Dal mio verziere/Dal mio Verziere/VIII

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VIII. Contessa Lara

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VIII.

Contessa Lara.

Ecco fra le fresche dovizie d’una primavera tutta schiusa il più delicato fiore del mio verziere: una figura femminile, una fine figura d’artista e di signora. Un’Eva nel piccolo paradiso, o meglio la fata d’una novellina nordica che porta nell’ubertoso brolo la vaghezza del suo capo biondo e le meraviglie della sua mano. Ha in arte un nome cavalleresco e poetico che a’ piedi delle sue creazioni forti e gentili armonizza come l’accordo finale che raccoglie la melodia.

Nella verde Italia in cui nuovi e antichi ingegni scintillano come le goccioline di rugiada su un margine erboso, non è scarsa la pleiade femminile; però non molte delle nostre scrittrici sanno come la Contessa Lara tratteggiare con uguale finezza di gusto e disinvoltura un bozzetto, una poesia, un articolo d’arte, un romanzo. Quindi arrestandoci innanzi a [p. 221 modifica]qualche sua poesia non dobbiamo dimenticarlo, non dobbiamo dimenticare che stiamo osservando un sol raggio, un solo colore di questo versatile intelletto. Pensiamoci anche se ci urta talvolta in questi versi un po’ di quel dilettantismo mondano nel quale ahimè si crogiolano pure tanti poetini e poetucoli che poi in fin dei conti non sono capaci di fare che i canterini. La penna della Contessa Lara è sopratutto elegante, spesso arguta, molte volte ardente, sempre aristocratica. Il dolore, la mestizia, l’angoscia non effonde in elegie sentimentali, o in quelle tirate romantiche che rinviliscono sotto mentito profumo femminile la nostra letteratura agli occhi della più sapiente metà del genere umano; quando la sua anima è intorbidata, o ferita, o dolente, ella non ce lo dice, ma noi lo intendiamo meglio che se ce lo dicesse. Ella sente forse nella vita, certo nell’arte, la dignità del dolore. Ancora: è raffinatissima, ma non mai sino al decadentismo o alla morbosità; ama le cose belle, la forma più che l’essenza delle cose ma l’ama tanto che sovente giunge a toccarci l’anima non per l’intensità, ma per il rapimento della sua contemplazione. Confonde anche talora la sensazione col sentimento, talora la preferisce apertamente, essendo sempre ed anzitutto schietta con sè e con noi, anche a costo di parer cruda o di dispiacere. La sua è la sincerità delle spine sotto il profumo delle acacie o ai piedi della fiorente venustà delle rose. Un’arma contro la soverchia debolezza, una difesa.

Mi piace di cominciare con questo Ultimo sogno che potrebbe essere il primo di molta giovinezza. C’è un onesto languore e una vaghezza di sfumature tutta femminea. [p. 222 modifica]

In mezzo a ’l verde una casetta bianca,
Co’ monti a tergo e in lontananza il mare,
Con variopinte aiuole a destra e a manca
Che infioran de la soglia il limitare.

Fuori un’aria che sveglia e che rinfranca,
Dentro, una libreria d’opere rare,
Che a ’l gramo ingegno ed a la fibra stanca
Possan novella vigorìa prestare.

Poi, ne ’l mistero d’una chiusa alcova,
Ne la sua culla un roseo cherubino
Cui per restar con me sparvero l’ale.

È questo il nido che sognar mi giova,
È l’oasi del mio squallido cammino
Tempio a l’arte, a l’amore, a l’ideale.


Salutiamolo, passando, questo vivificante porto di pace che desidero a tutte voi care fanciulle; che alcuna di voi forse intravede già fra i rosei vapori del futuro come l’isoletta d’Elena e di Fausto — della Bellezza e del Sapere — ricinta dall’arcobaleno. Ecco un lembo d’orizzonte grigio, l’avanzo di chissà quale tremendo uragano che lacerato naviga verso di noi, lividamente triste nella sua tenuità:


RICORDO D’APRILE.

Ritorna il mio pensiero
A ’l pallido bambino
Che una sera d’aprile
Fu portato la giù ne ’l cimitero.
Intanto la sorella e il fratellino
Giuocan co ’l suo fucile,
Battono il suo tamburo,
Ed i guerrieri sgorbiano
Ch’egli tracciò su ’l muro.

Oserei dire che solo una donna poteva afferrare tutta la pietosa eloquenza dell’episodio e render[p. 223 modifica]la con tanta efficace semplicità. Il lirismo più alto, più suggestivo, più commovente nel più umile vero. Chi non è tocco dalla visione chiara di quella gaia scena di profanazione infantile, di quei giocattoli, unica eredità del povero bimbo sparito fra i fiori e i lumi in una sera primaverile, dispersa con incoscienza crudele così? Chi è che ha dei bambini cari e che non sente alla sobria arte di questi versi passarsi un brivido in mezzo al cuore e l’acuto desiderio di vederli accanto ai loro giochi subito subito subito?

E la poesia capace di far vibrare in questo modo le nostre intime fibre è bella, è buona, è vera poesia.

