Dell'Oreficeria rispetto alla legislazione/VII

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Tornando al proposito nostro, i lavori italiani, egizi, assiri, messicani, indiani e cinesi sono tutti quanti formati di materia pura. Nè si ha notizia se presso gli antichi esistessero leggi per guarentire i compratori dalle possibili frodi dei venditori; ma il silenzio degli storici fa credere che sia faccenda moderna affatto, che trae i principii dal medio evo, questa providenza governativa insieme con quella miriade di regolamenti che se pure facessero bene per qualche parte, fanno tanto male coi loro fastidi, che se non ci fossero sarebbe un sollievo, una consolazione. Ai regolamenti meritano di essere appaiate le [p. 14 modifica]formole di cui a tempi nostri si fa quell’abuso che non fecero gli antichi giureconsulti per soprastare al popolo, dicendo Cicerone: hoc (jus) civile quod vocant eatenus exercuerunt, quod populum præstare voluerunt. De legibus. Oggi parimenti la classe curiale si rende necessaria nelle più minime cose essendo impossibile ad altri fuorchè a quelli che ne fanno professione conoscere tutte le regolette che modcrano i negozi.

Ma è verisimile che tutti i popoli avessero le corporazioni d’artigiani come le ebbero i Romani, e che ai capi di quella dei lavoratori dei metalli preziosi fosse dato l’officio di mantenere l’onestà vigilando sopra gli orafi per rattenerli dall’ingannare i compratori. In generale tutti conobbero un po’ meglio di noi quel principio che insegna esser meglio lasciar fare ai privati interessi i quali non sono prosperi se la probità non gli guida; che gl’indigesti volumi delle leggi corrompono, se già non dan segno di corruzione; che soffre più colui che in tutti i negozi della giornata ha duopo del causidico, delle formole, delle regole che non colui che pate in mare. La moltitudine de’ regolamenti pone gli uomini in un labirinto di prammatiche e di pastoie donde non esce senza molti travagli. Gli antichi pertanto sapendo che in ogni arte come in quella dell’orafo, non approda a nulla l’abilità se non va unita a buona fede, lasciarono gli artisti assoluti da regole cancelleresche.

Si trovano ancora anelli, fibule, collane, braccialetti i quali hanno il ripieno di bronzo, di zolfo, [p. 15 modifica]ovvero di una pasta particolare che in alcuni per l’azione del tempo si è disciolta invadendo la fodera d’oro e macchiandola. Tali riempiture sono fatte per fortificare i lavori non già per frodare i compratori ai quali, come nel cinquecento, pesandoli sarà stato detto che l’oggetto conteneva tanto di bontà, tanto di lordo, prima di rimaner conformi del prezzo.

È doluto agli storici l’ufficio di notare che i primi a macchiarsi d’infamia coll’ingannare gli uomini furono alcuni governi i quali stamparono monete di rame coperte di laminucce d’oro e d’argento, e le sparsero nello Stato unite ad altre di buon valore acciocchè la fraude si celasse, ma non si celò quanto bisognava. Cosicchè si potrebbe dire a tutta ragione, che siffatti governi non per altro si dessero il carico d’impedire agli uomini d’ingannare il prossimo, fuorchè per timore di concorrenza, e tenacità dell’utile privilegio.