Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano (raccolta)/Avvertimento

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Avvertimento

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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano (raccolta) Dedica
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AVVERTIMENTO.



Il «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo» è fra le opere più celebri che si hanno alle stampe in ogni ordine di letteratura, e forse assai più a motivo delle vicende che per causa di esso l'autore sostenne, per il metodo d’indagine scientifica che vi è così luminosamente insegnato, e per lo splendor della forma, che non per l’intrinseco valore, il quale è superato da altri scritti del sommo filosofo. Come ci attesta il Viviani1, Galileo lo andava volgendo nella mente fin dai primi tempi del suo soggiorno in Padova: ed infatti molti e molti degli argomenti, la trattazione dei quali trovasi coordinata nel Dialogo, hanno strettissime attinenze con quegli studi di cui egli si occupò mentr’era agli stipendi della Serenissima2. Scrivendo al Keplero, nel 1597, che ormai «multis abhinc annis» egli aveva abbracciato l’opinione Copernicana, aggiunge: «multas conscripsi et rationes et argumentorum in contrarium eversiones.... Auderem profecto meas cogitationes promere, si plures, qualis tu es, extarent; ac cum non sint, huiusmodi negotium supersedebo3; e fra i titoli delle opere che stava meditando, come scriveva a Belisario Vinta il 7 maggio 1610, e divisava di pubblicare quando una condizione più tranquilla di quella che occupava nello Studio di Padova gliene avesse concesso agio, sono in prima linea «2 libri de sistemate seu constitutione universi, concetto immenso e pieno di filosofia, astronomia e geometria4. La pubblicazione di un «Systema mundi» era stata del resto ripetutamente promessa da Galileo nel Sidereus Nuncius5, ed a questa promessa egli si era richiamato nelle prime linee del Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono6 e nella corrispondenza col Principe Cesi7. Ma, mentre questi lo confortava a rivelare al mondo il «sistema massimo», da altri invece, che aveva penetrato com’ egli avrebbe affermata e dimostrata la mobilità della Terra, ne era trattenuto8; e quantunque nelle varie scritture che andavano uscendo dalla sua penna, e che furono date in luce o fatte correre manoscritte per le mani degli amici e degli [p. 4 modifica]scolari, non sia difficile seguire lo svolgimento successivo del suo pensiero a questo proposito, pure egli differì dall’occuparsi exprofesso di tale materia e dal manifestare pienamente in pubblico le sue idee, nè compì per allora quel lavoro speciale che meditava: e questo fu grave danno, perchè nel frattempo andarono accumulandosi difficoltà ed opposizioni più o meno aperte, che resero tanto più malagevole, ed anzi impedirono, l’esplicita ed incondizionata sua adesione al nuovo sistema del mondo. Ad ogni modo, noi crediamo di non cadere in errore argomentando che quelle medesime cause che lo indussero a rispondere, dopo lungo silenzio, alla De situ et quiete Terme contra Copernici systema disputatio di Francesco Ingoli9, abbiano pure contribuito a fargli riprendere la intermessa, ma non mai pretermessa, fatica.

Della forma dialogica e del titolo «Del flusso e reflusso» che Galileo intendeva di dare al ripreso lavoro, troviamo per la prima volta menzione in una lettera a Cesare Marsili del 7 dicembre 162410; e sembra che il Nostro si proponesse allora di recarsi a Roma e di presentare per l’approvazione soltanto una bozza dell’opera, o di ottenere in generale che non si avversassero le dottrine in essa professate: dal qual partito lo distolsero il Cesi e il Ciampoli11.

Il lavoro, che nell’agosto del 1625 egli scrive di andar tirando innanzi12, apparisce intermesso nel dicembre dell’anno successivo13; ed anche sei mesi dopo gli amici sentono che procede con lentezza, la qual cosa dà argomento alle loro doglianze14. Nonostante che, in occasione della gravissima malattia dalla quale Galileo fu colto nel marzo del 1628 e che lo condusse in fin di vita, preso da timore che l’opera rimanesse incompiuta, egli facesse risoluzione di portarla a fine nel più breve tempo possibile15, tuttavia nel 1629, per ragioni a noi sconosciute, il lavoro soffrì un nuovo ritardo. Fu ripreso nell’ottobre, e il 24 dicembre Galileo partecipava al Cesi d’averlo «condotto vicino al porto»16: al principio dell’anno successivo i dialoghi erano «felicemente terminati»17, si leggevano in casa del canonico Cini18, e l’autore ne incominciava la revisione, dandone avviso agli amici ed aggiungendo che in breve li avrebbe avuti «in pronto per dargli alla luce»19; e la stampa si proponeva di farla in Roma, dov’egli stesso si sarebbe recato a curarla, «per non affaticar altri nelle correzioni»20. In questa determinazione egli era venuto, come par molto probabile, perchè, dovendo l’opera esser pubblicata per cura dell’Accademia dei Lincei, cioè a spese del Principe Cesi21, fosse evitato il pericolo di troppe scorrezioni e d’interpolazioni, com’era avvenuto per il Saggiatore22. Contemporaneamente però Galileo faceva tastare in Roma il terreno per prepararsi all’accoglienza ch’egli ed il suo libro vi avrebbero ricevuto, e ne scriveva in proposito, in una lettera che lamentiamo smarrita, sotto il dì 28 gennaio 1630 al fido Castelli, il quale si era già abboccato intorno a questo [p. 5 modifica]particolare col Padre Maestro del Sacro Palazzo, Niccolò Riccardi (quello stesso da cui era stato dato il nulla osta alla stampa del Saggiatore), ed aveva anche scandagliato l'animo del Card. Francesco Barberini, nipote del Papa e, come allora dicevasi, Cardinal Padrone. Quanto al P. Riccardi, partecipa il Castelli a Galileo «che era tutto suo, e che sempre averebbe fatta la dovuta stima della virtù di V. S., e che non ne dovesse dubitare»; e quanto al Card. Barberini, che faceva delle difficoltà, ma pure, quando Galileo avesse provato che la Terra non era una stella, «nel resto le cose potevano passare»23. Questa lettera incoraggiò il nostro filosofo nella correzione del suo lavoro; ond’egli scriveva, nel febbraio al Marsili24 e nell’aprile a Gio. Francesco Buonamici25, ch’era occupatissimo nel rivederlo e che lo faceva copiare, con intenzione di trasferirsi a Roma per pubblicarlo subito. Viepiù fiducioso nelle sorti della sua diuturna fatica dovette poi sentirsi dopo la famosa dichiarazione che, circa la proibizion del Copernico, il Pontefice stesso ebbe a fare a Tommaso Campanella e della quale il Castelli dava notizia al suo Maestro, cioè che: «Non fu mai nostra intenzione, e se fosse toccato a noi non si sarebbe fatto quel decreto»26.

Il primo di maggio del 1630 Galileo partiva da Firenze27 e due giorni dopo giungeva a Roma28, dove, per ordine del Granduca, era ospitato dal Marchese Francesco Niccolini, ambasciatore di Toscana, il quale, per antiche relazioni di famiglia29, era già disposto a favorirlo nelle pratiche ch’era venuto ad intraprendere, ed in ciò era aiutato assai efficacemente dalla moglie Caterina Riccardi, parente del Padre Maestro del Sacro Palazzo. Nessuna delle lettere che Galileo avrà scritto e alla Corte e agli amici, per informare sull'andamento delle trattative iniziate con la consegna del manoscritto, ch’era stato affidato per la lettura al P. Raffaello Visconti30, giunse insino a noi: soltanto i dispacci diplomatici ci danno notizia di difficoltà che si andavano sollevando rispetto alla licenza di stampa, a togliere le quali si stimò opportuno di agire, oltre che sul P. Riccardi, anche sul Visconti, interponendo altresì la mediazione del Principe Gio. Carlo de’ Medici31. Alcune modificazioni furono infatti concordate tra Galileo ed il P. Visconti, e questi sotto il dì 16 giugno scriveva al Nostro che il Dialogo era piaciuto al P. Maestro, il quale all’indomani avrebbe parlato al Papa «per il frontispizio dell’opera», e che del resto, «accomodando alcune poche cosette, simili a quelle che accommodammo insieme», il P. Maestro gli avrebbe restituito il libro32.

Addì 26 giugno Galileo partiva da Roma e, secondo apprendiamo da un dispaccio di tre giorni dopo del Niccolini al Cioli, «con intera sua satisfazione, e con la spedizione intera, merita dal suo valore e dalle sue gentilissime maniere, di quel suo aromatico negozio»33. Ed infatti riebbe Galileo il suo libro «sottoscritto e licenziato» di mano del P. Maestro34: licenza e sottoscrizione però tutt’altro che definitive, e delle quali sembra che Galileo dovesse servirsi appresso il Granduca e per poter cominciare a trattar col tipografo. [p. 6 modifica]Qual parte in tutto ciò abbia avuta Federico Cesi, non risulta affatto: certo è che, se Galileo contava sull’appoggio di lui, questo gli venne meno improvvisamente, poichè il 1° d’agosto il Principe dei Lincei mancava ai vivi. E di appoggi per condurre a felice conclusione le iniziate trattative Galileo aveva grandissimo bisogno, che le cose non erano così lisce come avrebbero potuto far credere il surriferito dispaccio dell’ambasciatore e la ottenuta licenza. Galileo stesso ne doveva essere convinto, se, partendo da Roma, aveva annunziato agli amici che presto vi sarebbe tornato35: di tornarvi infatti aveva, preso impegno col P. Riccardi, per accomodare con lui «alcune coselle nel proemio36 e dentro l’opera stessa»37. E forse con questi ragionevoli timori si connette il tentativo fatto da Galileo appresso il Baliani, nell’agosto del 1630, per far stampare il suo libro a Genova38.

