Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno/Atto II
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ATTO SECONDO.
Camera Reale.
Il Re ed Erminio.
Vestì spoglia civil Menghina bella.
Se la vedi, signor, non par più quella.
Re. Facilmente s’avvezza
A sostener il ben chi soffrì il male;
E quando in alto sale
Donna che bassa è nata,
Non si ricorda più qual prima è stata.
Erminio. Pur troppo è ver. Menghina in un momento
Prese già il portamento
E il brio di cittadina;
Ma nata contadina,
11 rustico accoppiando al maestoso,
Un personaggio fa molto grazioso.
Re. Mi piace in ogni guisa;
Beltade acquista fregio
Talora dal difetto.
Erminio. Eh tenete celato il vostro affetto.
Se lo sa la regina,
Gran ruine preveggo.
Re. Ella mi crede;
E tutto fo per mantenerla in fede.
Ma ecco, ecco Menghina,
Villanella non più, ma cittadina.
SCENA II.
Menghina vestita da cittadina, e detti.
Chi m’inchina? Chi mi onora?
Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah. (ride
Re. Or sì che la bellezza
Tutta risplende in voi.
Menghina. Lo sappiamo anche noi.
Erminio. Di voi più bel sembiante
Si cercherebbe invano.
Menghina. Baciatemi la mano.
Erminio. Volentieri.
Re. E di fare lo stesso io non ricuso.
Menghina. Lo so, lo so; tal complimento è in uso.
Re. Ma voi state assai bene.
Menghina. E pur non son contenta.
Quest’abito non è fatto alla moda;
Ha poca, ha poca coda,
Tutto mi sembra stretto.
Che busto maledetto!
Non so come si possa,
Per bella comparir, rompersi l’ossa.
Erminio. E pur dice il proverbio:
Chi bella vuol parere,
La pelle ha da dolere.
Menghina. Ed io vi dico:
Chi è brutta di natura,
Farsi bella con arte invan procura.
Re. Ma voi che bella siete,
Così più risplendete.
Menghina. Obbligatissima. (ironica
Burlar lei si compiace:
Lei m’adula, signor, e pur mi piace.
Erminio. Più rispetto col re.
Menghina. Fra genti grandi
Non passa differenza,
E si tratta fra noi con confidenza.
Re. Brava, così mi piace.
Re. Ho per voi dell’amore.
Erminio. Io del rispetto.
Menghina. Lasciate che ambidue vi stringa al petto.
SCENA 111.
Bertoldino e detti.
Oh cara! A due alla volta!)
Menghina. Potete assicurarvi,
Ch’io sarò per amarvi,
Anzi per inchinarvi.
Bertoldino. Sì, signori, con l’irvi, e con l’ararvi.
Erminio. Oh caro Bertoldino,
Così ben in arnese,
Tu mi rassembri un cavalier francese.
Bertoldino. Oh in quanto a questo poi,
Francese, padron mio, sarete voi.
Re. Eh via, non gli abbadate. (a Menghina
Menghina. Lo fo per convenienza. (al Re
Bertoldino. Signor re, mio padron, con sua licenza.
(entra in mezzo fra il Re e Menghina
Re. Olà, che ardire è il tuo?
Bertoldino. Ognuno puote ricercar il suo.
Erminio. Certo colui è un pazzo. (a Menghina
Menghina. Purtroppo tal egli è per mia disgrazia.
Re. Sei geloso?
Bertoldino. Gnorsì... con buona grazia.
(va tra Erminio e Menghina
Erminio. Ma da me che pretendi?
Bertoldino. Vorrei saper da voi... (a Menghina
Re. Menghina cara,
Pria che lasciarvi io giunga...
Re. Di che ti lagni mai? (a Bertoldino
Erminio. Lasciatel dire. (a Menghina
Bertoldino. Oh razza porca, la vogliam finire?
Erminio. Non far l’impertinente,
O ti faccio provare il mio bastone.
Villano, mascalzone,
Asinaccio vestito in ricche spoglie,
Non sei degno d’aver sì bella moglie.
(passa dalla parte di Menghina
Bertoldino. Quest’è un’impertinenza.
Menghina. Marito, abbi pazienza.
Son fida, onesta son più che non credi;
Ma se in mezzo mi vedi
A questi due, non è gran stravaganza.
