Edipo re (Sofocle - Romagnoli)/Prologo

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Sofocle - Edipo re (430 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
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Piazza dinanzi alla reggia d’Edipo. Al principio dello spettacolo, una moltitudine di persone, bambini, giovani, vegliardi, si aduna dinanzi alla reggia, protendendo rami avvolti in bende di lana, e levando implorazioni. Poco dopo, sulla soglia della reggia appare


edipo
O nuova stirpe del vetusto Cadmo,
figli, perché, venuti alle mie soglie,
tendete i rami supplici? D’incensi,
di peani, di pianti, è piena tutta
5la città. Figli, non mi parve bene
chieder notizie a messaggeri: io stesso
son qui venuto: Edipo: il nome mio
è chiaro a tutti. — O vecchio, ora tu dimmi,
ché degno sei di favellar tu primo,
10perché veniste? Per pregare? O quale
terror vi spinse? Ad ogni modo io voglio
darvi soccorso: se di tante preci
non sentissi pietà, non avrei cuore!
sacerdote
O tu che reggi la mia terra, Edipo,
15vedici innanzi all’are tue prostrati,

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supplici d’ogni età: questi, che poco
stendono ancora il volo; e questi, gravi
per età, sacerdoti, ed io di Giove;
e questi, eletti dai fiorenti giovani.
20E per le piazze, tutta l’altra turba,
tendendo rami, innanzi al tempio duplice
di Pàllade si prostra, ed alla cenere
fatidica d’Apollo. La città,
come tu stesso ben lo vedi, troppo
25è già sbattuta dai marosi, e il capo
piú non riesce a sollevar dal baratro
del sanguinoso turbine: distrutti
i frutti della terra ancor nei calici:
distrutti i bovi delle mandrie, e i parti
30delle donne, che a luce piú non giungono;
e il dio che fuoco vibra, l’infestissima
peste, su Tebe incombe, e la tormenta,
e dei Cadmèi vuote le case rende:
sí ch’Ade negro, d’ululi e di pianti
35opulento diviene. Ora io, con questi
figli, dinanzi all’are tue venimmo,
non reputando te pari ai Celesti,
ma fra gli uomini il primo a cui s’accorra
nel varïar delle vicende umane,
40o quando muti nostra sorte un dèmone:
ché tu, giungendo alla città di Tebe,
il tributo sciogliesti imposto a noi
dalla feroce cantatrice1; e questo
senza nulla da noi prima sapere
45né avere appreso: con l’aiuto solo
d’un dio, com’è fra noi fama e credenza,
redenta hai nostra vita. Or, tutti vòlti,
Edipo, a te, che sommo sei nell’animo

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di tutti, or ti preghiamo: per noi trova
50qualche soccorso: o sia che ti favelli
l’oracolo d’un Nume, o che t’illumini
qualche mortale: poi che veggo a bene
riuscire, a chi sa, fin le sciagure,
grazie ai consigli. Or via, sommo fra gli uomini,
55rimetti in piedi Tebe! A lei provvedi!
Già per l’antico beneficio, questa
terra te chiama salvator: provvedi
tu, che del regno tuo fra noi non resti
questa memoria: che ci alzammo, e poi
60giú di nuovo piombammo: in piedi salda
Tebe rimetti: un’altra volta già,
con fausti augurî la fortuna a noi
rendesti: quale allor fosti, ora mostrati.
Ché, se tu reggi, come reggi, questa
65terra, meglio è con gli uomini, che vuota
governarla: ché nulla è torre o nave,
se deserta, se niuno è ch’entro v’abiti!
edipo
Miseri figli, a me la prece vostra
cose ben note, annunzia, e non ignote.
70Tutti, bene lo so, v’opprime il morbo,
tutti soffrite; ma nessun di voi
soffre al pari di me. La vostra doglia,
di ciascuno di voi, ricade solo
sopra lui stesso, e su niun altri. Ma
75l’animo mio me piange insieme, e te,
e la città. Sicché, non mi scoteste
dal sonno: io non dormivo; e molte lacrime
ho versate, sappiatelo, e pei tramiti

