Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo/Parte 1/VIII. Suolo-Prodotti-Agricoltura

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VIII. Suolo-Prodotti-Agricoltura

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VIII.

Suolo-Prodotti-Agricoltura.

Tutto il coperto terroso coltivo della valle Vigezzo mostrasi sabbioso, siliceo, e spesso misto a numerosi ciottoli proprii dei letti di fiume. In molti luoghi la terra di vegetazione non è più alta di tre oncie. Questi terreni sono perciò sempre asciutti, aridi, e pochissimo atti ad un orgogliosa vegetazione. Invano si tenterebbe d’investigare con precisione la superficie coltiva della valle Vigezzo, posciachè quasi tutti i Comuni, essendo esenti da ogni imposta, mancano di catastro, o di qualunque siasi altro allibramento. Tuttavia valendoci di alcune vecchie note, che ci fu dato rinvenire, noi abbiamo compilata la tavola decima, la quale, se non in modo preciso, vale almeno approssimativamente per farci conoscere l’estensione del territorio particolare coltivo di ciascun Comune, e dell’intiera Valle. Osserviamo da questa tavola, che in Vigezzo trovansi n° 993,400 spazza assolane di campo, ossiano giornate 1,057; e spazza n° 2,611,225 idem di prato, o giornate 2,777, e cosi in totale spazza ossolane n° 3,601,625, o giornate di Piemonte n° 3,834. [p. 28 modifica]

Per rapporto alla superficie totale di ciascun Comune e dell’intiera Valle, e così compresi i territorii comuni, noi non possiamo altrimenti desumerla che dagli antichissimi riparti che stabiliscono l’estimo dei Comuni, tanto individualmente, che relativamente a quello di tutti gli altri. L’estimo individuale dei Comuni di Vigezzo viene diviso in tanti così detti Imperiali, ed ogni imperiale costituito da altrettanti fondi del valore di lire seicento Milanesi. Riguardo all’estimo relativo, l’intiera Valle costituisce un estimo di lire vent’una, il quale trovasi diviso fra i varii Comuni in proporzione del rispettivo territorio, od estimo individuale. Le due ultime colonne della premenzionata tavola decima mostrano l’estimo dei Comuni in imperiali, e la loro divisione in lire vent’una d’estimo. Egli è sulla base di questa divisione che si sono sempre sostenute, e che tutt’ora si sostengono le spese comuni, e spettanti all’intiera Valle. Da delle due ultime colonne si rileva poi che il territorio comune non è per nulla in corrispondenza col territorio particolare, e che anzi molti Pubblici hanno poche terre coltive, e considerevole estimo comune, e viceversa. Considerati i Comuni sotto il rapporto del solo territorio coltivo particolare si ha la seguente progressione: Santa Maria Maggiore, Craveggia, Buttogno, Druogno, Malesco, Cojmo, Finero, Albogno, Toceno, Vocogno, Villette, Zornasco, Folsogno, Dissimo, Re, Olgia; considerati invece sotto il rapporto della loro superficie totale, particolare, e comunale, si ha l’altra progressione: Craveggia, Malesco, Druogno, Buttogno, Toceno, Cojmo, Santa Maria Maggiore, Villette, Vocogno, Folsogno, Dissimo, Fioero, Olgia, Albogno, Re, Zornasco. Ben diversa è ancora la progressione stando al censo della Valle fatto negli anni 1722-23, e che noi riportiamo nella tavola XIX quale ci fu dato avere quando questo lavoro era già terminato. [p. 29 modifica]

