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Decameron/Giornata decima/Novella quarta

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[IV]

Messer Gentil de’ Carisendi, venuto da Modona, trae della sepoltura una donna amata da lui, sepellita per morta, la quale riconfortata partorisce un figliuol maschio; e messer Gentile lei ed il figliuolo restituisce a Niccoluccio Caccianemico marito di lei.


Maravigliosa cosa parve a tutti che alcuno del proprio sangue fosse liberale: e veramente affermaron, Natan aver quella del re di Spagna e dell’abate di Cligni trapassata. Ma poi che assai ed una cosa ed altra detta ne fu, il re, verso Lauretta riguardando, le dimostrò che egli disiderava che ella dicesse; per la qual cosa Lauretta prestamente incominciò:

Giovani donne, magnifiche cose e belle sono state le raccontate, né mi pare che alcuna cosa restata sia a noi che abbiamo a dire, per la qual novellando vagar possiamo, sí son tutte dall’altezza delle magnificenze raccontate occupate, se noi ne’ fatti d’amore giá non mettessimo mano, li quali ad ogni materia prestano abbondantissima copia di ragionare. E per ciò, sí per questo e sí per quello a che la nostra etá ci dée principalmente inducere, una magnificenza da uno innamorato fatta mi piace di raccontarvi, la quale, ogni cosa considerata, non vi parrá per avventura minore che alcuna delle mostrate, se quello è vero, che i tesori si donino, l’inimicizie si dimentichino e pongasi la propria vita, l’onore e la fama, che è molto piú, in mille pericoli per potere la cosa amata possedere. [p. 252 modifica]

Fu adunque in Bologna, nobilissima cittá di Lombardia, un cavaliere, per vertú e per nobiltá di sangue ragguardevole assai, il qual fu chiamato messer Gentil de’ Carisendi, il qual giovane d’una gentil donna chiamata madonna Catalina, moglie d’un Niccoluccio Caccianemico, s’innamorò: e perché male dell’amor della donna era ricambiato, quasi disperatosene, podestá chiamato di Modona, v’andò. In questo tempo, non essendo Niccoluccio a Bologna, e la donna ad una sua possessione forse tre miglia alla terra vicina essendosi, per ciò che gravida era, andata a stare, avvenne che subitamente un fiero accidente la soprapprese, il quale fu tale e di tanta forza, che in lei spense ogni segno di vita, e per ciò eziandio da alcun medico morta giudicata fu: e per ciò che le sue piú congiunte parenti dicevan, sé avere avuto da lei non essere ancora di tanto tempo gravida, che perfetta potesse essere la creatura, senza altro impaccio darsi, quale ella era, in uno avello d’una chiesa ivi vicina dopo molto pianto la sepellirono. La qual cosa subitamente da un suo amico fu significata a messer Gentile, il qual di ciò, ancora che della sua grazia fosse poverissimo, si dolfe molto, ultimamente seco dicendo: — Ecco, madonna Catalina, tu se’ morta: io, mentre che vivesti, mai un solo sguardo da te aver non potei; per che, ora che difender non ti potrai, convien per certo che, cosí morta come tu se’, io alcun bascio ti tolga. — E questo detto, essendo giá notte, dato ordine come la sua andata occulta fosse, con un suo famigliare montato a cavallo, senza ristare, colá pervenne dove sepellita era la donna: ed aperta la sepoltura, in quella diligentemente entrò, e postolesi a giacere allato, il suo viso a quello della donna accostò, e piú volte con molte lagrime, piagnendo, il basciò. Ma sí come noi veggiamo l’appetito degli uomini a niun termine star contento, ma sempre piú avanti disiderare, e spezialmente quel degli amanti, avendo costui seco diliberato di piú non istarvi, disse: — Deh! perché non le tocco io, poi che io son qui, un poco il petto? Io non la debbo mai piú toccare, né mai piú la toccai. — Vinto adunque da questo appetito, le mise la mano in seno, e per