Della consolazione della filosofia/All'illustrissimo ed eccellentissimo signore il signor Cosimo de Medici
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Traduzione dal latino di Benedetto Varchi (1551)
SIGNORE
IL SIGNOR COSIMO DE MEDICI
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ALL’ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO
SIGNORE
IL SIGNOR COSIMO DE MEDICI
DUCA DI FIRENZE
SIGNOR SUO E PADRONE OSSERVANDISSIMO
Come fra tutti gli scrittori romani niuno fu, che io creda, sapientissimo e ottimo principe, nè più dotto in tutte le scienze, nè di maggiore santità di Severino Boezio, il quale fiorì negli ultimi tempi della lingua latina, quando i Goti avevano di già non solo occupato Roma, ma signoreggiato molti anni tutta l'Italia; così fra tutte l'opere di Boezio; favello di quelle le quali o la lunghezza del tempo, o gl'incendii delle guerre, o la trascuraggine de' principi spente non hanno; niuna, a mio giudizio, nè più dotta di quella, nè più santa si ritrova, la quale egli trovandosi, per la molta invidia che alla virtù e bontà sua era dagli uomini a lui dissomiglianti portata, prigione in Pavìa, e aspettando di essere, come poi fu, con grandissimo biasimo di Teodorico re de’ Goti, uomo per altro eccellentissimo, e infinito danno di tutto il mondo, dicollato, compose e intitolò Della consolazione della filosofia, la quale io per comandamento di V. E. I. ho dal favellare romano nel fiorentino idioma trasportata, traslatando, sì come spressamente imposto mi fu, le prose in parlare sciolto, e le varie maniere di versi in diverse varietà di rime. La qual cosa quanto malagevole sia a chi il nome del buono interprete conseguir desidera, coloro soli il conoscono, i quali in somiglianti esercizii o si sono infin qui provati, o si proveranno per l’avvenire; nè questo dico per me stesso difendere, il quale di questa traduzione altra gloria nè altro contento non aspetto, che l’avere prontissimamente a’ comandamenti di V. E. e con non minore fede che diligenza ubbidito: perciocchè, quando in me fossero tutte l’altre cose sommissime, che niuna ve n'ha, la quale assai meno che mediocre non sia, la cortezza del tempo è tale stata, che posso con verità dire, che molti stati sono di quei giorni, ne’ quali (per tacere delle prose, dove ho molto più di fatica, che io non credeva, durato) non una canzone sola, ma due m’è convenuto fornire, senza aver comodità avuta, non dico di rivederle e ammendarle, ma di rileggerle. Pure mi consola che quello che non ho potuto fare io, nè saputo, avranno per avventura fatto o faranno molti altri, de’ quali alcuno per commissione vostra, e molti di loro spontanea volontà si sono a volgarizzare la medesima opera messi; il che non si dee credere che fatto avessero, se forti a tanto peso e più degli altri gagliardi non si fossero sentiti. A’ quali io, se non con lieto animo, certo senza invidia nessuna la lode lascio e il vanto di tale impresa, pregando solo che gli errori da me per qualunque cagione commessi mi siano prima dal benigno giudizio vostro, e poi da tutti gli altri, se alcuno però queste mie fatiche leggerà mai, se non iscusati, almeno perdonati. E qui, pregando Dio che tanta sia la vita e la felicità vostra, quanta è la virtù e la bontà, farò fine.
- Umilissimo e devotissimo servo
- Benedetto Varchi.
- Umilissimo e devotissimo servo