Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse/Discorso Quinto

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Discorso Quarto Appendice e Documenti
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DISCORSO QUINTO.

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CAPITOLO UNICO.

Riepilogo finale ed ultima conclusione.



Nel nostro primo discorso, brevemente ricordata l’antica condizione dell'italiana civiltà, spiegammo per quali cause al rinascimento d’essa, venuto dopo la barbarie flagrante del medio evo, le vie di comunicazione, vero elemento di prosperità e misura della condizione civile d’un popolo, erano tra di noi men buone, quanto alle strade, sebbene quanto ai canali cominciassero ad essere meglio governate, giovando questi ad un tempo all’agricoltura ed all’industria.

Toccate di volo le speculazioni onde si alimentava il commercio di Roma più conquistatrice che trafficante, delle sue relazioni coll'Oriente, dove sempre è seguito il gran traffico, abbiamo parlato, notando come il Mediterraneo fosse il primo tra i mari navigati, e servisse a quelle relazioni, destinate a pascere il lusso della repubblica ed a nutrire il popolo re.

Cessato lo splendore della romana potenza, durante la quale gli Alessandrini erano fattori di mezzo mondo, come lo erano stati prima i Fenizi ed i Cartaginesi, ricordammo che i Greci nel Basso Impero, poi gli Arabi, quindi gl’Italiani al finire del medio evo avessero il primato commerciale.

Della malaugurata perdita di questo,, epperò della decadenza d'Amalfi, di Pisa, di Venezia e di Genova abbiamo successivamente parlato, ricordando quella decadenza derivata prima dalle lamentevoli italiane discordie; quindi dalla mutata via de’ traffichi, dopo la scoperta d*altre strade verso l’Oriente e il Nuovo [p. 483 modifica]Mondo; ondechè il primato suddetto, passato dall’Italia ai Portoghesi, poscia agli Olandesi ed Inglesi, in cotestoro consolidavasi a’ dì nostri, diviso in parte però con Francia e con Lamagna.

Per tali rivoluzioni notammo che la nostra Penisola dal lungo, fatale, rovinoso dominio spagnuolo, che ogni lume e bene spense tra noi, era così prostrata ed a miserrima condizione ridotta, da vedere i nostri mari deserti, i nostri campi incolti, le nostre città povere e spopolate, quant’erano altre volte ricche e fiorenti; lasciataci appena la memoria delle passate nostre glorie e dell’antica nostra prosperità, quasi a vergognoso confronto della flagrante nostra miseria.

Ha la divina provvidenza, osservammo, la quale non mai ci ha del tutto abbandonati, fe’ sorgere dallo stesso primato altrui, onde nasceva per noi tanto danno, l’occasione d’un nuovo rinascimento, il quale già esordisce e potrà compiersi, se avveduti, come altre volte, sapremo prevalerci dell’opportunità di tempo, applicando l’antico nostro proverbio: il mondo è di chi se lo piglia.

Tornato il commercio ormai alle antiche sue vie, mercè delle fortunate, perchè intelligenti ed ardite speculazioni degli Inglesi, ricordammo ancora come la favorevole nostra condizione di luogo, sempre sia tale, che se non potremo ne’traffichi ricuperare l’antico primato, colla nostra popolazione, così idonea alla navigazione e di svegliato ingegno, potremo tuttavia efficacemente associarci ai popoli ch’ora lo posseggono, partecipando agli immensi vantaggi che debbono ritrarsi dagli incessanti trovati dell’industria, e da un commercio praticato con proporzioni molto superiori a quelle antiche.

Brevemente descritta la storia di codesta nuova rivoluzione del commercio coll’Oriente, noi segnammo il corso ch’esso sembra voler prendere;— i mezzi di comunicazione onde va a servirsi; — le difficoltà sì di luogo, che sanitarie, le quali paiono ormai superate; — e, più di tutto, i vantaggi che si possono presumere dalla maggiore rapidità delle transazioni, prima condizione che assicura l’economia di tempo e di spesa ne’ trasporti.

Su codesti mezzi di comunicazione specialmente fissati i [p. 484 modifica]stri pensieri, del mirabil recente trovato delle vie ferrate e de’ veicoli sur esse scorrenti siamo giunti a parlare, toccandone con pochi cenni la storia; e, non esitando a proferire utilissima quest’altra rivoluzione ne’ traffichi, la dichiarammo senz’alcun dubbio atta a condur questi ad uno stato di mirabile fin ora ignota prosperità.

Per la nostra Italia specialmente, ravvisando cotale rivoluzione utilissima, dichiarammo esserci perciò risolti a tenerne particolare discorso, onde proporre allo studio ed alla discussione illuminata ed imparziale de, nostri concittadini come veramente si possano le vie ferrate ordinare fra noi; — come già esordienti esse vadano ne’ varii Stati della Penisola introducendosi a’ di nostri; — e come nell’interesse dell’intera patria comune convenga definitivamente ordinarle, acciò riescano a noi, che tutti dobbiamo considerarci quai membri della stessa famiglia, profittevoli davvero; la qual cosa è l’ultimo scopo del nostro lavoro.

Entrati pertanto in materia, seguendo l’assunto nostro, a fine di proceder in esso col necessario ordine, abbiamo, sulla scorta de’ fatti consumati, nel secondo discorso trattato de’ varii sistemi ordinati per le vie ferrate, si nella vecchia Europa, come nell’ancor giovane America settentrionale.

Discussa la rispettiva convenienza d’ognuno di que’ sistemi, studiandone i vantaggi e gl’inconvenienti, come i pericoli, ne accennammo li risultati finor conseguiti, là dove furono introdotti i sistemi preallegati, considerando quali fossero all’Italia applicabili, e quali no.

Fermate le nostre idee sur un’ultima formola d’ordinamento, a tre spedienti principalmente abbiamo avvertito, perchè da noi reputati più utili agli interessi attuali e futuri della Penisola.

1.° Li dove la condizione del credito governativo concede di sopportare la spesa della costruzione e dell’esercizio delle vie ferrate, abbiamo opinato, essere più conveniente che i governi, conservando le medesime in propria mano, per mezzo d’apposita azienda quelle nuove strade facciano costruire ed esercitare almeno per le maggiori linee d’esse, senza far capo dell’industria privata, non concedendole ad essa, come si è in più luoghi fatto. [p. 485 modifica]2.° Cotesto concorso dell’industria privata in vece si accetti senza alcun sussidio governativo in tutta od in parte soltanto della rete stradale che debbesi, previo attento studio delle attuali possibili relazioni sì interne che estere, combinare e decretare; — e le relative concessioni da farsi all’industria preallegata, non mai perpetue, ma temporanee, siano accordate a certe condizioni da pattuirsi fra le quali il privilegio de’ pedaggi riscossi su quelle strade, onde compensare le spese di costruzione dell’esercizio suddetto; — tutto ciò per le linee di più gran traffico, e dove la popolazione più agglomerata promette tale un concorso da assicurare un adequato prodotto atto a fornire il detto compenso.

