Chi l'ha detto?/Parte prima/26

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§ 26. Fallacia dei giudizi, false apparenze, regole del giudicare

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§ 26. Fallacia dei giudizi, false apparenze, regole del giudicare
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§ 26.



Fallacia dei giudizi, false apparenze, regole del giudicare





La prima regola del giudicare è di parlare soltanto delle cose delle quali ciascuno s’intende. Non fare che ti si possa rivolgere il rimbrotto dantesco:

445.   Or tu chi se’ che vuoi sedere a scranna
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta d’una spanna?

nè, meno che meno, la ironica puntata:

446.   Ne sutor ultra (o meglio supra) crepidam [judicaret].1

È questo il motto diretto da Apelle al ciabattino, il quale, avendo una volta rilevato felicemente un difetto delle scarpe dipinte in un quadro di Apelle, presumeva poi di giudicare di cosa che era fuori del suo mestiere. Ne parlano Plinio il vecchio, Nat. Hist., XXXV, 10, 36, § 85, e Valerio Massimo, VIII, 12, 3.

Simile è la risposta del citarista Stratonico.

447.   Non animadvertis (inquit) te supra malleum loqui?2

a Minnaco calzolaio che voleva con lui disputare di musica: vedi Ateneo, Deipnosoph., lib. VIII, cap. XI, Lugd. 1657, pag. 351 a. L’aneddoto è ripetuto da Erasmo nei suoi Apophtegmata (lib. VI, [p. 133 modifica]sub voce Stratonicus, num. 18) ed è il suo testo che di solito si ripete.

Sii poi guardingo a non giudicare dalle apparenze:

448.   O quanta species!... cerebrum non habet.3

come disse la volpe alla maschera: non essere perciò del troppo largo numero di coloro, per i quali:

449.   ....Più dell’essere
Conta il parere.

e che tuttavia potrebbero invocare a propria difesa l’autorità non leggera del Segretario Fiorentino il quale ammoniva che:

450.   Ognun vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei.

Tanto maggiormente guardingo andrai ove si tratti di apparenze che possano indurre in giudizi temerari. Ricordati delle parole di quel re:

451.   Honi (o Honni) soit qui mal y pense.4

che sono il motto dell’ordine inglese della Giarrettiera. Una leggenda notissima ‐ raccolta per la prima volta da Polidoro Virgilio - narra com’esso fosse istituito fra il 1347 e il 1349 da Edoardo III in onore della contessa di Salisbury, amante del re, - che poi non si sa precisamente quale fosse - la quale in un ballo lasciò cadere per caso un legaccio di calza, o giarrettiera, che il re fu sollecito a raccogliere, rimbrottando i cortigiani che ne sorridevano, con le parole riportate di sopra. Honi o Honni è participio dell’antico verbo Honir o Honnir, che vuol dire Svergognare, Fare onta. Ma oggi che non si crede più alle leggende, specialmente alle belle leggende, e che Orazio Coclite dalla critica storica [p. 134 modifica]è mandato a tener compagnia a Guglielmo Tell, anche questa pretesa origine del motto dell’ordine della Giarrettiera ha trovato i suoi increduli. Vedasi il Fournier nell’Esprit dans l’histoire (cap. XIII), e i numerosi autori che questi cita. Secondo altri, Edoardo III avrebbe detto queste medesime parole alla battaglia di Crécy (26 agosto 1346), avendo fatto legare ad una lancia la propria giarrettiera perchè servisse d’insegna militare. Comunque sia, questo pare stabilito che il motto fosse proverbiale in Francia già molto tempo innanzi di questi fatti.

È ben raro che tu possa confondere alcuno con le perentorie parole del poeta aretino:

452.   Non c’è scusa, il fatto accusa.

e anche andrai cauto nel far prognostici che poi smentiti dal fatto possano ricoprirti di rossore. A ogni domanda indiscreta e capziosa potrai dare la modesta, e un po’ canzonatoria, risposta di Amos al gran sacerdote Amasia:

453.   Non sum propheta, et non sum filius prophetæ: sed armentarius ego sum vellicans sycomoros.5

Il sicomoro, o fico-gelso (ficus sicomorus, Linn.) dà, com’è noto, un frutto piccolo, poco gustoso, che pure forma spesso il cibo principale dei più poveri pastori dell’Arabia.

