Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 16

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CAPITOLO XVI


Un Popolo uso a vivere sotto un Principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficoltà mantiene la libertà.


Quanta difficultà sia ad uno Popolo uso a vivere sotto un Principe preservare dipoi la libertà, se per alcuno accidente l’acquista, come l’acquistò Roma dopo la cacciata de’ Tarquinj, lo dimostrarono infiniti esempj, che si leggono nelle memorie delle antiche Istorie. E tale difficultà è ragionevole; perchè quel Popolo è non altrimenti che uno animale bruto, il quale, ancorchè di natura feroce e silvestre, sia stato nutrito sempre in carcere e in servitù, che dipoi lasciato a sorte in una campagna libero, non essendo uso a pascersi, nè sapendo le latebre dove si abbia a rifuggire, diventa preda del primo che cerca rincatenarlo. Questo medesimo interviene ad un Popolo, il quale sendo uso a vivere sotto i Governi d’altri, non sapendo ragionare nè delle difese, o offese pubbliche, non conoscendo i Principi, nè essendo conosciuto da loro, ritorna [p. 76 modifica]presto sotto un giogo, il quale il più delle volte è più grave che quello che per poco innanzi si aveva levato d’insù il collo: e trovasi in queste difficultà, ancora che la materia non sia in tutto corrotta. Perchè in un Popolo dove in tutto è entrata la corruzione, non può, non che picciol tempo, ma punto vivere libero, come di sotto si discorrerà: e però i ragionamenti nostri sono di quelli Popoli dove la corruzione non sia ampliata assai , e dove sia più del buono, che del guasto. Aggiungesi alla soprascritta un’altra difficultà, la quale è che lo Stato che diventa libero, si fa partigiani nimici e non partigiani amici. Partigiani nimici gli diventano tutti coloro che dello Stato tirannico si prevalevano, pascendosi delle ricchezze del Principe; a’ quali sendo tolta la facoltà del valersi, non possono vivere contenti, e sono forzati ciascuno di tentare di riassumere la tirannide, per ritornare nell’autorità loro. Non si acquista, come ho detto, partigiani amici, perchè il vivere libero propone onori e premj, medianti alcune oneste e determinate cagioni, e fuori di quelle non premia nè onora alcuno; e quando uno ha quelli onori e quegli utili che gli pare meritare, non confessa avere obbligo con coloro che lo rimunerano: oltre a questo, quella comune utilità che del vivere libero si trae, non è da alcuno, mentre ch’ella si possiede, conosciuta, la quale è di poter godere liberamente le cose sue senza alcuno sospetto, non dubitare dell’onore delle donne, di quel dei figlioli, non [p. 77 modifica]temere di sè; perchè nissuno confesserà mai avere obbligo con uno che non l’offenda. Però, come di sopra si dice, viene ad avere lo Stato libero e che di nuovo surge, partigiani nimici, e non partigiani amici. E volendo rimediare a questi inconvenienti e a questi disordini, che le soprascritte difficultà si arrecherebbono seco, non ci è più potente rimedio, nè più valido, nè più sano, nè più necessario, che ammazzare i figliuoli di Bruto, i quali, come la Istoria mostra, non furono indotti insieme con altri giovani Romani a congiurare contro alla patria, per altro se non perchè non si potevano valere straordinariamente sotto i Consoli, come sotto i Re; in modochè la libertà di quel Popolo pareva che fusse diventata la loro servitù. E chi prende a governare una moltitudine, o per via di libertà o per via di Principato, e non si assicura di coloro che a quell’ordine nuovo sono nimici, fa uno Stato di poca vita. Vero è che io giudico infelici quelli Principi, che per assicurare lo Stato loro hanno a tenere vie straordinarie, avendo per nimici la moltitudine; perchè quello che ha per nimici i