I prodotti della Valle sono tali, quali si possono avere in un paese montuoso, ed assai elevato, situato cioè al di sopra settecento, e più metri dal livello del mare. Questi prodotti consistono in segale, formentone o grano saraceno, pomi di terra, fieno, castagne, noci, canape, lana, ortaglie e legumi, non che piccole quantità di miele, cera, e vino. (Vedi tavole XI, XII, XIII). La raccolta della segala, anche negli anni più prosperi, non è sufficiente ai bisogni della popolazione per tre mesi. La medesima spesso manca del tutto, e ciò quando le pianticelle periscono durante i rigidi, e lunghi inverni. La tavola undecima contempla la raccolta della segala di un decennio. Furono per noi prescelti gli anni dal 1780 al 1789 inclusivi, e perchè in que’ tempi facevansi delle regolari, ed autentiche consegne dei ricolti, che noi potemmo consultare, e perchè i calcoli fatti in epoche da noi lontane ci sembrano meritare maggior fede. E ciò tanto più, inquantochè l’agricoltura, ed il territorio coltivo non hanno menomamente variato da quelli a questi tempi, e presso a poco uguali ne devono pur essere sempre i raccolti. Risulta dunque, che il prodotto della segala in un decennio corrisponde a staja Ossolane n° 34727, ossia al medio per ogni anno di staja n° 3472 e così a due terzi di staja circa per ogni persona.

Il formentone, o grano saraceno, si semina alla fine di luglio, appena tagliata la segala, e si raccoglie al principio di ottobre. Questo grano, ben seccato nel forno, si riduce in farina, e con questa si fa una polenta non meno salubre, che gradita ai Vigezzini. Egli è sommamente produttivo, e sarebbe importante per la Valle, se non soffrisse la brina, la quale il più degli anni lo distrugge intieramente prima della maturità. Il perchè il ricolto di questo grano, giusta la tavola duodecima non è che di due mila cento tredici [p. 30 modifica]staja ossolane all’anno; che è quanto dire meno di mezzo stajo per persona.

I pomi di terra ossieno patate forniscono il principale alimento agli agricoltori. Essi sono di una squisita qualità, di un colore giallo citrino, sommamente farinacei ed asciutti, cosicché anche bolliti semplicemente nell’acqua non solo riescono un cibo gradito a tutti; ma pure grandemente nutriente, e salubre. L’esperienza dimostrò infatti, che le famiglie, le quali si alimentano quasi esclusivamente di pomi di terra, sono le più vegete, le più robuste, ed in questa numero si possono comprendere i tre quinti degli abitatori del Mandamento. Ella è cosa notabile, che la specie dei pomi di terra di Vigezzo non si vegga in nessuna parte di Italia, e che trasportata fuori del suolo della Valle degenera presto in una specie inferiore, assai meno grata, e nutriente, perdendo le due principali sue qualità, cioè il farinaceo, e l’asciutto. Il raccolto di questa radice tuberosa, già conseguente, come risulta dalla tavola decima terza, ed ascendente a gerli n° 9533 ossiano libbre 476650 da oncie trentadue, potrebbe ancora aumentarsi di molto e costituire un articolo d’esportazione di non poca importanza pel mandamento ora che la strada carrettiera è pienamente praticabile dall’interno della Valle a Domodossola, e che il prezzo dei trasporti è per conseguenza molto diminuito. Vedremo infatti fra poco che i campicelli Vigezzini sarebbero molto più produttivi coltivandoli a pomi di terra, che a segale, ed a grano saraceno.

