Discorsi politici (Guicciardini)/X. - Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V ai Veneziani

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X. - Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V ai Veneziani

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X. - Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V ai Veneziani
IX. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione che prevalse XI. - Sullo stesso argomento. In contrario

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X

[Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V ai Veneziani.]


Doppo la cattura del re di Francia ed andata sua in Spagna, trattavasi nel senato viniziano se si doveva fare lo accordo con Cesare, al quale instava lo oratore suo in Vinegia. Chi dissuadeva lo accordarsi parlò in questa sentenzia:

Dura, strana e quasi disperata, onorevoli senatori, è la presente consulta, perché in ogni partito a che noi ci voltiamo si riscontra grandissimi pericoli e difficultá; le quali sono sí implicate, che a volerle bene risolvere bisognerebbe avere piú del divino che dello umano, perché non basta el giudicio naturale in sí grandi viluppi a discernere el futuro; nondimanco è ufficio nostro non abandonare, in quanto per noi si può, la prudenzia né rimettere le deliberazione nostre al caso, e cosí non perdere di animo e di cuore, ma armarci di constanzia a tutto quello che possa succedere. Anzi, quanto e’ pericoli sono maggiori e piú spaventosi, tanto piú ci bisogna aiutare da noi medesimi con la prudenzia e virilitá; con le quali cose, aggiunta la grazia di Dio, questa republica è altre volte uscita di gravissimi frangenti, e non abbiamo da desperarci che el medesimo abbia a succedere ora, pure che con lo aiutarci da noi diamo causa a Dio di volerci aiutare.

Noi presuppognamo tutti, per quanto io ho compreso ogni dí ne’ nostri ragionamenti, che Cesare ci abbia malo animo, [p. 137 modifica] e che per lo appetito che ha di farsi signore di Italia, per lo odio e controversie antiche che la casa di Austria e lui hanno con noi, abbia a nuocerci in ogni occasione che ará di poterlo fare, o facciamo accordo con lui o no; perché questi rispetti possono piú apresso a’ príncipi, che le fede e le capitulazione, massime che a chi ha malo animo e piú forze, non mancano ogni dí giustificazione. Però lo accordare con lui non ci assicura in perpetuo, né etiam per lungo tempo, ma fa solo questo effetto: che dove non faccendo lo accordo, ci fará forse guerra di presente, faccendolo, la differirá a altro tempo ed altre occasione. Né questa dilazione ci sará fatta per farci beneficio e commoditá, ché avendo desiderio di opprimerci come ha, s’ha a credere che ogni sua offerta ed amicizia sia insidiosa, ma perché lo accordo con noi gli viene a proposito per potere sanza ostaculo nostro attendere alli altri disegni suoi, e poi al tempo che gli sará commodo tornare a opprimerci con piú suo vantaggio.

Ci bisogna adunche considerare quale sia maggiore, o el beneficio che ci fa lo allungare la guerra seco, o el danno che ci risulti di dargli opportunitá di potere sanza rispetto ed opposizione nostra fondare le altre sue cose. Io non so vedere che lo allungare ci faccia altro beneficio che mandare in lá e’ pericoli e travagli, con speranza che el tempo possa portare degli accidenti inopinati che ci liberino da questa fortuna; e però uno de’ rimedi che sogliono dare e’ savi nelle avversitá è che l’uomo si ingegni di differire el male quanto può, perché quando s’ha tempo, accade qualche volta che el caso ti libera da quegli mali da’ quali non era bastante a liberarti la industria o forze tue. Pure questo è rimedio molto fallace, poi che non ha altro fondamento che di evento fortuito, e però è buono quando la dilazione all’incontro non augumenta el pericolo ed el male; ma quando el differire fa che el pericolo o che el male diventa maggiore, chi si governa con questa regola fa a giudicio mio come uno debitore, che per avere tempo a pagare, consente a usure grosse le quali augumentano sanza comparazione el danno suo; o come [p. 138 modifica] uno padrone di una nave, che stretto dalla fortuna, differisce tanto a gittare in mare parte delle sue robe per salvare el resto, sperando che pure la fortuna si possi mitigare, che poi alla fine o non è a tempo a salvarsi, o gli bisogna gittarne maggiore quantitá assai che non sarebbe bisognato da principio.