alquanto spazio tenutalavi, gli parve sentire alcuna cosa battere il cuore a costei, [p. 253 modifica]il quale, poi che ogni paura ebbe cacciata da sé, con piú sentimento cercando, trovò costei per certo non esser morta, quantunque poca e debole estimasse la vita; per che soavemente quanto piú poté, dal suo famigliare aiutato, del monimento la trasse, e davanti al caval messalasi, segretamente in casa sua la condusse in Bologna. Era quivi la madre di lui, valorosa e savia donna, la qual poscia che dal figliuolo ebbe distesamente ogni cosa udita, da pietá mossa, chetamente con grandissimi fuochi e con alcun bagno in costei rivocò la smarrita vita. La quale come rivenne, cosí la donna gittò un gran sospiro, e disse: — Oimè! ora ove sono io? — A cui la valente donna rispose: — Confortati, tu se’ in buon luogo. — Costei, in sé tornata e dintorno guardandosi, non bene conoscendo dove ella fosse e veggendosi davanti messer Gentile, piena di maraviglia la madre di lui pregò che le dicesse in che guisa ella quivi venuta fosse; alla quale messer Gentile ordinatamente contò ogni cosa. Di che ella dolendosi, dopo alquanto quelle grazie gli rendé che ella poté, ed appresso il pregò, per quello amore il quale egli l’aveva giá portato e per cortesia di lui, che in casa sua ella da lui non ricevesse cosa che fosse meno che onor di lei e del suo marito, e come il dí venuto fosse, alla sua propria casa la lasciasse tornare; alla quale messer Gentile rispose: — Madonna, chente che il mio disidèro si sia stato ne’ tempi passati, io non intendo al presente né mai per innanzi; poi che Iddio m’ha questa grazia conceduta, che da morte a vita mi v’ha renduta, essendone cagione l’amore che io v’ho per addietro portato; di trattarvi né qui né altrove se non come cara sorella. Ma questo mio beneficio operato in voi questa notte merita alcun guiderdone: e per ciò io voglio che voi non mi neghiate una grazia la quale io vi domanderò. — Al quale la donna benignamente rispose, sé essere apparecchiata, solo che ella potesse, ed onesta fosse. Messer Gentile allora disse: — Madonna, ciascun vostro parente ed ogni bolognese credono ed hanno per certo voi esser morta, per che niuna persona è la quale piú a casa v’aspetti: e per ciò io voglio di grazia da voi che vi debba piacere di dimorarvi tacitamente qui con mia madre [p. 254 modifica]infino a tanto che io da Modona torni, che sará tosto. E la cagione per che io questo vi cheggio è per ciò, che io intendo di voi, in presenza de’ migliori cittadini di questa terra, fare un caro ed un solenne dono al vostro marito. — La donna, conoscendosi al cavaliere obligata, e che la domanda era onesta, quantunque molto disiderasse di rallegrare della sua vita i suoi parenti, si dispose a far quello che messer Gentile domandava, e cosí sopra la sua fede gli promise. Ed appena erano le parole della sua risposta finite, che ella sentí il tempo del partorire esser venuto; per che, teneramente dalla madre di messer Gentile aiutata, non molto stante partorí un bel figliuol maschio, la qual cosa in molti doppi multiplicó la letizia di messer Gentile e di lei. Messer Gentile ordinò che le cose opportune tutte vi fossero e che cosí fosse servita costei come se sua propria moglie fosse, ed a Modona segretamente se ne tornò. Quivi fornito il tempo del suo uficio ed a Bologna dovendosene tornare, ordinò, quella mattina che in Bologna entrar doveva, di molti e gentili uomini di Bologna, tra’ quali fu Niccoluccio Caccianemico, un grande e bel convito in casa sua; e tornato e smontato e con lor trovatosi, avendo similmente la donna ritrovata piú bella e piú sana che mai, ed il suo figlioletto star bene, con allegrezza incomparabile i suoi forestieri mise a tavola, e quegli fece di piú vivande magnificamente servire. Ed