3.° E là dove il primo partito è impraticabile, per la condizione economica del governo; ed il secondo non lo sembra del pari, perchè lo scarso traffico attuale ed il futuro presunto, come la minore popolazione non lasciano sperare che convenga all’industria privata d’assumere una tale impresa; la speculazione dovendo tuttavia ciò non pertanto riuscire utilissima agli interessi dell’universale, che ciascun governo ha il nobile e paterno mandato di promuovere e di tutelare con ogni maniera d’aiuti: perciò abbiamo creduto dover predicare la necessita ineluttabile di concedere tuttavia la costruzione e l’esercizio di quelle strade all’industria medesima, coll’accennato compenso de’ pedaggi, conceduti per a tempo, salva sempre la facoltà del riscatto anche prima della scadenza della concessione.

Siccome poi il detto compenso sarebbe talvolta insufficiente, premendo di risolvere i capitalisti all’impresa, fra i varii mezzi di sussidio governativo proposti ed usati, non abbiamo esitato ad affermare che l’assicurazione d’un interesse minimo del capitale impiegato dalle società concessionarie, sarebbe fra tutti lo spediente più profittevole sì agli speculatori, che ai governi ed all’universale.

Fondati in tal guisa i primi canoni dell’ordinamento proposto, nel terzo discorso abbiamo trattato della più speciale applicazione loro all’Italia nostra.

Ed in primo luogo, considerandone la posizione topografica, [p. 486 modifica]non abbiam dubitato nel dichiararla più che atta ad avere un ecceliente sistema di strade ferrate, in ben intesa rete di esse concertato.

Considerata inoltre più particolarmente l’attuale e futura presunta condizione de’ traffici già esposta, quella abbiam pur dichiarata col tempo dover riuscire ottima per ogni rispetto.

Considerate, in fine, le presenti necessità dell’Italia, non abbiamo parimenti tralasciato di predicare per essa urgente ed indispensabile un pronto ordinamento delle sue vie ferrate; — fatale, pericoloso, sommamente dannoso qualunque indugio a ciò fare; — una rovinosa segregazione, poterne infatti derivare dagli altri Stati della Penisola, come da quelli che sono oltre l’Alpi ed il mare; — doversi a qualunque costo scansare un tal danno; — averne i varii governi italiani il debito, come l’interesse più evidente; — non potersi, conoscendo le ottime intenzioni e l’illuminato criterio loro, temere ch’essi vogliano quindi ricusare ai propri sudditi un tàl beneficio, conscii, come pur sono, del paterno preallegato mandato ricevuto dalla Provvidenza di reggere i popoli in guisa che ne derivi il ben inteso progresso loro, epperò la vera prosperità pubblica.

Però, se le strade ferrate si giudicarono e predicarono da noi non solo utilissime, ma d’una urgente ed ineluttabile necessità, cui preme di soddisfare: la nostra imparzialità richiedeva che non si tacesse d’alcuni abusi e pericoli cui l’ordinamento di esse può porgere occasione, vogliam dire specialmente l’introduzione dell’aggiotaggio quando l’impresa di quelle vie concedesi a private società.

Quindi, mentre ogni nostro studio fu diretto a consigliare le strade ferrate più convenienti a ciascun Stato della Penisola, non abbiamo pretermesso le ripetute necessarie avvertenze tendenti a prevenire l’abuso sopr’accennato; e là dove per mala ventura e per errore de’ governi esso già riuscì a penetrar nello Stato, col dovuto rispetto ai governi medesimi, cui per dovere, come per istinto ci professiam riverenti, non abbiamo esitato però ad avvertirli del mal passo nel quale già inciamparono, od ancora son prosami a cadere, consigliando contemporaneamente gli [p. 487 modifica]tuni rimedi atti a sanare od a prevenire soltanto un male morale ed economico, che reputiamo grave per ogni rispetto.

Le ire cittadine e le gare municipali, peste antica d’Italia, e causa principale della rovina di lei, doveansi da noi notare, come si notarono infatti.

E siccome la tendenza del giorno è tutta di concorrenza mercantile; e col pretesto di questa,, le gare medesime vedonsi pur troppo inclinate a risorgere, od a mantenersi più vive, promosse nuovamente, come sono, e con raffinata malizia fatte nascere dai nemici dell’italiana quiete, concordia e prosperità: così era ufficio di buon cittadino, anche sotto quel velo combatterle, siccome abbiam fatto, pigliando l’assunto di dimostrare ai nostri concittadini, niuna concorrenza dovervi essere tra l’uno e l’altro scalo d’Italia; ognuno d’essi avere speciali, proprie, più naturali speculazioni, che possono sufficientemente occuparlo, e porgergli bastante guadagno, senza che gli occorra battere le altrui pedate, attentare ai lucri degli scali fratelli.

Codesta proposizione, difficile pur troppo a farsi gradire fra noi, ma non men vera perciò, frequentemente tratto tratto, ogni qual volta era opportuna, ripetemmo, onde riuscisse a persuadere l’universale: che dalla sola fusione d’interessi, di tendenze e d’opinioni concordi, unicamente dipende il nostro risorgimento; e che dal solo generale convegno degli Italiani in una sola famiglia pure dipende la vera nazionalità loro, e le conseguenze felici d’essa possono ottenersi.— -Le quali conseguenze sono interamente possibili senza alcuna lesione dell’indipendenza de’varii Stati della Penisola, com’è succeduto appunto nella Germania, risorta davvero soltanto dal di che, riunita in una confederazione di Stati connazionali, ella seppe creare opinioni, tendenze ed interessi conformi alla tedesca famiglia, della quale pertanto proponiamo l’esempio ai nostri concittadini. Abbiamo inoltre protestato in questo solo senso aversi le nostre parole ad intendere, non mai ad altri fini politici, cui ci terremo sempre estranei, potersi quelle sospettare rivolte; perchè ai veri interessi positivi' d’Italia badando unicamente, noi non crediamo consone ad essi altre idee, così come sono da taluni intese. [p. 488 modifica]Ricordate coteste generali avvertenze di massima, ci resta ora a richiamare al lettore brevemente le cose dette sur ogni Stato italiano relativamente al nostro assunto.