Udite due sonetti, solamente leggiadri questi, e intrisi del profumo d’eleganza e di mondanità dell’artistico ambiente dove sono sbocciati, come narcisi in un’anfora preziosa senza terra nè sole, dietro le cortine di raso che nascondono un po’ troppo di mondo qualche volta...


RISOLUZIONE.

Egli il silenzio vuol d’una Certosa
Antica da le arcate bisantine
Dove, monaco austero e in bianco crine,
Calmo finir la vita tempestosa,

Ella, del par fantastica e pietosa,
Giura che stanca di monili e trine,
In umili n’andrà vesti turchine,
Mite suora a chi soffre, a Gesù sposa.

Ei sogna i vecchi testi del trecento
Su cui vegliar le notti; ella s’infinge
A ’l capezzale ove il morente geme.

Sorridon tutti e due... Dopo un momento
L’un dice all’altro, mentre a sè lo stringe
Senti, amor mio, se si vivesse insieme?

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CONFIDENZE.

A l’ombra delle zàgare egli è nato
La giù, la giù de ’l nostro suolo in fondo
Da un alito cocente accarezzato,
Carezzato da ’l mar terso e profondo.

Poeta strano, forte, innamorato,
Due sole cose gli son care a ’l mondo,
Gli son care ne i sogni: il venerato
Materno capo ed il mio capo biondo.

Senti, se vuoi saper come avvenìa
Ch’ei restasse di me sire e padrone:
È un bozzetto che sà d’Andalusia.

Era di maggio un dì sull’imbrunire,
Ei mi gittò una rosa entro il balcone,
Io la raccolsi, e mi sentii morire.

Leggete ora questi frammenti della Casa dell’ava, che è troppo lunga per essere interamente trascritta; vi basteranno, credo, per indovinare che la Contessa Lara da esperta ricamatrice conosce tutta la delicatezza delle vecchie tinte; quelle vecchie tinte che Bourget e Loti adorano nella lor gentile e calma nostalgia del passato:

LA CASA DELL’AVA

Ne l’ostel solitario
In cui la vecchierella ava serena
Passa il tramonto de ’l suo tardo giorno,
De ’l buon tempo che sparve
Parla ogni cosa intorno.
Fra le sconnesse pietre
Del cortile s’abbarbica l’ortica
Parassita: de gli alti suoi gradini
Su ’l piedistallo, il pozzo
Sorge ne ’l centro ov’ascende a fatica

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Una ricurva fante,
E vi cala la brocca che scancella,
Ne l’ima onda percossa,
L’imagine de ’l suo grinzo sembiante.
Ne ’l salone dorato,
Da i centenari specchi
Cadde l’argenteo strato, e ancor su i vecchi
Arazzi de la Fiandra,
A le pareti accanto
Danzan pastori e ninfe
Ne i tarlati boschetti,
E scendon benedetti i raggi estivi
Che a quegli occhi sbiaditi,
Qual per magico incanto
Rendon fulgidi e vivi
I raggi de gli amori impalliditi.

In un angolo oscuro
Una spinetta dorme,
E quando tutto tace ivi s’ascolta
Come un sospiro; è il vento
Che tra le corde freme?
O l’eco de le note che una volta
Con le melodi semplici
Di Pergolese, l’ava
Da lo snello strumento
Fanciulla ancor, destava?

Schiudetevi, cassette
Odorose de i mobili intarsiati,
Piene di fogli e nastri,
Di trapunti, di seriche borsette
D’ambra e zàgara, e veli scolorati.
È un’ora di memorie, ed in quest’ora
Per voi da un morto secolo
Un alito di vita esala ancora.
  . . . . . . . . . . . .


E poichè ho detto il nome di quell’impareggiabile Pierre Loti, mi vengono in mente questi altri [p. 226 modifica]versi che qualche sua leggiadra japonerie deve aver suggerito alla Contessa Lara.

Il metro è quello dell’uta giapponese, l’arte, il colore, la grazia, sommi:


CONVERSAZIONE.

A una tavola in torno
Giocan tre donne,
Di fiori il capo adorno,
Ricche le gonne:
Fosco tramonta il giorno.

Una dice (un’anziana
Con grinzo il cuore):
— L’amore è cosa vana:
Passa l’amore
Come nube lontana.

Dice un’altra (una sposa
Fresca e ridente):
— È l’amore una rosa
Che sboccia aulente
Nell’anima festosa.

E l’ultima (una frale
Fanciulla, un fiore),
Dice; — Fu strazio eguale
Per me, l’amore,
A un colpo di pugnale.

Assorbono, fumando,
Tutte il thè verde:
E un gran sospiro a quando
A quando sperde
L’aura leggiera, errando.

E con questo fior di loto pòrto da una gemmata mano di dama vi lascio, signorine. Troppe visioni d’Oriente mi s’affollano alla fantasia, m’ipnotizzano. Purchè questo noioso cosmopolitismo dilagante non me lo cancelli, il mio Giappone! [p. 227 modifica]

Piccolo intermezzo in prosa.

«L’âme d’une jeune-fille ne doit pas être laissée obscure: plus tard il s’y fait des mirages trop brusques ou trop vifs comme dans une chambre noire».

Victor Hugo