pochi, facilmente, e senza molti scandali si assicura ; ma chi ha per nimico l'universale, non si assicura mai, e quanta più crudeltà usa, tanto diventa più debole il suo Principato. Talchè il maggiore rimedio che si abbia è cercare di farsi il Popolo amico. E benchè questo discorso sia disforme dal soprascritto, parlando qui d’un Principe, e quivi d’una Repubblica, nondimeno per [p. 78 modifica]non avere a tornare più in su questa materia, ne voglio parlare brievemente. Volendo pertanto un Principe guadagnarsi un Popolo che gli fusse nimico, parlando di quelli Principi che sono divenuti della loro Patria tiranni, dico ch’ei debbe esaminare prima quello che il Popolo desidera, e troverà sempre ch’ei desidera due cose; l’una, vendicarsi contro a coloro che sono cagione che sia servo; l’altra, di riavere la sua libertà. Al primo desiderio il Principe può satisfare in tutto, al secondo in parte. Quanto al primo ce n’è lo esempio appunto. Clearco tiranno di Eraclea, sendo in esilio, occorse che per controversia venuta tra il Popolo e gli Ottimati di Eraclea, veggendosi gli Ottimati inferiori si volsono a favorire Clearco, e congiuratisi seco lo missono contro alla disposizione popolare in Eraclea, e tolsono la libertà al Popolo. In modo che trovandosi Clearco tra la insolenza degli Ottimati, i quali non poteva in alcun modo nè contentare nè correggere, e la rabbia de’ Popolari, che non potevano sopportare lo avere perduta la libertà, deliberò ad un tratto liberarsi dal fastidio dei Grandi, e guadagnarsi il Popolo. E presa sopra questo conveniente occasione, tagliò a pezzi tutti gli Ottimati, con una estrema satisfazione de’ Popolari. E così egli per questa via satisfece ad una delle voglie che hanno i Popoli, cioè di vendicarsi. Ma quanto all’altro popolare desiderio di riavere la sua libertà, non potendo il Principe satisfarli, debbe esaminare quali [p. 79 modifica]cagioni sono quelle che li fanno desiderare d’essere liberi; e troverà che una piccola parte di loro desidera d’essere libera per comandare, ma tutti gli altri, che sono infiniti, desiderano la libertà per vivere sicuri. Perchè in tutte le Repubbliche, in qualunque modo ordinate, ai gradi del comandare non aggiungono mai quaranta o cinquanta cittadini; e perchè questo è piccolo numero, è facile cosa assicurarsene, o con levarli via, o con far loro parte di tanti onori, che secondo le condizioni loro essi abbiano in buona parte a contentarsi. Quegli altri ai quali basta vivere sicuri, si satisfanno facilmente, facendo ordini e leggi, dove insieme con la potenza sua si comprenda la sicurtà universale. E quando un Principe faccia questo, e che il Popolo vegga che per accidente nissuno ei non rompa tali leggi, comincerà in breve tempo a vivere sicuro e contento. In esempio ci è il Regno di Francia, il quale non vive sicuro per altro che per essersi quelli Re obbligati ad infinite leggi, nelle quali si comprende la sicurtà di tutt’i suoi Popoli. E chi ordinò quello Stato, volle che quelli Re, dell’arme e del danajo facessero a loro modo, ma che d’ogni altra cosa non ne potessero altrimenti disporre che le leggi si ordinassero. Quello Principe adunque o quella Repubblica che non si assicura nel principio dello Stato suo, conviene che si assicuri nella prima occasione, come fecero i Romani. Chi lascia passare quella, si pente tardi di non aver fatto quello che doveva fare. Sendo [p. 80 modifica]pertanto il Popolo romano ancora non corrotto quando ci ricuperò la libertà, potette mantenerla, morti i figliuoli di Bruto, e spenti i Tarquinj, con tutti quelli rimedj e ordini che altra volta si sono discorsi. Ma se fusse stato quel Popolo corrotto, nè in Roma, nè altrove si trovavano rimedj validi a mantenerla, come nel seguente capitolo mostreremo.