1.° E cominciando da quello dove fu prima aperta una via ferrata, il regno delle Due Sicilie, delle strade ferrate ivi costrutte ed esercitate parlammo, che da Napoli a Castellamare ed a Nocera de’ Pagani, e da Napoli a Caserta, a Capua ed a Nola vennero indirizzate: quella all’industria privata conceduta; questa in mano di regia azienda conservata. — Giudicando ambe le imprese, le predicammo utili, perciò lodevoli specialmente quando saranno nell’accennato modo compiute e perfezionate.

Passando nel seguito a trattare dei divisati futuri progetti colà surti, e valutandone la rispettiva convenienza, onde assicurare al regno una comunicazione collo Stato pontificio; il congiungimento dei due mari; ed il più facile accesso dall’Adriatico e dall’ionio all’Oriente: abbiamo discusso le varie direzioni proposte, predicandone la rispettiva e relativa utilità; conchiudendo coll’esprimere la lusinga che l’illuminato governo napoletano non ricusi d’attendere al beneficio assunto, col dotare codesta parte essenziale ed estrema della Penisola di quella frazione della rete comune, che debbe al ben inteso ordinamento delle strade ferrate italiane così efficacemente contribuire.

3.° Passando a parlare del regno Lombardo-Veneto, narrammo la storia della strada Ferdinandea, da Venezia a Milano; strada così utile, di tanto profitto sperabile, però da così lamentevoli vicissitudini per le note discordie accompagnata.

La storia quindi abbiamo esposta delle due strade minori pur concedute da Milano a Monza, e da Milano a Como; quella terminata ed in esercizio; questa neppure incominciata, per le seguite discordie anch’essa arenata.

Discusse nel seguito le varie linee proposte, e giudicata la rispettiva convenienza di esse, alcune modificazioni abbiamo suggerite, le quali ci sembrano dover riuscire profittevoli al commercio sì interno, che esterno del regno.

Lamentate le continue gare che condussero allo scioglimento di fatto della società concessionaria della strada Ferdinandea, [p. 489 modifica]con quella imparzialità di cui ci onoriamo: abbiamo tuttavia riconosciuto giusto ed inevitabile il preso partito; poiché quasi tutte le azioni della società suddetta eransi lasciate andare fuori d’Italia, quantunque in questa parte d’essa non mancassero però mezzi ed intelligenza, per conservarle e mandare a buon fine l’assunto. Terminando, abbiamo esposto il voto che per opera dell’illuminato governo austriaco sia mandata a termine la bella ed utile impresa; dai Veneti con maggiore alacrità, conviene ammetterlo, che dai Lombardi fin qui curata e proseguita; e vengano in quella pur fuse le altre imprese minori, com’è dalla rispettiva convenienza consigliato.

Ancora; abbiamo aggiunto: esser quella occasione opportuna, perchè la rete lombardo-veneta si congiunga a Trieste, onde avere una comunicazione non interrotta di via ferrata con Vienna; — dirigasi inoltre verso i laghi dell’Italia superiore, onde porgere accesso più pronto e più facile ai passi dell’Alpi, che ivi sboccano; — proseguasi verso il Piemonte e Genova, emporio naturale e principale dell’Italia superiore; — sia collegata all’Italia centrale, per Piacenza, Parma, Modena e l’Emilia, diretta per questa ad Ancona, scalo importantissimo, che all’Oriente conduce; — lo sia del pari a Roma da quello scalo, ed alla Toscana per Bologna. Nè abbiamo dubitato d’affermare che quelle ideate direzioni, attesa la ricchezza e feracità de’ luoghi popolatissimi che sarebbero dalle vie ferrate percorsi; e per le relazioni di commercio estero che faciliterebbero coll’intera Europa oltre l’Alpi, e coll’Oriente; come col Nuovo Mondo oltre il mare: promettono all’impresa largo compenso, e certamente le assicurerebbero una prospera condizione, accrescendo intanto la ricchezza, già così ragguardevole, di quelle italiane province.

3.° Brevemente discorrendo della strada triestina; che da quel ricchissimo emporio pei sommi gioghi dell’Alpi, con inuditi sforzi d’ingegno e d’arte debbe condurre all’austriaca capitale, ponendo così l’Italia in relazione colle molte strade germaniche e slave, ne abbiamo dimostrato la somma convenienza pel commercio sì dell’Italia, che dell’Oriente e del Nuovo Mondo coll’intera Lamagna e colle province slave. [p. 490 modifica]Queste avvertimmo essere chiamate a grande progresso dì civiltà e di ricchezza, come si appalesa dalle tendente in esse notate, che la prudente antiveggenza del governo austriaco saprà certamente regolare.

Giudicando poi dall’attuale prosperità dell’emporio di Trieste di quella futura che può sperare, attuati che siano i fatti divisamenti, non abbiamo esitato a presumerla molta e certissima.

4.° Trattando delle strade ferrate toscane, e de’ moltissimi divisamenti d’esse, con tanta facilità approvati, mercè delle varie concessioni accennate, che per amore di brevità non si ripetono, abbiamo giudicato la convenienza relativa di quelle diverse linee.

Sebbene con rammarico, ad onor del vero però, abbiamo creduto dover esporre dubbi gravissimi intorno alla reale utilità, e perciò intorno all’esecuzione effettiva di quelle linee.

Singolarmente poi ci siam creduti in debito di lamentare che siasi nella d’altronde felice, quieta ed illuminata Toscana lasciato così apertamente libero il campo all’aggiotaggio, aggiungendo codesto malanno morale ed economico gravissimo alla piaga del giuoco del lotto, cha già tanto travaglia quella contrada, recandole danno gravissimo ne’ due rispetti.

Perocché, molte fra le concessioni ottenute, a solo fine di giuoco di borsa ci paiono chieste, senza che sia lecito sperare di vederle eseguite; e quand’anche lo fossero, senza che possa presumersene mai compenso adequato al dispendio derivante dall’opera.

Nel desiderio sincero di rimediare alla critica condizione cui ci pare la Toscana avviata, continuando in un sistema di troppo facili e soverchie concessioni di vie ferrate, noi abbiamo creduto però di dover suggerire al suo governo di soccorrere le imprese veramente utili all’universale, che abbiamo indicate. Per le quali imprese la Toscana sarebbe posta in più facile, pronta e men costosa relazione coll’Emilia, colla bassa Italia, e col suo principale scalo marittimo di Livorno. — Quanto alle altre concessioni, poiché domandate, ripetesi, a solo fine di aggiotaggio, noi abbiamo reputato utile e giusto di proporne l’annullamento, indicando la cosa ancora legale e possibile. [p. 491 modifica]5.° Degli Stati sardi di terra-ferma ragionando poscia, abbiamo esposto la storia de’ varii progetti fatti per dotare il porto di Genova d’una via ferrata conducente al Po, indi alla capitale, alla Lombardia, al lago Maggiore.