Intanto, che dopo la partenza del Nostro da Roma nuove difficoltà fossero sorte, appare da quello che il 24 agosto 1630 il Castelli scriveva a Galileo: «Per molti degni rispetti, che io non voglio mettere in carta ora..., crederei che fosse ben fatto che V. S. M. I. facesse stampare il suo libro costì in Firenze, e lo facesse quanto prima». Il Castelli aggiunge d’aver trattato in proposito col P. Visconti, e d’aver ricevuto in risposta che a ciò non v’era «difficoltà di sorte alcuna, e che desidera sopra modo che venga alla luce questa opera»39. Galileo rispondeva con una lettera, la quale ne accompagnava un’altra per il P. Maestro: in queste lettere (oggi ambedue perdute) doveva egli pregare d’essere esonerato dal recarsi a Roma, allegando il motivo della peste che andava serpeggiando, e chieder l’assenso di stampare il libro in Firenze; poichè il P. Maestro gli faceva sapere, esser necessario, prima che fosse data tale licenza, «mandare una copia del libro qui in Roma, per agiustare insieme con Mons. Ciampoli quanto bisogna», ed il Castelli aggiungeva, da parte sua, stimare tale invio «assolutamente necessario»40. Tal cosa però non piaceva a Galileo, ed era inoltre resa malagevole dalla difficoltà dei passi, a motivo del contagio. Qui entra direttamente in campo la Caterina Riccardi Niccolini, la cui mediazione Galileo interpose appresso il P. Riccardi, ottenendo, almeno in parte, l’effetto desiderato; poichè l'ambasciatrice di Toscana gli scrive, sotto il dì 19 ottobre, che il Padre Maestro «è veramente, al solito, tutto suo, e per servirla in quel che può, dice che si contenterà che V. S. non mandi il libro intero da rivedersi, ma solo il principio ed il fine, con questa condizione però, che il medesimo libro sia rivisto da un Padre teologo della sua religione costì in Firenze, il quale sia solito di riveder libri ed adoperato a quest’effetto da’ Superiori di cotesta città»41. Il revisore, scelto da Galileo, fu il P. Giacinto Stefani, e la scelta fu, dopo qualche difficoltà42, ratificata dal P. Riccardi, il quale però insistè per vedere egli stesso il proemio e la fine del libro e per mandare al revisore «un poco d’instruzzione in questo proposito»43. Se non che, non ostante le promesse fatte all’ambasciatrice e ripetute anche al Castelli44, l’ordine al P. Stefani, col quale tali promesse avrebber dovuto aver seguito, non giungeva da Roma. Con [p. 7 modifica]siffatto ordine o senza, ebbe effetto ad ogni modo la revisione dello Stefani45: ma il proemio ed il fine, che il P. Riccardi s’era riservato di accomodare a sua intera sodisfazione, non venivano, cosicchè al principio del marzo del successivo anno 1631 Galileo si risolse ad invocare l’intervento del Granduca46; e questi ordinò «di scrivere efficacemente al Sig. ambasciatore Niccolini, acciò faccia con ogni vivezza e quanto prima l’offizio col Padre Maestro del Sacro Palazzo»47.

Il 19 aprile 1631 partivano da Roma due lettere: una del Castelli a Galileo, nella quale si diceva che il P. Riccardi «in ristretto vorrebbe il libro nelle mani, e promette che assolutamente lo licenziarà48»; l’altra del Niccolini al Cioli, in cui si legge: «Fu combattuto lunedì prossimo in questa casa assai a lungo il Padre Maestro del Sacro Palazzo dall’ambasciatrice e da me per l’interesse del Sig. Galileo, e finalmente fu accordato che ordinarebbe che ella (l’opera) si stampasse, però con cert’ordine o dichiarazione per suo discarico, del quale restò in appuntamento di scrivermene una poliza, perchè io potessi riferirlo puntualmente, e senza alcuna alterazione di parole, a V. S. Illustrissima»; e il Niccolini conclude: «Ma vero è che queste opinioni qua non piacciano, in particolare a’ Superiori»49.

Ma la «poliza» annunziata non compariva, ed in luogo di essa il P. Riccardi mandava, sotto il dì 28 aprile, all’ambasciatore una lettera, nella quale, riservandosi pur sempre di vedere da sè il proemio e la fine, promette di scrivere all’Inquisitore di Firenze, «significandoli quello che ha da osservar nel libro, distendendo quello che mi è stato commandato, acciochè, vedendo che si sia osservato, lo lasci correre e stampar liberamente»50. Circa un mese dopo il P. Riccardi, che in questo affare andava «un poco di male gambe», come scriveva il Niccolini51, spediva all’Inquisitore di Firenze le sue istruzioni, dalle quali risulta, anzitutto, che il titolo «Del flusso e reflusso» non era stato approvato, e che era mente del Pontefice che il titolo e soggetto proposto fosse «assolutamente della matematica considerazione della posizione Copernicana intorno al moto della Terra, con fine di provare che, rimossa la rivelazione di Dio e la dottrina sacra, si potrebbono salvare le apparenze in questa posizione, sciogliendo tutte le persuasioni contrarie che dall’esperienza e filosofia peripatetica si potessero addurre, sì che non mai si conceda la verità assoluta, ma solamente la ipotetica e senza le Scritture, a questa opinione. Deve ancora mostrarsi che quest’opera si faccia solamente per mostrare che si sanno tutte le ragioni che per questa parte si possono addurre, e che non per mancamento di saperle si sia in Roma bandita questa sentenza, conforme al principio e fine del libro, che di qua mandarò aggiustati. Con questa cauzione il libro non averà impedimento alcuno qui in Roma, e V. P. M. R. potrà compiacere l’autore e servir la Serenissima Altezza, che in questo mostra sì gran premura»52. Erano state compiute infatti, in via diplomatica, nuove sollecitazioni, causate da nuove istanze del Nostro53, il quale aveva già spedito al P. Riccardi, col mezzo del Niccolini54, il proemio e il fine dell’opera. Ma intanto Galileo, insofferente dei [p. 8 modifica]ritardi, faceva por mano alla stampa: e così, mentre il 5 luglio 1631 egli comunicava al Marsili che erano già stampati dei fogli del Dialogo55, di che questi si congratulava come se ogni ostacolo fosse ormai tolto di mezzo56 ancora il giorno 12 il Niccolini scriveva al Nostro che il P. Riccardi poneva sempre nuove dilazioni a consegnare il proemio e la fine aggiustati57 e soltanto il 19 gli partecipava che il Padre Maestro, «tirato, come si suol dire per i capelli» aveva acconsentito a liberare il proemio58; e sotto la medesima data lo stesso P. Riccardi inviava all’Inquisitore di Firenze il «principio o prefazione da mettersi nel primo foglio, ma con libertà dell’autore di mutarlo e fiorirlo quanto alle parole, come si osserva la sentenza del contenuto», ed aggiungeva: «Il fine dovrà esser dell’istesso argomento»59.

Tale a noi risulta dai documenti pervenutici la narrazione dei fatti occorsi circa la licenza di stampa del Dialogo; non interamente conforme, per verità, alle due contenute nel volume del famoso processo, a cui la pubblicazione del libro diede luogo60.

Superati tutti gli ostacoli, si proseguì con maggiore alacrità la stampa, che fu compiuta il 21 febbraio 163261. Nel proemio dell’opera è data ragione della forma dialogica preferita dall’autore; nulla è detto del tempo nel quale si fingono tenuti i ragionamenti; quanto al luogo, è la città di Venezia, e precisamente il palazzo Sagredo sul Canal Grande. Tre sono gl’interlocutori, Salviati, Sagredo e Simplicio: in due di essi Galileo volle immortalare amici carissimi, rapiti al suo affetto nel fiore degli anni; il terzo è un personaggio immaginario; e di essi, e della parte che nel Dialogo rappresentano, accenneremo brevemente, prima di venir a discorrere della nostra ristampa.

Filippo d’Averardo Salviati era nato di nobile famiglia in Firenze il 29 gennaio 1583: si crede sia stato discepolo di Galileo in Padova, e certamente con lui si legò in intima amicizia, tanto da volerlo a suo diuturno ospite nella Villa delle Selve, dalla quale sono date la prima e la terza delle Lettere al Velsero sulle macchie solari, e dove, come egli stesso scrive in tale occasione, proseguiva in compagnia dell’ospite le osservazioni celesti. Dietro proposta di Galileo il Salviati venne aggregato all’Accademia dei Lincei nel 1612, e morte immatura lo coglieva il 22 marzo 1614 in Barcellona, mentre viaggiava per distrarsi da un'umiliazione sofferta in una questione di precedenza, avuta con un principe di Casa Medici. Nel Dialogo il Salviati rappresenta Galileo stesso, il quale soltanto in alcuni casi, e dove più esplicitamente si accenna alle scoperte da lui fatte od alla [p. 9 modifica]sua persona, è indicato col nome di Accademico Linceo, o anche semplicemente Accademico, o, talora, nostro amico comune, ecc.

Giovanfrancesco di Niccolò Sagredo, di famiglia patrizia veneta, nacque in Venezia il 19 giugno 1571, e fu in Padova scolaro di Galileo, e poscia a lui stretto della più cordiale amicizia, cementata da altissima e reciproca stima: gli venne pure frequentemente in aiuto, sia con potenti raccomandazioni appresso la Serenissima, ogniqualvolta a Galileo occorressero anticipazioni od aumenti di stipendio, sia ancora nelle frequenti circostanze in cui era molestato o da parenti o da plagiari o da avversari. Egli vive immortale non solo nelle pagine di Galileo, ma anche nel copioso carteggio col Maestro, carteggio in cui si palesa osservatore finissimo ed una delle menti più acute del tempo, tale insomma da meritare il titolo di «suo idolo» datogli da Galileo62, che assai probabilmente non avrebbe effettuato il disegno di abbandonare lo Studio di Padova, se quand’egli prendeva tale determinazione, il Sagredo non fosse stato console per la Repubblica in Soria. Nel Dialogo il Sagredo si dice talvolta «semplice ascoltatore», ma in verità fa le parti del cólto profano fra i due competenti Salviati e Simplicio: è disposto favorevolmente alle nuove dottrine, e non mette alcun limite al suo entusiasmo quando ne rimane convinto; spesso riassume gli argomenti più difficili, già addotti, o li espone di nuovo in forma più piana; aggiunge anche ragioni proprie, e soprattutto vengono messe in bocca a lui quelle idee delle quali l’autore non vuole assumere la piena responsabilità, ma che tuttavia stima opportuno siano introdotte nella discussione.

Filippo Salviati e Giovanfrancesco Sagredo, il primo con la sola dottrina e con la stringatezza delle argomentazioni, il secondo con l’acume delle osservazioni e con l’umore arguto e talvolta satirico, integrano con sintesi mirabile il carattere ed il personaggio di Galileo.

Il terzo interlocutore, Simplicio, che col suo nome ricorda il famoso interprete degli scritti Aristotelici, è il rappresentante della scienza conservatrice, che pone il suo fondamento nell’autorità degli scrittori e che non riconosce altri argomenti se non quelli che dalle opere loro possono desumersi; ma non sembra che in esso il Nostro abbia voluto rappresentare una determinata persona, e tanto meno il Papa Urbano VIII, come i nemici del sommo filosofo vollero far credere63 prendendone occasione da ciò, che Simplicio ripete nel Dialogo l’argomento del quale il Pontefice soleva servirsi quando si discuteva innanzi a lui il moto della Terra.

Passando ora a parlare dei modi tenuti da noi nel riprodurre quest’opera, diremo anzitutto che abbiamo seguito l’edizione originale64, poichè nessun [p. 10 modifica]autografo nè copia manoscritta, che non derivi da quell’edizione65, son giunti, per quanto è a nostra conoscenza, infino a noi.