essendo giá vicino alla sua fine il mangiare, avendo egli prima alla donna detto quello che di fare intendeva e con lei ordinato il modo che dovesse tenere, cosí cominciò a parlare: — Signori, io mi ricordo avere alcuna volta inteso, in Persia essere, secondo il mio giudicio, una piacevole usanza, la quale è che, quando alcuno vuole sommamente onorare il suo amico, egli lo ’nvita a casa sua, e quivi gli mostra quella cosa, o moglie o amica o figliuola o che che si sia, la quale egli ha piú cara, affermando che, se egli potesse, cosí come questo gli mostra, molto piú volentieri gli mostrería il cuor suo; la quale io intendo di volere osservare in Bologna. Voi, la vostra mercé, avete onorato il mio convito, ed io voglio onorar voi alla persesca, mostrandovi la piú cara cosa che io abbia nel mondo o che io debba aver mai. Ma prima che io [p. 255 modifica]faccia questo, vi priego mi diciate quello che sentite d’un dubbio il quale io vi moverò. Egli è alcuna persona la quale ha in casa un suo buono e fedelissimo servidore, il quale inferma gravemente; questo cotale, senza attendere la fine del servo infermo, il fa portare nel mezzo della strada né piú ha cura di lui; viene uno strano, e mosso a compassione dello ’nfermo, e sel reca a casa e con gran sollecitudine e con ispesa il torna nella prima sanitá: vorrei io ora sapere se, tenendolsi ed usando i suoi servigi, il suo signore si può a buona equitá dolere o ramaricare del secondo, se egli, raddomandandolo, rendere nol volesse. — I gentili uomini, tra sé avuti vari ragionamenti e tutti in una sentenza concorrendo, a Niccoluccio Caccianemico, per ciò che bello ed ornato favellatore era, commisero la risposta. Costui, commendata primieramente l’usanza di Persia, disse, sé con gli altri insieme essere in questa oppinione, che il primo signore niuna ragione avesse piú nel suo servidore, poi che in sí fatto caso non solamente abbandonato, ma gittato l’avea, e che per li benefici del secondo usati giustamente parea di lui il servidore divenuto; per che, tenendolo, niuna noia, niuna forza, niuna ingiuria faceva al primiero. Gli altri tutti che alle tavole erano, ché v’avea di valenti uomini, tutti insieme dissero, sé tener quello che da Niccoluccio era stato risposto. Il cavaliere, contento di tal risposta e che Niccoluccio l’avesse fatta, affermò, sé essere in quella oppinione altressí, ed appresso disse: — Tempo è omai che io secondo la promessa v’onori. — E chiamati due de’ suoi famigliari, gli mandò alla donna, la quale egli egregiamente avea fatta vestire ed ornare, e mandolla pregando che le dovesse piacere di venire a far lieti i gentili uomini della sua presenza. La qual, preso in braccio il figliolin suo bellissimo, da’ due famigliari accompagnata, nella sala venne, e come al cavalier piacque, appresso ad un valente uomo si pose a sedere; ed egli disse: — Signori, questa è quella cosa che io ho piú cara, ed intendo d’avere, che alcuna altra; guardate se egli vi pare che io abbia ragione. — I gentili uomini, onoratala e commendatala molto, ed al cavaliere affermato che cara la doveva avere, la cominciarono a riguardare; ed assai ve [p. 256 modifica]n’eran che lei avrebbon detto colei che ella era, se lei per morta non avessero avuta: ma sopra tutti la riguardava Niccoluccio. Il quale, essendosi alquanto partito il cavaliere, sí come colui che ardeva di sapere chi ella fosse, non potendosene tenere, la domandò se bolognese fosse o forestiera. La donna, sentendosi al suo marito domandare, con fatica di risponder si tenne: ma pur per servare l’ordine postole, tacque. Alcuno altro la domandò se suo era quel figlioletto, ed alcuno se moglie fosse di messer Gentile o in altra maniera sua parente; a’ quali niuna risposta fece. Ma sopravvegnendo messer