Gli altri prodotti della Valle vengono indicati dall’accennata tavola decima terza, oltre alle ortaglie d’ogni genere che sono abbondanti, e saporitissime, ed oltre alle frutta, quali pera, pomi, prugna, ciriegge, ecc. Straniero però al suolo di Vigezzo è il persico, e scarsissima la vite. Nei soli [p. 31 modifica]comuni di Cojmo, e Villette si fa qualche brenta di vino bianco, e di vino rosso in Olgia, ed in tutti gli altri luoghi la vite è destinata ai soli cortili delle case, e pergolati, ove pure l’uva quasi mai non matura a perfezione. Non sembra però che sempre cosi progredisse la bisogna; che da antichissime pergamene si rileva che anche in parte del territorio di Malesco venivano coltivate le viti, e che la raccolta del vino era conseguente per quegli abitanti. Di fatto negli ordini di quel Comune, che sembrano appartenere all’anno mille e cento, sta scritto: Item statutum et ordinatum est quod quilibet vicinus habens praedia, et possessiones ultra aquam teneatur, et debeat plantare, aut plantari fucere in dictis eorum praediis et possessionibus de ultra aquarum vineam vel vineas. Et hoc sub poena florenorum decem valoris soldorum triginta duorum imp. pro singulo floreno, applicando communitati. Et hoc infra annos tres proxime futuros. Indi, e poco dopo soggiunge: Item attento quod utilitas pubblica est ut plantetur vinea in terriiorio Maleschi et ultra aquam in monte, ordinatum est quod omnes habentes praedia in ipso monte teneantur plantare in locis prout ordinatum fuerit per deputatos per communem. Quia multi sunt non habentes praedia ordinatum est quod accipiatur de territorio ipso montis communis et dividatur in petias et si tantum fuerit quod dari posset una petia per quolibet vicino seu foco vicini.... quod detur una petia pro quolibet non habente de praedicta praedia ibi. Et quod ipsae petiae quae dividentur debeant vineari, et in vineis plantari per eos quibus datae, et assignatae fuerint, et plantatae in vineis. E posciacchè rovistiamo questi antichi ordini dì Malesco relativi ai prodotti della Valle non taceremo quello che ordina agli abitanti di seminar un campo a rape sotto la pena di soldi venti imperiali. Perchè si facesse tale ordinazione, strana certamente per i giorni [p. 32 modifica]nostri, noi lo ignoriamo. — Item statutum, et ordinatum est quod amnes vicini terrae Maleschi teneantur, et obbligati sint ponere unum agrum de rapiciis. Et hoc sub poena pro quolibet contrafaciente soldorum viginti imperialium. Et ulterius quod non sit aliqua persona sive mascula sive foemina, parvus, vel magnus ex vicinis dictae terrai Maleschi quae audeat nec praesumat colligere, net colligi facere in campis alienis aliqua rapicia, seu rapa, nec etiam aliquos caules sine speciali licentia illius cui erit dicta rapicia, rapes, sive caules. Et hoc sub poena pro quolibet contrafaciente et pro quolibet vice soldorum duorum imperialium, et poena duplicetur de nocte. Anche nei territorii di Crana, e Buttogno venivano altre volte coltivate le viti, e di questa coltivazione se ne vedono ancora le vestigia. Ma in questi, come in quello di Malesco ora scomparvero, può dirsi intieramente. Sarebbe questo una prova, che il clima Vigezzino col progredire dei secoli si facesse più rigido, oppure, che quelle coltivazioni erano disapprovate dalla madre natura, la quale prescrisse che la vite non germogliasse oltre una data elevazione? Noi propendiamo a quest'ultimo sentire, e crediamo che l'esperienza persuase l'abbandono di un lavoro stato imposto sin d'allora dalla forza, e non dall'amore dell'utile, ed eseguito per timor delle pene.

