Corto viaggio sentimentale e altri racconti inediti/Cimutti

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Cimutti

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Marianno In Serenella
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CIMUTTI

E
RA una calda giornata di Luglio. La mattina tanto di buon’ora era già soffocante. Il signor Perini fece un giro nel deposito prima che alcun operaio vi fosse entrato e quando ne uscí s’imbatté in Giuseppe Cimutti che, primo fra gli operai, vi entrava. «Senti» gli disse «dimenticai di dirti iersera che oggi bisogna imbarcare queste scatole di panno per Genova. È meglio che tu parta subito prima di colazione. Chiama Bortolo e preparate la barca.» Giuseppe chinò la piccola testa in segno d’assenso e s’avviava. Si fermò un istante: «Il vapore è in Marittima, già sotto carico?». Era esitante il povero Giuseppe. Avrebbe dato qualche cosa per risparmiarsi quella vogata attraverso tanta laguna sotto tutto quel sole. Il signor Perini si eccitò subito: «Se parti presto arrivi sotto il battello quando non c’è tanta ressa e ritorni a casa prima di sera; altrimenti corri il rischio di passare la notte in battello come la settimana scorsa». «La settimana passata» disse Giuseppe «avrei potuto risparmiare una giornata e una nottata; partire il martedí di buon’ora e arrivare sotto il battello proprio al momento debito.» «Sí» disse il signor Perini, e la sua piccola figura tondeggiante di uomo inerte e buono si sconvolse in un gesto di sdegno sprezzante «adesso rischierò di perdere l’imbarco per fare il comodo tuo!» L’altro lo guardò e poi scosse la testa dall’alto in basso dandogli ragione soggiungendo però subito: «Non bisogna però perdere la pazienza se non ritorno prima di domani. Non ci ho mica colpa io se a bordo ci chiamano per turno». «Io non ho detto niente» protestò il signor Perini, «ma certo che ogni volta che mando te in Marittima non ti rivedo che passate le trentasei ore.» Sul volto di Giuseppe passò un lampo, breve, breve, impercettibile di malizia. Al signor Perini parve e non parve e quando guardò meglio Giuseppe lo scoperse con l’occhio scintillante d’indignazione. «E perché non viene una volta a sor[p. 259 modifica]prendermi in Marittima? Fa male, sa, fare il proprio dovere e vedere che si è sospettato di non averlo fatto. Perciò, solo perciò, io vorrei non lasciare mai Murano e lavorare il giorno intero nel deposito.» Cimutti condí la sua risposta anche di qualche bestemmia che nel suo dolce vernacolo veneziano non risultava offensiva e si fondeva in un ossequio generale, non diretta a nessuno. Già tutti sapevano che il signor Perini non sarebbe mai piú andato in Marittima con quel caldo. La battella era a posto al pontile e Cimutti, Bravin e Andrea si accinsero a caricarla. Il signor Perini stava immobile a guardare. Avrebbe voluto dire ancora qualche cosa ma non trovava; le parole di Cimutti non lo avevano offeso ma lo aveva offeso quel sorrisino di scherno che aveva creduto di veder passare su quella faccia secca di uomo in cui l’intelligenza si era attenuata nello sviluppo dei muscoli e tenue cosí s’era convertita in una lieta furberia. Ma non trovò. Si grattò la testa ripensò lo stato in cui Cimutti era entrato in casa, povero, privo di un cencio e si sentí pieno di rancore per tanta sconoscenza. Salí in casa sulle punte dei piedi per non destare la moglie e si mise al tavolo vicino alla finestra nella stanzuccia che gli serviva di ufficio per fare il lasciapassare. E quando dovette scrivere il nome di Cimutti quale suo mandatario, la sua penna si mosse irosa: “Furfante! Non merita la fiducia che ripongo in lui!”