Di un breve tratto soltanto, e precisamente di quella parte della Giornata terza che concerne le stelle nuove del 1572 e del 1604 (pag. 301, lin. 34. — pag. 346, lin. 26, della presente edizione), e che forma una digressione dalla materia principale del Dialogo, ci è stata conservata, nelle car.3v. — 13v. del T. II della Par. IV dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, una stesura autografa, poco diversa da quella definitiva della stampa: e, attenendoci nel testo a quest’ultima, abbiamo raccolto appiè di pagina le varianti più notevoli (e insieme i più notevoli tratti cancellati) della lezione manoscritta, la quale ci fu preziosa anche per correggere, col suo sussidio, molti degli errori che, in siffatte pagine piene di numeri e calcoli, sono nella stampa più frequenti che nelle altre parti. Nell’apparato critico abbiamo chiamato l’autografo con la lettera G, quando era necessario contrapporlo alla stampa: ma si deve intendere che derivino dal manoscritto anche tutte quelle varianti di cui non è detto espressamente che siano della stampa, della quale abbiamo notato le lezioni erronee, ogni volta che ce ne siamo discostati per seguir G; in note a’ singoli passi abbiamo poi reso conto di altre correzioni di errori, concernenti numeri, che si riscontrano anche nell’autografo, ma che manifestamente si devono considerare come materiali trascorsi di penna del grande uomo. Abbiamo proceduto in questo però con somma prudenza, e conserviamo, pur facendone nota, altri errori che devonsi attribuire a inavvertenza o inesattezza dell’autore, e a’ quali si collegano gli ulteriori svolgimenti de’ calcoli, che altrimenti avremmo dovuto troppo alterare66.

Un certo numero di correzioni, in tutto il Dialogo, ci fu fornito da un esemplare dell’edizione originale, che forma ora il cod. 352 della Biblioteca del Seminario di Padova, e che appartenne un tempo a Galileo67, della cui mano sono alcune aggiunte e alquante correzioni marginali68. La maggior parte delle correzioni risguardano quelle medesime sviste della stampa che sono corrette nel foglio di Errata posto in fine dell’edizione stessa; ma alcune emendano altri errori, che in quel foglio non furono registrati: e di quest’ultime, introducendole nel testo, abbiamo fatto parola in note ai singoli passi. L’autore però, il quale, come sa chi ha pratica de’ suoi autografi, non era molto accurato ne’ minuti particolari, lasciò passare inosservati, anche in questo esemplare, molti più errori della stampa che non ne correggesse; perciò fummo costretti non di rado a ricorrere ad emendamenti, il che facemmo tuttavia soltanto quando la correzione era manifestamente necessaria69, e sempre studiandoci di toccare il meno che fosse possibile il testo della stampa. Gli emendamenti da noi introdotti sono i seguenti: [p. 11 modifica]

Pag. 85, lin. 17, tutti in luogo di tutte, che si legge nell’edizione originale — pag. 95, lin. 19, sesto in luogo di resto — pag. 106, lin. 21, Figuratevi in luogo di Figuratemi70 — pag. 109, lin. 24, che in luogo di chi — pag. 116, lin. 15, offuscata in luogo di offuscato — pag. 145, lin. 34, minori in luogo di minore — pag. 150, lin. 32, e del tutto è naturalmente in luogo di è del tutto, e naturalmente — pag. 154, lin. 27, quanti in luogo di quanto — pag. 159, lin. 21, dimostrazioni in luogo di dimostrazione — pag. 180, lin. 22, della in luogo di dalla — pag. 200, lin. 21, medesimo in luogo di medemo71 — pag. 208, lin. 27, alti, e bassi in luogo di bassi, ed alti (cfr. pag. 205, lin. 34-36) — pag. 213, lin. 29, parte in luogo di parete (cfr. lin. 3, 6, 28, ecc. della stessa pagina, e, più ancora, pag. 548, lin. 22, del vol. VI di quest’edizione) — pag. 228, lin. 14, tangente in luogo di segante — pag. 275, lin. 32, adoperarlo in luogo di adoperarlla (sic) — pag. 295, lin. 20, presa in luogo di preso — pag. 364, lin. 27, tale in luogo di tali — pag. 367, lin. 7, maggiori in luogo di maggiore — pag. 387, lin. 17-18, diecimilionesima in luogo di centoseimilionesima (vedi la nota 1 alla stessa pagina) — pag. 387, lin. 22, semidiametri in luogo di semidiametro — pag. 389, lin. 34, fac. in luogo di cap.72 — pag. 396, lin. 22, non in luogo di noi — pag. 418, lin. 12-13, inclinato dal perpendicolo sopra in luogo di inclinato sopra (cfr. pag. 419, lin. 6)— pag. 452, lin. 15, dall’ in luogo di dell’ — pag. 455, lin. 2, librazioni in luogo di vibrazioni (cfr. pag. 384, lin. 29, del vol. l’di quest’edizione) — pag. 461, lin. 20, primarie in luogo di secondarie (non ostante che a lin. 18 si legga terza cagione; cfr. pag. 392, lin. 12, del vol. V) — pag. 464, lin. 18, le in luogo di la — pag. 475, lin. 2, i in luogo di in — pag. 476, lin. 33, ADB in luogo di ABD (cfr. lin. 10 e 37 della medesima pagina).

Inoltre, a pag. 53, lin. 37, e a pag. 68, lin. 20, giudicando che la stampa originale abbia omesso qualche cosa che dovesse essere nel manoscritto dell’autore, abbiamo indicato la congetturata lacuna con dei puntolini, racchiusi tra parentesi quadre.

Buon numero di correzioni abbiamo pure introdotto nelle postille marginali e nell’indice delle principali materie trattate nell’opera, il quale è in fine del Dialogo: siccome però le rubriche dell’indice ripetono, per lo più letteralmente, talora con varietà di forma, le postille marginali, così, mentre abbiamo rispettato tali varietà, il confronto delle diciture ci ha permesso, d’altra parte, di correggere con maggior sicurezza quei materiali errori che nella stampa originale erano occorsi o nelle postille o nell’indice.

Rare volte l’errore si riscontrava tanto nella postilla marginale quanto nell’indice, e abbiam dovuto emendarlo qui e colà, e cioè:

A pag. 45, post. 2ª, e a pag. 506, lin. 19, retto, che è nella stampa originale, fu corretto in circolare — a pag. 387, post. 2ª e a pag. 515, lin. 35, centoseimilioni fu corretto in diecimilioni (cfr. pag. 387, nota 1).

L’indice finale corresse invece le postille marginali ne’ seguenti luoghi:

Pag. 48, post. 1ª per l’inclinata in luogo di per inclinata, che si legge nella stampa originale (cfr. pag. 506, lin. 22, della presente edizione) — pag. 58, post. 3ª, mondani d’andare in luogo di mondani andare (cfr. pag. 510, lin. 15-16) — pag. 123, post. 1ª, dall’ in luogo di dell’, e montuoso in luogo di montuosa (cfr. pag. 503, lin. 37) — pag. 130, post. 1ª, dal in


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luogo di del (cfr. pag. 511, lin. 20) — pag. 253, post. 2a, della in luogo di dalla (cfr. pag. 501, lin. 3) — pag. 256, post. 3a Vibrazioni in luogo di Vibrazione (cfr. pag. 519, lin. 28) — pag. 270, post. 1a, cose gravi in luogo di cose le gravi (cfr. pag. 512, lin. 11) — pag. 282, post. 3a presi in luogo di prese (cfr. pag. 513, lin. 22) — pag. 291, post. 2a dall’ in luogo di dal (cfr. pag. 517, lin. 33) — pag. 292, post. 2a, nell' in luogo di nel (cfr. pag. 496, lin. 29) — pag. 294, post. 1a, del in luogo di dal (cfr. pag. 493, lin. 1) — pag. 407, post. 3a Instanza in luogo di Instanze (cfr. pag. 509, lin. 12) — pag. 445, post. 2a del in luogo di dal (cfr. pag. 499, lin. 34) pag. 467, post. 1a, Dimostrasi in luogo di Dimostransi (cfr. pag. 509, lin. 28) — pag. 482, post. 1a, della disegualità in luogo di dalla disegualità (cfr. pag. 519, lin. 26).

Abbiamo anche corretto:

A pag. 208, post. 1a, della in luogo di dalla — a pag. 450, post. 2 a, acqua in luogo di acque:

le quali postille non sono registrate nell’indice finale.

Le postille marginali hanno, da ultimo, corretto l’indice finale ne’seguenti luoghi:

Pag. 496, lin. 26, operazioni in luogo di opposizioni, che è nella stampa originale — pag. 497, lin. 6, apparisce in luogo di appariscie — pag. 497, lin. 20, e alterazione è perfezion in luogo di è alterazione e perfezion — pag. 498, lin. 10, parte in luogo di parti — pag. 503, lin. 33, eclisse del Sole non in luogo di eclisse non — pag. 504, lin. 3, le più chiare montuose in luogo di le più oscure montuose — pag. 505, lin. 23-24, lucido non men in luogo di lucido men — pag. 505, lin. 32, osservarono in luogo di osservano — pag. 506, lin. 25, perpetuamente in luogo di per natura — pag. 507, lin. 28, Moto retto par in luogo di Moto par — pag. 508, lin. 27, dell'animale in luogo di de gli alterabili — pag. 509, lin. 5, nelle in luogo di alle pag. 509, lin. 12, moto annuo della in luogo di moto della — pag. 512, lin. 18, per la linea in luogo di per linea — pag. 514, lin. 11, ossi mobili tutti in luogo di ossi tutti (cfr. le post. 4a e 5a della pag. 283) — pag. 514, lin. 13-14, facilmente in luogo di naturalmente — pag. 516, lin. 30, nelle parti in luogo di nella parte — pag. 516, lin. 35, può reciprocamente operare in luogo di più reciprocamente opera — pag. 517, lin. 1, dal mare che dalla in luogo di del mare che dalla — pag. 517, lin. 11, La in luogo di Le — pag. 517, lin. 28, Si in luogo di Mi — pag. 519, lin. 17, inescusabile in luogo di scusabile.

