Del disordine e de' rimedii delle monete nello stato di Milano/Parte prima/Corollari

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Parte prima - Corollari

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COROLLARI


Queste regole che dipendono dal fatto, non dall’arbitrio di verun legislatore, hanno seguito [p. 408 modifica]quelle nazioni che si son rese padrone del danaro di Europa, e che non ci lasciano godere delle ricchezze che il soverchio che, per così dire, ne rigurgita indietro.

A misura che una nazione si allontana da questi principii, diminuisce in essa il danaro; la scarsezza del danaro produce l’aumento degl’interessi de’ capitali, con esso i debiti, poscia i fallimenti e quindi la perdita della pubblica fede, col destino della quale va inseparabile il commercio; sicché uno stato, benché vasto, rimane come il cadavere di un gigante, su cui passeggiano i più vili insetti.

Durante l’accrescimento della massa circolante si aumenta l’industria, che è quel fuoco sacro che i sacerdoti della patria e del ben pubblico debbono sempre mantenere acceso, e che forma la felicità e la vita delle nazioni; sminuita l’industria, languisce il commercio, e sulle sue rovine s’innalza la povertà: non quell’altiera disprezzatrice delle ricchezze che fu il Palladio della libertà di Sparta e di Roma, ma bensì quell’infingarda che produce la miseria e l’avvilimento delle nazioni, che cominciando dall’infima plebe si solleva per gradi sino al trono.

Questo stato di guerra, in cui Obbes ha creduto essere le genti, si verifica nel commercio e nelle monete, dove ogni nazione cerca d’arricchirsi coll’impoverimento altrui 1, e [p. 409 modifica]combatte più coll’industria che colle armi. Aprendo le storie, si trovano dall’indolenza cambiate in deserti e solitudini le più floride nazioni 2.

Lo sproporzionato regolamento delle monete è manifestamente contrario agl’interessi del sovrano; mediatamente, perchè impoverisce la nazione; immediatamente, perchè per un momentaneo guadagno che può aver fatto battendo cattiva moneta, perde un’annua rendita nel ricevere i tributi in quella stessa moneta cattiva a cui ha dato il nome e valore di buona.

Gli editti non possono cambiare i rapporti invariabili delle cose, nè si possono togliere gli effetti se si lasciano sussistere le cagioni. Quella nazione che pubblicasse editti contrarii al vero valore delle monete, farebbe lo stesso male che colui che tosasse o facesse moneta falsa; e contraddittoria a se medesima, punirebbe negli altri il male che essa ha fatto.

Gli errori in questo genere, simili a quelli di calcolo, per la loro piccolezza fuggono a chi non [p. 410 modifica]è ben cauto e illuminato; indi per una invisibile catena trovandosi moltiplicati all’immenso nel progresso, sono come un punto divergente, onde le nazioni si allontanano dalla loro felicità.

Il consultarsi in fatto di monete co’ banchieri e negozianti, i quali non al pubblico bene della patria levano gli sguardi, ma li ristringono nella sfera del loro interesse ben sovente opposto a quello della nazione, sarebbe lo stesso che se un generale consultasse col nemico il piano delle operazioni da farsi. Lo sbilancio delle monete è un fondo de’ più fertili per un banchiere.

Insomma niente è più fatale sì nelle monete, come in ogni altra classe di cose, quanto la confusione e il disordine in ciò che è la regola e la misura comune.

  1. Le perdite in questo genere sono come le corrosioni di un fiume, che quanto ne perde una riva altrettanto ne guadagna l’opposta; ed un abile politico potrebbe forse, esaminando i libri de’ negozianti Inglesi ed Olandesi, calcolare la felicità e miseria delle altre nazioni d’Europa.
  2. “A voir aujuord’hui la Colchide, qui n’est plus qu’une vaste forêt où le peuple qui diminue tous les jours ne défend sa liberté que pour se vendre en detad aux Tures et aux Persans, on ne dirait jamais que cette contrée eut été du tems des Romains pleine de villes, où le commerce appellait toutes les nations du monde. On n’en trouve aucun monument dans le pays, il n’y en a de traces que dans Pline et Strabon”. Montesquieu, Esprit de Loix.