La ricolta delle castagne, e delle noci non è mai rilevante, e spesso nulla, sia perchè viene essa distrutta per tempo dalle brine, sia perchè non perviene ad una perfetta maturazione. La canapa, ed il lino vi prosperano discretamente; ma gli abitanti non ne raccolgono quanto basta pei loro bisogni. Il fieno è il prodotto principale, del quale e dai soli prati particolari, si ricavano pesi, o centinaia di libbre n° 25121, (Vedi le tavole XIII e XIV) oltre ad altri pesi n° 12560 raccolto nei pascoli, e boschi Comunali [p. 33 modifica]inaccessibili alle bestie. Questo come quello serve a mantenere durante l’inverno le bestie cavalline, bovine, caprine, e pecorine, che si trovano nella valle Vigezzo, mentre nell’estate provvedono al loro mantenimento i pascoli comunali, e le cime dei monti. I cavalli, muli, ed asini servono al trasporto delle derrate. Dalle bestie bovine si hanno annualmente circa mille vitelli da latte, seicento circa dei quali, e dei più grossi si vendono ai mercanti del Lago Maggiore, cento a quelli dell’Ossola, ed il rimanente serve ai bisogni dei terrazzani. L’esportazione di quei vitelli dà un annuo prodotto al Mandamento di lire cinque mila circa. In estate, e venduti i vitelli, si fanno formaggi, e butiro eccellenti; ma la loro esportazione è di pochissimo rilievo, perocchè si consumano per la massima parte dagli abitanti della Valle. Dalle capre, oltre al latte, si hanno nella primavera gli allievi, le cui carni somministrano un ottimo cibo, e le pelli un articolo d’esportazione producente non meno di lire due mila all’anno: è questo senza dubbio l’animale il più utile per gli abitanti Vigezzini, inquantochè quasi tutto l’anno si procaccia da sè il pascolo nelle alpi, e nei monti inaccessibili alle bestie bovine, e non è per conseguenza di alcun aggravio, bensì d’una rendita certa, e vistosa in proporzione del tenue suo prezzo. Le pecore danno i montoni, e la lana; quelli ai macelli del Mandamento, e dell’Ossola; questa alla fabbricazione di stoffe molto grossolane, e destinate al vestimento della gente più povera. In molti Comuni si usano tutt’ora le così dette Boggie. Consistono queste nell’aver cura del bestiame sui monti, raccoglierne il latte, fare il cacio, ed il burro tutto in comune: due volte per ogni stagione, i pastori, coll’intervento dei proprietarii, misurano il latte somministrato in quel dato giorno dalle bestie di ciascun particolare; fanno [p. 34 modifica]quindi io spartimento del prodotto in proporzione del risultamento di tale misura.

Gli altri animali domestici del Mandamento sono quelli, che si trovano in tutte le altre parti dello Stato. Fuori delle galline per avere le uova, non allevasi pollame a cagione della scarsità dei cereali. Fra gli animali selvatici, oltre a quelli proprii di tutti gli altri luoghi, vi si trovano abbondanti il camozzo (capra rupicapra), la volpe (canis vulpis), lo scojattolo (sciurus vulgaris), la faina (mustela faina), la lepre (lepus timidus). Fra gli uccelli accenneremo il faggiano ossia gallo di brughiera, o di montagne, ed il francolino; e fra i pesci la sola trota che si rinviene in qualche abbondanza nei due Melezzi, ed è, come già dicemmo, di un sapore squisitissimo. Il camozzo, e la marmotta, particolarmente indigeni della valle Vigezzo, abitano gli alti monti; quello nei folti boschi, e nelle scoscese balze; questa nelle rovine sassose, e nelle deserte rive esposte al mezzodì. La caccia del camozzo non è meno dilettevole, che proficua; inseguito dai cani, che lo scuoprono dalle traccie dell’odor suo, fugge velocemente fra le cime, e le gole dei monti; quando sentesi affaticato cerca di pervenire ad un orrida balza; ivi, mediante un salto ben sovente sorprendentissimo, si rende inaccessibile ai suoi nemici, e più allora non si muove; i cani, latrando continuamente, gli si avvicinano quanto più possono, e quindi anch’essi di piè fermo, lo assediano in quella naturale inespugnabile fortezza; giunge il cacciatore, e con fucili rigati carichi a palla dirige i suoi colpi al povero animale, che a malgrado delle schioppettate, e delle ricevute ferite non si muove, se non quando mortalmente ferito, precipita rotolone dalla balza. Le carni del camozzo sono assai aromatiche, e saporose; la pelle ne è ricercata, e con questa si fanno vesti di lunghissima durata, e massime calzoni dei cavalcatori. [p. 35 modifica]

La marmotta si prende od aspettandola in agguato quando esce al pascolo, oppure scavando la sua tana quando trovasi assiderata. In quest’ultimo caso, se la caccia riesce, vale a dire se arrivasi nello scavo a conservare la direzione del foro della tana, se ne prendono sino ad otto in una sola volta; perchè siffatto animale suole assocciarsi prima di cadere in letargo. Le sue carni si mangiano dai caprai; e se ne tiene il grasso in gran pregio per guarire molti mali esterni.

