Caccia e Rime (Boccaccio)/La caccia di Diana/Canto X

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Canto X.

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Canto X.


Quella ch’avante alle altre seguiva
     Mi par ch’era Marella Passerella 1,
     A cui Gostanza Galiota2 giva
Di dietro e Mariella Piscicella;
     Dalphina di Barasso3 anchora v’era,5
     E dopo lei de’ Brancazzi Vannella4,
Salendo per la nuova primavera.
     Ma a quel monte ch’è in ver ponente
     Si dirizzava più piacente schiera;
Ch’io vidi all’altre andar principalmente10

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     Zizzola Faccipecora5 la quale
     Vidi seguir, se ben mi torna a mente,
Ardita assai Tuccella Serisale6,
     E Biancola Carafa, dopo lei,
     Con Caterina nello andare equale.15
Veniva apresso di dietro a costei
     Giacopella Embriaca7, e dell’Acerra
     Tanzella8 gratiosa conoscei.
Ma, se lla mia memoria non erra,
     Catrina Sighinolfi9 alla campagna20
     Si volse rimaner pigliando terra;

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A cui Covella d’Anna10 s’acompagna
     E Mitola Caracciola11 e Berita
     Galiota e Zizzola d’Alagna12:
Covella d’Arco13 anchor v’era, fornita25
     Di buono uccel ciascuna, e se n’andaro
     All’altre che nel luogo avean partita.
Marella14 e l’altre ardite incominciaro
     La caccia forte dietro ad un castoro,
     Che nel vallon, dove giro, trovaro.30
Ma Vannella Bolcana fra costoro
     Più presta fu con buon can seguitando,
     Per ch’ella ’l prese prima di coloro.
E mentre che l’andavan sì cercando,

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     Mariella si fisse, e ascoltava35
     Che fosse ciò ch’ell’udiva mugghiando.
E quanto più nella foresta entrava,
     Più il mugghiar vicin li si facea,
     Di ch’ella forte si maravigliava.
Né conoscer di lor nulla potea40
     Ciò che là fosse; ma Serella disse
     Ch’uno liofante veder le parea
Giacere in terra: onde ciascuna fisse
     Il passo dubitando, e dilivrarsi
     Per gire ad esso che che n’avenisse.45
E, come alquanto ver quello apressarsi,
     Giacendo in terra lo videro stare,
     Né si poteva in modo alcun levarsi15.
Cessossi allor da lloro il dubitare,
     E correndoli sopra con la scure,50
     Lance e saette cominciarli a dare.
Ucciso quello, ritornar sicure,
     E a Marella presentar la testa,
     Che lor guida era nelle vie oscure.
Quella ne fece mirabile festa,55

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     Dicendo: — i cacciator ch’ebbero affanno
     Con loro ingegni forse a prender questa,
Trovandola esser presa, si dorranno — .


