Di Tito Lucrezio Caro e del suo poema De Rerum Natura/Appendici al discorso/G - Intorno alla genuinità del Testo Lucreziano

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G - Intorno alla genuinità del Testo Lucreziano

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p. 52. (G)

Intorno alla genuinità del testo lucreziano.

Inverosimile riesce il credere ad Eusebio che Cicerone siasi adoperato a rivedere e limare i libri di Lucrezio, primieramente e principalmente perchè questi sostengono quell’unica [p. 102 modifica]dottrina che il Filosofo Arpinate (sebbene in generale ecletico e dubitante) con assiduo ardore combatte; in secondo luogo perchè, fra tante sue pubbliche e gravissime cure, e colla meravigliosissima larghezza dei dettati che sono di certa sua pertinenza, assai difficilmente avrebbe questi trovato tempo da spendere intorno a lavoro non proprio, e ciò tanto meno, quando si volesse prestar fede ai detrattori del suo merito in fatto di poesia: ed infine poi, perchè, se davvero avesse dato opera a sì improba ed ardua fatica, avido com’era di gloria, non lo avrebbe taciuto, mentre a rincontro non solo dissimula la cosa, ma (credendo alla comun lezione delle sue epistole) assai avara lode egli concede al lucreziano poema (Ep. ad Q. Fr. II. 11).

Nell’escludere la mano di Cicerone anche Eichstædt è con me concorde; ma per altro l’opinione ch’egli spiega non mi persuade neppure essa gran fatto: «Lucretiani carminis olim duas fuisse recensiones, quarum altera illud exhiberet, prout de manu auctoris exisset, inchoatum et rude; altera limatum et a nescio quo politum, non item constanti et pertinaci studio perpolitum». E cotale opinione sarebbe poi più rincalzata dal Forbiger, solo che questi insisterebbe a provare che le modificazioni [p. 103 modifica]introdotte nel poema non debbano ricercarsi nelle parti più accurate ed eleganti, dovendosi secondo lui attribuire la seconda pubblicazione del poema stesso ad un qualche retore-verseggiatore della decadenza, vissuto probabilmente verso gli ultimi anni di M. Aurelio. Ora gli argomenti a cui l’uno e l’altro si appoggiano possono ridursi a due, l’ineguaglianza dello stile, e le spesse ripetizioni dei medesimi versi, modi, pensieri. Ma, anche a fronte di sì forti ingegni, sia lecito esporre qualche dubbio di opposizione. La disparità che nei libri di Lucrezio si nota passando da luogo a luogo, è per non poca parte giustificata dalla diversità delle trattate cose; e d’altronde, dovendosi riguardare questi come poeta di transizione, ultimo dell’età non peranco dirozzata e primo dell’età migliore, non basterebbe questo solo fatto a renderci ragione di quelle sconvenienze, di quelle ineleganze che fanno contrasto ai più perfetti modi del rimanente lavoro? Ma il più forte argomento sta in ciò che io non credo aver potuto Lucrezio rivedere e riforbire i suoi canti.

Virgilio lasciava incompiuti parecchi versi dell’Eneide; Lucrezio, o perchè dimenticasse i già scritti, o per non arrestare la foga del[p. 104 modifica]l’estro, lo sviluppo del pensiero, ne ripeteva non pochi, probabilmente riserbandosi di toglierli e variarli più lardi. Ed è allo stesso modo ch’io spiego le frequenti coincidenze delle stesse idee, delle stesse forme; perocchè non sene potrebbe rendere altrimenti un’equa ragione; e se mai altri avessero posto mano ai libri De R. N., la prima cosa ad emendare avrebbe dovuto esser questa.

Già il contrasto fra l’Eichstædt, che avrebbe supposto migliorato il lavoro dal suo rifacitore, ed il Forbiger che al rifacitore attribuirebbe il più grave danno del medesimo, sembra infermare l’autorità d’ambedue; e se poi le magagne del poema ci vietano d’accostarci alla sentenza del primo, non mancano titoli per volger in dubbio anche la più felice congettura del secondo. Un poeta qualunque, che con pieno sacrificio di sè stesso, rimanendo ignorato, avesse pur tolto,a ritoccare, se non anco a rifare i libri di Lucrezio, perchè doveva essere così ignorante da riprodurre le stesse forme o lasciarle inemendate? E quando vi avesse voluto intrudere qualche cosa del suo, piuttosto che infarcirvi qua e là alcun obbliato assioma epicureo, od alcuna immagine dell’autore già altrove adoperata, non vi avrebbe [p. 105 modifica](conformemente al mal vezzo dell’età decaduta a cui vuolsi che appartenesse) cacciato per entro antitesi e astrattezze, modi turgidi e abbaglianti? Non avrebbe egli sostituite volentieri alle anticaglie di luciliana ed enniana sembianza le novità tanto gradite all’esagerata scuola di Lucano e di Marziale?... Infine, se altri classici scrittori ànno ripetizioni e ineguaglianze, se anche il divino Omero alcuna volta, al dire d’Orazio, dormicchia, perchè vorremo riferire ad altro inferiore ingegno quel tanto che in Lucrezio apparisce languido o disacconcio, non bastandoci lo escusarnelo col dire appunto essere il suo poema opera di prima ispirazione?