Nel nostro linguaggio parlamentare è rimasta proverbiale una frase disgraziata, esempio di grave avventatezza di giudizio, quella dei

454.   Quattro predoni.

Eccone la storia, non inutile a rievocare anche per i tempi presenti. Nella seduta del 24 gennaio 1887 il deputato De Renzis interrogò il ministro degli Affari Esteri sulla verità dei dispacci indicanti come possibile un attacco abissino contro le nostre truppe d’Africa. Il ministro che era Carlo Fel. Nicolis Di Robilant, [p. 135 modifica]rispose sprezzantemente che la serietà del paese nè quella del Parlamento non consentivano di trattenersi a lungo su questo argomento; che il Governo mancava di notizie precise, ma aveva piena fiducia nel generale Genè, e nella forza dei presidii d’Africa. Il deputato De Renzis allora pregò il ministro a voler comunicare al Parlamento quei dispacci che potessero giungergli; ma il ministro replicò: «Mi rincresce, onorevole De Renzis, ma non potrei cedere a questo invito di pubblicare i bullettini della guerra (Si ride). Interroghino, se credono che vi sia qualche cosa d’importante da sapersi; ma che io venga qui a pubblicare informazioni di questo genere non è possibile. Me ne appello di nuovo alla serietà della Camera: non mi pare che nel momento attuale convenga, e non conviene certamente, attaccare tanta importanza a quattro predoni che possiamo avere tra i piedi in Africa (Si ride. Vive approvazioni).» Il giorno dopo, gli Abissini guidati da Ras Alula attaccavano Saati e il dì seguente distruggevano a Dogali la colonna condotta dal De Cristoforis! Le parole del Robilant furono da lui medesimo deplorate, e chiamate parole infelici, alla Camera nella discussione dei 5 milioni per l’Africa due o tre giorni dopo l’annunzio di Dogali. Almeno egli si ravvide e fece onorevole ammenda: ma poco prima dei disastri di Amba Alagè, di Macallè, di Semeiata (Abba Garima) qualcuno dei ministri di quel tempo disse parole di inconsideratezza maggiore, e non ebbe la franchezza del ministro piemontese di riconoscere il proprio errore.

Ma se noi Italiani abbiamo i quattro predoni, anche i Francesi non hanno da stare allegri. Basterebbe per tutti il

455.   Cuor leggero.

di Emilio Ollivier. Al Corpo Legislativo di Francia, nella memorabile seduta del 15 luglio 1870, quando il guardasigilli Ollivier presentò la domanda di un primo credito di 50 milioni per la guerra, annunziando l’apertura delle ostilità con la Prussia, uscì in questa frase che gli fu più volte rimproverata e passò alla storia come esempio di incoscienza. Trascrivo dal resoconto stenografico, pubblicato nel Moniteur Universel del 17 luglio:

«M. le garde des sceaux — Oui, de ce jour commence pour les ministres mes collègues et pour moi, une grande responsabilité (Oui, à gauche). [p. 136 modifica]

«Nous l’acceptons le coeur léger.... (Vives protestations à gauche).

«M. Baudouin — Dites attristé.

«M. Esquiros — Vous avez le coeur léger léger! Et le sang des nations va couler!

«M. le garde des sceaux — Oui, d’un coeur léger! et n’équivoquez pas sur cette parole, et ne croyez pas que je veuille dire avec joie etc....»

Se giudicherai con calma e con equità, ti persuaderai facilmente che:

456.   La ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto che ogni parte abbia soltanto dell’uno.

e non sarà per te che Voltaire può avere esclamato in una sua commedia:

457.   Et voilà justement comme on écrit l’histoire!6

Voltaire aveva già scritto in una lettera del 24 settembre 1766 a Madame du Deffand: «Et voilà comme on écrit l’histoire; puis fiez-vous à MM. les savants!»

È pure una conseguenza della facilità con la quale le false apparenze possono trarre alcuno in inganno, che molti perdonsi, secondo la frase dantesca,

458.   Imagini di ben seguendo false
Che nulla promission rendono intera.

Note

  1. 446.   Che il calzolaio non giudicasse più in su della scarpa.
  2. 447.   Non ti accorgi, disse, che tu parli di cose che stanno al di sopra del martello?
  3. 448.   O quanta apparenza! ma il cervello manca.
  4. 451.   Svergognato sia colui che ci pensa male.
  5. 453.   Non sono profeta, nè figlio di profeta, ma sono un pastore che mi cibo di fichi selvatici.
  6. 457.   Ed ecco per l’appunto come si scrive la storia.