Finalmente fra i prodotti della valle Vigezzo devonsi annoverare i boschi, i quali, costituiti dalle già per noi accennate piante d’alto fusto, appartengono per la massima parte ai diversi Comuni del Mandamento. Allorchè toccano le loro maturità se ne vende il taglio, e se ne ricavano somme di denaro assai rilevanti, che formano il principale lucro delle Comunità Vigezzine. La tavola decima quinta mostra questo prodotto nel novennio dal 1831 al 1839, il quale corrisponde al totale di lire 258419, ossia al medio per ogni anno di lire 28713 fra tutte le Comunità della Valle. Conviene per altro avvertire che giammai si fecero tante vendite quante nell’indicato novennio, e che i boschi trovansi ora quasi tutti, e di recente tagliati, motivo per cui questo reddito deve assai diminuire negli anni che verranno.

Tutte le piante tagliate si riducono in tronchi, dette Borre, e queste o sono di larice, abete, e tiglia e servono per fare delle tavole, ed altri legnami d’opera, o sono di faggio, e somministrano dell’ottima legna da fuoco. Le borre per istrade apposite si fanno strisciare sino al Melezzo, indi, e mediante la fluttuazione a tronchi sciolti si conducono per acqua sino al Lago Maggiore, donde poi si spediscono alle principali città d’Italia. Per accrescere momentaneamente l’acqua del fiume, e facilitare così la fluttuazione delle borre [p. 36 modifica]si sogliono costrurre le così delle serre, edifizii mirabili tanto per la semplicità, quanto per l’artifizio, e la loro solidità. Consistono esse in una doppia travatura di legno appoggiata agli scogli, che formano le due sponde del fiume, attraversanti il letto del medesimo, e sostenuta da una grande quantità di sassi, e da appositi sostegni, e rinforzi. Nel centro di tali travature avvi un apertura assai grande munita di robustissima porta: chiusa questa, viene arrestata l’acqua del fiume, ed in tre, o quattro ore si forma un piccolo lago artificiale: allora con un semplicissimo meccanismo si apre la porta, e l’acqua sorte con impeto, ed in gran copia, seco traendo a centinaia, a centinaia le borre. Questa piena artificiale si ripete tante volte quante bastano per trasportare tutto il legname sino al ponte di Manlione, luogo in cui il Melezzo, per le acque ricevute dai diversi torrenti della Valle, basta al resto della fluttuazione sino a Locarno. Conviene per altro notare che molte borre ora sono condotte al fiume Toce col mezzo della strada carrettiere Vigezzina, e che molte altre sono ridotte in tavole da diversi edifizii di sega, che si trovano nella Valle, e queste tavole, od assi servono non solo agli usi dei Vigezzini, ma si trasportano eziandio in Domodossola, ove se ne fa un piccolo commercio.

Sin qui dei prodotti, ora dei mezzi producenti, cioè dell’agricoltura. Questa è pur giuoco forza confessare trovarsi ancora affatto bambina in valle Vigezzo. Gli usi o per meglio dire gli abusi, e gli errori che commettevansi cento anni sono, commettonsi anche al giorno d’oggi, e Dio sa quando delle utili riforme potranno aver luogo. Ciò succede non tanto per la sterilità d’un suolo sabbioso, e diviso in infinite, e piccolissime frazioni, quanto perchè la coltura della terra viene abbandonata alle sole donne le quali si mostrano nemiche capitali d’ogni innovazione. Ritrarre tutto quanto [p. 37 modifica]havvi di riprovevole, ed erroneo nell’agricoltura della valle Vigezzo, lunga non meno che inutil cosa sarebbe. Il perchè ci limiteremo pel bene della nostra patria terra ad alcuni cardinali punti, sperando che in un modo, o nell’altro perverranno all’orecchio delle nostre contadine, e saranno dalle medesime seriamente meditati.