Mentre stimammo di dover sanare, in questi modi diversi, quei trascorsi dell’edizione principe che, a nostro giudizio, sono da attribuire al poco accurato tipografo, abbiamo, per contrario, restituito in tutto il resto la lezione originale, che, più o meno, era stata ritoccata nelle precedenti ristampe, specialmente quanto alla lingua73: non abbiamo poi avuto alcun dubbio circa la legittimità di molti altri passi, ne’ quali ben si avverte che per la limpida espressione del pensiero manca qualche parola, oppure si desidererebbe una sintassi più regolare; poichè siamo d’avviso, che certo procedere men preciso o addirittura un po’ negletto, certi anacoluti viziosi, che in altri autori non verrebbe fatto d’incontrare e che nella prosa moderna sarebbero incomportabili, siano invece propri della prosa di Galileo, la quale, e in ciò sta molta parte del suo valore artistico, tiene assai (in questo Dialogo più forse che in altre opere) degli atteggiamenti bonari e punto aristocratici con cui potrebbe configurare il proprio pensiero una colta persona nella conversazione, non avendo nè tempo nè voglia di ricercare una forma di perfezione squisita74. Dall’edizione principe ci siamo [p. 13 modifica]distaccati invece (conforme al già fatto nei precedenti volumi) per quel che risguarda la punteggiatura, la quale abbiamo resa più razionale, sì che tenesse, fino a un certo punto, le veci d’un commento continuo; e nel collocar le postille marginali (omesse per lo più nelle ristampe) di fronte alle linee del testo a cui si riferiscono, abbiamo altresì usata maggior esattezza che non si vegga fatto nell’edizione originale.

Per tali cure la nostra edizione si avvantaggia, come a noi sembra, su tutte le anteriori, mentre è riproduzione ragionevolmente fedele della stampa assistita dall’autore medesimo. E per rispetto a questa stampa non abbiamo voluto inserire nel testo, diversamente dai precedenti editori, le aggiunte che Galileo stese più tardi e che si leggono, autografe di lui, nel già citato esemplare del Dialogo, che appartiene al Seminario di Padova: ma quelle aggiunte, e quelle che meglio si possono chiamare esplicazioni o postille, delle quali Galileo indica precisamente i luoghi a cui attengono, le abbiamo pubblicate in note a’ respettivi passi75; invece altri pensieri che hanno relaziona col Dialogo, e talora sono anche in forma dialogica, ma de’ quali forse neppure l’autore stesso aveva determinato, nonchè abbia indicato, in qual posto dovessero essere inseriti, poichè sono più che altro appunti di materie da svolgersi, segnati alla rinfusa, per ricordo, su alcune carte legate dinanzi al frontespizio del libro, li abbiamo raccolti tra i Frammenti attenenti al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, che facciamo seguire al Dialogo stesso. E questo ci parve partito migliore che disseminarli arbitrariamente qua e colà nell’opera, con la sola guida incertissima dell’affinità, talora lontana, degli argomenti.

Sotto tale titolo di Frammenti abbiamo infatti riunito dei materiali che derivano da fonti diverse, e non sono d’un medesimo tempo, ma che tutti si riferiscono al Dialogo, e perciò ne formano naturale appendice. Vengono in primo luogo (pag. 523-538) alcuni appunti e calcoli che si trovano, autografi di Galileo, nelle car. 14r.-24v. del T. II della Par. III dei Manoscritti Galileiani76, e in cui è facile riconoscere una raccolta di materiali messi insieme dal Nostro quando si preparava a stendere quella parte della Giornata terza che tratta delle stelle nuove. Sono infatti ricordi di pensieri che troviamo poi svolti nel Dialogo, dimostrazioni abbozzate o lasciate a metà, calcoli di varie specie, cose eterogenee77, scritte manifestamente sotto ispirazioni diverse e come si fa quando si profitta del primo [p. 14 modifica]pezzo di carta bianca che viene fra le mani: materiale greggio e quasi informe, e certamente anteriore anche a quella stesura autografa, e non definitiva, di cui abbiamo parlato più sopra. Una distribuzione di siffatta materia in un ordine qualsiasi, quand’anche fosse stata sempre possibile, avrebbe tolto a questi frammenti quel carattere che era bene conservare; perciò preferimmo, ad ogni altra maniera di riproduzione, quella a facsimile. Tuttavia nella disposizione di tali riproduzioni non credemmo opportuno di seguire quell’ordinamento arbitrario secondo il quale i fogli autografi, in origine l’uno staccato dall’altro, furono rilegati nel manoscritto che ora li accoglie; che anzi, prendendo per norma della nostra disposizione, per quanto era possibile, il contenuto delle singole pagine, e proponendoci di accostare quelle tra le quali vi fosse maggior affinità di materia, abbiamo talora separato anche il recto dal verso di una stessa carta, giudicando che la circostanza dell’essere scritte certe cose sulle due facce del medesimo foglio potesse essere del tutto casuale. Le pagine della nostra riproduzione rispondono pertanto nel seguente modo alle sedici facce scritte78 del codice: pag. 523 = car. 15 v.; pag. 524 = car. 23r.; pag. 525 = car. 23v.; pag. 526 = car. 24r.; pag. 527 = car. 24v.; pag. 528 = car. 14r.; pag. 529 = car. 16r.; pag. 530 = car. 18r.; pag. 531 = car. 19v.; pag. 532 = car. 17r.; pag. 533 = car. 17v.; pag. 534 = car. 20r.; pag. 535 = car. 19r.; pag. 536 = car. 22r.; pag. 537 = car. 16v.; pag. 538 = car. 14v. Le pag. 523-527, che formano come un primo gruppo, comprendono specialmente il confronto delle osservazioni di osservatori diversi, prese a due a due, e il semplice calcolo della parallasse che ne risulta (cfr. nel Dialogo dalla lin. 26 della pag. 309 in giù): le poche righe della pag. 527 ripetono quasi alla lettera il contenuto della parte superiore della prima colonna della pag. 526. Le pag. 528-535 costituiscono un secondo gruppo, che comprende i calcoli trigonometrici più lunghi e complicati, fatti da Galileo per un certo numero delle combinazioni binarie indicate nel primo gruppo, e da’ quali deduce la distanza della stella (cfr. da pag. 320, lin. 16 in poi): ma vi sono mescolate materie eterogenee, appartenenti in parte al gruppo primo, e non mancano ripetizioni, così che riesce impossibile stabilire un ordine assoluto tra i fogli che lo compongono. Noi abbiamo fatto precedere la pag. 528, perchè nella parte inferiore vi si legge una specie d’introduzione ai calcoli dei fogli seguenti, nella disposizione de’ quali abbiamo preso per base l’ordine delle combinazioni binarie tenuto nel catalogo che è nel primo gruppo: la pag. 534 contiene, in sostanza, le stesse cose che la seconda metà della pag. 532. Da ultimo, le pag. 536-538 formano un terzo gruppo, che comprende i calcoli trigonometrici quali si possono dedurre dalle altezze della stella prese da un solo osservatore, sopra e sotto il polo: a pag. 537 il Nostro aveva cominciato a scrivere ciò che poi, correggendo, trascrisse a pag. 536.

Alle riproduzioni in facsimile tien dietro (pag. 539) un frammento che si legge, di mano di Galileo, a car. 19 ar del T. VI della Par. IV dei Manoscritti Galileiani 79, e che ha attinenza alle cose di cui si discorre nel Dialogo, alla pag. 386, lin. 19 e seg.; e vengono quindi (pag. 540-546) i frammenti scritti sulle carte premesse all’esemplare del Dialogo che è posseduto dal Seminario di Padova80.

Noi li abbiamo pubblicati nella loro integrità, e ci parve opportuno riprodurli [p. 15 modifica]secondo il medesimo ordine con cui si seguono nell’autografo; ma per la tristissima condizione di alcune di quelle carte, le quali vanno ogni giorno più deperendo, la nostra lezione presenta qualche lacuna, nè potè sempre esser sicura. Il lettore è però avvertito d’ogni incertezza: poichè le parole o lettere che non si leggono più nel manoscritto, almeno intere, ma che o si ricostruiscono con sicurezza sulle reliquie rimaste, o, ad ogni modo, si congetturano senza che possa rimanere alcun dubbio (quando sia andata perduta una sola lettera tra altre conservate), le abbiamo racchiuse tra parentesi quadre, stampandole in carattere tondo; quelle parole invece che oggi nè si leggono nè si possono congetturare per indizi di fatto, ma che noi accogliamo sulla fede di altri studiosi, i quali si giovarono di quel manoscritto prima di noi, furono stampate in carattere corsivo e pur racchiuse tra parentesi quadre, e per ciascun frammento fu avvertito in nota sull’autorità di chi furono supplite quelle lacune81; da ultimo, abbiamo indicato con puntolini altre lacune che non potemmo in alcun modo riempire, o perchè neppure a coloro che ci precedettero riuscì di legger nulla in quei luoghi, o anche perchè non ci parve probabile che essi avessero letto esattamente. Appiè di pagina annotiamo qualche materiale errore caduto dalla penna di Galileo e che correggiamo nel testo, nonchè qualche altra particolarità dell’autografo.

Al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e ai frammenti che gli appartengono, seguono nel presente volume due scritture di due oppositori del sistema Copernicano, che fornirono materia a note e postille di Galileo.

Mentre infatti questi attendeva alla sua opera, andava raccogliendo, col mezzo degli amici, ciò che su quegli stessi argomenti s’era pubblicato e si pubblicava: quindi i suoi corrispondenti Elia Diodati e Pietro Gassendi, avendo saputo da Giovanni Battista Morin, professore di matematiche in Parigi82, ch’egli preparava una scrittura sulla questione della quiete e del moto della Terra, accettarono ben volentieri la sua proposta, di mandarne un esemplare a Galileo. Il Morin, il quale pretendeva di addurre ragioni nuove contro il Copernico e ambiva che fossero vedute quanto prima da Galileo, si affrettò a inviare l’opera mentre ancora non era per intero stampata: ma, nonostante che la Famosi et antiqui prohlematis de Telluris motu vel quiete hactenus optata solutio sia stata pubblicata nel 163183, la copia spedita al Nostro non pervenne nelle sue mani che quando da sei mesi il Dialogo era uscito alla luce; del che Galileo mostrò rincrescimento, dichiarando, in una lettera del 15 gennaio 1633 al Diodati ed al Gassendi, che se il libro del Morin gli fosse giunto in tempo, ne avrebbe tenuto conto84. Allorchè [p. 16 modifica]scriveva questa lettera, il Nostro aveva già letta l’opera del professore parigino; e possiamo credere ch’egli stendesse allora certe Note per il Morino, delle quali è pervenuto sino a noi l’autografo. Consiste questo in un quadernetto, appartenente alla Biblioteca Nazionale di Firenze e legato in calce all’esemplare della Solutio che già fu di Galileo e che porta oggi la segnatura B. A. 5. P. 1, n. 1285: a pag. 2 di quest’esemplare è pure scritta, di mano del Nostro, una postilla; e di fronte ai passi a cui si riferiscono le Note del quadernetto, si veggono dei segni marginali di richiamo, pur dovuti a Galileo e che si ripetono alcune volte di fronte alle Note stesse, e talora altri segni grafici men che onesti, traducibili in epiteti di scherno triviali accoccati all’avversario; i quali segni accompagnano anche altri passi che non sono presi in considerazione nelle Note.