Note

  1. I Passerelli o Passarelli furono un ramo dei Siginolfi iniziatosi verso la fine del secolo XIII ed estinto nel 1443.
  2. I Galeota appartennero al ricco ceppo dei Capece, e son notissimi tra le famiglie nobili napoletane; così pure i Piscicelli, dei quali è ricordata nel v. seguente una Mariella.
  3. Delfina di Barasso o Barrasa fu acutamente riconosciuta da un egregio boccaccista napoletano nell’Amorosa Visione, canto XLII, vv. 51-56, ov’è designata come la ‘donna che del sussidio d’Arione Il nome tiene’, con allusione al delfino che salvò Arione (Antona Traversi, negli Studj di filologia romanza cit., I, p. 436, n. 2). In questo luogo il Boccacci soggiunge che ella vorrebbe ‘vedova rimaner partenopea Di tal ch’à nome di quel ch’à menzione L’agosto dad Ascesi’: infatti suo marito fu Cichello (Francesco) Caracciolo signore di Pisciotta. Il voto di Delfina fu appagato innanzi l’anno 1353, e così ella si poté rimaritare a Berardo Caracciolo (Fabris, tav. XXII). Qui è chiamata col cognome paterno, certo perché il poemetto fu composto prima ch’ella andasse a nozze.
  4. Conosco una Giovanna Brancacci Embriachi (morta il 15 agosto 1358) che sposò Petrillo Caracciolo. Questi nel 1339 era ancor sotto la tutela materna (Fabris, tav. II).
  5. I Faccipecora o Protonobilissimi furono uno dei tanti rami in cui si suddivisero i Capece.
  6. Della famiglia Sersale, nota e antica ed onorevole in Napoli.
  7. Gli Embriachi erano un ramo dei Brancacci.
  8. Questa famiglia, presto estinta, appartenne alla nobiltà del Seggio di Nido.
  9. Non Fighinolfi, come ànno le stampe: i Siginolfi o Sighinolfi furono una famiglia della primaria nobiltà del Regno. Una Caterina Sighinolfi è appunto protagonista d’una celebre novella boccaccesca (III, 6): la Catella, dico, moglie di Filippello Sighinolfi, alla quale Ricciardo Minutolo tende per amore una piacevole insidia. Anche qui il cognome, però, s’è letto sempre, ed erroneamente, Fighinolfi; ma non credo dubbio l’emendamento. Ora, la Catella, che, ‘secondo l’opinion di tutti, di gran lunga passava di bellezza tutte l’altre donne napoletane’, è identificabile con la gentildonna di cui parla la Caccia? La leggiadra eroina della novella parve persona reale a S. Ammirato (Delle famiglie nobili napoletane, I, p. 170), il qual tuttavia, dando notizia della moglie di Filippello Sighinolfi, ne rassegnò il nome in una forma malcerta — ‘Catella o Covella di Loffredo’ — che imbarazza alquanto; ma è da rammentare che, di altri personaggi napoletani del Decameron introdotti dal medesimo autore nelle sue genealogie, osservazioni e studi recenti ànno dimostrato insussistente la storicità (cfr. B. Zumbini, Di alcune novelle del Bocc. e dei suoi criterj d’arte, negli Atti della R. Accad. della Crusca per l’anno accademico 1903-1904, p. 23 e sgg.). Perciò, tutto ben considerato, e facendo le più ampie riserve sulla reale esistenza della donna di cui parla il Decameron, rinunzio alla perigliosa identificazione.
  10. Invece di d’Anna (sulla qual famiglia si veda, qui addietro, la nota 5 alla p. 6), le stampe leggono rispettivamente Dona e Donna!
  11. Mitola, ossia Margherita, sarà molto probabilmente la figlia di Filippo Caracciolo detto Bullone, già morto nel 1327. In quest’anno ell’era minorenne; se però fosse certo ch’ella morì prima dei 1334, com’è stato detto in forma dubitativa (Fabris, tav. XXIII), allora converrebbe più tosto identificare la donna in questione con una sua consanguinea Timola (lo stesso che Mitola?), figlia di Giovanni Caracciolo e moglie di Giacomo Acciapaccia signor di Cerchiara (Fabris, tav. XL).
  12. Sarà facilmente quella Costanza figlia di Baldovino d’Alagni, detto Baldetto, signore di Sicignano, San Nicandro e San Gregorio. È nominata in un Registro angioino del 1327 e sposò Niccolò della Marra signore di Stigliano (Della Marra, op. cit., pp. 21-22).
  13. Per la famiglia d’Arco cfr. qui, p. 26, nota 2.
  14. Sarà, qui, da intendere la Caracciolo.
  15. Un’altra credenza diffusa dai Bestiari medievali, e frequente, in funzione di similitudine, nella lirica d’arte, portava che l’elefante caduto non si può più rialzare: ‘elli non àe giunta nessuna in delle gambe; e quando elli vole dormire sì ss’apogia a uno arbore, perciò che se elli se ponesse in terra mai per sé non si rilieva’, Bestiario toscano (ediz. cit., p. 62); ‘Lo leofante null’omo riprenda, Se quando cade nom si può levare’, un anonimo rimatore del cod. Vaticano 3793, n. 98; ‘E non mi credo mai poter levare Più chon può lo leofante ch’è chaduto, Che non si può levar s’altri nol leva’, Mare amoroso (Monaci, Crestomazia cit., n. 112, 61-63).