Lodata la prudenza temporeggiante del prìncipe e del suo governo, il quale prima di risolversi maturamente studiò ogni quistione concernente alla pratica; poi appigliossi al più savio partito di far da sè, prevalendosi delle esitazioni e delle men fondate pretese d’una società che avea ottenuto una concessione provvisionale di studi da farsi; di quegli studi abbiamo discorso, e di quegli altri ulteriori che sarebbe conveniente intraprendere.

Tra codesti studi specialmente abbiamo celebrati quelli dal governo sardo ordinati per superare il passo dell’Alpi in val di Dora Riparia, e girne alla Savoia, alla Francia, alla Svizzera. — Il quale scopo, ove si potesse conseguir davvero, sarebbe il più fortunato evento che potrebbe succedere alla monarchia di Savoia, poiché verrebbe grandemente onorata nelle età future per l’esecuzione di sì ardito ed utile concetto.

Questo, di fatto, molto accrescerebbe i traffichi subalpini, restaurando la fortuna periclitante del genovese emporio, ed ai commerci dell’intera Penìsola riuscirebbe assai profittevole; dacché, mentre meglio li farebbe corrispondere colla Francia, colla Svizzera e con Lamagna, chiamerebbe definitivamente lungo l’Italia il passo de’ traffichi della Gran Brettagna coll’Oriente.

Cotesto primario interesse degli Stati sardi e d’Italia, lungamente discusso e mostrato degno della sollecitudine d’un governo paterno, non abbiamo tralasciato di ragionare di alcune altre linee ferrate interne proposte, delle une lodando il divisamento, dèlie altre confutando Terrore con quella temperata ed imparziale libertà, colla quale, da ogni spirito di parte o considerazione di luogo interamente sceverati, ci faremo sempre dovere ed onore d’esporre i nostri pensieri.

Narrate le linee decretate dal principe, mossi dalle preallegate cause di utilità generale, abbiamo esposto il nostro voto per quelle altre linee che ci sembrano inoltre utili ed opportune, nella [p. 492 modifica]fiducia di vederle a suo tempo esse pure eseguite, attesa la notoria illuminata previdenza d’un governo progressivo, il quale tanti e sì segnalati benefici già impartiva ai sudditi coi provvedimenti emanati da tre lustri in poi durante un regno fatto per ciò memorando.

6.° Brevemente parlando degli Stati parmensi, narrammo il già compito progetto in essi fatto d’una via ferrata che da Piacenza porti al confine verso Modena, passando per Parma, ed abbiamo espresso il voto di veder quel progetto finalmente approvato.

Dell’altro progetto parlammo poi, il quale protenderebbe quella da Piacenza verso il Piemonte e verso la Lombardia, non omettendo di lodarne il concetto, perché consentaneo all’interesse di tutta la rete italiana, che sarebbe così collegata.

Non abbiamo potuto proferire giudicio consimile intorno all’altro progetto di andar da Parma a Livorno per Pontremoli. Perocché la grave spesa, cui non è sperabile mai adequato compenso; le molte linee di confine da oltrepassare; il perditempo che nè deriverebbe per sottostare alle cautele politiche e daziarie, onde sarebbe scemato, se non fatto nullo, il beneficio, sono, a nostro parere, ostacoli gravissimi, quando non fosse ancora interamente insuperabile il rifiuto fatto dai governi sardo ed estense di concedere il passo.1

7.° Discorrendo nel seguito dello Stato estense, notammo come una sola linea di via ferrata sarebbe nella somma convenienza del medesimo di aprire, ed è quella che, dal confine parmense al pontificio passando, per Modena condurrebbe.

Abbiamo cercato di mostrare la non dubbia utilità di codesta linea, coi più irrefragabili argomenti, esprimendo il voto di persuader con essi il principe che regge quell’italiana provincia, acciò, dalle povere nostre parole convinto, intraprenda egli

i [p. 493 modifica]stessol’opera, come parrebbe più conveniente, od almeno conceda ad altri autorità di farla.

D’altri progetti di strade ferrate da Modena per la Toscana, attraverso l’Appennino, e da Modena pure verso la Lombardia, non abbiamo creduto che fosse spediente parlare, perchè assai dubbia ne sarebbe la convenienza, atteso il tenuissimo prodotto che potrebbe sperarsene, certo non atto mai a compensarne la ragguardevole spesa; avvertenza questa, la quale, si nell’interesse privato che pubblico, vuolsi ognora aver presente al pensiero quando s’intraprende di discutere l’utilità di consimili assunti.

8.° E parlando da ultimo degli Stati pontifici posti nell’Italia centrale, abbiamo narrato come il convincimento della felice posizione loro in fatto di vie ferrate muovesse alcuni ottimi cittadini della dotta Bologna ad ideare una società collo scopo di far costruire una strada dal confine modenese ad Ancona per Bologna e l’Emilia.

Esposto il progetto di quella strada, ed imparzialmente giudicato il medesimo, quello abbiamo lodato assai; non tralasciando però dal notare in questo, come in quasi tutti gli altri italiani progetti, l’errore d’insufficienti calcoli preventivi, menda questa pericolosa, perchè espone di poi le imprese a mancare dei necessari mezzi, e se succede loro di poi per mala ventura qualche discredito, può trarle anche all’estrema rovina d’un fallimento.

Quantunque l’approvazione del progetto di massima bolognese s’aspetti da molti mesi, sperasi ancora di ottenerla dal governo pontificio, mercè del deciso patronato che si degna accordargli l’eminentissimo cardinale Legato di quella provincia; e mercè altresì della fiducia che debbesi avere nell’illuminato discernimento del governo medesimo. Ondechè, credendo fermamente ad una prossima concessione, noi abbiam fondato il nostro discorso su tale affidamento. Quindi abbiamo discusso quali altre linee sarebbe ancora spediente congiungere a quella come sopra proposta.

In primo luogo notammo l’utilità di quella che sarebbe a Venezia diretta per Ferrara sino al Po, e quindi per Monselice e Rovigo a Padova. [p. 494 modifica]In siffatta occorrenza non abbiam tralasciato di parlar lungamente del modo di superare il difficile passo del Po; e specialmente abbiam creduto di dover trattare dell’ordinamento utilissimo della navigazione del gran fiume, ora trascurata: quantunque i patti di Vienna avessero stipulato liberta intera a tale proposito, e quantunque non sia difficile di superare alcuni ostacoli di luogo, ed alcuni altri di men fondate pretese insorte tra Stato e Stato, purché vi concorra reciproca buona volontà in una discussione imparziale.