Per riguardo unicamente a queste Note noi abbiamo dovuto dar luogo nella nostra edizione al libro del Morin: siccome però la Solutio contradice in generale al sistema Copernicano, ma non ad alcuna opera di Galileo, il quale vi è appena ricordato poche volte86, e meno che mai al Dialogo sopra i due massimi sistemi, che è posteriore alla scrittura Moriniana, e d’altra parte i passi di questa su’ quali il Nostro fermò la sua attenzione sono, relativamente, assai pochi; così credemmo sufficiente presentare al lettore alcuni estratti della Solutio87, coi quali non intendiamo in nessun modo di darne un’idea compiuta, che questo non apparteneva all’ufficio nostro, ma abbracciamo, con larghezza bastante perchè possano essere capiti, i luoghi da Galileo postillati sia con le Note, sia anche soltanto con quei segni fallici a cui accennavamo poco fa88. A questi estratti facciamo seguire [p. 17 modifica]le Note89, pubblicate di su l’autografo90, del quale si registra appiè di pagina qualche materiale errore di penna, che abbiam corretto nel testo. Dove poi Galileo, indicando i passi della Solutio presi in esame, cita le pagine della stampa del 1631, noi, per agevolare i riscontri, aggiungiamo tra parentesi quadre la citazione delle pagine e linee della nostra edizione alle quali quei passi si leggono; aggiunta questa, che abbiamo stimato opportuno di fare anche, in tutti i casi analoghi, nelle altre scritture che tengono dietro alla Solutio.

Diversamente da quello che ci fu concesso di fare con l’opera del Morin, dovemmo procedere con le Esercitazioni Filosofiche di Antonio Rocco, poichè queste, come già nel titolo annunziano, «versano in considerare le posizioni ed obiezzioni che si contengono nel Dialogo del Signor Galileo Galilei Linceo contro la dottrina d’Aristotile», e furono argomento non solo di brevi postille, ma anche di una distesa risposta (sebbene non compiuta) da parte del Nostro; onde siamo stati costretti a riprodurle per intero.

Le Esercitazioni Filosofiche91 del peripatetico Antonio Rocco92 sono una tra le parecchie scritture degli Aristotelici che furono suscitate dalla pubblicazione del Dialogo, in cui la loro dottrina era con tante armi oppugnata. Uscite alla luce in sulla fine del 1633 (la dedica ad Urbano VIII è del 7 dicembre), Bonaventura Cavalieri in una lettera del 10 gennaio dell’anno seguente ne dava notizia a Galileo93, che si affrettava a leggerle e ne riceveva subito la più sinistra impressione94, sia per le insulse argomentazioni dell’avversario, sia per i termini con cui questi parla di lui. Il Nostro, che sempre era stato assai sensitivo alle contradizioni e lo era più che mai in questo momento, in cui, penitenziato dall’Inquisizione, avrebbe voluto che gli avversari si astenessero da qualunque opposizione la quale potesse ritardare la grazia attesa da Roma, deve aver subito formato il concetto di rispondere: e alla risposta s’andava preparando nel modo ch’egli soleva, cioè col postillare sui margini il libro del Rocco. Fra Fulgenzio Micanzio scriveva su tal proposito a Galileo il 25 febbraio 1634: «Il pensiero di V. S. di non far altro che note brevi e marginali al libro mi piace, e si potrà far ristampare con quelle. Ma perchè in alcuni luoghi la margine non bastarà, direi che facesse legare il libro con alcune carte bianche fra mezo li fogli, che così averà comodità di notare il puoco e ’l molto, e puoi si rissolverà»95. Possiamo dire che Galileo si attenesse appunto al consiglio di Fra Fulgenzio; poichè, oltre alle note marginali alla scrittura del Peripatetico, stese alcuni tratti di una più ampia risposta, alla quale però mantenne il carattere di postille (e così egli stesso le chiamava96) a singoli passi delle Esercitazioni: postille non di poche parole o di poche linee, ma che si allargano per più pagine e in cui sono [p. 18 modifica] svolte a lungo le dottrine che nelle note marginali sono appena accennate; destinate alla pubblicazione, e per questo un po’ meno violente nelle espressioni; tali, insomma, che si possono assomigliare, quanto al genere, ai paragrafi del Saggiatore o della Risposta al Discorso apologetico di Lodovico delle Colombe. Ai primi di marzo del 34 Galileo spediva al Micanzio un tratto di siffatte postille97, ed altri gliene inviava appresso nel corso di quell’anno98; ma poi, sia che gli stesse a cuore l’affrettarsi al compimento dei dialoghi delle Nuove Scienze, sia che giudicasse non valere il pregio dell’opera insistere con tale avversario, ne distolse il pensiero: di che più tardi dolevasi Fra Fulgenzio, scrivendogli: «Tutte le cose di V. S., anco i fragmenti, sono come le minucciole d’oro.... Quelle due apostille del Rocco mi fecero ben conoscere il gran piacere e profitto de’ virtuosi se ella le seguitava» 99. Di mano in mano che il Micanzio riceveva i tratti della risposta, della quale egli era ghiottissimo, li andava comunicando agli amici in Venezia100 e li partecipò allo stesso Rocco, che prese a stender subito, alla sua volta, una replica101: questa però fu poi forse intermessa102, e noi non ne abbiamo notizia che dalle lettere di Fra Fulgenzio.

Le Esercitazioni del Rocco furono da noi riprodotte di sull’edizione originale. Questa è scorrettissima: tuttavia le strane forme linguistiche, che s’incontrano molto di frequente, furono per regola da noi rispettate103, poichè può ben darsi che siano da attribuire all’autore stesso, nato nell’Abruzzo, educato a Roma, a Perugia ed a Padova, e vissuto la maggior parte della sua vita a Venezia; egualmente abbiamo rispettato i singolari e viziosi costrutti, e soltanto abbiamo corretto quelle forme e quei passi nei quali ci parve di poter, con sufficiente sicurezza, riconoscere errori di stampa: spesso anche siamo stati incerti, com’era naturale, se dovessimo conservare o piuttosto emendare la testual dicitura. Delle correzioni da noi introdotte ci limitiamo a registrare le seguenti104:

Pag. 575, lin. 24, ed i costumi in luogo di e di costumi, che si legge nell’edizione originale — pag. 576, lin. 1, addottemi in luogo di addottami — pag. 583, lin. 29-30, aggiungendola in luogo di aggiungendole — pag. 584, lin. 21, inferite in luogo di inferire — pag. 586, lin. 14, delle cose in luogo di dalle cose — pag. 589, lin. 36, moto retto è in luogo di moto è (cfr. pag. 40, lin. 12) — pag. 590, lin. 21, quella in luogo di quello — pag. 594, lin. 5, mossi in luogo di messi — pag. 597, lin. 24, disordini in luogo di disordine — pag. 608, lin. 36, aggiunto 5. (cfr. pag. 611, lin. 38) — pag. 607, lin. 31, della in luogo di dalla (cfr. pag. 67, lin. 1) — pag. 608, lin. 23, mantenimento in luogo di mancamento (cfr. pag. 69, lin. 29) — pag. 612, lin. 4, la in luogo di le — pag. 614, lin. 6, no in luogo di (cfr. pag. 607, lin. 33-34) — pag. 620, lin. 5, nobile in luogo di mobile (cfr. pag. 83, lin. 17) — pag. 625, lin. 34, ammettete in luogo di ammette — pag. 631, lin. 27, corruttibile in luogo di incorruttibile — pag. 634, lin. 25, vi in luogo di ve — pag. 638, lin. 33, del in luogo di dal — pag. 645,

[p. 19 modifica]

lin. 21, quelle della Terra in luogo di quella Terra (cfr. lin. 25-26) — pag. 653, lin. 33, sfere in luogo di schiere (cfr. pag. 146, lin. 20) — pag. 654, lin. 3, 11. Di più in luogo di 12. Di più — pag. 658, lin. 24, s’impedissero in luogo di l’impedissero (cfr. pag. 652, lin. 23) — pag. 659, lin. 14, lungo in luogo di breve (cfr. pag. 652, lin. 28) — pag. 661, lin. 2, farebbono in luogo di sarebbono — pag. 666, lin. 6, del in luogo di dal (cfr. pag. 158, lin. 20) — pag. 666, lin. 29, moti in luogo di modi — pag. 668, lin. 34, solo non impossibile in luogo di solo impossibile — pag. 670, lin. 40, cotal in luogo di total (cfr. pag. 164, lin. 13) — pag. 671, lin. 23, esclude in luogo di escluda — pag. 674, lin. 29, grossa in luogo di grosse — pag. 681, lin. 34, essa in luogo di esso — pag. 684, lin. 22, moto in luogo di modo — pag. 688, lin. 18, scesa in luogo di stesa — pag. 699, lin. 37, fuoco venire. Il Sole (dite poi) in luogo di fuoco. Il Sole venire (dite poi) — pag. 702, lin. 27, dall’ in luogo di dell’ (cfr. lin. 24) — pag. 703, lin. 2, dall’ in luogo di dell’ (cfr. lin. 3) — pag. 703, lin. 9, situata in luogo di situato — pag. 704, lin. 32, del in luogo di dal — pag. 706, lin. 28, trattate in luogo di tratte (cfr. pag. 452, lin. 10) — pag. 711, lin. 37, precipitato in luogo di precipatate (sic) — pag. 711, lin. 39, seguano tali in luogo di seguano in tali — pag. 712, lin. 23, offendervi in luogo di offendermi.

Le postille brevi di Galileo ci furono conservate, autografe di lui, su’ margini dell’esemplare che gli appartenne e che forma ora il T. III della Par. IV dei Manoscritti Galileiani; e noi le riproducemmo a’ piedi de’ singoli passi delle Esercitazioni a’ quali si riferiscono. Nel testo di queste abbiamo stampato in carattere spazieggiato i luoghi che in quell’esemplare furono sottolineati da Galileo; e di altri segni, i quali pure sono, con tutta verosimiglianza, da attribuire a lui, rendiamo conto in singole note.

Delle postille più ampie, invece, non conosciamo l’autografo, ma soltanto alcune copie: l’una, di mano di Vincenzio Viviani, è nelle car. 3r. — 22v. del T. IV della Par. IV dei citati Manoscritti; è però mutila, arrivando soltanto fino alla parola panico, a pag. 733, lin. 24, della presente edizione; un’altra occupa le car. 88r. — 120r. del cod. Magliabechiano XXV. 10. 360105, ed una terza le car. 1r. — 62r. (non numerate) del cod. 436 della Biblioteca Pubblica di Lucca.