. Ritornò con la carta in mano al pontile. L’acqua era alta; copriva la palude al di là del canale di fronte al deposito. Le Fondamenta Nuove si specchiavano nell’acqua tersa e il riflesso dei ponti bianchi era visibile anche a tanta distanza. Il signor Perini guardava e non fiatava; cercava ancora parole mentre Cimutti dalla barca s’affaticava a ricevere in barca le casse che gli altri due gli porgevano. Era solo per lo sforzo fisico che la fronte dell’operaio s’era talmente increspata: Il signor Perini guardò quella fronte e conchiuse che non c’era bisogno di cercare altre parole perché l’operaio doveva aver capito. Si sentí subito piú buono. Mitigatosi trovò subito qualche cosa da dire e, scherzosamente, osservò: «Sarebbe bella che quest’oggi tu capitassi a casa alle quattro». L’altro fu tanto stupito da tale espressione che [p. 260 modifica]restò in piedi con una cassa fra le braccia. Poi, curvatosi piú di quanto fosse necessario per riporla e celando cosí del tutto la faccia, disse con voce sonora: «Potrebbe anche essere». E dopo qualche istante di riflessione, la sua furberia gli fece soggiungere: «Magari. Alle quattro verrei subito all’ombra». Il signor Perini fu contento di tale espressione e pensò che Cimutti alle quattro — se le circostanze glielo avessero permesso — sarebbe stato di ritorno. Eh! bastava saper trattare con gli operai! Ricordò che anzi alle quattro avrebbe avuto bisogno di Cimutti. Bravin doveva andare ad incassare, Andrea usciva nel pomeriggio con la gondola. Restava perciò in casa il solo Bortolo il falegname e c’era bisogno di spostare delle pezze di panni, lavoro che non si poteva fare che in due. Cimutti disse: «Vado a prendere in casa una goccia di caffè e poi parto subito». Il signor Perini sempre col lasciapassare in mano gli camminò da canto ed ebbe una nuova idea: «Senti» gli disse «se sei qui per le quattro ti pago sei ore di lavoro di piú». Furbo era il signor Perini perché se Cimutti doveva passare la notte in Marittima allora il signor Perini avrebbe dovuto pagargli una giornata e mezza. Cimutti ebbe un sorriso che poteva apparire riconoscente e disse: «La ringrazio! Per quanto sta in me, io farò del mio meglio!». E per aggiungere vigore alla sua assicurazione, si ripeté: “Magari!”. Si avviarono cosí uno accanto all’altro alla casa di Cimutti posta di fronte alla casa padronale piú piccola ma bella e spaziosa. Era rimasta a Cimutti perché non si sapeva darle un uso migliore. Anticamente il deposito di stoffe era stato ben piú grande in quella casa c’era stato un ufficio complesso. Poi la casa madre s’era trasferita a Roma pur convenendole di lasciare il deposito a Murano ove uno dei soci — il signor Perini — desiderava di rimanere. Il signor Perini aveva passati varii anni su quella parte deserta dell’isola. Nei primi tempi quel soggiorno aveva costituito per lui un sacrificio. Ora — passata la maturità — gli sarebbe stato un grande dolore di dover abbandonare quel luogo ove la sua inerzia trovava un impiego tanto vantaggioso. Egli sorvegliava il deposito — faceva in tutto e per tutto il vantaggio della casa — e passava le giornate [p. 261 modifica]intere in ozio completo studiando i movimenti dell’acqua intorno all’isola, sognando che il mondo fosse quietato come era quieto lui. V’erano dei posti all’aperto dietro il deposito sull’antico grande canale di Murano ove in epoche piú ricche ma non piú felici, diceva il Perini – era affluito tutto il lusso di Italia, mentre ora in pieno meriggio si sentiva battere il proprio cuore nel grande silenzio. C’era una parte dell’anno in cui il signor Perini perdeva la calma e il riposo: L’epoca dell’inventario! Bisognava smuovere tutte le balle; prendere degli operai avventizii, notare, registrare, fare conti. Ma tale breve periodo serviva per fargli sentire meglio la sua felicità quando questo periodo era passato. «È pronto?» domandò Cimutti brevemente a sua moglie. La sora Lisa alzò la testa dal mastello ove lavava della biancheria. «Maria!» disse alla figliuoletta di 12 anni al piú che le stava accanto appiccicata alle gonne, «dà a papà il caffè ch’è nella tazza accanto al fuoco.» La Maria si avviò un po’ malsicura perché la poverina era quasi cieca e Cimutti la precedette mentre Lisa era ripiombata al suo lavoro. Il signor Perini la guardava con compiacenza. Come era bello veder lavorare con tanto gusto. Quella, sí, se fosse stata un uomo avrebbe dato un operaio come sarebbe piaciuto al signor Perini. Come lavorava e come era sempre lieta e serena; tanto lieta e serena — diceva il signor Perini — come se avesse riposato il giorno intero. Era del resto affare d’abitudine perché il lavoro occupava nella sua giornata il tempo che nell’altrui occupava la quiete. S’alzava alle 5 del mattino e andava avanti a lavorare fino alle 9 della sera. Aveva tre figliuoli di cui uno, la Maria, con la sua malattia agli occhi le costava un occhio della testa. La paga di Cimutti non bastava perciò e Lisa aveva accettato di lavare per il signor Perini e di prestare dei servizii in sua casa verso una mite retribuzione. Cimutti era un buon lavoratore, vogatore di barche grosse conosciuto a Venezia ma aveva bisogno di una parte della sua paga per tenersi vivo... come diceva lui. Cosí l’impiego della Lisa era divenuto una necessità ed ella s’era messa di tutta lena a guadagnarsi l’affetto e la fiducia dei si[p. 262 modifica]gnori Perini. Marito e moglie passavano a lei i vestiti smessi e quelli di Arturo, il figliuolo ch’era agli studii e che ben di rado veniva a Murano. Non era molto perché tanto il signore che la signora Perini restavano molto in casa e consumavano i loro indumenti fino all’ultimo ma tutto veniva accettato dalla Lisa con tanta riconoscenza che faceva piacere riservarle ogni straccio per vederla subito lieta della sua sorte. Era una donna ancora giovane ben al disotto dei 40 anni dal corpo deformato, la pancia molto ingrossata ma la faccia ancora fresca, negli occhi azzurri una luce di gioventú e di bontà. E come il signor Perini le diede il saluto della mattina, essa alzò anche una volta gli occhi dal mastello per rispondere con un sorriso. E il signor Perini che restava alla sua idea fissa le chiese: «E a te non piacerebbe di veder Cimutti a casa alle quattro pomeridiane?». Essa sorrise di nuovo: «Là alla Marittima si perde tanto tempo...». Aveva una grande paura di compromettere il marito. Prima di entrare dal signor Perini, Cimutti aveva lavorato per molto tempo quale avventizio alla Marittima. Lui aveva lavorato meno ma la Lisa doveva aver passato un gran brutto periodo perché non finiva di benedire il giorno in cui era venuta a Murano. «Digli» insisté il signor Perini «che hai desiderio di rivederlo alle quattro.» Essa non esitò un istante. Si alzò, si rasciugò le mani al grembiule ed entrò in casa a parlare col marito. Si sentí subito Cimutti che, con la bocca piena, le diceva: «Ma sí, ma sí! se posso!». La Lisa uscí dalla casa e passando dinanzi al padrone piegando con certa grazia il capo ora su una spalla ora sull’altra e contraendo la bocca per dire che la sua missione era stata inutile: «Dice che proverà. Ma si capisce che sarà difficile perché egli sa il lavoro che c’è a tenersi sotto bordo il primo». E ripiombò al suo lavoro come se avesse voluto guadagnare il tempo perduto. Il signor Perini non fu ancora soddisfatto e consegnando il lasciapassare a Cimutti gli disse: «Arrivederci in Marittima. Vengo sicuramente a trovarti!». La sua faccia rotonda parve divenir muscolosa, tanto volle esprimere una risoluzione. Cimutti disse semplicemente la parola che meglio lo difendeva: «Magari!» ma dopo di aver guardato [p. 263 modifica]per un istante in faccia il padrone come per studiare se avesse detto sul serio. Il padrone perciò si volse al suo studio lieto dell’effetto prodotto. Ma se il remo avesse potuto parlare avrebbe raccontato che mentre Cimutti lo moveva con tutta energia mormorava: «E adesso all’osteria!» in puro italiano come sogliono spesso i veneziani quando abbisognano di tutte le consonanti per segnare meglio il loro pensiero.

