Della dissimulazione onesta/IX. Del bene che si produce dalla dissimulazione

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IX.- Del bene che si produce dalla dissimulazione

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IX.- Del bene che si produce dalla dissimulazione
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IX.

Del bene che si produce dalla dissimulazione

Presupposto che nella condizion della vita mortale possano succeder molti difetti, segue che gravi disordini siano al mondo quando, non riuscendo di emendarli, non si ricorre allo spediente di nasconder le cose che non han merito di lasciarsi [p. 156 modifica]vedere o perché son brutte o perché portan pericolo di produrre brutti accidenti. Ed oltre a quanto avviene agli uomini, se pur si considera la natura per tante altre opere di qua giú, si conosce che tutto il bello non è altro che una gentil dissimulazione. Dico il bello de’ corpi che stanno soggetti alla mutazione, e veggansi tra questi i fiori, e tra’ fiori la lor reina; e si troverá che la rosa par bella, perché a prima vista dissimula di esser cosa tanto caduca, e quasi con una semplice superficie di vermiglio, fa restar gli occhi in un certo modo persuasi ch’ella sia porpora immortale; ma in breve, come disse Torquato Tasso:

quella non par che disiata avanti
fu da mille donzelle e mille amanti;

perché la dissimulazione in lei non può durare. E tanto si può dir di un volto di rose, anzi di quanto per la terra riluce tra le piú belle schiere d’Amore; e benché della bellezza mortale sia solito dirsi di non parer cosa terrena, quando poi si considera il vero, giá non è altro che un cadavero dissimulato dal favor dell’etá, che ancor si sostiene nel riscontro di quelle parti e di que’ colori che han da dividersi e cedere alla forza del tempo e della morte. Giova dunque una certa dissimulazion della natura, per quanto si contiene tra lo spazio degli elementi, dov’è molto vera quella proposizione che afferma di non esser tutt’oro quello che luce; ma ciò che luce nel Cielo ben corrisponde sempre, perché ivi tutte le cose son belle dentro e fuori. Or, passando all’utile che nasce dalla dissimulazione ne’ termini morali, comincio dalle cose che piú bisognano, dico dall’arte della buona creanza, la qual si riduce nella destrezza di questa medesima diligenza. E leggendosi quanto ne scrisse monsignor della Casa, si vede che tutta quella nobilissima dottrina insegna cosí di ristringer i soverchi disiderii, che son cagion di atti noiosi, come il mostrar di non veder gli errori altrui, acciò che la conversazione riesca di buon gusto.