Le terre aratorie anche le più fertili hanno bisogno di riposo; e riposo ogni due, o tre anni lor si concede ovunque l’agricoltura non è bambina. All’opposto in Vigezzo non havvi mai tregua. Appena raccolta la segala si semina il saraceno, e questo si taglia per seminare di nuovo quella. Per tal modo una terra già magra, già poverissima di sali vegetabili si esaurisce del tutto e si finisce con ricavar niente per volere troppo ricavare. Si aggiunge anche che il grano saraceno ritarda la seminazione della segala, la quale colta poi, appena nata, dal gelo, perisce durante il lungo inverno, come un fanciullo perirebbe abbandonato fra mezzo alle nevi. Si aggiunge pure che il saraceno viene quasi sempre distrutto dalle brine, e che il più degli anni non solo si stanca inutilmente la terra, ma si getta la semente, e l’opera. Le donne Vigezzine dovrebbero una volta persuadersi che una doppia ricolta non è pel suolo di Vigezzo, e che le terre vogliono riposo, vogliono tregua per essere produttive. Si abbandoni una volta la coltura del saraceno, in un novennio più spendiosa, che utile, e si lascino le terre aratorie ogni due, o tre anni del tutto vuote, se si vuole che esse siano fertili, almeno per quanto il comporta la situazione.

La meliga, ci si dice tutto giorno, non fa bene in valle Vigezzo, ma non si bada che gli esperimenti fatti non furono condotti come richiede la coltura di questo grano. Come può egli produrre, se si semina folto, folto come il miglio; se s’ingombra il suolo con altre seminagioni; se si [p. 38 modifica]trascura di smovere, e raccogliere a suo tempo la terra all’intorno del gambo? Con una simile coltura certo che anche le fertilissime pianure Lombarde cesserebbero dal produrre il gran turco, che tanti migliaia di persone ora alimenta. Seminate, o donne, questo grano in maggio, e per maggior sicurezza il così detto quarantino; fate che una pianta sia distante dall’altra, per lo meno otto oncie; lasciate vuoto il suolo da altri legumi, affinchè il sole possa dardeggiare sulla terra; finalmente smuovete questa terra ogni tanto tempo, e raccoglietela intorno al gambo allorchè trovasi all’altezza di circa un braccio, e vedrete che la meliga forse farà bene anche in Vigezzo. Sappiate che esperimenti guidati da tali principii riuscirono felicissimi, e che un campo a meliga rendette più di due volte quello che avrebbe dato seminato a segala.

La coltura dei pomi di terra è già estesa, e produttiva in Vigezzo; ma non è scevra anche questa da alcuni errori, e specialmente da quelli che commettonsi nella coltura della meliga. In primo luogo non i più cattivi, i più piccoli, ed i meno maturi, come d’ordinario succede, ma destinate alla produzione i tuberi più belli, più perfetti, se volete che la specie non degeneri, e che anzi migliori; seminateli poi a discreta distanza l’uno dall’altro; ripulite i campi dalle erbe nocive; smovete frequente la terra, e rincalzate ben bene il gambo allorchè giunge all’altezza di circa sei oncie. Così le radici avranno campo di dilatarsi, di moltiplicarsi, e la ricolta non solo sarà più considerevole, ma pure più bella, più perfetta. Conviene anche qui persuadersi, e ripetere che rendono più cento piante bene coltivate, che duecento neglette, stivate le une sulle altre, e soffocate in modo da non potere nè dilatarsi, nè prosperare.