A colazione il signor Perini disse a sua moglie di quanto gli era successo con Cimutti e parlandone s’animava ricordando con quanta benevolenza e con quanta abilità egli aveva saputo trattare. La moglie che aveva passata come lui la cinquantina ma era tuttavia bionda e rosea lo guardava sorridente lieta di vederlo tanto animato. Quei quattro operai unici abitanti come loro sul canale di Serenella rappresentavano molta parte della loro vita. Li conoscevano tutti, conoscevano i loro bambini, le loro mogli, le loro qualità e i loro difetti. Il lungo e vecchio Bravin era il piú sodo e piú coscienzioso di tutti. Cimutti e Andrea il gondoliere erano buoni e destri ma beoni. Andrea — Dio sa come — prima di entrare da loro – aveva bevuta tutta una bottega di pesce e poi una d’indoratore che aveva ereditata. Perciò lo chiamavano bevi-botteghe ciò ch’egli sopportava con rassegnazione sapendo ch’era vero. Del resto buon ragazzo e si diceva anzi a sua lode che quando era ubbriaco era molto piú divertente che quand’era sobrio. Infatti quando non aveva bevuto era di poche parole e in corte raccontavano che sua moglie Nina una bionda giovine alquanto appassita amava di sapere che a suo marito non mancasse il bicchiere di vino anche se non fosse suo destino di berlo di frequente con lui. Bortolo, il falegname, debole come operaio e come beone (il vino gli produceva il male di schiena) era il piú veneziano di tutti, da Castello, e sapeva declamare i versi di Arlecchino. Era il buffone della corte ma non abitava in Serenella e apparteneva perciò meno intimamente alla famiglia; abitava ben lungi. Aveva lavoro a contratto e — salvo rarissime eccezioni — poteva andare e venire all’ora che gli fosse piaciuta.

Anche la signora Perini abbandonava ben di rado Serenella [p. 264 modifica]per fare delle corse in città. Avevano la gondola ma quella passava inerte le sue giornate nella vecchia cavana. A colazione, regolarmente, la signora Perini, s’informava dal marito se avrebbe potuto avere il gondoliere. Il signor Perini incominciava a fare i suoi calcoli. La poca carne umana messa a sua disposizione veniva vagliata: Una spedizione importante costava due uomini, restavano due in casa (computato Andrea) e di uno non si sapeva che fare perché per spostare delle balle di panno o per pesarle occorrevano due uomini. Altri giorni la spedizione era piccola e bastava un uomo ma Bravin doveva andare in città per incassi o pagamenti e allora restavano di nuovo due soli. Perciò Andrea non poteva partire. E avvenne talvolta che si aveva il gondoliere ma non la gondola perché l’acqua aveva calato e non c’erano abbastanza braccia per trarla dalla secca nella vecchia cavana. Ma l’orgoglio del signor Perini era precisamente di aver risparmiato tante spese alla sua casa e ciò senz’aver diminuite le paghe degli operai, anzi al contrario. Era bastato di sorvegliarli coscienziosamente e di dirigere il loro lavoro. Il signor Perini fra’ suoi soci era il piú debole e aveva accettata una mansione che dispiaceva a tutti gli altri piú intraprendenti e piú vivi di lui. La signora poi per essere lieta non aveva bisogno che di una lettera al giorno dal figlio. Non s’adirava quando già vestita per uscire doveva rinunziarvi causa la secca o perché s’era levato un vento tale che quel pusillo di Andrea non osava di uscire senza l’aiuto di un secondo uomo o infine perché era arrivato un dispaccio con un forte ordine di spedizione e Andrea doveva partire subito in cerca di una peatta per il giorno appresso. Essa si spogliava calmamente sedeva al finestrone che guardava il grande mare lagunare tanto spesso mutato in una palude enorme subito leggermente inverdita ai raggi del sole, aurea al tramonto, popolata dai gabbiani gracchianti in assemblea, in un’immobilità di esseri riflessivi. E agucchiava e guardava la laguna, la palude, le bestie e la città lontana asserendo di aver perduto molto per la caduta del campanile che essa vedeva lontano e piccolo ma che le era servito d’orientamento. Era premiata della sua pazienza dalla gioia del marito [p. 265 modifica]che amava di veder mitigata la sua solitudine dalla presenza della moglie. Egli abbandonava ad ogni tratto il deposito per