Noi abbiamo preso a base della nostra edizione il codice di mano del Viviani, che indichiamo con la sigla V, poichè ci parve di lezione quasi sempre corretta, senza che per questo dia segno di modificazioni arbitrarie o di concieri saccenti: dal momento poi che ci venne a mancare la guida di V, abbiamo seguito a preferenza il codice Magliabechiano, che distinguiamo con la lettera M, il quale è bensì molto meno corretto di V, ma le sue scorrezioni sono di natura tale che si può credere dipendano da ignoranza o poca accuratezza dell’amanuense, piuttosto che da deliberata intenzione di ritoccare il testo; laddove nel codice Lucchese (L) appar chiaro che la lezione originale è stata quasi ad ogni linea alterata, talvolta anzi parafrasata106, da un copista semierudito, che ha preteso di migliorare il dettato di Galileo, forse anche in certi passi perchè, avendo dinanzi a sè una copia già scorretta, non riuscì ad afferrare il pensiero dell’autore. S’aggiunga che il cod. M è del secolo XVII, laddove L è del XVIII. Dal codice preferito (fosse V, fosse M), del quale rispettammo di volta in volta le forme linguistiche, ci siamo allontanati, per correggerlo con l’appoggio degli altri, soltanto quando la sua lezione era manifestamente errata, o quando per gravi motivi la lezione degli altri giudicammo migliore: in siffatto giudizio però procedemmo con somma cautela e, perchè fosse conservata maggior unità al nostro testo, sacrificammo talora l’impressione soggettiva all’autorità del codice preso per guida107, del quale ad ogni modo annotammo sempre appiè di pagina [p. 20 modifica]la lezione scartata108, insieme con le altre varianti di quel passo che non fossero state accolte nel testo, così che il lettore è messo in grado di rifare da per sè la critica del luogo controverso. Anche dove abbiam potuto essere fedeli al codice preferito, annotammo le più osservabili varianti degli altri109; siamo stati però assai parchi a registrare le singolari varietà del codice L, perchè spesso queste si riconoscono a prima fronte per correzioni arbitrarie, e perciò quel codice merita scarsissima fede.

Della prima stampa di questa scrittura, che è nella prima edizione fiorentina delle Opere del Nostro110, non tenemmo conto per quel tratto che ci è conservato dal codice V, parendoci probabile che essa derivi appunto da questo codice111, e che, dove se ne allontana, le differenze possano dipendere o da false letture del carattere, non facile, del Viviani112, o da arbitrarie correzioni degli editori: invece per la parte che manca in V abbiamo avuto riguardo anche alla stampa fiorentina (F), la quale certamente non ha alcun rapporto nè con M nè con L, e perciò ne abbiamo annotato le principali varianti, e qualche volta accolto anzi la lezione nel testo. Ben di rado siamo stati costretti a correggere per congettura, come dalle varianti risulta, la lezione di tutti i codici e della stampa fiorentina insieme113. Quest’ultima che, qualunque ne sia il fondamento, lascia moltissimo a desiderare, era stata riprodotta, salvo lievi ed arbitrari ritocchi, nelle seguenti ristampe; così che il testo di tale scrittura era in più luoghi privo di senso, ed ora soltanto rivede la luce restituito a sè medesimo e degno veramente degli elogi che a queste postille tributava Fra Fulgenzio Micanzio, quando le chiamava «gemme preciose», «oro puro», «cosa divina».



Note

    e pensiamo che così sia avvenuto (per virtù della locuzione contestuale o chi altro si fusse il primo) autore di scrivere; e notisi che la postilla marginale suggerirebbe la facile correzione. A pag. 227, lin. 35-36, si aspetterebbe la parola volte; a pag. 228, lin. 26, dopo grave desidereremmo che pesi, e a pag. 477, lin. 18, il confronto con pag. 474, lin. 32, e con pag. 478, lin. 13, indurrebbe ad aggiungere mossi dopo mobili; a pag. 254, lin. 35, e a pag. 272, lin. 3, in luogo di tempo accelerato ed error del Copernico le espressioni precise sarebbero tempo del moto accelerato ed error del seguace del Copernico (cfr. pag. 271, lin. 4-5, 13, 21-22); poco accurata è l’elocuzione a pag. 254, lin. 3-5 (il mobile... conduce il mobile), a pag. 282, lin. 4-6 (ma con istrumenti diversi... ma con istrumenti diversi), a pag. 283, lin. 36-37 (nel muover l’animale uno delle su’ membra non lo separa dall’altro suo conterminale): tuttavia in questi ed altri passi non potevamo che la lezione della stampa originale, la quale del resto giudichiamo che sia prodotto non di errori tipografo, ma di trascuratezza dell’autore. Costruzioni che possiamo chiamare anacolutiche, e che altresì abbiamo creduto di dover rispettare, sono a pag. 79, lin. 7-10 (che si sanerebbe facilmente soppriprimendo si a lin. 9, come consiglierebbe il concludelo di lin. 13), a pag. 205, lin. 10-13, a pag. 220, lin. 20-22, a pag. 221, lin. 7-10, a pag. 238, lin. 9-12, a pag. 239, lin. 31-35, a pag. 278, lin. 13-15, a pàg. 284, lin. 13-14, a pag. 377, lin. 3-8, a pag. 383, lin. 15-20, a pag. 392, lin. 26-30, a pag. 419, lin. 28-30, a pag. 421, lin. 25-33, ecc.