Noi siamo, se io non mi inganno, in termini simili, perché recusando lo accordo, se areno ora la guerra, lo inimico nostro è manco potente a offenderci, e noi abbiamo qualche speranza piú di poterci aiutare che non sará poi che, fatto lo accordo di presente, e datogli facultá con lo accordo nostro di colorire e’ disegni suoi, tornerá con tutto el suo commodo a farci la guerra. Questo, quando io non ne vedessi altra ragione, me lo mostra abastanza la instanzia che fa Cesare con tutti e’ modi ed e’ minacci, perché noi ci accordiamo, il che non farebbe se non gli venissi a proposito; ed a noi che temiamo della grandezza sua è contraria ogni cosa che è commoda a lui; né può quasi errare uno che desideri sempre per regola el contrario di quello che cerca lo inimico suo. Ma dove si veggono le cose manifeste, non bisogna discorrere per conietture. Le cose di Cesare sono in grado, e la potenzia sua è sí formidolosa a ognuno, che ha da temere che per interrompere e’ suoi disegni, non si faccia alla fine una unione del papa, duca di Milano, fiorentini e noi, fomentata da Inghilterra e franzesi; ed a questa sa che noi di Italia siamo disposti, se ci assicurassimo che e’ franzesi, per la speranza che gli è data di recuperare el re per via di accordo, non ci mancassino sotto. E questa unione non solo sarebbe bastante a non lo lasciare crescere piú, ma a batterlo in Italia; ed a questo, quando veramente non voglia liberare el re, come insino a qui non si è veduto segno alcuno, non ha el migliore remedio che intrattenere quanto può e’ franzesi in queste speranze.

Ma perché ragionevolmente non può andare molto a lungo con queste arti (ché bisogna o che lo accordo tra loro séguiti, o che e’ franzesi presto si disperino) è necessario a lui, mentre tiene sospesi e’ franzesi, fare qualche passo in Italia che lo assicuri dal pericolo, o che lo faccia piú potente a resistere [a] [p. 139 modifica] una piena che gli venissi adosso; ed a questo non ha la migliore via che accordare con noi; e’ quali accordati, spaccerá subito el duca di Milano, che n’ha giá dato principio, e spacciato lui, volterá el papa ed e’ fiorentini in sul verso che gli parrá, che non aranno rimedio; e cosí quando poi vorrá fare la guerra con noi, non solo ci ará levato la compagnia di costoro, ma si varrá a distruzione nostra delle forze e danari di quegli stati. E quello che è piú oltre, e’ franzesi, se bene saranno disperati degli accordi ed accesi al passare ed invitati da noi, si raffredderanno molto quando vedranno cresciuto forze in grande quantitá allo inimico suo, ed a loro mancati quegli fondamenti de’ quali arebbono sperato di valersi; dove se noi non facciamo questo accordo, questi imperiali staranno molto piú sospesi a manomettere Milano, el papa, fiorentini ed altri; e quando pure lo voglino fare, costoro avendo speranza della lega nostra, penseranno forse a difendersi, a che disperati di noi non potranno pensare; e se Cesare alla potenzia che ha in Italia aggiugne questi altri fondamenti, a noi non resta forma di poterci difendere.

Lo accordo nostro gli dá adunche occasione di assicurare e stabilire le cose sue; e pel contrario el non si accordare lo tiene piú sospeso ed in aria, e non ci toglie la speranza che a qualche tempo non siamo soli. E se si dicessi che a ogni modo, benché noi non ci accordiamo, questi altri si staranno sempre a vedere, perché non si può sperare unione di italiani se el papa non se ne fa capo, e della timiditá ed irresoluzione sua abbiamo veduto tanti esperimenti, che oramai siamo chiari non si può farvi fondamento, io risponderei che oppressato Milano, el papa e fiorentini, noi restiamo certissimi che non possiamo avergli piú con noi. Ma insino che sono vivi, potrebbono pure venire degli accidenti che concorrerebbono con noi, in caso cioè che e’ franzesi desperati delle pratiche di Spagna, si risolvessino al passare in Italia; perché allora io credo pure che el papa, a chi siamo certi che dispiace questa grandezza, gli parrebbe vedere el giuoco tanto sicuro che piglierebbe le arme; e quando non le pigliassi, la speranza di farlo [p. 140 modifica] dichiarare farebbe piú gagliardi e’ franzesi ed ognuno a questa impresa, e costoro, dubitando di non essere anche offesi da quella banda, arebbono tanto manco animo e riputazione; dove se saranno giá perduti, né gli inimici nostri arebbono causa di temerne, né gli amici di sperarne. Adunche poi che el non si accordare noi è mezzo verisimilmente di potere salvare questi altri, debbiamo fare ogni cosa per salvarli; non per beneficio loro, ché el papa non volendo aiutarsi da sé non merita essere aiutato da altri, ma per salute nostra, e perché, se mai le pratiche di Spagna si ridurranno in luogo che e’ franzesi, cognoscendo essere ingannati, desiderino di passare in Italia come io spero che sará presto, che le cose non siano rovinate in modo che abbino a desistere da questo pensiero.