Nel seguito abbiamo ancora parlato della linea tra Bologna e Firenze per le valli del Reno e dell’Ombrone; la qual linea, detta anche della Porretta, per le ragioni lungamente esposte, sembra doversi preferire alle molte altre pur suggerite in varia direzione.

Inoltre abbiamo ragionato della linea che da Ancona potrebbe andare a Roma, congiungendosi a Perugia con quella ivi condotta da Firenze per Arezzo: preferibile essa pure ad altre linee toscane, che da Siena o da Grosseto venissero al pontificio confine.

Della nessuna convenienza di queste linee ripetutamente fatto discorso, ugualmente abbiamo esposta l’inutilità dell’altra linea da Civitavecchia a Roma.

In vece molto profittevole, anzi necessaria al compimento dell’italiana rete, abbiamo chiamata la linea che da Roma ad un punto qualunque pel confine da convenirsi andrebbe verso Napoli, sia che per le Paludi Pontine rivolgasi, o sia che per l’altra attuale strada di Ceprano si diriga.

Prevedendo gli argomenti che taluni, avversi alle strade ferrate, credono contr’essi potersi invocare, specialmente nel rispetto politico, onde attribuir loro pericoli più temuti che reali: abbiamo creduto poter vittoriosamente combattere quegli argomenti, purché si discutano con uomini di buona fede, coscienziosi e leali, i quali vogliano seriamente discorrerne, e con lealtà; nè ricusino il mandato d’ogqi governo savio, quello di curare la pubblica prosperità.

Codesti argomenti noi crediamo provar senza replica: le vie ferrate, purché ben regolate, non presentare il menomo pericolo' [p. 495 modifica]politico, morale ed economico pei governi e pei sudditi. — Risultare anzi utili sì agli uni, cbe agli altri in sommo grado; — ai primi, perchè, oltre al facilitar loro i mezzi di dominio, nell’accrescere la comune prosperità, aumentano pure quella dell’erario; — ai secondi, perchè, porgendo alla produzione generale un immenso incitamento, fecondano in tal guisa la ricchezza de’ privati, de’ quali moltiplicano i lucri, che ne risulta l’agio universale ed un’evidente pubblica felicità.

Nel quarto nostro discorso, esposte le dottrine fondamentali, ed accennate le varie emergenze de’ luoghi dove quelle dottrine debbonsi applicare: siamo passati ad indicare in quali migliori maniere fosse più conveniente ed efficace accingersi all’ideata impresa d’ordinare in Italia un ben inteso sistema di vie ferrate.

Dopo aver parlato de’ modi di meglio assicurare la pronta, facile e men costosa corrispondenza de1 convogli ne’ continui loro andirivieni sulle varie strade fra esse collegate: siamo passati a lungamente discutere le cautele politiche, economiche, daziarie, di sicurezza ed altre, che tra noi voglioasi usare a tutela de’ molti interessi contrari, se non in sostanza, in apparenza almeno, che si presentano nell’ordinamento in discorso.

Di codeste cautele abbiamo dimostrata la necessità, la somma convenienza, i felicissimi effetti che possono sperarsene; i pericoli ed abusi che, mercè di esse, possono scansarsi, onde meglio conseguire il proposto intento.

Insistendo specialmente sull’abuso riprovevole dell’aggiotaggio, già descritto al capo primo ed al capo secondo, segnatamente al capitolo 8.° di questo: noi, dopo aver confutati tutti gli argomenti con cui taluni pretendono difenderlo od almeno scusarlo, insegnammo con quali regole più efficaci esso potesse prevenirsi e reprimersi, nell’ordinare le discipline relative.

Raccolte così le fila de’ precedenti quattro discorsi, in questo volendo ancora riepilogare, come si è fatto, le esposte discussioni, se ne deduce l’ultima conclusione che segue.

1.° Lq strade ferrate possono e debbono farsi in Italia, dove sono anzi un’urgente ed ineluttabile necessità.

2.° Quando si tralasciasse di fare le strade suddette, lo Stato [p. 496 modifica]che mancherebbe di quelle occorrenti alla sua posinone geografico-commereiale sarebbe infallantemente segregato dagli altri della Pènisola e dell’Europa intera nel rispetto civile e commerciale; quindi l’universale ne risentirebbe gravissimo danno morale ed economico; onde il governo ne avrebbe un notevole disdoro, per il trascurato pubblico vantaggio; ed anche un ragguardevole pregiudicio pel provocato malcontento de’ sudditi, giustamente dolenti di vedersi negato un siffatto mezzo di prosperità, a tanti altri popoli procurato dal proprio governo.

3.° I governi italiani, il cui buon credito finanziere concede di trovar denaro con tenue frutto da corrispondere, non debbono abbandonare all’industria privata la cura di costrurre ed esercitare la strada in discorso; — debbono anzi ciò fare direttamene per mezzo d’apposita azienda, da essi a tal fine instituita.

4.° Quando ostacoli insuperabili di finanza od altri non concedano ai governi d’assumere essi stessi l’impresa delle strade ferrate, o solo di farlo in parte, allora possono accordare la costruzione e l’esercizio privilegiato di tutte o d’alcune soltanto delle linee decretate all’industria privata. Se quelle linee sono giudicate bastantemente profittevoli per compensare della spesa occorrente, mediante la concessione d’un pedaggio privilegiato, non occorre quella d’altro sussidio governativo. Se reputasi poi quel pedaggio non sufficiente compenso, sopra ogni altro sussidio, è da preferirsi quello dell’eventuale corrispondenza d’un interesse minimo della somma spesa nell’opera, ove il prodotto netto di esso pedaggio non giunga ad eguagliare il detto minimo.

5.° Per iscansare il pericolo dell’aggiotaggio, quella concessione debbe contenere le occorrenti norme restrittive del traffico delle azioni e delle promesse delle azioni suddette, come il traffico de’ mercati a termine. — E per assicurarsi da ogni altro pericolo debbonsi adottare le occorrenti cautele politiche, economiche, daziarie, di sicurezza ed altre suggerite nel discorso IV appunto a tal fine, dopo aver al tempo istesso per bene assicurate le reciproche relazioni fra le varie linee, mercè della combinazione concertata delle corse de’ rispettivi convogli.

6.° Ciò premesso, ecco la gran rete di strade ferrate italiane, [p. 497 modifica]che dall’Alpi all’estremo confine della Penisola debbesi, a parer nostro, adottare, previo concerto fra varii governi d’essa.

