Donne illustri/Donne illustri/Maria Stuarda

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Maria Stuarda

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Donne illustri - Isabella d'Aragona Donne illustri - Cristina Trivulzio Belgioioso

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CCuesta regina, dice il suo storico Mignet, bersaglio della sventura dalla culla alla tomba, aveva appena sei giorni quando fu chiamata al regno. Costretta presto a fuggirne, ella sposò l’erede della corona di Francia, morto quand’ella avea diciott’anni. Rimasta vedova così giovane, tornò in Iscozia, ove era venuta a bene la rivoluzione protestante e dove trovò l’antica indocilità feudale raggravata di tutto il fanatismo che inspiravano le nuove credenze. In breve tempo ella fu colà carcerata, deposta, proscritta, e per scampare dalle furie del suo popolo cadde in mano degli Inglesi, suoi vicini, che la tennero in prigione diciannove anni e le mozzarono la testa sopra un patibolo. [p. 220 modifica]

Ella era figlia di Jacopo V, re di Scozia e di Maria di Lorena. Nata nel 1542, sei giorni dopo la sua nascita le morì il padre: ella fu tosto riconosciuta regina sotto la tutela della sua genitrice. Nel 1558 sposò il Delfino di Francia, che l’anno dopo divenne re, prendendo il nome di Francesco II. Dopo diciotto mesi di matrimonio, le morì il marito, ed ella tornò in Iscozia. Il suo attaccamento alla religione cattolica le sollevò contro i suoi sudditi infanatichiti dalle predicazioni di Knox e inveleniti dai libelli di Buchanan. Ella era appassionata, e irriflessiva; e fu complice del suo fato nemico. Invaghitasi di Enrico Darnley, suo cugino, che non aveva altro pregio che l’esser bello, lo sposò nel 1565. Presto se lo recò a noia; e Darnley, geloso di David Rizzio, italiano, segretario e confidente della regina, lo fece trucidare sotto gli occhi di lei. Egli stesso nel 1567 fu trucidato.

Maria Stuarda fu accusata di essere intinta nell’assassinio. Tre mesi dopo fu forzata sposare il conte di Bothwell, tenuto per l’uccisore di Darnley. Allora gli Scozzesi, sollevati da Murray, suo fratello naturale, prendon l’armi contro di lei, la arrestano e vogliono costringerla ad abdicare e ad abiurare il cattolicismo. Essa riesce a scampare dal castello di Lochleven, ove era sostenuta, e nel 1568 ripara in Inghilterra, sperando trovar asilo e protezione presso la regina Elisabetta, sua cugina; ma costei che era sua rivale e nemica giurata, dopo aver finto che le sventure di lei le pesassero, la chiuse in una stretta carcere e la tenne prigione diciott’anni. Parecchi tentarono liberarla; fra gli altri Norfolk e Babington, ma non venne lor fatto. Babington aveva [p. 221 modifica] cospirato contro Elisabetta, e questa falsa donna colse il destro per accusare Maria rea di accordo col cospiratore e la fece condannare a morte (1587). Ella sostenne il supplizio con rassegnazione eroica protestando che moriva innocente. Ciascuno l’ha letta con pianto nella tragedia di Schiller, o l’ha veduta almeno rappresentare. Il Mignet storico è forse più pietoso del poeta. Tutti, egli dice, erano inteneriti allo spettacolo di quella lamentevole sventura, di quell’eroico coraggio, di quella maravigliosa mitezza. Lo stesso carnefice, era commosso e la percosse con mano mal ferma. La scure al primo colpo non toccò il collo, ma la parte posteriore del capo e la ferì senza che ella facesse un moto, nè mettesse un lamento. Solo al secondo colpo le troncò il capo, e lo mostrò dicendo: Dio salvi la regina Elisabetta. Costei punì poi Davison ed altri che avevan mandato ad esecuzione l’ordine di morte sottoscritto da lei, e ch’ella dicea essere suo animo che restasse senza effetto; e solo aver voluto compiacere al suo popolo, che chiedeva la testa della Stuarda. Infetti il popolo ne fu allegro e a Londra ne suonarono le campane e fecero fuochi di gioia. Maria Stuarda passava per la più bella donna del suo tempo; era assai colta, e si hanno sue graziose poesie in francese: sul suo lutto per la morte di Francesco II, scrisse una canzone di cui ecco alcune strofe:


Fut-il un tel malheur
     De dure destinée,
     Ny si triste douleur
     De dame fortunée,
     Qui mon cœur et mon œil
     Voit en bierre et cercueil:

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Qui en mon doux printemps
     Et fleur de ma jeunesse,
     Toutes les peines sens
     D’une extrême tristesse,
     Et a rien n’ay plaisir
     Qu’en regret et désir
     . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pour mon mal estranger
     Je ne m’arreste en place;
     Mais j’ay eu beau changer
     Si ma douleur j’efface,
     Car mon pis et mon mieux
     Sont les plus déserts lieux.
Si en quelque sejour,
     Soit en bois ou en prée
     Soit sur l’aube du jour
     Ou soit sur la vesprée,
     Sans cesse mon cœur sent
     Le regret d’un absent.
Si parfois vers les cieux
     Viens à dresser ma veüe
     Le doux trait de ses yeux
     Je vois en une nüe
     Soudain je vois en l’eau
     Comme dans un tombeau.
Si je suis en repos
     Sommeillant sur ma couche
     J’oy qu’il me tient propos
     Je le sens qu’il me touche
     En labeur, en recoy,
     Tousjours es: prest de moy.

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Gli addii alla Francia sono tenerissimi.


Adieu, plaisant pays de France!
          O ma patrie
          La plus chèrie
Qui as nourri ma jeune enfance!
Adieu, France! adieu mes beaux jours!
La nef qui disjoint nos amours
N’a eu de moi que la moitié;
Une part te reste, elle est tienne;
Je la fie à ton amitié,
Pour que de l’autre il te souvienne.


Questa donna ebbe virtù, dice il Mignet, di appassionare i posteri e veramente non i soli cattolici, che la tengono per una martire della loro religione, ma le anime gentili di qualunque credenza si sentono attratte dalla pietosa imagine della Stuarda.

Da Enrico Damley aveva avuto un figlio, che regnò in Iscozia col nome di Jacopo VI, e in Inghilterra con quello di Jacopo I — principiò la serie inglese delle sventure degli Stuardi, le quali ricominciarono col patibolo e si estinsero nell’esilio.