Da questa deliberazione ci può alienare el dubio che si ha che Cesare non accordi con Francia, nel quale accordo l’uno e l’altro convenga che noi andiamo in preda; e lo accordo può nascere da due cause: la prima, che Cesare vi abbia inclinazione come ha sempre detto di volere fare; la seconda, perché lo sdegno che ará con noi non volendo accordare seco ed el timore di queste unione quando e’ franzesi saranno desperati, ve lo induca; e cosí essendo el principale nostro pericolo la unione di questi re, noi col non volere accordare con Cesare, lo augumentiamo. A questo io rispondo, che io non credo che lo accordo tra’ re abbia effetto, perché non so vedere come vi abbia a essere la sicurtá, massime ora che e’ franzesi, non temendo guerra in Francia per la lega fatta con Inghilterra, non hanno da precipitarsi per paura; però non penso accettino mai uno accordo nel quale si abbino a fidare che la liberazione del re abbia a stare a discrezione dello imperadore, massime che la cosa è andata tanto alla lunga che oramai possono comprendere che non generositá o desiderio di pace o amore lo induce alla liberazione, ma che lo accordo si faccia o per necessitá o per ingannare; e da altro canto Cesare non si può fidare, né avere mai sicurtá alcuna bastante a fargli credere che, liberato che sará el re di Francia, abbia a mettere in esecuzione capitoli che faccino Cesare signore del mondo, e lui e gli altri príncipi schiavi suoi. [p. 141 modifica]

E che questo sia vero, ve lo mostra la instanzia che si fa a noi di questo accordo, la quale e’ non farebbe se volessi accordarsi con franzesi, perché non gli servirebbe a niente, anzi, disegnando rovinarci col braccio di quella unione, gli sarebbe piú giustificazione e piú onore a non avere accordato l’uno di con noi per mancarci l’altro. E quando lo accordo tra’ re fussi in disposizione da dovere seguire, perché l’uno e l’altro vi avessi buona inclinazione, non seguirebbe né piú né manco per accordarci o non ci accordare noi, però in questo caso è frustratorio el disputarne; e non vi essendo questa inclinazione, come io non credo che vi sia, ed essendovi la diffidenzia come per necessitá vi è, né lo sdegno né la paura non faranno precipitare Cesare a questo accordo. Lo sdegno no, perché non è di natura da adirarsi a suo danno; manco la paura, perché ará de’ modi da assicurarsi, col proponere qualche partito in Italia, che el papa e noi, Milano e gli altri restiamo sicuri dal sospetto che abbiamo di lui; il che potrebbe fare con piú facilitá e con manco pericolo, che non sarebbe lasciare uno re di Francia, el quale creda che liberato che sia gli abbia a essere inimico insieme con noi altri.

E sanza dubio se io non mi inganno, el liberare el re di Francia per timore della unione di tanti, lo mette in maggiore pericolo, che non lo mette lo assicurarsi di noi, per via di acconciare le cose in modo che a tutti esca el sospetto che lui si voglia fare signore di Italia, a che e’ modi sono facili. Di poi quando questo accordo tra’ re avessi pure a seguire, n’areno manco a temere, in quanto migliore grado saranno e’ franzesi quando lo faranno, ed in quante piú difficultá sará Cesare; perché e’ franzesi aranno minore causa di mettersi a discrezione, e lui quanto sará piú guidato dalla necessitá, tanto manco potrá dare le legge loro, ed in questi casi verisimilmente la liberazione del re sará la prima cosa. Io vi dimando: quando saranno piú in riputazione le cose de’ franzesi, o accordato che noi areno con Cesare o non accordando? Certo, per le ragione dette di sopra, in minore riputazione assai saranno se noi facciamo lo accordo, perché gli mancherá [p. 142 modifica] la speranza di travagliare Cesare in Italia. Ecco adunche che lo accordo nostro, nella unione che loro facessino insieme, favorisce Cesare e gli fa tirare piú le cose a modo suo, e in consequenzia a danno nostro.

