Che cosa è l'amore?/IX

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IX - Un piccolo bacio, qui!

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VIII X

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UN PICCOLO BACIO, QUI!

— Riservato per dame? — domandò la dama al conduttore indicando l’interno di uno scompartimento di seconda classe, dove otto corpi di grosso sesso maschile si stavano pigiati.

— Viaggiamo in condizioni eccezionali, signora.

— Ah! — fece la dama — e le sue pupille grige sotto il velo rialzato, e che scendeva giù da una gran falda di cappello, fulminarono gli otto grossi corpi; fulminarono il conduttore, e con lui il suo colletto un pochino lercio, le sue mani quasi nere; fulminarono il treno in disordine, la stazione in disordine; e, più largamente, fulminarono l’Italia e le ferrovie in disordine: anzi in quel giorno in completa disorganizzazione per effetto della neve; una neve enorme, paurosa, strana, la quale pareva avesse un suo linguaggio di morte, come dire: io ti voglio coprire, congelare, vecchio mondo!

— Venga con me, signora: la metterò in prima — disse il conduttore, e precedette la dama [p. 108 modifica]attraverso un ingombro immenso del treno: bagagli, gente.

— Qui è interamente vuoto — disse infine, indicando uno scompartimento di prima classe.

— Se permette, ci sono io — disse al conduttore un signore che era lì, in piedi, nel corridoio; ed indicò il suo grosso sciallo buttato nell’angolo.

*

*  *

Questo signore era piccolo, anzianotto, sbarbato e fiorito nel volto: però aveva un bellissimo naso grosso, ed un bellissimo ventre, sporgente da un bellissimo pastrano da viaggio. La sua testa pelata era difesa da un cupolino di seta. Egli stava a guardare dietro la grossa lastra di cristallo ciò che avveniva nella stazione, e con una mano grassoccia, adorna di un pesante anello, fumava un vile toscano: da che si poteva arguire che quel signore era italiano, non straniero.

All’avvicinarsi della dama egli ritirò con bel garbo il ventre, e la dama passò; passò perchè era sottile, ma la si contorse come per evitare il contatto di quel ventre, di quel naso, di quel puzzo di vile toscano. Ma per entrare, la sua alterezza dovette piegarsi da una banda perchè il cappello non entrava.

Tranne il cappello, che fra veli e piume e spilloni, era di una complicazione ammirabile, tutto il resto era semplice: una gonna nera, un’ampia giacca di lontra, nel cui mezzo era [p. 109 modifica]posato un cespuglio di violette finte: fìnte, ma non importa! Tutta la leggiadra creatura odorava di viva viola, di fresco mughetto, di pura lavanda. Ma le narici del suo nasetto impertinente si dilatarono e parvero aspirare in quello scompartimento come un malvagio odore: le delicatissime labbra si storsero: poi si sedette come rassegnata. Lentamente, con due sottili mani inguantate, alti i cubiti, si toglieva veli, spilloni, cappello, come fosse una funzione sacra. Apparve allora una leggiadra testa dai capelli cinerei. Con un rapido moto trasse poi da una borsetta uno zendado, vi ravvolse in un attimo il capo nella foggia languida in cui è effigiata Beatrice Cenci; distese sul velluto un gran lino bianco; vi si adagiò con la testa; vi si immobilizzò; forse dormiva se non fosse stato un piccolo piede a dichiarare che ella era pur desta.

Il grosso signore si rivoltò ancora, lui e il suo naso, contro la stazione. Era interessante guardare quello che vi succedeva. Un grigio enorme, un umidore intenso, una folla sconvolta era sotto la tettoia: ogni tanto passava qualche macchina fumida, gemebonda che trainava vagoni lenti grondanti da una impellicciatura mostruosa di neve: dentro si vedeva sfilare un ingombro di umanità.

Si va? si sta? cosa si fa? chi lo sa? Dall’interno del treno immobile, dal di fuori giungeva un ininterrotto suono di voci:

«Ritardo di due, sei, dieci ore! La neve! [p. 110 modifica]macchè la neve: il «sabotaggio». Ci vuole un ferroviere impiccato per ogni stazione! Ma si impicchi lei per primo! Le ferrovie ai ferrovieri! Alle società private le ferrovie. Senti il compare! È un deputato forse lei? Vi sono delle donne, dei bambini nelle sale d’aspetto che strillano, che si disperano, che hanno fame.»

