Dal mio verziere/Dal mio Verziere/I

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I. Antonio Fogazzaro

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Dal mio Verziere Dal mio Verziere - II

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I.

Il Fogazzaro, che il felice accenno a una reazione idealista tende ora a mettere di moda, è il genio delle nebulose. Il maggior fascino che emana dalla sua produzione è, a parer mio, quello stesso delle più aggraziate invenzioni della fantasia tedesca, nelle [p. 171 modifica]quali alla più bizzarra meraviglia si mesce sempre un sottile soffio di semplicità domestica e sana che rischiara e riposa. Non so se sia da preferire nello scrittore il romanziere o il poeta, e, anche sapendolo, mi parrebbe un’irriverenza boriosa il trinciar giudizi in questi scorci alla buona. Mi limito quindi a leggervi qualche verso o a farvi notare i differenti aspetti che ho osservato in lui. Mentre nelle più belle pagine di «Malombra», di «Daniele Cortis», dell’indimenticabile «Mistero d’un poeta» egli ci inebria dell’infinito e ci ravviva lo spirito sino a farci del corpo una specie di simulacro, e, lievi, purificati, gloriosi, ci scorta fino all’estremo lembo della terra, fin dove appare non più come un miraggio, ma già come una costa lontana il paese dove ogni desiderio si sazia e si tace, nelle sue poesie è di una determinatezza lucente e chiara sebben lievissima e dilagante, un po’ troppo, anzi, qualchevolta. Ecco intanto un sonetto bellissimo:

IN SAN MARCO DI VENEZIA

Freddo è qual te il mio spirto, o cattedrale,
I tuoi mosaici misti d’ombra e d’oro
Somigliano i fantasmi ch’io lavoro
Del core nel silenzio sepolcrale,

Dove l’amor tace nascoso, quale
Il tuo di gemme inutile tesoro:
All’Ideal che spero, al Dio che adoro
V’arde sola una lampada immortale.

Talora per la tua porta che geme,
Entran lume di cielo, odor di mare,
Qualche figura taciturna e mesta;

Ed anche in me, talora, entrano insieme
Un folle arder vitale che dispare,
Un dolce viso tenero che resta.

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Bisogna aver vagato estasiati dentro quel grande gioiello bizantino, bisogna averne avuto il cuore penetrato e la mente abbagliata sino all’emozione, per intendere tutta la sapienza gentile, la giustezza ideale della similitudine. Proprio così: ombra e oro, come una di quelle favolose tele rabescate, che le fate nascondevano in una nocciuola; ecco la trama lieve e tutta, direi, interna, delle creazioni di Antonio Fogazzaro, ordita nel mistero religioso del cuore, che l’arte sua rispecchia fedelmente. Anche là l’amore resta nascosto nel sancta-sanctorum dell’arca santa, tanto nascosto e tanto lungamente invisibile, che qualche volta le pene che soffrono le creature per lui ci sembrano solo l’incombere di un fato affannoso senza leggi e senza speranza di liberazione.

Nel piccolo albo trovo anche questa poesia che trascrissi, mi pare, da Valsolda. Qui riconosciamo un poco l’innamorato di Violet e qui la nota personale del poeta insiste con più evidenza:

. . . . . . . . . .
Mi grandeggia ne l’ombre de la sera
La vôta stanza. Fuor da ogni finestra
Nel chiaror de le nebbie il lago appare
Quale deserto, sconfinato mare.

Uscir vorrei per questo mar deserto,
Navigar solo, navigar lontano,
E, spenta la veduta d’ogni sponda,
Abbandonarmi a’ miei pensieri e all’onda.

All’aperto uscirebbero i fantasmi
Che più gelosamente il cor nasconde;
Io sederei a poppa ed essi a prora;
Senza parlar ci guarderemmo allora.

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Vi è del refrigerio in questa luce, in questa atmosfera, in questa solitudine in cui non regna che l’inganno innocente del sogno, d’un blando sogno. E che gentilezza la ricerca di quell’isolamento assoluto per immergervi l’anima, che nel suo geloso pudor di ninfea vuol esser sola coi segreti del suo amore! Quanti fra i nostri poeti contemporanei ci hanno abituate a queste raffinatezze del sentimento?... Essi che non esitano a cantarci in un sol libro gli occhi ora azzurri ed ora neri e le chiome ora bionde e ora brune del loro ideale femminile che non si sa mai quale sia.... Udite ora, tolto dall’Agave americana, questo frammento purissimo che si ravviva, come un marmo al sole, di una dolorosa mestizia umana:

Fuggono le stagioni
Senza frutto nè fior per la straniera;
Quando vien primavera,
Ride il bosco felice
Di lei, ridono l’erbe
Tremole per lo scoglio, i fiorellini:
Primavera le dice:
«Perchè non ami? Io passo».
Triste in silenzio,
Ella spiega il pallor de le ricurve
Foglie sull’ermo sasso.

Non sentite voi un blando eco leopardiano?

La Leggitrice par scritta apposta per voi, signorine. Per questo ve la dico, sebbene non sia fra le mie predilette.

Entro piccol volume ella leggea,
Oro nè avorio il libro non avea;
Aveva i sogni dell’amor gentile,
Pitture del novembre e dell’aprile,

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Disegni di gagliarda fantasia,
Alterno il riso e la malinconia.
Illuminavan le pensate carte
Fulgor d’ingegno ed equa luce d’arte,
Ella leggea una pagina dov’era
Molle tepor di nova primavera.
Le nubi addormentate, l’aria cheta,
Gli augei migranti in alto ed il poeta.
In quei sogni perduta, in quel riposo,
Lo sguardo sollevò fisso, pensoso;
Da la man semichiusa e negligente
Uscì supino il libro lentamente.


Non è finita, ma io vorrei che finisse qui....

Ecco il Brindisi, poi passiamo oltre. È quello del «Mistero d’un poeta». Mi piace assai per una vita un po’ insolita che vi palpita e che ci dà il cantore, come ringiovanito. È l’amore ideale fatto reale? È il vino biondo? Non si sa. Ma la corda vibra più risoluta e il poeta, finalmente, sorride:

A te, bionda fanciulla, io bevo il vino biondo
Il riso del tuo sole, de’ colli tuoi l’odor,
Bevo e mi veggo sorgere dentro al pensier profondo
Il Reno sacro, i clivi, torri, vigneti e fior.

Bevo ed il vin divampami nell’estro suo straniero,
Mi batte ed arde un nuovo cor di poeta in sen;
Bevo e mi bacia un alito, un’anima, un mistero
Che dal più dolce fiore della foresta vien.

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Piccolo intermezzo in prosa.

«Qual cosa mai non appar bella ai poeti, ai musicisti, ai pittori che sognano e creano? Cadono d’intorno a loro le angoscie, abbattute dall’arte che somministra le candide pagine pel lavoro; e la mente, confinate le sue tristezze in remote regioni, s’illumina e s’innalza.

«.... E allora, la persona per cui si sospira e si soffre, resta come idealizzata, e l’affetto si fa più intenso, ma meno violento e disuguale, e si ama, si ama profondamente; e l’amore, anzichè turbare lo spirito, l’aiuta a lavorare, e lo fa qualche volta assurgere a grandi altezze. Scompaiono allora l’uomo e la donna, e fanno posto all’artista e alla Musa!»