Posta possibile una comunicazione oltre l’Alpi ne’ varii passi delle giogaie loro, che dividon l’Italia dal resto dell’Europa, noi crediamo non doversi bmdare a fatica ed a spesa per riuscir nell’assunto d’assictirare quelle comunicazioni mercè del nuovo trovato.

L’esempio dell’Austria, in fatti, può venir seguito, e sarà forse da essa medesima continuato anche dalla parte del Tirolo, ove snpponesi già fatta una concessione che può proseguirsi.

Lo sarà pure dalla Svizzera, dove si mostra da poco tempo molta premura per tali imprese, essendosi alcune d’esse attraverso i cantoni di Basileaj di Zurigo, di San Gallo, de’ Grigioni e del Ticino, la Dio mercè, recentemente intese.

Rispetto al gran traforo dell’Alpi, che debbe portare dal Piemonte alla Savoia ed oltre, sperasi che gli studi ora in corso concedano di tentar l’opera.

La facilità di superare le Alpi marittime verso il punto in cui da esse staccasi l’Appenino per correre l’Italia partendola, non lascia dubitare d’un esito felice quando si reputasse utile siffatto assunto.

Questi sarebbero i quattro punti per cui credesi possibile entrare colle nuove vie di comunicazione nella Penisola da oltre l’Alpi, che la separano dalla restante Europa.

Ora, da essi partendo, è facile anzi che no ideare l’accennata rete.

Lascisi per ora sospesa ogni idea intorno all’ultimo punto. Questo, partendo dal Varo presso a Nizza marittima, lungo il mure, col traforo d’alcuni promontorii verrebbe sino ad Albenga, per passare con un tunnel fatto al colle di San Bernardo nella valle del Tanaro, e quinci fino ad Asti; con diramazioue, se fosse giudicata spediente, da Pollenzo per Bra a Savigliano onde raggiugner Torino senza andar fino in Asti; e si lasci quest’idea sospesa finché più attenti studi economici mostrino veramente utile l’impresa; a meno che una società industriale solida, seria [p. 498 modifica]risponsale offerisse di assumerla a tutto suo carico, col solo compenso del privilegiato prodotto de’ trasporti.

Posta questa futura combinazione, secondaria d’altronde, all’uopo in sospeso, parliamo definitivamente delle altre fin d’ora possibili.

Due grandi linee dovrebbero scendere l’Italia; — l’una, partendo dalla Dora Riparia, verrebbe a Torino, Asti ed Alessandria, dove da una parte andrebbe, per Novi e il colle dei Giovi superato, al grande emporio di Genova, solo scalo naturale dell’alta Italia; — dall’altra parte andrebbe al lago Maggiore, cui verrebbero a sboccare le linee svizzere; — continuerebbe poi la gran linea suddetta, dopo quell’incrocicchiamento centrale di Alessandria, per Piacenza, Parma, Modena, Bologna e la restante Emilia, dove andrebbe far capo allo scalo di Ancona, da cui all’Oriente.

L’altra linea, partendo dal lago di Como, dove sboccherebbero pure le linee svizzere, verrebbe a Milano, e pel regno Lombardo-Veneto andrebbe a Venezia, abbreviata anche la via da questa all’altro estremo punto del lago di Como che mette alla Valtellina, mercè d’una derivazione da Chiari per Trezzo a Lecco ed oltre, onde scansare il giro per Milano a coloro che ivi non fossero rivolti.

Coteste due grandi arterie italiane potrebbero trasversalmente congiungersi da Torino a Milano; — da Genova a Milano pel punto di Vigevano od altro; — da Milano a Piacenza per Lodi e Casalmaggiore; — da Bologna, a Padova per Ferrara e Rovigo; — finalmente dall’estremità della via Ferdinandea potrebbe essa congiungersi a quella austriaca ohe viene a Trieste.

Sarebbe così la gran rete italiana fino a que’ punti di Genova, Ancona, Venezia e Trieste compiuta. Codesti punti servirebbero di scalo al commercio orientale di tutta Europa, in ragione delle rispettive provenienze.

La Toscana poi, con un sistema laterale a quelle due grandi linee, sarebbe ad esse collegata mercé d’una linea che da Livorno (suo emporio marittimo, scalo esso pure all’Oriente) [p. 499 modifica]verrebbe a Bologna, passando a Firenze e Pistoia per la via detta della Porretta, lungo le valli dell’Arno, dell’Ombrone e del Reno.

Avrebbe cosi la Toscana per l’Emilia e per la via verso Venezia accesso all’Adriatico, ed altri congiungimenti de’ due mari sarebbero in tal guisa assicurati.

D’altra parte, in Toscana una linea tra Firenze e Perugia per Arezzo potrebbe assicurare le comunicazioni colla bassa Italia; ivi incontrando la linea che sarebbe continuata da Ancona a Roma, seguendo all’incirca la direzione delle strade attuali.

Dalla capitale dell’orbe cattolico una linea potrebbe successivamente venir condotta a Napoli nella direzione riputata più conveniente fra le due che possono scegliersi; e quindi dal grande emporio partenopeo, esso pure scalo all’Oriente, dovrebbe portarsi attraverso i luoghi più popolati del Regno a quel porto dell’Adriatico o dell’Ionio che si crederebbe più spediente fra quelli di Termoli, Manfredonia, Brindisi, Otranto o Taranto, ed anche a due fra essi, onde avere cosi un altro congiungimento dell’Adriatico col Mediterraneo, e scali più inoltrati verso l’Oriente.

Una strada ferrata che dai mari del Nord, in più direzioni, attraverso tutta Europa venisse a varii scali italiani, direttamente corrispondenti col Levante, sarebbe pel commercio universale un tal vantaggio, che resta affatto superfluo tenerne altro discorso per dimostrare cosa di per sè troppo evidente.

Altre volte siffatta impresa sarebbe parsa ad ogni uomo savio un’utopia; ora non ne è più dubbia la possibile realtà, anche per coloro che men sono corrivi a credere alle ideate novità; perocché, dato che siano concordi le volontà che debbonosi accingere all’opera, nè mancano i mezzi per mandarla ad effetto, nè l’arte è insufficiente al bisogno.

Disse taluno che fra qualche anno i gradi dell’incivilimento delle nazioni si segneranno probabilmente sulla scala di proporzione delle popolazioni a’ miriametri delle strade ferrate che quelle possederanno.

Questa sentenza, si aggiunse, che a primo aspetto pare troppo materiale, è però fondata; dacché la materialità in questo caso è [p. 500 modifica]quella d’un corpo sano e ben disposto, il quale serve all’animo, all’intelligenza ed anche alla virtù.

