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Dell'Oreficeria rispetto alla legislazione/VIII

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Il sistema feudale del medio evo conferì veramente ai potenti il privilegio del male. Per esso dato il bando al lavoro libero, all’eguaglianza civile, non rimase altro titolo di sociale decoro che il dominio delle terre e come eravi feudatario e vassallo, valvassini e servi della gleba, contadini e castellano prepotente che governava dalle torri merlate; così nelle industrie cittadine, i maestri, priori o padroni signoreggiarono dispoticamente gli alunni e gli [p. 16 modifica]artefici a loro soggetti. E siccome pare fatato che i più massicci errori economici nascano e fioriscano in Francia, l’esempio della tirannia delle maestranze là si sviluppò e tiranneggiò le officine e i mercati, specialmente regnando quel re noverato fra’ santi. Allora fu compilato quel codice delle corporazioni intitolato libro de’ mestieri, il quale con lo scopo di metter fine agli inganni, soggiogò le industrie, quasi come al presente son soggiogate le nobili discipline coi gradi accademici, colla scienza comandata e tutte quelle pastoie meritamente sfatate dai propugnatori dell’insegnamento libero. Sotto i suoi re dispotici in Francia fu schiacciato lo spirito di novità e d’ogni genere d’intrapresa. I fabricatori sotto al rigido dominio dei preposti del governo, e che a sua imitazione esercitavano loro mestiere con duri modi, non si potevano arrischiare a nulla senza conculcare le leggi e mettersi a rischio di veder distrutti e confiscati i loro beni. Da pertutto i regolamenti sanciti dal principe ordinavano agli operai il modo di lavorare contrastando ogni mutamento con castighi severissimi. La storia delle umane aberrazioni è ricca d’insegnamenti: l’autore di cotali statuti fantasticava di conoscere meglio di chi fatica per vivere come si cavi la seta, si prepari la lana e il cotone, come si maneggi il fuso e la spola. Anche l’arte dell’orafo patì violenze in quasi tutta Europa, e per conseguenza l’amore per essa scadde e passò dagli artisti agli artieri che la maneggiarono con quella circospezione e abilità che usa nel ferro il magnano. [p. 17 modifica]Nulladimeno in Italia si mantenne libera sotto l’egida delle repubbliche, del favore de’ Mecenati, del clero conservatore, durando in tale indipendenza fino al secolo sedecimo, nel qual tempo risplendette di luce nuova e perfezionossi alla scuola del Finiguerra e di quello strano genio di Benvenuto Cellini. Andrea Orgagna autore della loggia de’ Lanzi, dei Novissimi, del campo Santo di Pisa, fu pittore, scultore, architetto, poeta e orefice, così il Pollaiuolo ed altri. Ma per gli esempi forestieri oscurossi anche in Italia e subì il fato comune nel secolo che succedette, allorquando il rococò, barbaro nome di stile più barbaro, imperando come sogliono le mode, condusse forme inusitate e barocche, piene e pinze di frastagli con disegno arruffato da farti spiritare. Rimasero veramente alcune famiglie di abili artisti, le quali proseguirono ad insegnare l’arte del buon secolo, ma vi applicarono disegno abbietto, allontanandosi sempre più dalle tradizioni patrie e adoprando ori di bassa lega, come già era in uso nelle provincie napolitane ove dominando Spagnuoli e Francesi, colle continue scorrerie e contese, ebbero per tempo guasti i costumi e il buon giudizio artistico. Furono visti ori per fino colorati, come rossastri, verdastri e giallastri: comparse quindi per soprassello le leggi protettrici, come le chiamano, l’arte declinò sempre più, finchè fu perduta affatto colla rivoluzione e invasione francese. Venuto l’impero napoleonico, invalse un classicismo alla francese che equivale ad un classicismo bastardo, le forme antiche imitante con barbarie nuova, [p. 18 modifica]inteso al modesto officio di copiare gli originali senza intenderli, e però sconciandoli; ed anche in Italia invalse il reo uso massime dopo le restaurazioni: cominciò allora la mania di far tutto all’usanza de’ nostri vicini. La quale mania portò all’arte dell’orafo danno gravissimo; perocchè fu grande in Italia lo spaccio de’ nuovi giuocherelli francesi di dorato o d’oro stampati già da gente di mestiere, il che fece pervertire il gusto e venir vaghezza di sostituire l’apparenza al reale, il manierato al semplice, gli accessorii al principale, la stranezza al bello. Allora l’arte dell’orafo ebbe l’ultimo colpo di grazia, se pure le abbisognava, essendo forzata di volger le spalle al buon senso per servire il senso comune, adattandosi gli artisti ai nuovi capricci se non volevano chiuder bottega; perchè la concorrenza della merce forestiera, cui la classe popolare favorì strabiliando per la tenue spesa, pel bagliore di oggetti ne’ quali il pulzone fa le veci del cesello, la bizzaria surroga la bontà del disegno, ebbe sedotto i compratori.