Il vecchio signore faceva: up, là! sollevandosi ritmicamente sulle punte dei piedi, poi ricadendo sui talloni. Ad un tratto abbassò il vetro: un signore era uscito dall’ufficio del capostazione; agitava furibondo le braccia; dietro di lui erano altri signori furenti; dietro, due capo-aggiunti, ma avviliti, poveretti; la barba di tre giorni, i baffi in giù, il bavero in su, l’orgoglioso berretto color granata, pesto, avvilito anche lui. Quel signore aveva tutta la bocca aperta e le sue parole dovevano essere terribili: ma non si sentivano: ecco perchè il vecchio che faceva up, là! aveva abbassato il vetro.

Allora si udì la voce di quell’energumeno che urlava:

— Ma dove è quel capostazione? Ha finito il suo turno ed è andato a casa? Già loro signori capi non sanno niente, loro non capiscono niente, tutto un giuoco a scaricabarile. Al telegrafo, al telegrafo! Mangiapani a tradimento. Vi concio io, ora! Un dispaccio al ministro.

Chi poteva essere quell’autorevole e furibondo personaggio? [p. 111 modifica]

Tutta la folla si volta, al galoppo, verso il telegrafo, e dietro corrono le lucerne di due carabinieri. Ma tornano tutti subito indietro. Una imprecazione collettiva, enorme: Il telegrafo non funziona più!

Ma che succede adesso? Un altro signore rompe la calca, affronta l’energumeno e strilla come un’aquila:

— Prima di tutto, lei che grida tanto, fuori il biglietto!

Era il più bello della scena, quando la dama, levando appena il dito, disse laconicamente:

— Prego, chiudere.

Il vecchio grasso gentiluomo udì, si voltò, guardò la dama. Ella diceva proprio a lui. Lui parve meditare: dopo tutto la signora di seconda classe era come sua ospite nel compartimento di prima.

— Prego chiudere — ripetè la signora in tono che non era affatto di preghiera.

Allora il signore alzò lentamente e come a malincuore il cristallo.

Intanto un lento moto avvertiva che il diretto, forse, stava per partire: uscì dalla tettoia, infatti. Allora brillò una gran luce: ma non dal cielo uniforme di piombo scendeva quella luce: ma dalla immensa candidezza della terra, e fuori di quel candore, tutto era ugualmente plumbeo: le fiumane, le piccole case, disperse, livide, sepolte: un paesaggio immobile, desolato, bianco [p. 112 modifica]su cui avanzava, quasi immersa, la linea nera del convoglio.

*

*  *

Però era oramai mezzogiorno e il signore si preparò a far colazione: l’apparecchio o viatico che levò da una cestina e dispose bene bene, rivelava l’esistenza di un cuoco di casa, o forse anche di una di quelle mogli rare e preziose che preparano tutto per il marito che viaggia. Quel viatico rivelava inoltre che egli era un buongustaio e anche uno stomaco solido. Guardò con occhio commosso un’anca di cappone a lesso; pallida, piena, gelatinosa, accuratamente priva di bordoni e di piume, oh non come sono le ali e le ànche scheletriche nei disingannevoli cestini da viaggio! Guardò un bellissimo, brunito, rosato, profumato arrosto di filetto, disposto in ordinate fette. Esitò: finalmente prese delicatamente una fetta d’arrosto, aperse la bocca, mise un po’ fuori la lingua... In quel punto la dama fece una smorfia di supremo disgusto.

Il signore fissò: depose la fetta su le altre, non sulla lingua, e in tono di persona seccata disse:

— Oh, senta, cara signora, che lei mi voglia impedire di fumare, vada anche, benchè questo è scompartimento per fumatori; che non mi permetta di aprire il finestrino per un momento, sia pure; ma mangiare, ah, mangiare... [p. 113 modifica]

— Non parlare con voi.

— Allora io parlare con voi... oh, corpo di Bacco! E dire che quando noi andiamo all’estero, stiamo, si può dire, col cappello in mano; e questa razza prepotente quando viene in Italia...

Ma la signora con una mossa sdegnosa, appena detto «non parlare con voi», si era rifugiata nell’angolo opposto, e d’altra parte, quell’arrosto era così buono, così persuasivo che pareva dire: «Perchè ti vuoi guastare la digestione?» Le fette sparivano tranquillamente, alcuni panini scricchiolarono, una bottiglia nera versò una volta e due il suo contenuto luminoso giù per la gola dell’amabile signore. Non rimaneva che la frutta, e questa era rappresentata da grossi mandarini dalla buccia ben sciolta.

A questo punto il treno, che già andava lento, rallentò: la macchina mandò un gran sbuffo, poi un sibilo flebile, lugubre, morente: il treno si fermò. Un silenzio profondo, poi un’agitazione paurosa per tutto il treno. Il treno era sotto la neve. Stazione vicina? No. In aperta campagna. Si sentivano sportelli e vetri aprirsi. Un individuo o due saltarono giù. Rimasero confitti come cialdoni nel lattemiele: la neve rasentava la banchina. Terrapieno, siepe, tutto era livellato in una desolazione bianca: la macchina — la si scorgeva in curva — era quasi tutta immersa. Nevicava ancora.

