Elementi di economia pubblica/Parte quarta/Capitolo IX

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Capitolo IX - Del credito pubblico

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Parte quarta - Capitolo VIII
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Cap. IX. — del credito pubblico.

53. La scarsezza del tempo, che ci costringe a compendiare quelle materie che ancora ci rimangono a trattare, mi sforza a stringere in questo Capitolo tutto ciò che doveva esser diviso in varj, e chiudere così questa quarta Parte.

Dalla facilità e promiscuità de’ commerci di varie nazioni, dalla libertà e vigore del commercio si interiore che esteriore nasce quel fenomeno politico e morale che chiamasi credito pubblico. Esso altro non è che una confidenza e fiducia che provano i sudditi riguardo agli altri sudditi, i membri di una nazione con quelli di un’altra, di poter sicuramente e facilmente cambiare e contrattare i valori che posseggono con altri che possono desiderare. Quando nasce questa reciproca confidenza, sia fra gli uomini, sia fra le nazioni, ella diviene di una reciproca utilità; e questa medesima confidenza che è un effetto della prosperità e della facilità del commercio, diviene a vicenda cagione di maggior prosperità e facilità del commercio medesimo. Come si ottenga in tutte queste quattro parti, lo abbiamo dimostrato. Solo qui diremo che questo importante ramo della morale economia degli Stati merita di essere gelosamente conservato. La facilità della circolazione, il libero commercio delle derrate e delle opere dell’industria, la concorrenza dei venditori e quella dei compratori lo faranno crescere ed ancora fino ad un certo segno lo conserveranno. Ma dove vi sono passioni ed appetiti, vale a dire dove vi sono uomini, e necessario altresì di punire la frode e di prevenire la mala fede; altrimenti le ricchezze si rinchiudono e malamente si distribuiscono, o con tale cautela e diffidenza si contrattano, che languisce ogni riproduzione, e per conseguenza si annienta la ricchezza e la forza mantenitrice degli Stati.

54. Un proprietario di un qualunque valore fallisce, ogni qualvolta la somma del suo debito eccede la somma del suo credito; ciò può accadere per accidenti che non si possono prevedere. Questi fallimenti non fanno perdere la confidenza e il credito pubblico, perchè sono rari, e perchè non nascono [p. 454 modifica]dalle circostanze e relazioni dei contrattanti tra di loro. Ma se ciò accada per colpa vera o per frode di chi fallisce, farebbero perdere questo così prezioso credito pubblico. Bisogna dunque punire i fallimenti, bisogna punirli con quelle pene che sono relative alla natura del delitto. Chi contratta, contratta per ricevere utilità dal proprio contratto. Dunque, chi froda, dovrà in primo luogo risarcire il valore che ha frodato, dippiù deve restar privo di altrettanto valore, ossia di altrettanta utilità, di quanta egli ha voluto frodar gli altri. La pena dunque del doppio sembra dettata dalla natura del delitto stesso. Ma quando la frode è fallimento, il debito eccede la facoltà di chi fallisce; mentre dunque v’è impossibilità a soddisfare con i proprj fondi sia al risarcimento, sia alla pena del delitto, rimane la necessità dell’esempio. Dunque bisognerà supplire con pene personali; ma questa pene dovranno prendere la norma dalla naturale e propria legge del doppio indicata dalla natura del delitto. Ora si può calcolare di quanto valore sia un uomo nella condizione in cui egli è, perchè tanti guadagni in tanto tempo avrebbe egli colla industria sua prodotto a sè stesso. Dunque la carcerazione ed il travaglio obbligato, per tutto quel tempo che vale la pena del doppio, sarà la pena conveniente in questi casi. Ma ciò appartenendo piuttosto alla scienza legislativa, basta averlo accennato senza entrare in più lunghe discussioni. Si previene la mala fede col registro pubblico ed obbligato dei contratti. Ma qui bisogna avvertire che non tutti i contratti dovrebbero essere registrati; non i contratti che si compiono nell’atto che si fanno, ne’ quali uno paga e l’altro vende, non tutta la folla de’ minuti contratti che servono all’uso continuo delle cose commerciabili, perchè senza inconvenienti possono lasciarsi all’autenticità dei libri mercantili, ed è colpa reciproca di chi non si cautela in questa sorta di contratti; ma quelli che consistono in terre vendute o in danari prestati ad interesse ai proprietarj delle terre, dai quali parte la vera e sola ricchezza, debbono essere registrati perchè sian noti alla pubblica autorità, la quale protegge i loro diritti primordiali. Se dunque la terra cambia di proprietario, ciò debb’essere parimenti [p. 455 modifica]noto per la medesima ragione di tutela e di protezione. I danari prestati contengono una promessa di futura restituzione. Questi capitali rappresentano una proprietà, che debb’essere sicura e protetta in favore del proprietario. Chi la presta, ne cede l’uso; chi la prende ad imprestito, potrebbe frodarne la restituzione, ed usurpare per conseguenza la proprietà altrui, che è uno degli elementi costitutivi della società. Questi contratti debbono dunque essere registrati, acciocchè si possa vedere da chicchessia se uno ha ancora proprietà libere e non impegnate all’altrui restituzione. Si obbietta che molti contratti non si farebbero, i quali si fanno per essere tutti fondati sul mero credito. Si risponde, essere libero a chi si voglia di prestare con questa fiducia; ma l’autorità pubblica non gliene garantirà la restituzione. Dippiù, dato il maggior vigore alle arti ed alle terre, non importa che tali contratti sul mero credito non si facciano, perchè la maggior prosperità dell’agricoltura non dipende dal maggior numero di questi contratti, ma da altre cagioni in questi Elementi annoverate. Il credito pubblico tra unioni e nazioni si mantiene per le stesse vie e la stessa buona fede, che regnar deve tra privati e privati con tanto maggiore esattezza, quanto è maggiore l’influenza di molti, che di pochi.