Della donna civil quest’è l’usanza.
Bertoldino. Questa ragion non vale.
Tu civile non sei, nè criminale.
Corpo di Satanasso,
Devi venir con me.
Erminio. Non far fracasso, (alza il bastone
Bertoldino. Bel bello, io vi domando
Alfin la roba mia. (va dalla parte del Re
Re. L’ossa ti romperò, se non vai via. (alza il bastone
Bertoldino. Menghina...
Menghina. Eh via, sta zitto.
Bertoldino. Dunque dovrò vedere,
Osservare, e tacere?...
Re. E andartene tu dei da questa stanza.
Bertoldino. Io? Perchè?
Re. | a due | Perchè sì. | |
Erminio. |
Bertoldino. Maledetti quanti siete,
Non mi fate disperar.
Vienmi, o cara, a consolar.
Fermi, fermi, no, non fate: (lo minacciano
Non vogl’io le bastonate,
O piuttosto tacerò;
Oh che rabbia ch’ho nel petto:
Dal dispetto io creperò. (parte
SCENA IV.
Il Re, Erminio, Menghina; poi la Regina ed Aurelia.
Erminio. Quant’è ignorante!
Menghina. E pur, con tutti li difetti suoi,
Mi piace più di voi.
Re. Perchè bell’idol mio?
Menghina. Intendami chi può, che m’intend’io1.
Re. Sarò per voi fedele.
Erminio. Per voi sarò amoroso.
Regina. Mi rallegro con voi, signore sposo.
Bravo, signor consorte.
Re. Sentite...
Erminio. Non credete...
Regina. Non parlate, infedele..
Aurelia. Empio, tacete.
Menghina. Cos’han queste signore,
Che sembran sì stizzose?
Erminio. Sono le nostre spose, e voi vedendo
Con noi parlare unita,
L’una e l’altra di voi s’è ingelosita.
Menghina. Oh, oh, rider mi fate.
No, no, non dubitate;
Sì belli e sì graziosi, lo di marito
Non patisco appetito;
Uno ne ho, che fa le parti sue,
E non lo cangierei2 con tutti due.
Se di me gelose siete,
La sbagliate in verità;
Che m’incanti non credete
La ricchezza, o la beltà.
Vi vuol altro, la ran le la3.
Vi vuol altro, la ran la.
Un marito mi ho cercato
Tutto pieno di bontà;
L’ho trovato, e son contenta
Della sua semplicità.
SCENA V.
Re, la Regina, Erminio ed Aurelia.
regina. Itene lungi, indegno;
Ho veduto abbastanza:
Bella fè, bell’amor, bella costanza!
Re. Se scherzai con Menghina,
Perdon vi chiedo. Io non offesi, o cara,
L’amor mio, la mia fè. V’amo, v’adoro,
Voi siete il mio tesoro.
Deh mio bel nume irato,
Deh placate il rigor.
Regina. Siete un ingrato.
Re. S’io l’amo, se tradisco
L’affetto coniugale, Erminio il dica.
Ei che de’ miei pensieri
Vi dirà che son fido, e ch’io scherzai.
Regina. Conosco l’arte, e invan vi lusingate,
Ch’io presti fede al labbro lusinghiero.
Quel ch’io vidi ed intesi, è troppo vero.
Re. (E cedere non vuol? Partir conviene).
Adorato mio bene,
S’io v’offesi con voglia empia e impudica,
O se vi son fedele, Erminio il dica.
(Ah che nel dirle addio
Mi sento il cor dividere,
Parte del sangue mio,
Viscere del mio sen4).
Spero che il vostro core
Non sarà meco ingrato;
Che per cangiar di stato,
Saprà gradirmi almen. (parte
SCENA VI.
La Regina, Aurelia ed Erminio.
Con migliori consigli
Svegliar nel di lui core
La sopita ragione,
Voi delle sue follie siete cagione.
Erminio. Io, regina? Più tosto...
Aurelia. Ma voi nel giorno istesso,
Che a me date la mano,
D altra fiamma accendete il core insano?
Erminio. Credetemi, mia cara...
Regina. Ma sfogherò, m’impegno,
Contro di voi lo sdegno.
Aureua. Non soffrirò con pace
11 tradimento audace.
Erminio. Oh Dei! Ma non è vero...