Ora aggiungasi ancora, per l’ultima volta, cbe l’urgenza di giugnere a tal punto è per l’Italia somma.

Conciossiachè nel decennio incominciato le nuove abitudini commerciali possono stabilirsi; e se trascuriamo la presente opportunità di chiamarle fra noi coll’aprir loro numerose vie ferrate, che ad ogni tendenza, ad ogni interesse soddisfacciano, altri non mancheran di prevalersene, cogliendo il frutto d’una più sollecita speculazione.

Prese altre abitudini, spesso irremediabili, non ci sarà più nulla da fare per l’accrescimento de1 nostri commerci, delle nostre industrie, delle nostre agricolture, delle nostre grandi operosità nazionali in somma.

Allora, altro che primato, come voglion taluni, nemmeno parità otterremo; e se non provvediamo in tempo, decaderemo, ripetesi ancora, e grandemente, sinché giungeremo a così bassa condizione, che sarebbe difficile prevederla peggiore.

La divina previdenza, dalla quale altre volte fummo con evidente benefica protezione, scampati, quantunque a tristissima condizione ridotti, anche in questa occorrenza saprà, speriamolo, inspirare governanti e governati, a non frammettere indugio alcuno ad accingersi all’urgente profittevole assunto.

Nessuno, che abbia criterio atto a comprendere l’importanza degli interessi cui debbesi provvedere, vorrà, del resto, assumere in faccia alle più tarde età il gravissimo carico d’aver lasciato, non ostante una così opportuna occasione, consumare la nostra rovina, fallire ogni più fondata speranza.

La più severa, ma non men giusta condanna de’ nipoti rispetterebbe senza fallo, e le pagine d’una storia imparziale non mancherebbero di registrare l’errore..., dicasi pure, il reato!

In somma, l’opportunità è evidente.

Il ben deciso voto del pubblico, non può essere più favorevole.

I mezzi non mancano, dopo che uomini e capitali, fatti cosmopoliti, accorrono dovunque possono operare utilmente.

Tra di noi, ove prudenza, concordia e buona volontà [p. 501 modifica]presiedano alle necessarie combinazioni, le condizioni di tempo, di luogo e di persone non potrebbero essere migliori.

I governi italiani hanno inoltre tutte le condizioni di libera azione, mediante l’illimitata autorità loro attribuita, che ad essi concede d’operare senza il menomo ostacolo d’opposizione, sicuri ancora d’essere avvalorati dalla concorde approvazione della pubblica opinione.

Ancora; possedono tutti i lumi ed il criterio occorrente per guidarsi nell’opera, con attività, con prudenza, con savio accorgimento.

Il concorso di tanti e sì utili requisiti non può adunque tornar vano.

Le deluse nostre speranze sarebbero un così grande infortunio, che la mente nostra non osa fermarvi il pensiero, nella fiducia in cui vive, che il cielo voglia preservarcene.

In questa lusinga noi teiìniniamo il nostro discorso, ristringendoci soltanto ad alcune ultime dichiarazioni, necessarie a meglio chiarire le nostre intenzioni.

Nel proferir giudicio sul da noi reputato migliore ordinamento delle strade ferrate italiane, non pretendiamo aver promulgata alcuna sentenza assoluta; sibbene crediamo aver esposte quelle opinioni che pel maggior consenso d’uomini pratici de’ luoghi, come degli interessi d’ogni italiana provincia, ci venne fatto raccogliere, valutando le opinioni preallegate con imparziale criterio, scevro d’ogni idea municipale specialmente, e col solo pensiero anzi di promuovere, mercè delle nuove comunicazioni, quella tanto desiderata fusione d’interessi e di tendenze comuni a tutti gli abitanti della Penisola; la quale fusione, non cesseremo dal ripeterlo ancora, tutti debbiamo desiderare, perchè egualmente profittevole ai governanti ed ai governati, a qualunque delle province italiane essi appartengano.

Cotesta sentenza, cbe per l’ultima volta noi proclamiamo col più intimo convincimento d’un animo, mòsso da vera carità di patria, non sarà gradita a coloro che le grette emulazioni del municipalismo pongono a primo fondamento d’ogni speculazione cui s’accingono. [p. 502 modifica]Da sì opposto fine diretti, essi forse vorranno confutare le nostre proposte, pretendendo di provar necessaria la concorrenza e la rivalità; atto di mera dabbenaggine l’esser altrui generoso, per vedersi corrisposto, senz’alcuna reciprocità, con atti contrari; in somma ognuno dover pensare a sè, nè darsi guadagno vero senza l’altrui perdita.

A questi argomenti avendo noi già abbondantemente risposto nel corso del nostro lavoro, anche colle più eloquenti altrui parole, ci asterremo adunque dal replicare: dacché ciò sarebbe affatto inutile; troppo difficile essendo persuadere le altrui pregiudicate opinioni quando derivano da causa d’interesse privato, contrario a’ princìpi di pubblica economia e d’utilità generale.

Compiangendo adunque l’errore altrui, lasceremo, tacendo, che la sperienza dell’avvenire convinca anche i più schivi del fondamento delle nostre dottrine.

Narrando i fatti seguiti in ogni Stato italiano, ci siamo attenuti a tutti que’ documenti officiali ed a tutti que’ dati statistici che riuscimmo a procurarci, sì resi di pubblica ragione, che privatamente comunicatici dall’altrui benevola cortesia.

Di questa ci professioni gratissimi verso que’ molti che ci favorirono. Del maggior numero però de’ quali abbiamo taciuto i nomi, non già per appropriarci le idee altrui, senza attribuirle a coloro cui spettano; ma per una riguardosa discrezione, la quale ci ha consigliato di non indicare coloro cui dubitammo potesse ciò convenire per considerazioni private di luogo, di tempo ed anche di speciale propria condizione; le quali considerazioni, facili, del resto, a comprendersi da chiunque conosca la patria nostra, voglionsi rispettare ne’ tempi e nei luoghi in cui ci è dato di scrivere.

Nell’esprimere ogni nostra opinione, abbiamo cercato di farlo in termini moderati ed urbani, nè crediamo che alcuno posssa imputarci d’esserci scostati da tal regola, conforme, dd resto, alla nostra natura, alle nostre abitudini, ai princìpi religiosi e morali cbe ci facciam vanto di professare.

