Discorso sul testo della Commedia di Dante/II

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[p. 136 modifica]II. Qui dov’io scrivo, le minuzie sono istituto di Università, dove inculcano doversi interpretare gli antichi in tutti i significati veri, probabili, immaginabili, e quanti ne stanno fra’ termini inconcepibili del possibile; per ciò che l’acume, l’ingegno e l’erudizione de’ critici gratifica i dotti di caldissima ammirazione.1 Daniele Uezio, mecenate malfortunato, e se ne pentì amaramente, delle illustrazioni tutte de’ classici per gli studj del Delfino di Francia,2 spendeva anch’ei molta parte della sua vita a far da commentatore, e stimò che i sudori assidui per trecento e più anni dopo il risorgimento delle lettere, avessero alloramai procacciato allori e riposi alla critica emendatrice3. Ma io vedo vivente e gloriosa la progenie di que’ valenti, i quali dal regno di Vespasiano in Roma al regno di Anastasio in Costantinopoli disossavano tutte le odi e i cori de’ Greci a ridurli alle strofe simmetriche delle nostre canzoni4. Il famosissimo de’ Bisantini aveva nome Eugenio Frigio; e le filologiche sue prodezze sono narrate da Svida. La posterità nomini i miei contemporanei; e di certo conoscerà i loro emuli: da che per quanto Orazio ridica alle scuole che Pindaro numeris fertur lege solutis, chi può dir quando si ristaranno mai dal provarsi a indurlo a cantare co’ ritornelli metastasiani? La filologia, che fa pompa del niente e nessun uso del poco che solo può dare e che le lettere le domandano, non è ella giuoco di penne e di menti inquiete insieme ed inerti? Pur anche in Inghilterra le Università hanno la loro plebe, e vuole ammirare —

Aut aliqua ratione alla ducuntur: ut omne
Humanum genus est avidum nimis auricularum.

Pur, da che la gioventù non gli ode spiegati da’ frati, gli scrittori Greci e Romani e gli antichi per lo più d’ogni popolo giovano alla repubblica: non perchè insegnino teorie di libertà [p. 137 modifica]naturale e di diritti imperscrittibili, quando anzi per essi tutto diritto ed obbligo erano decretati dal fatto e dalla vittoria. Nè quegli scrittori guardavano il mondo, nè vedevano uomini fuori delle loro città; onde divezzano dall’osservare le somiglianze e dissomiglianze fra le nazioni, e derivare un sistema politico dalle origini prime delle diverse società sulla terra. Tuttavia rappresentano individui fortissimi, nobili imprese, anime maschie; allettano la fantasia ad illusioni eroiche; concentrano il cuore alla patria e all’ardore di fama guerriera; però movono a fatti più che a speculazioni a difendere la libertà. Certo, qui dove scrivo, alcuni che furono esercitati sino dalla prima gioventù a pesare sillabe e accenti su’ classici, oggi primeggiano autori popolari, e poeti nuovi, ed eloquenti fra gli oratori. Se non che molta, se forse non tutta, originalità viene a genio dalla attitudine d’arricchirsi di tutto da tutti, a fare suo proprio l’altrui, e rimodellare e immedesimare ogni cosa, sia straniera o antichissima; tanto da trasformarle che assumano le sembianze e le qualità confacenti a nuova età e altro popolo. E vedo la letteratura in Inghilterra quasi fiume ampliatosi rapidamente per lontanissimo corso da mille ignote sorgenti confluenti da più secoli sino ad oggi da tutte le parti, a innaffiare nuove campagne. La libertà della patria aggiunge anima all’ardire, e generosità alle passioni, e vigore alla mente onde il genio, non sì tosto si libera dalla tutela delle scuole, va quanto può e come vuole.

Note

  1. Quarterly Review, vol. IV, pag. 109.
  2. Vel levius, quam putabam, tincli literis; vel impatientes laboris, quam mihi commoverant expectationem sui fefellerunt, (quid enim dissimulem?) adeo ut necquaquam par fuerit operum omnium dignitas. De Vita sua Com., pag. 288, Amstel., 1718.
  3. Loc. cit.
  4. In odeo molestos incidimus grammaticos qui lyricorum quaedam carmina in varias mensuras coegerunt. Quintiliano, lib. IX, 4.