Concludo adunche che o la unione è per seguire ordinariamente tra questi re, ed in tale caso non è in considerazione lo accordo nostro o la nostra rottura, o la non è per seguire per le difficultá che ha, se sdegno o necessitá non induce Cesare, ed in questo caso a giudicio mio el nostro non si accordare non lo fará fare, perché ará degli altri rimedi migliori a assicurarsi di noi; ed in ogni evento che lo accordo séguiti, sará con tanto piú danno nostro quanto maggiore sia el disfavore de’ franzesi al tempo del farlo. Confesso bene che la materia è sí difficile ed incerta, che io mi potrei ingannare in questo facillimamente, perché potrebbe essere che tra’ re si trovassi de’ modi delle sicurtá che io non veggo, ed anche potrebbe essere che per gli andamenti di questi mesi Cesare fussi tanto insospettito di noi e degli altri di Italia, che riputassi minore pericolo el fidarsi del re, benché non sia verisimile; e però el fondarsi in su questa opinione è pericolosissimo e da fuggire, se ci fussi una altra via per la quale si potessi andare con manco pericolo. Ma a me pare che volendo noi accordare con Cesare per fuggire el pericolo di questa unione tra Francia e lui, noi andiamo, come ho detto di sopra, alla ruina nostra certa ed in uno termine che noi non possiamo avere aiuto se non da casi ed accidenti inopinati, in su’ quali soli fondarsi è pazzia; dove tenendo questa altra via, possiamo avere la medesima speranza delle venture non pensate, ed anche ci è pure qualche ragione da sperare di salvarsi.

Però se andando per questo cammino siamo certi che vi è la ruina nostra, siamo necessitati andare per questo altro, nel quale è pericoli assai ma non sanza speranza; la quale può parere a chi maggiore, a chi minore, ma non si può negare che speranza non ci sia. Non metto ancora per assoluto che non accettando noi lo accordo, ci abbia a essere rotta guerra di presente, perché rispetto alle terre forte ed e’ modi [p. 143 modifica] che abbiamo di difenderci, la non è impresa sí facile che abbino a sperare di correrla, e le cose sono condizionate in modo, e saranno tanto piú se questa unione non si conclude presto, che el desperarci gli fa pericolo che noi non ci gittiamo a fare sí grassi partiti a’ franzesi, che gli allettiamo a passare piú che non arebbono fatto per lo ordinario; ed anche non hanno costoro tanti danari, che gli abbino a volere spendere intorno alle nostre terre munitissime, per trovarsi poi esausti se qualche piena grande gli venissi adosso. Pure quando io fussi certo che fussino per farla, io non muterei sentenzia, perché meglio è che l’abbiamo ora che, come è detto, lo inimico nostro è manco atto a offenderci, che non sará a altro tempo, per la occasione che ará di farsi grandissimo, e levarci tutte le speranze de’ sussidi mediante lo accordo nostro. Ed in questo bisogna che apparisca la vostra antica prudenzia e virilitá, che la paura de’ mali presenti non vi muova tanto che per allungargli entriate in mali e pericoli molto maggiori.

È uficio di chi governa le cittá fuggire le guerre quanto si può, ma appartiene anche alla sapienzia loro anticipare una guerra molesta e pericolosa per fuggirne una piú molesta e piú pericolosa; il che agli altri può essere difficile, ma non debbe giá essere alla nostra republica, la quale oltre alla potenzia ed opportunitá che ha di difendersi, ha avuto tanti anni guerra con questi medesimi inimici, ed a tempo che avevamo perduto tanto dello stato nostro che non ci restava in terraferma altro che Padova e Trevigi, avevamo perduto in Vicentino lo esercito nostro, ed affaticati da grandissime spese, e nondimeno nel furore della guerra, sendo el re di Francia nostro collegato battuto in Francia con gli inghilesi, tutta Italia e svizzeri con questi altri, ci bastò lo animo recusare accordi assai tollerabili secondo le condizione de’ tempi, ché ci era restituito, da Verona in fuora, tutto quello che ora tegnamo. Però sendo esperti ne’ mali, ci debbe parere minore fatica di tornare a questi travagli, a’ quali ci conduce la necessitá, e considerare che a sostenere la guerra presente non abbiamo manco cosa alcuna, che non siamo per avere se la [p. 144 modifica] ci sará fatta a altro tempo, ma ne abbiamo molte in favore nostro, che a altro tempo ci saranno tutte in contrario. Per le quali ragione io consiglio che lo accordo non si faccia. Conforto bene che si faccia ogni diligenzia per intrattenere questa pratica se si può, tanto che si vegga che esito abbino tra’ re le pratiche di Spagna, perché da quelle si potrebbono variare assai le nostre deliberazione; ma quando non si possa, io consiglio che piú tosto di presente si pigli una guerra molesta e pericolosa, che la si differisca a altro tempo, per averla con molestia e pericolo sanza comparazione molto maggiore.