L’irrigazione dei prati, dove ha luogo, non può essere più barbaramente condotta che in valle Vigezzo. Si direbbe [p. 39 modifica]che tutto si fa perchè essa non riesca proficua come in tutti gli altri paesi. I conduttori dell’acqua scavati nella terra dei prati irrigabili si conservano gelosamente in quel posto, in cui furono collocati dal primo Vigezzino abitatore. Tutti gli anni si sgombrano; tutti gli anni si estraggono delle terre, che si pongono ai lembi, ed i canali già di molte oncie più bassi del suolo se ne vanno tuttogiorno infossando maggiormente. L’acqua irrigatoria o ristagna in quei condotti, trapela senza frutto nelle viscere della terra; o giunge appena appena a toccare la decima parte del prato, dappoichè essa per legge di natura non può dal basso salire in alto. Si aggiunga che la superficie dei prati è del tutto irregolare, e che l’acqua anche da questo lato incontra ad ogni momento infiniti ostacoli per dilatarsi. Per migliorare dunque, ed accrescere la ricolta del fieno nei prati irrigabili conviene far sì che i canali conducenti l’acqua si trovino nei luoghi più elevati; conviene per conseguenza otturare gli antichi coi materiali che si ricavano nella formazione di nuovi condotti, che vogliono esser larghi, ma poco profondi e ben livellati; conviene poi ripetere sovente quest’operazione, e sempre nello scopo di abbassare i luoghi più elevati, e riempire i più bassi. Così facendo, i prati riceveranno presto la necessaria livellazione, e l’acqua irrigatoria sparsa su tutto il terreno riescirà il doppio; il triplo proficua di quello che ora non sia.

La letaminazione, bisogna tanto importante per tutti i terreni, e doppiamente per quelli della valle Vigezzo già per se stessi aridissimi, e sabbiosi, è al certo essa pure una grande magagna che riscontrasi nell’agricoltura Vigezzina. Si raccolgono le foglie secche del castagno, del faggio, del rovere; si spandono al di sotto delle bovine, e dopo breve tempo si portano sui prati, e sui campi onde letamarli. In pochi giorni sono le delle foglie del tutto [p. 40 modifica]asciutte, ed i venti che dominano impetuosi nella valle presto le trasportano, Iddio sa dove. Per tal modo la letaminazione riesce, può dirsi, di nessun profitto, ed i terreni mantengonsi aridi, magri, e sterili ad onta dei sudori delle contadine di Vigezzo. Sappiano queste, che il letame deve fermentare per essere veramente proficuo: che questa fermentazione non può aver luogo se esso letame non è ammontichiato, e lasciato in riposo per lungo tempo; che solamente mediante questa fermentazione le foglie, e le paglie con cui viene frammisto lo sterco si scompongono, e si convertono in un terriccio assai proprio alla vegetazione; che in conseguenza, per ultimo, il letame vuol essere vecchio, vuol essere conservato da un anno all’altro prima di spanderlo sui terreni. Così facendo non si getterà l’opera invano; il vento non potrà più distruggere in un atomo tante fatiche; il letame sarà utile e proficuo perchè ricco dei sali, e dei prodotti della fermentazione, e le terre si faranno perciò più grasse, e più produttive.

Altro e gravissimo incaglio all’agricoltura Vigezzina sta nell’eccessiva divisione dei terreni. Ben si può dire infatti, che in un area equivalente ad una giornata di Piemonte vi sono bene spesso cento possidenti. Questo fa che una buona porzione di terra viene consumata dalle necessarie limitazioni fra un padrone, e l’altro; che in questi campicelli, ed in questi prati grandi come una stanza da letto, non può venire introdotta una buona coltura; che in cento anni si consuma il valore dei fondi nelle spese, a cui danno luogo i contratti di compra, di vendita, di permuta, ecc., tanto frequenti quanto moltiplicate sono le proprietà; che infine gli abusi non possono sradicarsi, e gli utili miglioramenti introdursi. Ben sappiamo che in un povero e sterile paese di montagna, in cui non vi sono ricchi signori, ed io cui tutti sono possidenti, non si possono avere, o [p. 41 modifica] pretendere grandi possessioni; ma sappiamo pure, che molte divisioni, e suddivisioni potrebbero risparmiarsi, e che quattro fratelli, ad esempio, invece di dividere in quattro parti i quattro campicelli del padre potrebbero prendersene uno per ciascuno.