Aurelia. Parto per non udirvi, menzognero. (parte
Erminio. Fermatevi, sentite...
Regina. Dite perfido, dite,
Se offesa, se oltraggiata...
Erminio. Seguo la bella mia, che fugge irata. (parte
SCENA VII.
La Regina sola.
Lo sposo mi tradisce,
M’abbandona ciascun e mi deride,
E il dolor mi tormenta, e non m’uccide?
Barbaro, ingrato sposo,
Traditor, inumano,
Se per affetto insano
Sprezzi il mio fido amore,
Vieni, spietato, a lacerarmi il core.
Ecco il petto innocente:
Impugna, impugna il ferro,
Qua ferisci ed impiaga, alma crudele;
Svena con le tue man la tua fedele.
Ma no, ferma, e rammenta,
Pria di passarmi il petto,
Quel dolce primo affetto
Onde un tempo mi amasti,
Che tuo ben mi chiamasti,
Che tu sei... che son io... ma che ragiono?
Spargo al vento i sospiri, e folle io sono.
M’empiono di spavento,
E dal dolor mi sento
L’anima lacerar.
Ma più cresce il mio affanno,
Perchè pietà non vedo
Nel traditor, nè credo
Maggior ne’ giorni miei
Poterlo, oh Dio5! provar. (parte
SCENA VIII.
Cacasenno, poi Lisaura.
Ho perduto la mamma ed il papà.
M’è stato detto ch’eran qui venuti,
Ma non li trovo ancora,
E sento che la fame mi divora.
Io non so dove sia;
Fra tante belle cose mi confondo:
Parmi d’esser passato all’altro mondo.
Ma chi è questa ragazza,
Che cosìri ben vestita
Per qui rivolge il passo?
Figlia sarà di qualche villan grasso.
Lisaura. Olà, che fai tu qui, brutto villano?
Va via, va via di qua.
Cacasenno. Cerco la mamma.
Lisaura. Oh faccia di minchione,
Ti conosco che sei quel bernardone.
Cacasenno. Eh non mi strapazzate;
Perchè, perchè, se no,
Qualche cosa nel grugno vi darò.
Lisaura. A me questo? Briccone,
Figlia della regina;
Se non saprai parlare,
Ti farò bastonare.
Cacasenno. Oh perdonate,
No, no, non farò più. Facciamo pace 6.
Divertiamoci un poco,
Facciamo a qualche gioco.
Sette, cinque.
Lisaura. Insolente!
Cacasenno. Bellina!
Lisaura. Impertinente.
Cacasenno. Vi voglio tanto bene.
Lisaura. Che sì, che sì, se viene
Il re mio padre, e non mi lasci stare,
Ch’io ti faccio ben bene bastonare.
Son ancora piccinina,
Non mi posso vendicar.
Quando poi sarò regina,
Saprò farmi rispettar,
Ed ognuno mi dirà:
Che vezzosa maestà.
Avrò paggi, avrò lacchè,
Colla coda avrò il mantò,
E se alcun mi burlerà,
Cospetton, se n’avvedrà7. (parte
SCENA IX.
Cacasenno, poi Erminio.
Cacasenno. Io son solo, signor, non siamo sei.
Erminio. Domando, come hai nome?
Cacasenno. Voi mi parete un pazzo;
Vedete, uomo non son, son un ragazzo.
Erminio. Capisci, o testa sciocca:
Dico come ti chiami.
Cacasenno. Con la bocca...
Erminio. Di chi sei figlio?
Cacasenno. Di mio padre.
Erminio. E il padre
Chi è, come s’appella?
Cacasenno. Non si pela mio padre; oh questa è bella!
Erminio. (Sarebbe mai costui
Figlio di Bertoldin?)
Cacasenno. (Mi fa paura.
Vorrei fuggir, se si voltasse in là).
Guardate. (lo fa voltar dall’altra parte
Erminio. Dove vai? (s’accorge che vuol fuggir, e lo ferma
Cacasenno. Son qua, son qua. (tremante
Erminio. (Oh che bel turlulù).
Dimmi, saresti tu
Figlio di Bertoldino?
Cacasenno. Per l’appunto.
Erminio. Quando arrivato sei?
Cacasenno. Quando son giunto.
Erminio. Tu parli molto male.