  1. Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina di Salvino Salvini. In Firenze, M.DCC.XVII, pag. 415.
  2. Galileo Galilei e lo Studio di Padova per Antonio Favaro. Voi. I. Firenze, Successori Le Monnier, 1883, pag. 321.
  3. Lettera del 4 agosto 1597 (Cod. 10702 della Biblioteca Palatina di Vienna, car. 62).
  4. Mss. Gal., nella Biblioteca Nazionale di Firenze, Par. VI, T. V, car. 34.
  5. Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale. Vol. III, Par. I. Firenze, G. Barbèra, 1892, pag. 75, 96.
  6. Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale. VoL. IV. Firenze, G. Barbèra, 1894, pag. 63.
  7. Lettera di Federico Cesi a Galileo del 4 agosto 1612 (Mss. Gal., Par. VI, T. VIII, car. 135).
  8. Lettera di Paolo Gualdo a Galileo del 6 maggio 1611 (Mss. Gal., Par. I, T. VI, car. 196).
  9. Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale. Vol. VI. Firenze, G. Barbèra, 1896, pag. 503.
  10. Archivio Marsigli in Bologna.
  11. Lettera di Federico Cesi a Galileo del 26 aprile 1625 (Mss. Gal., Par. VI, T. X, car. 210).
  12. Lettera di Giovanni Ciampoli a Galileo 30 agosto 1625 (Mss. Gal., Par.I, T. IX, car. 23).
  13. Lettera di Niccolò Aggiunti a Galileo del 23 dicembre 1626 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 49).
  14. Lettera di Giovanni Ciampoli a Galileo del 10 luglio 1627 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 65).
  15. Lettera di Niccolò Aggiunti a Galileo del 27 aprile 1628 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 85).
  16. Lettera di Galileo a Federico Cesi (Biblioteca Boncompagni in Roma, cod. 580, car. 160).
  17. Lettera di Giovanni Ciampoli a Galileo del 5 gennaio 1630 (Mss. Gal., Par.I, T. IX, car. 158).
  18. Lettera di Niccolò Aggiunti e Dino Peri a Galileo del 24 gennaio 1630 (Mss. Gal., Par. VI, del T. XI, car. 99).
  19. Lettera di Galileo a Cesare Marsili del 12 gennaio 1630 (Archivio Marsigli in Bologna).
  20. Lettera di Galileo a Federico Cesi del 13 gennaio 1630 (Biblioteca Boncompagni, cod. 580, car. 159).
  21. Lettera di Galileo ad Andrea Cioli del 7 marzo 1631 (Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 73).
  22. Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale. Vol. VI. Firenze, G. Barbèra, 1896, pag. 16-17.
  23. Lettera del 9 febbraio 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 162).
  24. Archivio Marsigli in Bologna.
  25. Mss. Gal., Par. VI, T. V, car. 61.
  26. Lettera del 16 marzo 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 167).
  27. Lettera di Geri Bocchineri a Galileo del 1° maggio 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 175).
  28. Lettera di Francesco Niccolini ad Andrea Cioli del 4 maggio 1630 (Archivio di Stato in Firenze, Filza Medicea 3342).
  29. Lettera di Francesco Niccolini a Galileo del 21 luglio 1611 (Biblioteca Estense di Modena, Autografoteca Campori, Busta LXXXII, 106).
  30. Lettera di Galileo ad Andrea Cioli del 7 marzo 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IV, car. 73).
  31. Lettera di Filippo Niccolini a Galileo del 20 maggio 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 181).
  32. Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 198.
  33. Archivio di Stato in Firenze, Filza Medicea 3347.
  34. Lettera di Galileo ad Andrea Cioli del 7 marzo 1631 (Mss. Gal., Par. I, T. IV, car. 73).
  35. Lettera di Gio. Ciampoli a Galileo del 13 luglio 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 202).
  36. Copia del proemio Galileo aveva lasciata al Mss. P. Castelli. Cfr. la lettera di Caterina Riccardi Niccolini a Galileo del 17 novembre 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. XIII, car. 132).
  37. Lettera di Benedetto Castelli a Galileo del settembre 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 220).
  38. Lettera di G. B. Baliani a Galileo del 26 ottobre 1630 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 116).
  39. Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 212.
  40. Citata lettera del 21 settembre 1630.
  41. Mss. Gal., Par. I, T. XIII, car. 125.
  42. Lettera di Francesco Niccolini ad Andrea Cioli del 16 marzo 1631 (Mss. Gal., Par. I, T.II, car.21).
  43. Lettera di Caterina Riccardi Niccolini a Galileo del 17 novembre 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. XIII, car. 132).
  44. Lettera di Benedetto Castelli a Galileo del 30 novembre 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 224).
  45. Nella lettera a Elia Diodati e Pietro Gassendi del 15 gennaio 1633 (Biblioteca d’Inguimbert a Carpentras, Coll. Peiresc, XLI, II), Galileo scrive che il revisore fiorentino mutò soltanto alcune parole; per esempio, in molti luoghi sostituì universo in cambio di natura, titolo in cambio di attributo, ingegno sublime in luogo di ingegno divino.
  46. Lettera di Galileo ad Andrea Cioli del marzo 1631 (Mss. Gal., Par. I, T. IV, car. 73).
  47. Lettera di Geri Bocchineri a Galileo dell’8 marzo 1631 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 166).
  48. Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 247. car. 41).
  49. Mss. Gal., Par. I, T. II, car. 33.
  50. M Mss. Gal, Par. I, T. XV, car. 67.
  51. Lettera di Francesco Niccolini a Galileo del 12 luglio 1631 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 260).
  52. Domenico Berti, Il processo originale di Galileo Galilei. Nuova edizione. Roma, Voghera, 1878, pag. 166-167.
  53. Lettera di Galileo ad Andrea Cioli del 3 maggio 1631 (Mss. Gal., Par. I, T. IV, car. 78).
  54. Lettera di Francesco Niccolini ad Andrea Cioli del 17 maggio 1631 (Mss. Gal., Par. T, T. II, car. 41).
  55. Archivio Marsigli in Bologna.
  56. Lettera di Cesare Marsili a Galileo dell'8 luglio 1631 (Mss. Gal., Par. V, T. VI, car. 180).
  57. Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 260.
  58. Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 262.
  59. Mss. Gal., Par. I, T. II, car. 49.— Nel volume del Processo di Galileo è allegata copia del proemio (vedi D. Berti, op. cit., pag. 168-171); ma il testo dell’edizione del 1632 non presenta differenze da siffatta copia, tranne alcune lievissime varietà attenenti unicamente alla forma (prole, a pag. 30, lin. 18, della presente edizione, in luogo di parto, che si legge nella copia allegata al Processo; Giovan Francesco, a lin. 36 della stessa pagina, in luogo di Francesco; e l’aggiunta, a pag. 31, lin. 10, dell’inciso per quanto vogliono le mie debili forze, che manca nella copia del Processo), e che non si può credere siano state introdotte dai revisori ecclesiastici, ma probabilmente rappresentano correzioni fatte dall’autore all’atto della stampa, secondo che gliene era stata concessa libertà.
  60. D. Berti, Il processo originale ecc., pag. 117-118, 162-165.
  61. Lettera sotto questa data del tipografo Gio. Battista Landini a Cesare Marsigli(Archivio Marsigli in Bologna). Vedi A. Favaro, Nuovi contributi alla storia del processo di Galileo, Venezia, tip. Ferrari, 1895, pag. 10. In fine dei Dialoghi avrebbe dovuto essere stampata una canzone di Iacopo Cicognini in lode di Galileo, secondo che annunziava il tipografo Landini, che pubblicava questa canzone in un opuscolo a parte (Alla Sacra Maestà Cesarea dell'Imperatore. In lode del famoso Signor Galileo Galilei Matematico del Serenissimo Gran Duca di Toscana. Canzone del dottore Iacopo Cicognini. — In Firenze, nella Stamperia di Gio. Batista Landini, 1631) mentre i Dialoghi erano «di continovo... sotto il torchio»: ma poi non fu aggiunta altrimenti.
  62. Lettera di Galileo a Fra Fulgenzio Micanzio del 12 aprile 1636 (Biblioteca Marciana, Cl. X Ital., cod. XLVII, car. 6).
  63. Lettera di Benedetto Castelli a Galileo del 22 dicembre 1635 (Mss. Gal., Par. I, T. XI, car. 161).
  64. Dialogo di Galileo Galilei Linceo, Matematico sopraordinario dello Studio di Pisa e Filosofo e Matematico primario del Serenissimo Gr. Duca di Toscana, Dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano, proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche e naturali tanto per l’una quanto per l’altra parte. Con privilegi. In Fiorenza, per Gio. Batista Landini, MDCXXXII. Con licenza de’ Superiori. Negli esemplari completi dell’edizione originale, che non sono molto comuni, precede al frontespizio un’incisione in rame di Stefano della Bella, che noi abbiamo riprodotta a pag. 23.
    Il Dialogo fu ben tosto tradotto in latino per cura di Mattia Bernegger, e la traduzione latina fu stampata nel 1635 col titolo: Systema cosmicum, authore Galilaeo Galilaei Lynceo, Academiae Pisanae Mathematico extraordinario, Serenissimi Magni-Ducis Hetruriae Philosopho et Mathematico primario: in quo quatuor dialogis de duobus maximis mundi systematibus, Ptolemaico et Copernicano, utriusque rationibus philosophicis ac naturalibus indefinite propositis, disseritur. Ex italica lingua latino conversum, ecc. Augustae Treboc, Impensis Elzeviriorum, Typis Davidis Hautti. Anno 1635.
  65. Alcune copie manoscritte, della line del secolo XVII e che derivano dalla stampa originale, sono registrate da A. Favaro nei Materiali per un indice dei manoscritti e documenti galileiani non posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze, negli Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Tomo V. Serie VII, 1893-94, pag. 437-438.
  66. Vedi la nota 1 a pag. 323.— Nella stesura autografa mancano lo postille marginali, che sono nella stampa.
  67. Vedi minuti particolari su quest’esemplare in Le aggiunte autografe di Galileo al Dialogo sopra i due massimi sistemi, nell’esemplare posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova, pubblicate ed illustrate da A. Favaro, negli Atti della II. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena, Tomo XIX, pag. 245-275.
  68. Non sono invece autografe di Galileo, come fu creduto, le correzioni manoscritte nell’esemplare dell’edizione originale donato da A. Wolynski al R. Museo Copernicano ed Astronomico in Roma.
  69. Appunto perchè la correzione era necessaria (altrimenti il senso sarebbe stato gravemente turbato) ci siamo indotti a correggere anche alcune sviste, che non crediamo siano da attribuire al tipografo, ma piuttosto all’autore stesso, al quale veniva fatto, scrivendo, di scambiare da un termine a quello diametralmente opposto. Un esempio di siffatti scambi, che ci è offerto dall’edizione e dall’autografo concordi, si può vedere notato nell’apparato critico a pag. 324, lin. 1-2; altro esempio, pur dall’autografo, è registrato nella nota 1 a pag. 13; e si possono forse ascrivere all’autore anche le sviste della stampa che, come indichiamo, abbiamo corretto a pag. 208, lin. 27, a pag. 228, lin. 14, e nel passo ripetuto a pag. 45, postilla 2ª e a pag. 506, lin. 19.
  70. Questa correzione è indicata, a penna, anche nel citato esemplare del R. Museo Copernicano.
  71. Questa forma, più che altro cancelleresca, non è dell’uso di Galileo (cfr. vol. l’della presente edizione, pag. 18, nota 1). Qui poi accade che nell’edizione originale (pag. 168, lin. 6-7) mede sia in fine di linea e -mo in principio della linea seguente, onde è più facile che la sillaba si manchi per errore di stampa.
  72. Infatti il passo a cui Galileo ivi allude è a pag. 167 dell’opera Tychonis Brahe ecc. Epistolarum Astronomicarum libri ecc. Imprimebantur Vraniburgi Daniae ecc. M. DCX.
  73. L’indice delle materie, che è in fine dell’opera, è stato in particolar modo alterato nelle precedenti edizioni. — In quel tratto della Giornata quarta nel quale Galileo si giovò del suo Discorso del flusso e reflusso del mare e ne trascrisse quasi alla lettera dei lunghi brani (cfr. specialmente da pag. 454, lin. 8, in poi di questo volume con pag. 383, lin. 33 e seg., del vol. V). il confronto col Discorso ci suggerì qualche emendamento che abbiamo indicato più sopra; ma dove non era necessario correggere, rispettammo le differenze di lezione offerte dal Dialogo.
  74. A pag. 89, lin. 36, conserviamo tanto, sebbene correlativo di quanta (lin. 35), avvisando che sia stato attratto dal genero dei seguenti quanto (lin. 37) e tanto (pag. 90, lin. 1). A pag. 215, lin. 3, rispettiamo la singolare omissione di cominciò davanti ad a dir.
  75. Nell’aggiunta autografa che pubblichiamo nella nota a pag. 54-55 abbiamo corretto, alla lin. 31 della pag. 55, maggiori in luogo di minori, che a Galileo venne fatto di scrivere.