La signora si scosse. [p. 114 modifica]

— Cosa succede? — chiese voltando la testa verso il compagno di viaggio.

— Probabilmente bloccati.

— Ah! Verranno a sbloccare.

— Speriamo bene, signora.

Può fare sempre piacere ad un filosofo il constatare che la piccola graziosa neve ha forza di arrestare una macchina enorme e nera, simbolo del progresso; come la pudica acqua di affondare un transatlantico; come un microbio invisibile di uccidere un uomo: ma è bene non trovarci in simili casi.

La verità cruda non tardò a farsi strada: treno bloccato in aperta campagna: avanzare e retrocedere impossibile: segnalazioni insufficienti: telegrafo rotto: macchina spenta.

Prospettiva certa: cinque ore di blocco, almeno, cioè il tempo da permettere alle guardie di percorrere i venti chilometri lungo la linea sino ad arrivare alla stazione da cui erano partiti: poi aspettare la locomotiva liberatrice. Altra prospettiva molto più probabile: la notte in treno, senza calore e senza luce perchè la caldaia era già spenta.

Quando la signora seppe questo, fece anche lei come tutti nel treno: protestò: il treno era un coro di proteste. La signora aggiunse la sua voce esotica al coro, con speciale sintesi diffamatoria verso l’Italia.

— Viaggiato molto — diceva — ma mai visto [p. 115 modifica]qualche cosa così orribile. Russia, Norway, Svizzera, paesi avanzati avere puf, uf (soffiava). Avere, come dicete voi? Avere rotery-snow-plough per soffiare via neve. — E con la manina vorticosa faceva un molinello che buttava via tutta la neve.

— Vuol dire — spiegava il capotreno ai circostanti, un giovanotto quasi elegante — che all'estero adoperano un tipo nuovo di spazzaneve a ventilatore per liberare i binari. Qui siamo ancora al vecchio tipo che non è buono se non a buttare la neve da un binario sull’altro; e poi con una neve come questa non va.

La signora, dopo avere protestato, si dovette anche lei adattare al fatto reale; aspettare, pazientare, tacere.

Passava, interminabile, il tempo.

Quando la superba umanità intuisce una forza che non può vincere, con cui non può lottare, si abbatte avvilita, muta. I carrozzoni, specie quelli di terza classe, potevano richiamare in mente certi carri-bestiame, pieni di corpi immoti, attoniti.

Ma i bambini si udivano gemere: qualche donna piangeva. La fame! Qualche vigoroso, qualche ardito discese: dal casello vicino, da una cascina si potè avere un poco di pane: ma era una disputa feroce: la si intravvedeva nei vagoni di testa.

Calava la sera. [p. 116 modifica]

— Signora, posso offrire?

La signora pareva sofferente: era scossa come da brividi.

Il signore aveva tolto dalla grossa valigia di cuoio una fialetta di essenze.

— Veda, signora — disse — quando io viaggio, ho l’abitudine di prevedere tutto. Ecco qui, oltre al resto, una candela: è probabile che fra poco torni a proposito.

— Grazie, ma avere anch’io petit flacon. Piuttosto ho fame.

— Ah — fece il signore — e presa la cestina, ne trasse ancora quella deliziosa anca di cappone. Poi fissò la signora: sorrise dolcemente con i suoi denti bianchi nella faccia rubiconda, un po’ ironica, e senza muoversi punto, appena movendo le labbra: — Sì — disse — ma pagare!

«No, no denaro — disse fermando il gesto della signora. — Soltanto un piccolo bacino, qui! E indicò la punta del grosso naso.

— Ah!... Fy', old satyr!

— Niente, vecchio satiro, madam. Ho dato addio da tempo alla carne: non però alle ànche di cappone. Ma quest’oggi mi sento americano anch’io, cioè molto originale — e così dicendo fece atto di riporre la preziosa anca superstite.

Allora con un moto rapido, la dama si appressò: il signore sentì cose molli, profumate, deliziose appressarsi a lui: la lontra, le viole.

I labbruzzi di lei sfiorarono il suo grosso naso. [p. 117 modifica]Poi tutta si ritrasse indietro, coprendosi il volto per non vedere quella orribile cosa che aveva baciata.

*

*  *

— Dire — ruminava tra sé il signore allontanandosi nel corridoio, e riacceso un toscano per lasciare che la dama affondasse in pace i suoi dentini in quella anca rosata — dire che circa vent’anni fa questa triste avventura della neve poteva essere fra i più saporiti ricordi della vita!

Un mezzo toscano è spesso una grande consolazione, nella miseria.