover.
  E se mai pensasse ancora
  D’adorar chi v’innamora,
  Discacciate un tal pensier. (parte

SCENA III.

Il Re e la Regina.

Regina. Udiste? la germana

Più di me vi conosce. Io non vorrei...
Basta, già m’intendete.
Re. E ancor gelosa siete?
Non giuraste testè, mia cara sposa,
Scacciar la gelosia?
Regina.   Non son gelosa.
Re. Di che dunque temer?
Regina.   Non so.
Re.   Vedete

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Quanto in error voi siete.

Se Menghina da me franco allontano,
Ch’arda per lei voi paventate invano.
Regina. Ma la fiamma vicina
Riaccendere si può..
Re.   Dunque...
Regina.   Partiamo.
Alla reggia torniamo.
Allor sarò contenta,
Allor certa sarò del vostro affetto.
Promettete partir?
Re.   Sì, vel prometto.
Regina. Ora son io felice;
Il cor di più non brama,
Quando lo sposo mio costante mi ama.
  Non si dà maggior diletto
  D'un costante amor sincero:
  Sempre fida al caro oggetto
  Serberò l’amor primiero,
  La costanza del mio cor.
  Ed amore, per mercede
  Della mia sincera fede,
  Farà sì che il mio tesoro
  Dia ristoro al mio dolor.

SCENA IV.

Il Re, poi Erminio con Servi che portano bacile con doni.

Re. Vada, vada Menghina; alfin la sposa

Contentare si dee.
Erminio. Signor, i doni
Ordinati son questi,
E i Bertoldi son qui, come imponesti.
Re. Sediam. Venga Bertoldo. (ad un Servo

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Vuò rimandarli in pace,

Ma consolati almen. (il Re ed Erminio siedono
Erminio.   Così mi piace.

SCENA V.

Bertoldo e detti.

Bertoldo. Che comanda da me

La Maestà vostra, che vuol dire il Re?
Re. Dei ritornar al tuo nativo albergo.
Bertoldo. Vado contento, e già vi volto il tergo.
Re. Fermati anche un momento:
Non dei partir scontento;
Perchè mi fosti caro,
Prenditi per regalo quel danaro 1.
Bertoldo. Io grazie non vi rendo,
Ma compensar intendo,
Perchè Bertoldo sono,
Con un dono più bello il vostro dono.
  Voglio darvi un arricordo,
  Che profitto a voi farà.
  Con le donne fate il sordo,
  Non badate alla beltà.
  Sono tutte fattucchiere,
  Assassine, menzognere:
  Chi lo prova, dir lo sa.
  Eh signor, che cosa dite?
  Signor sì, è la verità.
  Hanno poi un altro vizio:
  Voglion sempre aver ragione,
  E sposata un’opinione,
  Più rimedio non si dà.
(parte, e seco un Servo con un bacile di monete

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SCENA VI.

Il Re, Erminio, poi Menghina da contadina.

Re. Venga Menghina. Questo astuto vecchio

La sa lunga da vero.
Erminio. Almeno il labbro suo parla sincero.
Menghina. Ecco ai vostri comandi
La signora Menghina,
Tornata in bassa stima.
Eccoci qui: baroni come prima2.
Re. Non so che dir; mi spiace
Di dovervi lasciar, ma l’uopo il chiede.
Andate, e per mercede
Della vostra modestia,
Da cui convinto sono,
Prendete quelle perle, io ve le dono.
Menghina. Ringrazio la bontà
Di vostra maestà. Sarà finita
Della regina alfin la gelosia.
Vi faccio riverenza, e vado via.
  Se la moglie vi tormenta,
  S’è gelosa in opinione,
  Adoprate un buon bastone,
  Che il suo mal risanerà.
  Zitto, ohimè! che non mi senta
  Qualche moglie indiavolata,
  Che sia stata bastonata
  Per la sua temerità.
(parte seguita dal Servo col bacile con le perle

SCENA VII.

Il Re, Erminio, poi Bertoldino e Cacasenno.

Re. Anche questa ha voluto in conclusione

Nel partire beffarmi.

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Erminio.   Ell’ha3 ragione.

Bertoldino. Fermati, dove vai? (dietro a Cacasenno
Cacasenno.   Vo dove voglio.
Bertoldino. Vien qua; fermati, dico,
Che questo è il re.
Cacasenno.   Non me n’importa un fico.
Re. (Bella coppia graziosa!)
Bertoldino. Signora Maestà, voi lo vedete,
È un povero ragazzo,
Che sembra mezzo pazzo.
Io le creanze e le virtù gl’insegno,
Ma lui per imparar non ha il mio ingegno.
Re. È una gran stravaganza,
Che un uom, come sei tu, d’alto consiglio,
Abbia prodotto sì ignorante un figlio.
(O che sciocco!),
Erminio.   (Godiamlo).
Cacasenno.   Presto, presto,
Ch’io crepo dalla fame;
Datemi da mangiar.
Re.   Olà, si diano
Quelle paste sfogliate a Cacasenno.
Cacasenno. Via di qua, gnorantaccio4; (al Servo
Portami un castagnaccio.
Mi piace e m’alimenta5
Latte, rape, fagiuoi, pomi e polenta.
Re. Soddisfarlo conviene. Itene tosto,
Empitegli de’ sacchi,
Finch’egli si contenta,
Di rape, di fagiuoi, pomi e polenta.
Cacasenno. Oh caro, oh benedetto!
Che ne dite, papà?