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del pensiero lungamente errai:
80investigai, trovai solo un rimedio:
m’attenni a quello: il mio cognato, il figlio
di Menecèo, Creonte, all’are pitiche
mandai d’Apollo, a chiedere che debba
io fare o dire a salvazion di Tebe.
85E già, se al tempo commisuro il giorno,
m’angustia il suo ritardo: ché già troppo
piú che non si convenga, e ch’io pensassi,
resta lontano. Quando ei sarà giunto,
ben perfido sarei, se non compiessi
90tutto, quale pur sia, del Nume il cenno.
sacerdote
A proposito parli: e questi, or ora
m’han fatto cenno che Creonte giunge.
edipo
E fortuna e salvezza, oh Apollo, giungano
cosí con lui, com’egli in volto raggia!
sacerdote
95Lieto è, se debbo argomentare: tante
foglie e bacche di lauro2 al capo ha cinte!
edipo
Súbito lo sapremo: è tanto presso
che udir mi può. — Cognato mio, Creonte,
quale responso a noi del Nume rechi?
Quasi súbito dopo queste parole, entra Creonte.

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creonte
100Buono! Fin la sciagura, ov’ella un esito
felice trovi, diverrà fortuna.
edipo
Che responso è mai questo? Io non m’allegro
per tali detti, né timor mi coglie.
creonte
Pronto sono a parlar. Vuoi che favelli
105dinanzi a tutti? Entrar vuoi nella reggia?
edipo
Parla dinanzi a tutti: il duol m’affanna
piú per costor che per la vita mia.
creonte
Quel che udito ho dal Nume io ti dirò:
chiaramente ei c’impose ch’estirpassimo
110la lue nata e nutrita in questa terra,
prima ch’essa diventi immedicabile.
edipo
La lue qual’è? Come espiar si deve?
creonte
Il bando; o riscattar sangue con sangue:
ché sangue sparso la città travaglia.

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edipo
115Sangue sparso? E di chi? Lo dice il Nume?
sacerdote
Prima che tu reggessi Tebe, o re,
Laio era duce della terra e nostro.
edipo
Lo so, l’ho udito; ma non mai l’ho visto.
creonte
Apollo chiaramente ora c’impone
120gli assassini punir, quali che siano.
edipo
E dove sono? E dove mai trovare
l’ardue vestigia d’un misfatto antico?
creonte
In questa terra, disse: e che puoi cogliere
ciò che tu cerchi; ma il negletto sfugge.
edipo
125Entro le case, oppur nei campi, fu
Laio trafitto? O sopra estranea terra?

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creonte
Partito, disse, a consultar l’oracolo,
piú non giunse alla casa onde fu mosso.
edipo
Né messo giunse? Né compagno v’era,
130ch’abbia veduto, e dar ci possa indizio?
creonte
Fûr tutti spenti: uno sfuggí; ma seppe,
di ciò che vide, un punto solo dirci.
edipo
Quale? Un sol punto aprir può molte vie,
se di speranza alcun barlume fulga!
creonte
135Disse che in lui ladroni s’imbatterono,
e l’ucciser; non uno, anzi una turba.
edipo
Come tanto un ladrone avrebbe ardito?
Prezzolato da Tebe egli fu certo.
creonte
Cosí pensammo. Or, morto Laio, niuno
140surse a vendetta: ch’altro mal premeva.

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edipo
E quale mai, che quando il signor vostro
cadea, vi tenne dal chiarir lo scempio?
creonte
A guardar ne inducea l’ambigua Sfinge
il mal presente, e a trascurar l’occulto.
edipo
145Ma dal principio io chiaro lo farò:
poi che meritamente Febo, e tu
meritamente, ti sobbarchi a questa
cura per lui ch’è spento. E a buon diritto
vostro alleato me vedrete, e vindice
150di questa terra, e insiem del Nume: ch’io,
non per lontani amici, anzi per me
stesso questa bruttura sperderò.
Ché certo quei che Laio uccise, a me
la stessa pena infliggere vorrebbe:
155onde, se Laio io vendico, a me giovo.
Figli, a voi, presto, raccogliete quelle
supplici rame, sorgete dall’are:
e il popolo di Cadmo qui si convochi,
ché a tutto io sono pronto! O trionfanti
160o al suol caduti, al Nume obbediremo.
Rientra nella reggia.
sacerdote
Figli, sorgiamo! Il re promesso ha quanto
qui venimmo a cercare. E chi mandò
questi oracoli, Febo, ora ci assista,
ora ci salvi, ed allontani il morbo.


Note

  1. [p. 336 modifica]Pag. 12, v. 43. - La feroce cantatrice è la Sfinge, della quale Edipo sciolse il noto enigma.
  2. [p. 336 modifica]Pag. 14, v. 96. - Le foglie e le bacche d’alloro si cingevano al capo per indicare letizia e vittoria.