Gentile, disse alcun de’ suoi forestieri: — Messer, bella cosa è questa vostra, ma ella ne par mutola: è ella cosí? — Signori, — disse messer Gentile — il non avere ella al presente parlato è non piccolo argomento della sua vertú. — Diteci adunque voi — seguitò colui — chi ella è. — Disse il cavaliere: — Questo farò io volentieri, sol che voi mi promettiate, per cosa che io dica, niuno doversi muovere del luogo suo infino a tanto che io non ho la mia novella finita. — Al quale avendol promesso ciascuno, ed essendo giá levate le tavole, messer Gentile, allato alla donna sedendo, disse: — Signori, questa donna è quel leale e fedel servo del quale io poco avanti vi fe’ la domanda; la quale da’ suoi poco avuta cara, e cosí come vile e piú non utile nel mezzo della strada gittata, da me fu ricolta e con la mia sollecitudine ed opera delle mani la trassi alla morte: ed Iddio, alla mia buona affezion riguardando, di corpo spaventevole cosí bella divenir me l’ha fatta. Ma acciò che voi piú apertamente intendiate come questo avvenuto mi sia, brievemente vel farò chiaro. — E cominciatosi dal suo innamorarsi di lei, ciò che avvenuto era infino allora distintamente narrò con gran maraviglia degli ascoltanti, e poi soggiunse: — Per le quali cose, se mutata non avete sentenza da poco in qua, e Niccoluccio spezialmente, questa donna meritamente è mia, né alcuno con giusto titolo la mi può raddomandare. — A questo niun rispose, anzi tutti attendevan quello che egli piú avanti dovesse dire. Niccoluccio e gli altri che v’erano e la donna di compassion lagrimavano: ma messer Gentile, levatosi in piè e preso nelle sue braccia il [p. 257 modifica]piccol fanciullino e la donna per la mano, ed andato verso Niccoluccio, disse: — Lieva su, compare; io non ti rendo la tua mogliere, la quale i tuoi e suoi parenti gittarono via: ma io ti voglio donare questa donna mia comare con questo suo figlioletto, il quale son certo che fu da te generato ed il quale io a battesimo tenni, e nomina’lo Gentile: e priegoti che, perché ella sia nella mia casa vicin di tre mesi stata, che ella non ti sia men cara: ché io ti giuro per quello Iddio che forse giá di lei innamorar mi fece acciò che il mio amore fosse, sí come stato è, cagion della sua salute, che ella mai o col padre o con la madre o con teco piú onestamente non visse, che ella appresso di mia madre ha fatto nella mia casa. — E questo detto, si rivolse alla donna e disse: — Madonna, omai da ogni promessa fattami io v’assolvo, e libera vi lascio di Niccoluccio. — E rimessa la donna ed il fanciul nelle braccia di Niccoluccio, si tornò a sedere. Niccoluccio disiderosamente ricevette la sua donna ed il figliuolo, tanto piú lieto quanto piú n’era di speranza lontano: e come meglio potè e seppe, ringraziò il cavaliere; e gli altri, che tutti di compassion lagrimavano, di questo il commendaron molto: e commendato fu da chiunque l’udí. La donna con maravigliosa festa fu in casa sua ricevuta, e quasi risuscitata con ammirazione fu piú tempo guatata da’ bolognesi; e messer Gentile sempre amico visse di Niccoluccio e de’ suoi parenti e di que’ della donna. Che adunque qui, benigne donne, direte? Estimerete, l’aver donato un re lo scettro e la corona, ed uno abate senza suo costo avere riconciliato un malfattore al papa, ed un vecchio porgere la sua gola al coltello del nemico, essere stato da agguagliare al fatto di messer Gentile? Il quale, giovane ed ardente, e giusto titolo parendogli avere in ciò che la trascutaggine altrui aveva gittato via ed egli per la sua buona fortuna aveva ricolto, non solo temperò onestamente il suo fuoco, ma liberamente quello che egli soleva con tutto il pensier disiderare e cercar di rubare, avendolo, restituí. Per certo niuna delle giá dette a questa mi par simigliante.