Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo XIV

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Giurì d’onore. Facoltà di appellarsi al Giurì

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Giurì d’onore. Facoltà di appellarsi al Giurì
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XIV.

Giurì d’onore — Diritto di appellarsi al Giurì.

ART. 277.

Al di sopra dell’arbitraggio evvi il giuri d’onore. Il suo giudizio è inappellabile, tranne nei casi previsti dall’art. 305 a.

La parte che, dopo avere accettato il giurì; dopo aver concorso alla formazione di quello; dopo averne riconosciuta l’autorità, promettendo di presentarsi a [p. 165 modifica]testimoniare davanti ad esso, o si presentasse per dichiarare che non lo ritiene legittimo, ne disconoscesse il giudizio, perderebbe le prerogative cavalleresche.

Nota. — L’istituto del giurì e delle Corti d’onore ha ormai avuto sì larga applicazione in Italia da formare con i giudicati una importante giurisprudenza cavalleresca, riassunta in questo e nei capitoli successivi pel vantaggio comune.

Le restrizioni contenute in questo articolo, peraltro non sono applicabili a coloro che reclamano presso il Presidente del giurì, o, in appello, alla C. d’O., contro il verdetto emesso, perchè lo ritengono viziato nella forma o errato nella sostanza (C. d’O. Milano, 18-6-1903; Bari, 3-5-1922; v. art. 305 b). In tal caso il reclamo non è ribellione, ma un doveroso ed onesto richiamo ad un nuovo esame1. E perciò, quando il Presidente non accogliesse la tesi di revisione, concepita nelle forme cavalleresche (v. art. 305 e seg.), la parte reclamante ha pieno il diritto d’invocare il giudizio superiore di una Corte d’onore in adverso a quello del giurì.

E, badiamo bene, lo squalificare così, alla leggera, come più volte è accaduto, i reclamanti, è confessione di parzialità ed atto di poco senno, per digiuno dei principi consacrati dal Diritto comune. Il giudizio di un giurì è sentenza di primo grado, quello della Corte d’onore è di grado di appello; e nessuno che goda la pienezza dello intelletto, [p. 166 modifica]può adontarsi sino al punto di abusare del proprio diritto, squalificando, uccidendo moralmente un gentiluomo, perchè ha detto: «Ciò non mi par giusto per queste e per quelle ragioni». Nei giudizi in materia d’onore, è debito di qualsiasi giudice di conservare l’indipendenza del proprio giudizio, anche con il sacrificio dell’anno proprio. Tutti si può sbagliare, e la presunzione della infallibilità propria è il vermecane più rapace che possa rodere la imparzialità di un verdetto.

ART. 278.

Il giurì è bilaterale o unilaterale; il primo è nominato d’accordo dalle parti contendenti, il secondo da una parte sola.

ART. 279.

Al giurì bilaterale si fa appello, quando riesca impossibile pacificare i contendenti; o per decidere su punti controversi; o per risolvere dubbi o contestazioni sorte durante la trattazione della vertenza.

ART. 280.

Al giurì unilaterale ricorre il gentiluomo minacciato o colpito nell’onore, sempre quando non ottiene dalla controparte l’assenso e il concorso alla costituzione del bilaterale.

Nota. — Veggasi art. 26 reg. C. d’o. permanente di Firenze; art. 45 Cod. cav.: «Se una delle parti si rifiuta di adire al giuri bilaterale o a una Corte d’onore, è lasciata facoltà all’altra di appellarvisi». Quindi, per fare appello al giurì unilaterale è indispensabile che la parte contraria abbia rifiutato il bilaterale, o non intenda concorrere alla sua formazione. Dunque, è chiaro questo: Un giurì unilaterale non può costituirsi, non è legittimo, non può [p. 167 modifica]sussistere senza il rifiuto della controparte ad accedere al bilaterale, o a una Corte d’onore. Quando un giurì unilaterale non s’è costituito sotto la condizione suesposta, sarà considerata una raccolta di tre o cinque compari dell’appellante per un salvataggio di compiacenza; ed il verdetto di codesto giurì non avrà alcun effetto nel senso cavalleresco.

ART. 281.

Il diritto di appello al giurì unilaterale è quindi riconosciuto al gentiluomo imputato d'indegnità cavalleresca, semprechè la parte accusatrice rifiuti od osteggi la costituzione del bilaterale, o cerchi, dopo avervi aderito, d’impedirne con raggiri il funzionamento, o il giudizio, nel fine di lasciare insoluta l’accusa formulata.

Nota. — In tal caso è preferibile invocare la Corte d’onore permanente, o di altra costituita nei modi indicati all’art. 305 e. Codesto diritto è pure riconosciuto a quella parte, la quale, ritenendo il verdetto del giurì viziato nella forma od errato nel merito, abbia inutilmente reclamato al Presidente del giurì. Qualora però alla Corte resultasse provato che il reclamo fa un pretesto per sfuggire al lodo, potrà privare i reclamanti delle prerogative cavalleresche.

ART. 282.

La ripulsa di una delle parti di adire al giurì o di accettarne senza giusto e ben provato motivo le decisioni, equivale a rifiuto di soddisfazione; la vertenza sarà dichiarata chiusa e il relativo verbale pubblicato, a meno che si faccia ricorso ad una Corte d’onore, in grado di appello.

Note

  1. Il cambiamento di nazionalità non costituisce elemento di revisione di un verdetto di squalifica pronunziato da un giurì e tanto meno da una Corte d’onore (v. art. 305 e seg.), poichè il fatto pel quale uno fu privato delle prerogative cavalleresche non tocca la nazionalità, ma è insito ed inseparabile dalla persona che lo commise.
         E saviamente operò S. E. il generale Giardino quando nel dicembre 1922 un giurì d’onore cercò di annullare per una delle parti gli eftetti del lodo della Corte d’onore, presieduta da S. E. il generale Giardino.