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La mamma nol saprà.

Vado subito, corro... (cade in terra
Bertoldino. Bastia matta, che fai?
Cacasenno.   Mi son stroppiato.
Maledetto quel re che m’ha chiamato. (parte

SCENA VIII.

Re. Lo saprai, Bertoldino.

Devi a casa tornar.
Bertoldino.   (Lo so benissimo,
E ne son contentissimo.
Re. E perchè non d lagni
Che la mia protezion sia stata vana,
Una ricca ti dono aurea collana.
Bertoldino. A me mi basta, che per cortesia
Voi mi lasciate star la moglie mia.
Re. Sì, sì, non dubitar. Ma tu ricusi
Quell’oro ch’io ti dono?
Bertoldino. Così pazzo non sono;
M’insegna la natura.
Quand’uno vuol donar, piglio a drittura.
  A riveder io torno
  Le affumicate mura,
  Qual notte tetra oscura.
  Ma là sarò contento,
  Sapete voi perchè?
  Perchè v’è la cucina
  Ove in un calderone
  Bolle quella farina
  Che forma la polenta,
  Che gusto mi darà.
  La Corte non mi piace.
  Goder vogl’io la pace;
  E so che di catene,
  Son piene - le città. (parte col Servo con la collana

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SCENA IX.

Il Re ed Erminio.

Re. Or vanne, Erminio, dalle nostre spose:

Di’ lor che stian contente, (si alzano
Ch’oggi si partirà; che per godere
Non piccolo piacer, vengan con noi
A rimirar qui nel vicin contorno
Ritornar i Bertoldi al lor soggiorno.
Erminio. Obbedito sarete.
Oggi spero veder due spose liete.
Re. Sì, rendo grazie al Ciel, che dal mio petto
Questo novello affetto
Tutto alfin discacciai; e riconosco
La salute del cuor dall’amorosa
Molesta gelosia della mia sposa.
Per altro a poco a poco
Cresceami in sen, m’inceneriva il foco.
  Voi che il mio cor sapete6 (ad Erminio
  Quant’è in amor fedele,
  Dite alla mia crudele
  Ch’abbia di me pietà.
  (Se non la placa il pianto,
  Se non la calma il ciglio,
  S’accresce il mio periglio,
  Nè più mi crederà).
(parte con Erminio

SCENA X.

Campagna vasta con colline, sopra le quali vedesi la capanna degli Bertoldi.

Bertoldo, Bertoldino, Menghina e Cacasenno.

Bertoldo. Belle le mie campagne,

Care le mie castagne!
Contento a voi ritorno.

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Menghina. Amabile soggiorno,

Quanto mi piaci più!
Bertoldino. Andiamo, andiamo su;
Andiamo alla capanna,
Dove noi goderem vita contenta.
Cacasenno. Mamma, venite a farmi la polenta.
(vanno tutti quattro sulla collina alla capanna, cantando
  Che bel contento!
  Che bel piacere!
 
La libertà!
(arrivati alla capanna si fermano, e si voltano verso il piano

SCENA ULTIMA.

Il Re, la Regina, Aurelia ed Erminio.

Re. Mirate la famiglia

Tutta allegra e contenta.
Regina. In lor si vede
L’amor di libertà scolpito in fronte.
A chi è avvezzo a goder sì vita amena,
Il viver alla Corte è dura pena.
Aurelia. Ah, volentieri anch’io
Cangerei con costor lo7 stato mio.
Erminio. Veramente è un piacere
Passar la notte e il giorno
Senza pensieri in placido soggiorno.

Re. a quattro Dolce diletto,
Regina. Piacer verace,
Aurelia. Goder in pace
Erminio. La libertà.
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Menghina. a quattro Che bel contento!
Bertoldino. Che bel piacere!
Bertoldo. Che bel godere
Cacasenno. La libertà!
  TUTTI

  Dolce diletto,
  Piacer verace,
  Goder in pace
  La libertà.


Fine del Dramma.


Menghina. a quattro Che bel contento!
Bertoldino. Che bel piacere!
Bertoldo. Che bel godere
Cacasenno. La libertà!
  TUTTI

  Dolce diletto,
  Piacer verace,
  Goder in pace
  La libertà.


Fine del Dramma.


Note

  1. Fenzo: dinaro.
  2. Zatta: Eccomi qui, baroni, come prima.
  3. Zatta: E n’ha.
  4. Tevernin e Zatta: ignorantaccio.
  5. Tevernin e Zatta: Mi piace, m’alimenta.
  6. A questo verso nelle edizioni Fenzo e Tevernin precede un altro: Finché bambino è amore, che fu soppresso nell’ed. Zatta perchè il senso non corre.
  7. Fenzo: il.

Note