55. Ciò che io avrei dovuto soggiungere a questa quarta Parte erano principalmente tre articoli, l’uno intorno al commercio di economia, l’altro intorno al dubbio, se la nobiltà debba fare il commercio, ed il terzo intorno alla così detta speculazione mercantile. In quanto al primo, noi l’abbiamo già definito, ed abbiamo già conosciuta la differenza che passa fra questo ed il commercio di produzioni. Solo diremo, che chi fa il commercio di economia non ha altri valori, che quelli che l’industria si procura. L’industria non moltiplica le materie, non crea nuovi valori; solo la terra madre può farlo. Dunque tutta la ricchezza del commercio di economia consiste in salarj; dipende dunque totalmente dai proprietarj delle materie prime. Dunque il commercio di economia appartiene ed influisce più sulla prosperità di quelle nazioni che producono queste materie, delle quali ne incoraggisce e facilita la produzione, perchè ne [p. 456 modifica]facilita lo spaccio e l’uso, di quello che sia utile alla nazione in cui sono questi commercianti di economia; ma questi possono esser utili, in quanto facilitano il cambio delle produzioni interne colle esterne. Sono dunque utili come agenti intermediarj; ma se i loro salarj sono troppo forti, essi stessi perderanno il loro commercio, e cesserà la riproduzione. Dunque l’essenza di questo commercio consiste nei piccoli guadagni, ma frequentemente ripetuti: massima, che il negoziante che pensa in grande e che conosce i veri suoi interessi, non perde mai di mira.

56. In quanto al secondo articolo, la questione è mista di considerazioni morali e politiche, oltre le economiche, e sarebbe di lunga discussione. Per ciò che spetta al lato economico è facilmente sciolta. Si vorrebbe escludere la nobiltà dal commercio, e separare dalla concorrenza universale un numero d’uomini; ma da tutti questi Elementi si sa quanto sia dannoso il diminuire la concorrenza: dunque economicamente sarà dannoso escludere la nobiltà dal commercio. Per terminare la questione, si dovrebbe definire che sia la nobiltà, come influisca sulla nazione, e come i privilegi di essa non debbano essere i privilegi del commercio.

57. In quanto al terzo ed ultimo articolo, della speculazione mercantile, diremo che questa in nient’altro consiste che nell’avere anticipatamente le più esatte notizie e nel prevedere dove sia o sarà abbondante una merce, e perciò a miglior mercato; e dove sia o sarà scarsa, cioè a più caro prezzo; e nel sapere a tempo e con minore spesa trasportarla da un luogo all’altro. Lo speculatore trasporta a poco a poco, non tutta in una volta e in un momento, la merce dove è richiesta, perchè facendone un trasporto troppo considerabile nuocerebbe a sè stesso, col far diminuire il prezzo che egli vuol alto conservare per cavarne profitto. Queste ed altre cose, che tutte si aggirano intorno a questo ordine, sono le considerazioni che formano la speculazione mercantile, della quale il tempo inesorabile non permette che più oltre vi faccia parola.