Della congiura di Catilina/LIX
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Traduzione dal latino di Vittorio Alfieri (1798)
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Taciutosi Catilina, dopo un breve respiro, suonar facendo a battaglia, schierava nel piano l’esercito. Quindi, affinchè un eguale pericolo vieppiù tutti i soldati accendesse, faceva i cavalieri appiedare, e allontanare i cavalli, pedone egli stesso ordinandoli, come lo comportava il terreno e le forze. Terminava quel piano, da man manca nei monti; fiancheggiavalo a destra una rupe scoscesa: perciò Catilina, spiegate in fronte otto coorti, l’altre addietro più fitte collocò per riserva; dopo averne però trascelti ed estratti i Centurioni ed i meglio armati soldati per trasferirli nelle prime file. Al destro corno prepose Cajo Manlio, un Fiesolano al sinistro, stringendosi egli, coi liberti e i coloni, all’Aquila centrale, che dicevasi essere quella stessa, sotto cui Mario aveva debellati i Cimbri. Ma nell’opposto campo, Cajo Antonio non potendo per podagra in persona combattere, l’esercito commetteva a Marco Petrejo, Legato. Questi dispose in fronte le veterane coorti scritte per la guerra civile; il rimanente dietro esse per spalleggiarle. Antonio poi, per ogni fila a cavallo scorrendo, ciascheduno per nome chiamava, incoraggiva, esortava: Non obliassero, ch’essi, contro una vile ed imbelle genìa, per la patria, pe’ figli, pe’ Lari, pugnavano. Era costui veramente soldato; e stato nell’esercito da più di trent’anni con sommo suo lustro, a vicenda Tribuno, Prefetto, Legato, e Pretore; conoscendo egli quasi ciascun soldato, le più forti imprese sapendone, e lor rammentandole, i guerrieri animi a prova infiammava.