Cacasenno. Voi siete un animale,
Perchè non m’intendete,
E si vede che avete il capo tondo.
Erminio. Di che paese sei?
Cacasenno. Di questo mondo.
Erminio. Vuoi venir meco?
Cacasenno. Vuò cercar la mia mamma e il mio papà.
Erminio. (Vuò condurre, s’io posso,
Vieni, vieni.
Cacasenno. Ho paura.
Erminio. Vieni a far colazione.
Cacasenno. Col pane, o col bastone?
Erminio. Vieni, e sarai contento.
Cacasenno. Ho paura di qualche tradimento.
Erminio. Orsù, perchè tu veda,
Ch’io ti parlo sincero,
Prendi questi denari e questi dolci:
Mangia, godi, trastulla, e non temere.
Cacasenno. Cose buone? denari? oh che piacere!
Me li donate a me? son tutti miei?
Mamma, venite pur tutta giuliva.
Cose dolci e denari? evviva, evviva.
Oh quanto contento
Ch’io provo, ch’io sento!
Le belle monete
Consolano il core,
E il dolce sapore
Diletto mi dà.
La la ra la le la,
La la ra la la. (e saltando parte
SCENA X.
Erminio solo.
Prender dovrem da questo
Scimunito ragazzo.
Egli riesce grazioso, ancorché pazzo.
Son tre degni soggetti
Padre, figlio e nipote.
Il vecchio è un gran volpione;
Ma quest’ultimo pien di balordaggine,
La quintessenza egli è della goffaggine.
Anch’io ne goderei se Aurelia mia,
Per troppa gelosia,
Non mi tenesse in pene.
Le donne non ci lascian aver bene.
Non ho in petto un core ingrato,
La pietà risento anch’io,
E il timor dell’idol mio
Mi costringe a sospirar.
Se talor mi sento irato,
Lo fo sol per mio decoro,
Ma risento egual martoro
Con chi veggo lacrimar. (parte
SCENA XI.
NOTTE.
Sala con tavolino e lumi.
Bertoldo, e poi Menghina.
Così durar non puole;
Non si può andar a letto quand’un vuole.
Il re lo vuol sapere,
Il re ci vuol vedere,
Tutto si deve far con sua licenza,
Anche quando vogliam... con riverenza.
Menghina. (Ecco il suocero mio.
Con questo buon vecchietto
Vuò divertirmi un poco). (smorza il lume
Bertoldo. . Diavol, come s’è spento
Cotesto lume? Sarà stato il vento.
Bertoldo. Chi è là?
Menghina. Son io.
Bertoldo. (Una donna?) (da sè
Menghina. (La voce altererò). (da sè
Bertoldo. Che volete voi qui?
Menghina. Ve lo dirò:
Son di voi innamorata.
Bertoldo. Di me? (Col pel canuto?) (da sè
Menghina. Appena v’ho veduto,
Mi ho sentito nel cor dare un martello;
Voi siete agli occhi miei vezzoso e bello.
Bertoldo. (Certamente costei mi prende in fallo). (da sè
È scuro, e non vi vedo.
Fate almen che vi senta.
Menghina. Eccomi qua da voi tutta contenta.
Bertoldo. Ma perchè senza lume?
Menghina. È questo il mio costume.
Caro mio, vi assicuro,
Tutte le cose mie le faccio al scuro.
Bertoldo. Ma chi siete?
Menghina. Son una che vi adora.
Bertoldo. E venite a quest’ora?
(Mi sento venir caldo;
Non posso star più saldo). (da sè
Menghina. (Questa volta l’astuto
Certamente è caduto). (da sè
Bertoldo. E mi volete bene?
Menghina. Ardo per voi.
Bertoldo. (Fosse mai qualche vecchia? Eh non lo curo:
Bella o brutta che sia, siamo all’oscuro).
Menghina. Datemi almen la mano.
Bertoldo. Eccola; dite piano,
Che nessun non ci senta 9.
SCENA XII.
Bertoldino e detti.
Menghina. Idolo mio diletto,
Io tanto ben vi voglio.
Bertoldino. (Che cos’è questo imbroglio?) (da sè
Bertoldo. (Certo non mi conosce). (da sè
Anch’io mi sento in petto
Bruciarmi dal diletto. (da sè
Bertoldino. (Oh vecchio storno! (da sè
Vado a prendere un lume, e adesso torno), (parte
Bertoldo. Ma s’è ver che m’amate,
Qual segno a me ne date?