Che se alcuno diversamente giudicasse le nostre parole, attribuendo ad esse un senso che non han certamente: [p. 503 modifica]noi preghiamo l’indulgenza de’ lettori benevoli a volerle accogliere soltanto come l’espressione delle rette e temperate opinioni che abbiamo veramente inteso d’esporre, non mai con diverso sott’inteso fine di pungere chicchesia, di mancare di riguardo ad alcuno, d’essere diversamente interpretato.

Vero è che talvolta ci siamo espressi con indegnazione contro le male arti altrui; ma questa indegnazione., apertamente proferita, noi reputiamo onesta, perciò lecita, nè intendiamo qui certamente scolparci della medesima; chè anzi ci onoriamo di combattere ogni atto immorale, e dovunque ci venga fatto scuoprirlo, crediamo esser debito d’uno scrittor conscienzioso di farlo conoscere e di riprovarlo. Che se nel così fare spiaceremo ad alcuni tristi, da cui tali atti per bassa speculazione commettonsi: speriamo trovare largo compenso nell’approvazione de’ buoni, i quali, la Dio mercè, sono fra noi in numero infinitamente maggiore, ad essi unicamente avendo inteso indirizzare questo nostro qualsiasi povero lavoro.

Nè ci nascondiamo ancora, che taluna delle nostre opinioni potrà per avventura spiacere a coloro di cui contradice le idee, o può arrestare i progetti; che quindi l’opera nostra sarà occasione di qualche risposta tendente a confutare le nostre sentenze.

Non inclinati alle polemiche, noi dichiariamo fin d’ora di non aver inteso in alcuna parte di questo lavoro di provocarle. Epperò, ove si tratti soltanto di rettificar fatti, i quali, su meno esatte informazioni, fossero stati da noi esposti diversamente da quel che sono in realtà, purché ci si provi l’errore, da noi certo involontariamente commesso, e ci vengano dimostrate non fondate le conseguenze che ne avremmo dedotte: non esiteremo a ricrederci, devoti, come sempre saremo, alla santa causa del giusto e del vero.

Ma se in vece si trattasse soltanto delle dottrine economiche e morali da noi professate in questa scrittura, le quali dottrine taluno pigliasse l’assunto di confutare; siccome esse derivano da un coscienzioso convincimento, radicatosi nell’animo nostro dallo studio d’una già lunga vita e dalle più serie meditazioni [p. 504 modifica]confermato durante una pratica di più lustri ne’ pubblici uffici: così, nell’atto che rispettiamo l’altrui diverso pensiero, preghiamo però ci sia fatto lecito di rimanere senz’altro nel nostro, non già per ispirilo d’ostinazione, ma perchè siamo convinti dell’inutilità d’ogni ulteriore discussione.

Questa, di fatto, condurrebbe ad una superflua polemica, la quale; anziché eliminare le difficoltà, complicando le quistioni, non farebbe che accrescerle con pubblico danno.

Noi crediamo i nostri princìpi fedelmente e chiaramente esposti e formolati in modo esatto.

Quelli de’ nostri avversari possono esserlo del pari.

La pubblica opinione, alla quale con intera fiducia noi ne appelliamo, potrà perciò, fra le opposte sentenze, con intera libertà, bene informata, decidere, approvando o rigettando le rispettive dottrine, secondo che il proprio criterio d’ogni uomo imparziale ed illuminato, sempre giusto quando non è da false od erronee sposizioni sviato, saprà suggerirgli.

Su codesto criterio adunque noi riposiamo tranquillamente, e sulle nostre intenzioni, che osiamo affermare rettissime, come su quelle eguali de’ molti nostri ottimi concittadini, che vorranno dare qualche attenzione all’opera nostra.

In questa noi abbiamo, ripetesi, inteso a far prova di carità patria, e di modi temperati ed urbani.

Se a noi verrà con eguali sentimenti e con modi conformi risposto, come far debbesi tra buoni concittadini degni d’amarsi e di stimarsi a vicenda, noi ci proferiamo fin d’ora gratissimi a chi vorrà in si fatta guisa trattarci.

Che se in vece (come pur troppo succede talvolta fra noi, per difetto, crediamo, di pratiche discussioni, nelle quali si può avere diversa opinione senza scendere ad acerbità personali) si volesse tenere appunto questo sistema d’acerbità, noi dichiariamo fin d’ora, che, conservandoci indifferenti ad esse, tralascieremo assolutamente dal farvi alcuna risposta.

Devoti alla patria comune, per essa abbiamo scritto, non per altro fine; e certamente non per noi, che così poca parte pur siamo della repubblica. Quindi ogni ulteriore lavoro che [p. 505 modifica]ad oggetto personale fosse rivolto, non ci troverebbe sicuramente disposti ad attendervi con quello zelo e con quella costanza con cui non abbiamo esitato a dedicarci all’opera che abbiamo perciò appunto intitolata ai nostri concittadini.

D’altronde, superflua, lo ripetiamo ancora, sarebbe ogni altra nostra parola. Perocché finora noi scrivemmo coll’intendimento di giovare alla comune prosperità.

Se per buona nostra ventura abbiamo riuscito, ci reputeremo felici, e ne ringrazieremo la Divina Provvidenza, la quale ci ha permesso di compiere questa povera nostra fatica frammezzo alle molte infermità ond’é di continuo travagliata la misera nostra esistenza.

Che se avessero a tornar vani i nostri sforzi, sarebbe affatto inutile continuarli; quindi miglior partito sarebbe certamente un silenzio ulteriore. Il quale silenzio almeno non prolungherebbe discussioni inutili, anzi dannose e poco dicevoli, specialmente quando fossero accompagnate dalla menoma personale contumelia, onde potesse appunto derivare la continuazione di quei dissidii ch’abbiamo cercato di combattere costantemente in questi nostri discorsi.

Gli ottimi cittadini, de’ quali, la Dio mercè, pur tanto ancora abbonda la nostra Italia, approveranno, noi lo speriamo, questa condotta, da retto fine inspirata.

Di que’ pochissimi che non sono tali, crediamo, senza peccar d’alterigia, esser lecito di non curare il giudicio.

Raccomandata pertanto all’indulgenza de’ lettori benevoli la nostra scrittura, noi ci auguriamo, che possa non tornare interamente fallito lo scopo di essa; e che almeno, promossa dall’opera assunta la discussione sur una larga scala d’universale interesse, e non più circoscritta ne1 confini d’un gretto municipalismo, abbiano a derivarne risultati profittevoli alla comune prosperità, cui solo anelano i sinceri nostri voti.



Note

  1. Cotesto rifinto, notiamo ancora, si dovrebbe pur dare per altre strade proposte da Parma su Genova, le quali, potessero per avventura nel rispetto strategico nuocere alla difesa di quell’essenzialissimo antemurale della monarchia di Savoia.