venir a fumare una sigaretta presso di lei. E le portava su fresca, fresca, qualche barzelletta di Bortolo del quale il dialetto puro, veneziano, costituiva per loro che non erano veneti una fonte di liete risate. Quanto tempo non si rise in quella casa di una piccola sventura toccata al povero Bortolo. Avvenne cioè che suo zénero el fravo1 non poté andare in fràvica2 perché aveva la freve3. In casa c’era un’altra persona: La Nilda una ragazzina venuta da poco di campagna, un’ingenua che avrebbe dovuto cucinare ma che abbisognava per ogni piatto dell’assistenza assidua della signora. E anche quella allegrava la casa colla sua ingenuità, con le sue grida di meraviglia ad ogni cosa nuova che vedeva o udiva ed ella ne trovava molte anche in quella solitudine di Serenella. Tante ne aveva trovate che nei primi giorni ne fu molto confusa. Si doveva fare un arrosto. La signora a un dato punto aggiunse dell’acqua e andandosene disse: «Ritorno subito. Intanto puoi aggiungere un po’ di carbone». Quando la signora ritornò trovò nell’arrosto una quantità discreta di carbone. La Nilda coi grandi occhioni neri guardava dubbiosa la signora perché sapeva di aver obbedito ad un ordine stranissimo ma, rimproverata, si scusò: «Cucinano tanto strambamente loro signori che non si può mai sapere». Non fu sgridata. L’arrosto fu salvo tuttavia e dell’ingenuità della Nilda si rise in casa, in deposito e in corte per molti giorni. Chi lavorava piú di tutti in casa era la Lisa che incominciava la mattina a lustrare le camere e finiva dopo cena col lavare i piatti. Le toccava inoltre una volta alla settimana di fare il bucato. Essa non aveva tempo per far ridere la gente. Lavorava lieta ed era molto rispettosa. Cosí, ad onta che Cimutti non le avesse passato tutta la paga la sua casa negli anni precedenti s’era arricchita di mobili, di coperte e di utensili da cucina. Ora la casa tendeva piuttosto a vuotarsi dacché la Maria s’era ammalata d’occhi. [p. 266 modifica]

Dopo colazione il signor Perini mandò in città Bravin ad effettuare degl’incassi e cosí restavano in deposito i soli Andrea e Bortolo a smuovere delle balle. Durante la mattina il signor Perini passò un dieci o venti volte la corte per andare a fumare la sigaretta accanto alla moglie. Lisa aveva abbandonato per il momento il mastello e si vedeva nella cucina posta a pianterreno a mescolare con le sue braccia grasse e forti la polenta. Il signor Perini si fermò un momento a guardarla. La debole fiamma del focolare le illuminava la veste dimessa ma pulita. La testa invece si proiettava sulla finestra di fronte che dava sull’orto inondato di sole. Essa s’avvide del signor Perini e abbandonando la polenta a rischio di bruciarla, corse a lui: «Comanda, padrone?». «Nulla, nulla» disse il signor Perini avviandosi verso casa sua; poi si fermò, e sorridendo, le chiese: «Credi che Cimutti sarà qui per le quattro?». Ella si confuse, ma subito, sorridendo, disse guardando il cielo: «Chi lo può sapere?». Subito dopo pranzato arrivò un dispaccio che ordinava un’altra piccola spedizione per il giorno appresso. Bisognava mandare subito Bortolo in città per fare la polizza e si restava di nuovo soli con un operaio. Date le condizioni degli operai nel deposito la cosa diventava grave. Cimutti era il solo fra gli operai che sapesse numerare e marcare delle casse. Se egli non veniva in tempo il signor Perini avrebbe dovuto assistere per un paio d’ore a tale numerazione porgere all’operaio numero per numero, e vedere se fosse applicato dalla parte diritta: Un lavoro che toglieva al signor Perini la gioia di vivere. Il lavoro principale consisteva nella preparazione delle casse. La pesatura si sarebbe fatta in un istante non appena Bravin fosse venuto a casa e quello lí non mancava di sicuro. Il signor Perini discusse la questione con la moglie e questa giudiziosamente lo consigliò di attendere fino alle quattro. Forse Cimutti sarebbe venuto e il signor Perini avrebbe potuto risparmiarsi tanto disturbo. Il signor Perini accettò il consiglio ma se ne trovò male. Dalle due alle quattro camminò

Note

  1. Dialetto veneziano: genero il fabbro.
  2. Dialetto veneziano: fabbrica.
  3. Dialetto veneziano: febbre.