Menghina. Venite, anima mia, fra queste braccia.
(Bertoldino torna col lume
Bertoldino. Messer padre gentil, buon pro vi faccia.
Bertoldo. Come? che vedo?
Menghina. Oh bella!
bertoldo. Menghina?
Menghina. Sì, son quella.
Era sol di scherzar il mio pensiero.
Ma il vecchietto però faria 11 da vero.
Toccatemi la mano;
Or la biscia ha beccato il ciarlatano. (parte
SCENA XIII.
Bertoldo e Bertoldino.
Bertoldo. Via di qua.
Bertoldino. Voi mi diceste il vero,
Che amor fa l’uomo pazzo,
Bertoldo. Via di qua, mascalzone
O ti rompo sul capo il mio bastone.
Bertoldino. Bravo, gnor sì, mi piace.
Con tutta la sua pace
Si divertiva il buon vecchietto al scuro.
Perchè lo son venuto a disturbare.
Mi vuol romper la testa, ed ammazzare.
Zitto e bel bello,
Come un agnello,
Messer Bertoldo
S’innamorò.
Or ch’è scoperto
Si è fatto un istrice,
Mi pare un buffalo,
Tira dei calci,
Mi vuole mordere,
Mi vuol mangiar.
Il buon vecchietto
Fa il giovinetto,
Si sente muovere,
Vorrebbe amar.
Se il pelo è bianco,
Robusto ha l’ animo,
Non si può muovere,
Ma pur ingegnasi,
E fa il possibile
D’innamorar. (parte
SCENA XIV.
Bertoldo solo.
Si può sentir di peggio?
Io maestro di beffe ognor son stato,
Ma Bertoldo non son, se non mi vendico:
Pensar fa di mestieri,
E la notte è la madre de’ pensieri.
Si potrebbe... ma no...
Più tosto... non mi piace.
Sarà meglio... sì, sì.
Dunque farò così.
Questa volta ti giuro, ragazzaccia,
Che rendere ti vuò pan per focaccia.
Mi par di vederla
Da rabbia crepar.
Sfacciatella,
Birboncella,
Tu venirmi a minchionar?
V’amo, v’adoro,
Languisco e moro12O;
Povero vecchio,
Venirmi a tentar?
Sì, sì, maledetta,
Vedrai la vendetta
Che teco vuò far.
Mi par di vederla
Da rabbia crepar. (parte
SCENA XV.
La Regina ed Aurelia.
Credetelo, o cognata,
Non è infido il german, siete ingannata.
Regina. Ma vedeste voi stessa
Quello che vidi anch’io.
Menghina non è amata
Nè dal re, nè da Erminio. Ell’affettando
Vezzi, grazie e beltà, serve di gioco
A chiunque la mira 13;
Ride ognuno di lei, ma non sospira.
Regina. E ciò vero sarà?
Aurelia. Ve l’assicuro.
Regina. Temo che v’inganniate.
Aurelia. Io ve lo giuro.
Regina. Dunque che far degg’io? Sarà irritato
Dal mio furor geloso
L’adorato mio sposo.
Aurelia. Eh non temete;
Gli sdegni14 de’ mariti
Poco soglion durar. Due parolette,
Due sospiri amorosi,
Fanno tosto placar i più sdegnosi.
Superbo l’uomo irato
Sen va di sdegno armato;
Ma della donna il pianto
Tutto cangiar lo fa.
Dirà talor, che sdegna
La sua nemica indegna;
Ma poi quando la mira,
Sospira, e n’ha pietà. (parte
SCENA XVI.
La Regina, poi il Re.
Potessi riveder; ma, oh Dei! sen viene,
E sdegnato mi sembra; io sento il core
Fra la speme agitato e fra il timore.
Re. Sposa, bell’idol mio.
Che mi torna nel sen l’alma smarrita.
Dunque, caro, mi amate?
Dunque voi vi scordate
De’ miei trasporti e de’ furori miei?
Re. Non facendo così, non v’amerei.
Basta che voi mi amiate,
Che fido mi crediate, e son contento.
Ed io tutto in piacer cangio il tormento.