  76. Due facce di questo autografo sono gravemente deteriorate da una macchia giallastra (vedi a pag. 524 e 525 della nostra riproduzione); e inoltre in alcuni luoghi la carta è stata forata dall’inchiostro, e questo traspare in modo sensibile dall’una all’altra faccia del foglio.
  77. Vi sono anche degli appunti che non risguardano le stelle nuove, ma altri argomenti; vedi, per es., a pag. 531 e a pag. 536.
  78. Sono bianche le car. 15r., 18v., 20v., 21r., 21v., 22r.
  79. Appiè di pagina abbiamo registrato alcune particolarità dell’autografo.
  80. Questi frammenti occupano il verso d’una carta (bianca sul recto) e il recto e il verso di due altre, che sono legate, in quell’esemplare, davanti all’antiporta incisa da Stefano della Bella. Inoltre, in alto a sinistra del verso della prima di queste tre carte è incollato per un lembo un cartellino, che è scritto pure di proprio pugno da Galileo tanto sul recto (che contiene ciò che pubblichiamo a pag. 540, lin. 1-11) quanto sul verso (vedi a questo proposito la nota 1 a pag. 540).
  81. ( Nell’edizione padovana del 1744 (Opere di Galileo Galilei ecc. Tomo IV. In Padova, MDCCXLIV. Stamperia del Seminario, appresso Gio. Manfrè), procurata dall’ab. Giuseppe Toaldo, che per primo si giovò dell’esemplare del Seminario di Padova, furono omessi alcuni frammenti. L’edizioni posteriori seguirono la padovana, ma non ripresero in esame esemplare, anzi trascurarono talune aggiunte che nella padovana si leggono. Tutti i frammenti autografi furono pubblicati per la prima volta nel 1879 da A. Favaro nella citata memoria Le aggiunte autografe ecc. Per quei frammenti che furono dati nell’edizione del 1744 e poi riprodotti dal Favaro, citiamo tutt’e due l’edizioni quando alcune parole o lettere, oggi illeggibili, poterono esser lette anche dal più recente editore; quando invece questi già si riporta all’edizione del 1744, citiamo quest’ultima senz’altro.
  82. Intorno al Morin puoi vedere La vie de maistre Jean Baptiste Morin, natif de Ville— Franche en Baviolois, ecc. A Paris, chez Jean Henault, M.DC.LX.
  83. Famosi et antiqui problematis de Telluri motu vel quiete hactenus optata solutio. Ad Eminentissimum Cardinalem Richelium, Ducem et Franciae Parem. A Ioanne Baptista Morino, apud Galles e Belleiocensibus Francopolitano, Doctore Medico atque Regio Parisiis Mathematum Professore. Terra stat in artertografi num, Sol oritur et accidit. Ecclesiast. cap. I. Parisiis, apud Authorem, iuxta Pontem novum, in platea Delphina, domi cui nomen l’Eseu de France. M. DC.XXXI. — L’Approbatio operis, in fine del libro, è del 2 settembre 1631; il Privilege du Roy, del 10 novembre; la dedica al card. Richelieu, dell’8 dicembre,
  84. Biblioteca d’Inguimbert a Carpentras, Coll. Peiresc, XLI, II. — Il Morin in una lettera a Galileo del 15 novembre 1634 (Mss. Gal., Par. IV, T. V, car. 34) scrive: «cum... DD. Gassendus et Deodatus, tiri et mei amici, me monuissent, te magnum pro Telluris motu moliri opus, quod forte iam typis mandatum esset, dixi illis me alterum typis mandasse pro Telluris quiete, novis rationibus instructum, quas ante libri tui editionem perpendere moleste minime ferres; unde meam Famosi illius Problematis Solutionem tibi fore transmittendam rati, primum exemplar, nequidem absolutum, illis dedi in eum finem: quod tamen (ut postea didici) non prius accepisti, quam tui Dialogi doctissimi in lucem prodiissent, indeque non panini dolui». E in un’altra dello stesso Morin a Galileo, in data del 4 aprile 1635 (Mss. Gal., Par. IV, T. V, car. 32): «Utinam vidisses Solutìonem meam ante Dialogorum tuorum editionem». Nell’opera poi Responsio pro Telluris quiete od Iacobi Lansbergii Doctoris Malici Apologiam pro Telluris motu, Parisiis ecc. M.DC. XXXIV, pag. 54, il Morin scrive: «Primum exemplar mei libri adversus Terrae motum missum fuit D. Galilaeo, illo nequidem integre impresso, id nempe effiagitantibus charissimo D. Gassendo et D. Deodato, utrisque Galilaeo necessitudine devinctis, ut, quia, vulgaribus spretis rationibus, novas pro Telluris quiete attuleram, Galilaeus, illis visis, mature sibi consuleret ante sui libri publicam editionem, quod ego etiam peroptabam. Tardius vero quam par esset ad illum pervenit mea Solutio, indeque doluit, ut testatus est litteris ad D. Gassendum postea scriptis mihique ostensis; quibus aiebat, quod si ante sui libri editionem meum vidisset, honorificam in ipso fecisset mei mentionem».
  85. Quest’esemplare presenta alcune particolarità bibliografiche, che devono forse la loro ragione all’essere stato spedito a Galileo prima che l’edizione fosse pubblicata. Il frontespizio, che abbiamo riprodotto a pag. 549, è alquanto diverso da quello degli esemplari comuni, citato poco fa; altre differenze sono nelle ultime pagine del volume. Noteremo pure che nel frontespizio di altre copie della Solutio il luogo e la data di stampa sono coperti con un cartellino incollato, su cui è stampato: «Parisiis, apud Petrum Menard, via Veteris Enodationis, iuxta terminum Pontis D. Michaelis, sub signo Boni Pastoris, M. DC LVII»: l’edizione però è sempre quella del 1631.
  86. Pag. 15: «ut explicat [Kepplerus] in appendice ex Trutinatore Galilaei». Pag. 20: «ingenue coufessus est [Kepplerus] in appendice ex Trutinatore Galilei». Pag. 56: «Porro, quod in suae sententiae confirmationem Kepplerus, Galilaeus, Campanella et alii dicunt, Lunae globum eiusdem esse naturae cum Terra hac». Mentre il nome di Galileo comparisce così di raro, e per incidenza, nella Solutio, è invece un fatto curioso che il «manuscriptum viri equidem ingeniosi, in quo innominatus author duplicem causam affert fluxus et refluxus aequoris», da cui il Morin riferisce, per combatterli, alcuni argomenti a pag. 57 e seg. e a pag. 66 e seg. (nei passi che riportiamo in parte a pag. 557, lin. 29 e seg., e a pag. 558, lin. 24 e seg., di questo volume), altro non sia che il Discorso del flusso e reflusso del mare di Galileo: cfr. quei passi col Discorso del flusso ecc., nel vol. l’della presente edizione, pag. 381 e seg. e pag. 393 e seg.: anzi la figura a pag. 58 della Solutio riproduce quella che è nel Discorso a pag. 382.
  87. Conforme a quello che abbiamo fatto nei volumi precedenti, stampiamo in caratteri spazieggiati quei luoghi che furono sottolineati da Galileo. Correggiamo poi, a pag. 553, lin. 10, Terra, che si legge nell’edizione originale, in Terrae; alla stessa pagina, lin. 33, date in dante, a pag. 555, lin. 20, infinitae in infinite; a pag. 560, lin. 34, effectant in affectant.
  88. Cotali segni accompagnano i passi che pubblichiamo a pag. 549, lin. 15-18, a pag. 550, lin. 23 e seg. a pag. 554, lin. 38 — pag. 555, lin. 4, e che sono presi in considerazione nelle Note; e inoltre i seguenti passi, a’ quali non si riferisce alcuna Nota: pag. 553, lin. 36 e seg., pag. 554, lin. 1-7 e lin. 13-14, pag. 556, lin. 11-14, pag. 559, lin. 23-24.
  89. Furono pubblicate per la prima volta da B. Boncompagni, Note di Galileo Galilei ad un’opera di Giovanni Battista Morin, nel Bullettino di Biblio- grafia e di Storia delle scienze matematiche e fisiche, Tomo VI, 1873, pag. 52-60.
  90. Abbiamo racchiuso tra parentesi quadre le pa- role o lettere che non si possono più leggere per guasti del manoscritto, ma che si suppliscono con sicurezza.
  91. Esercitationi filosofiche di D. Antonio Rocco, filosofo peripatetico. Le quali versano in considerare le positioni & obiettioni che si contengono nel Dialogo del Signor Galileo Galilei Linceo contro la dottrina d’Aristotile. Alla Santità di N. S. Papa Urbano VIII, In Venetia, M. DC. XXXIII. Appresso Francesco Babà, Con licenza de’ Superiori e privilegio.
  92. Intorno al Rocco vedi A. Favaro, Gli oppositori di Galileo— I.— Antonio Rocco, negli Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Tomo III, Serie VII, 1892, pag. 615-636.
  93. Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 43.
  94. Apparisce chiaramente dalla lettera del Cavalieri a Galileo del 14 febbraio 1634 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 53).
  95. Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 55.
  96. Vedi in questo volume, pag. 721, lin. 15. Anche il Micanzio, nelle lettere a Galileo, le chiama sempre postille o apostille.
  97. Lettera di F. Micanzio a Galileo dell’11 marzo 1634 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 56).
  98. Lettere di F. Micanzio a Galileo del 2 settembre (Biblioteca Estense di Modena, Autografoteca Campori, Busta LXXX, 110) e 23 settembre 1634 (Mss.Gal., Par. VI, T. XII, car. 81).
  99. Lettera del 13 giugno 1637 (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 27).
  100. Lettera di F. Micanzio a Galileo del 5 agosto 1634 (Autografoteca Campori cit., Busta LXXX, 101).
  101. Lettere di F. Micanzio a Galileo del 12 agosto (Autografoteca Campori cit., Busta LXXX, 19 agosto (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 77) e 9 settembre 1634 (Autografoteca Campori, Busta cit., 111).
  102. Lettera di F. Micanzio a Galileo del 20 gennaio 1635 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 51).
  103. Abbiamo conservato, per citare soltanto qualche esempio, possegano, ragirazione, ragirare (alternato con raggirare), ammuchiati (pag. 600, lin. 34, sebbene accanto accanto a mucchio), stirachiar, trasmuterano, toleranti, scabbello, disaggi, globbo, architetto, ciavattino, deto (per dito, pag. 603, lin. 28), de (per di), ecc. È frequentissimo, e fu da noi rispettato, d’i o di per dei. Anche dove il Rocco trascrive dal Dialogo galileiano, e non di rado ne guasta la dicitura, abbiamo creduto opportuno conservare le alterazioni del Rocco.
  104. Non metterebbe conto tener nota dei più sconci errori di stampa (come stana per stanca, contrevorsia per controversia, ecc.), che, naturalmente, abbiamo corretto.
  105. È questo il codice citato (non però esattamente) dal Targioni Tozzetti, Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche ecc. In Firenze, MDCCLXXX. Tomo I, pag. 112.
  106. Vedi, per esempio, la lezione di L riferita tra le varianti a pag. 722, lin. 17-20.
  107. Il lettore potrà vedere degli esempi di ciò confrontando le varianti col testo.
  108. Soltanto abbiamo trascurato di notare alcune forme come precipitarete, longhissimo, forsi, che s’incontrano, ma di rado, in V, e andarete, segnarebbono, ecc., si leggono nel cod. M, le quali abbiamo corretto, sapendo, per la pratica degli autografi di Galileo, che erano da lui usate (cfr. vol. V, pag. 18). Neppure abbiamo registrato cresciendo, crescie, conosciere, sciendere, che non sono rari nel cod. M.
  109. Nel registrare le varianti ci siamo attenuti spesso alle norme indicate nel vol. V, pag. 269, nota 4.
  110. Opere di Galileo Galilei ecc. In Firenze, MDCCXVIII. Nella Stamp. di S. A. R. Per Gio. Gaetano Tartini e Santi Franchi. Tomo III, pag. 91-116.
  111. Gli editori si giovarono, per le scritture che, come queste Postille, non erano state pubblicate per lo innanzi, appunto di manoscritti del Viviani: vedi nel Tomo I di quell’edizione, pag. XIII.
  112. Possono dipendere, per esempio, da false letture, come l’esame dei singoli passi nel cod. V fa pensare, le seguenti lezioni della stampa fiorentina: pag. 713, lin. 12, della nostra edizione, e fosse in luogo di è forse; pag. 714, lin. 2, vista ec. per in luogo di vista per, e, alla pagina, lin. 12, immaginabili in luogo di inimaginabili, e, lin. 13, rettissimi in luogo di certissimi; pag. 715, lin. 11, ricavo in luogo di si cava, e, lin. 26, seguaci in luogo di sue seguaci; pag. 716, lin. 11, specificarvi in luogo di specificarci, e, lin. 31, su in luogo di ma; pag. 718, lin. 10, provando in luogo di mostrando, e, lin. 14, affaticarmi in luogo di affaticarvi; pag. 720, lin. 9, Ah in luogo di Deh, e, lin. 11, le collaterali in luogo di de' collaterali (e forse l’aver letto le persuase quegli editori ad aggiungere poi quelle davanti a della corte di Giove), e, lin. 15, concitarne in luogo di concitarmi, e, lin. 18, varie in luogo di vane, e deducessi in luogo di deducevo, e, lin. 22, penetrano in luogo di pescano; pag. 721, lin. 1, spaccerete ora in luogo di spaccerete loro (e può ben darsi che essendo stato letto hora in luogo di loro, sia poi stato aggiunto gli davanti a spaccerete), e, lin. 11, scemarvi in luogo di schivarvi, ecc.
  113. Vedi, per es., a pag. 734, lin. 5 (cfr. pag. 741, lin. 2); a pag. 737, lin. 4 (dove la lezione de’ codici potrebbe essere bene un trascorso di penna dell’autore, da confrontare con quelli di cui nella nota 5 di pag. 10); a pag. 744, lin. 27 (cfr. pag. 724, lin. 19-20, nelle varianti); e a pag. 748, lin. 22 (cfr. pag. 683, lin. 2).