Regina. Siete dell’amor mio certo e sicuro;
Io pur trovarvi spero
Sempre fido e sincero;
E se talor pavento,
Nasce dal troppo amore il mio spavento.
Re. Orsù via, non si parli
Che di gioia e di pace.
Regina. Sì, sì, così mi piace:
Goder giorni tranquilli a voi unita;
Voi siete l’idol mio.
Re. Voi la mia vita.
Cara, sei tu il mio bene,
L’idolo del mio cor.
Regina. Caro, fra dolci pene
Ardo per te d’amor.
Re. Sposa, te sola adoro.
Regina. Per te languisco e moro.
Re. Oh Dio? che bel contento!
Regina. Che bel piacer che sento!
(a due Che fortunato amor!
Re. Sempre sarò fedele,
Mai non t’ingannerò.
Regina. Di gelosia crudele
Il duol non proverò.
(a due Sperarlo se mi lice,
Sarò felice ognor. (partono
SCENA XVII15.
Camera.
Bertoldo travestito con caricatura da Corte, con naso finto; poi Menghina.
La burla è ben pensata.
Con questo finto naso
Non mi conoscerà Menghina al certo,
E vestito così, mi crederà
Qualche gran cavalier della città.
Procurerò star ritto più ch’io posso.
S’ella di notte a scuro mi ha burlato,
Io mi sarò di giorno vendicato.
Ma eccola che viene;
Se voglio vendicarmi,
A far da giovinotto ho da sforzarmi.
Menghina. Ah ah, mi vien da ridere
Quando ci penso ancora... (Bertoldo la saluta
A me questo, signor? Troppo mi onora.
Oh, oh, non tanti inchini.
Anzi lei, anzi lei, mi meraviglio.
(Panni questo signor di me invaghito). (da sè
Bertoldo. (La buona donna accetteria il partito). (da sè
Menghina. Ma chi è lei, mio signore?
Bertoldo. Un vostro servidore. (alterando la voce
Bertoldo. Sono un adorator del vostro bello.
Menghina. Eh, lei mi burla.
Bertoldo. No, vi dico il vero.
Menghina. Giuratelo, signor.
Bertoldo. Da cavaliero.
Menghina. Io non v’ho più veduto.
Bertoldo. Per voi son qui venuto.
Menghina. Ma da me che volete?
Bertoldo. Cara, quel che vogl’io, voi lo sapete.
Menghina. (Costui mi va tentando). (da sè
Bertoldo. (La scaltra va cascando). (da sè
Menghina. Ma io son maritata.
Bertoldo. Senza malizia amar credo si possa.
Non mi late languire.
Menghina. Io vengo rossa.
SCENA XVIII16.
Bertoldino e detti, poi Bertoldino parte,
e torna con Cacasenno vestito da donna.
Oh questo è un bel mestiere!). (da sè
Bertoldo. Datemi almen la man, per carità.
Menghina. Io la man vi darò per civiltà.
Bertoldino. (Che ti venga la rabbia!
Eppur degg’io tacere.
Ma voglio un po’ vedere,
Se questa moglie mia sì spiritosa,
È del marito suo punto gelosa). (parte
Menghina. Almen mi faccia grazia
Dirmi come si chiama.
Bertoldo. Or ve lo dico,
Menghina. (Oh che nome curioso!)
Bertoldo. (Oh che piacer gustoso!)
Vuol ch’io la serva?
Menghina. Lei può 17 comandare.
(torna Bertoldino con Cacasenno
Bertoldino. (Vieni meco: sta zitto, e non parlare).
Cacasenno. (Ma se donna non sono...)
Bertoldino. (Chetati, animalaccio, o ti bastono).
Menghina. Bertoldin, chi è colei?
Bertoldino. Badate ai fatti vostri, io bado ai miei.
Bertoldo. Dice bene: lasciate che ognun goda.
Facciamola alla moda.
Bertoldino. Mia cara mascheretta. (a Cacasenno
Menghina. Oh razza maledetta!
Bertoldino. Ti voglio tanto bene.
Menghina. Bertoldin, chi è colei?
Bertoldino. Badate ai fatti vostri, io bado ai miei. (a Menghina
Bertoldo. Venite, state salda. (a Menghina
Menghina. La testa mi si scalda.
Bertoldino. Sì, caro idolo mio. (a Cacasenno
Menghina. Indegno... (a Bertoldino
Bertoldino. Taci tu, che taccio anch’io. (a Menghina
Menghina. Chi è colei?
Bertoldino. Chi è colui?
Menghina. Io non lo so.
Bertoldino. Io lo voglio sapere.
Menghina. Io lo saprò 18.
Vuò conoscere quella Marfisa.
Bertoldino. Vuò saper quel Zerbino chi è.
Cacasenno. (Io mi sento crepar dalle risa).
Bertoldo. (Vuò che impari a burlarti di me).
Menghina. Questa maschera voglio scoprir.
(Menghina smaschera Cacasenno, e Bertoldino smaschera Bertoldo
Bertoldo. Riverisco, signora garbata.
cacasenno. Gli son serva divota obbligata.
Bertoldo. | a due | Oh chi vedo! chi diavolo è qui? | |
Menghina. |
Bertoldo. | a due | Che bellezza, che grazia, che (usto! | |
Cacasenno. |
M’hai schernito, mi vuò vendicar.
Bertoldo. Vi son servo.(a Menghina
Cacasenno. Vi fo riverenza.(a Menghina
Bertoldo. Chi s’inchina convien ringraziar.(a Menghina
Menghina. Temerari, vi voglio ammazzar.
Cacasenno. Aiuto!
Bertoldino. Fermate.
Bertoldo. Lasciatelo star.
Bertoldino. | a due | Oh che spasso, che rider, che gioia! | |
Bertoldo. | |||
Menghina. | a due | Oh che rabbia, che stizza, che noia! | |
Cacasenno. |
(a quattro Io mi sento | (da rider) | crepar. |
(di rabbia) |
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Noto verso del Petrarca, nella canzone o frottola: Mai non vo’ più cantar com’io soleva.
- ↑ Ed. Zatta: cambierei.
- ↑ Tevernio e Zatta: la ran là.
- ↑ Sono versi del Metastasio, nell’Issipile, atto II, sc. 5.
- ↑ Ed. Zatta: oh dei!
- ↑ Zatta: No no, noi farò più. Facclam la pace.
- ↑ Nelle edizioni Tevernio e Zatta la sostituita l’arietta che segue: " Villanaccio, impertinente, — Via di qua, non vuò giocar; - Se non parti, chiamo gente, — E ti faccio bastonar. — Se vi foste qua un bastone, — Bernardone, — Ti vorrei mortificar".
- ↑ Voce dialettale: donna petulante, saccente (v. Boerio).
- ↑ Zatta: Che nessuno ci senta.
- ↑ Ed. Fenzo: colla lume.
- ↑ Zatta: facea.
- ↑ Zatta: Vi amo e vi adoro, - Languisco, mi moro.
- ↑ Zatta: A chiunque la rimira.
- ↑ Ed. Fenzo: I sdegni.
- ↑ Nelle edizioni Tevernin e Zatta questa scena fu così modificata: "Bertoldo e Cacasenno, vestito da donna: ambidue con maschera. — Cac. Oh che gusto! oh che gusto! — Or che son donna, — Voglio andar dalla mamma e dalla nonna» — Bert. Povero Cacasenno! — Tuo padre è teco in collera, — E vuole bastonarti, — Onde io per salvarti, — Acciò non ti conosca, s’ei ti trova, — T’ho vestito così; copriti il viso. — Eccolo qui ch’ei viene. — Avverti non parlar, e sta celato; — Se ti scopri, sarai ben bastonato. | Cac. Canchero, starò cheto (s’immaschera e si ritira fra le scene)". Segue poi scena XVIII: "Menghina, Bertoldino e detti. — Bertoldino. Oh messer padre. — Mi rallegro con voi. — Bertoldo. (Zitto, è Menghina?) (piano a Bertoldino) — Bertoldino. Mi par più piccinina. — Menghina. Oh oh, non tanti inchini ecc. ’’. Poi continua come nella scena XVII della prima edizione, stampata sopra.
- ↑ Questa è scena XIX delle edizioni Tevernin e Zatta.
- ↑ Ed. Fenzo: puol.
- ↑ Non c’è questo verso nell’ed. Zatta; e nell’ed. Tevernin è posposto per errore.
- ↑ Nelle edizioni del Settecento è stampato anche qui, per errore, Bertoldo.