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Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 175

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A Catarina dello Spedaluccio et al - Lettera 175
Lettera 174 Lettera 176

[p. 151 modifica]A MONNA CATARINA DELLO SPEDALUCCIO ED ALLA SOPRASCRITTA GIOVANNA IN SIENNAI.

Le esorta alla virtù della carità e deH’obbedienin, mostrandogli la necessità che abbiamo di spogliarci della nostra volontà, ed operar sempre in onore di Dio.

II. Le riprende della pena che si pigliavano per la sua assenza da loro, la quale era ordinata all’onore di Dio ed al profitto deH’anime.

ITS» Al nome di fesà Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I. ^^arissime figliuole in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi figliuole obbedienti unite in vera e perfetta carità, la quale obbedienzia e amore vi farà smaltire ogni pena e tenebre; perchè l’obbedienzia lolle quella cosa che ci dà pena cioè la propria e perversa volontà, che si annega ed uccide nella santa e vera obbedienzia!

consuma e dissolvesi la tenebre per l’affetto della carità ed unione, perchè Dio è vera carità e sommo eterno lume: chi ha per sua guida questo vero lume non può errare il cammino; e però io voglio, carissime figliuole, poiché tanto è necessario, che vi [p. 152 modifica]1 02 studiate di perdale le volontà vostre, e d’avere questo lume. Questa è quella dottrina che sempre mi ricorda che v’è stata data, benché poca n’aviate impresa.

Quello che non è fatto, vi prego, dolcissime figliuole, che’l facciate; e se voi noi faceste, stareste in continua pena e terrestevi me mirabile, che merito ogni pena. A noi conviene fare per onore di Dio, come fecero gli apostoli santi (A); poiché ebbero ricevuto lo Spirito Santo, si separarono l’uno dall’altro, e da quella dolce madre Maria: poniamo che sommo diletto loro fusse lo stare insieme, nondimeno essi abbandonarono il diletto proprio, cercarono l’onore di Dio e la salute dell’anime; e perché Maria gli parta da sè, non tengono però che sia diminuito l’amore, nè che siano privati dell’affetto di Maria. Questa è la regola che ci-conviene pigliare a noi.

II. Grande consolazione so che v’è la mia presenzia, nondimeno, come vere obbedienti, dovete voi, e la consolazione propria per onore di Dio e la salute dell’anime, non cercare e non dare luogo al dimonio, che vi fa vedere d’essare privale dell’affetto e dell’amore che io ho all’anime ed a’corpi vostri; se altremonti fusse, non sarebbe fondato in voi, ed io vi fo certe di questo che io non v’amo altro che per Dio!

e perchè pigliate pena tanto disordinata delle cose, che si vogliono fare per necessità ? 0 come faremo, quando ci converrà fare i gran fatti j quando ne’piccioli veniamo così meno ? Egli ci converrà stare insieme

separati, secondo che tempi ci verranno; testé vuole.e permette il nostro dolce Salvatore che noi siamo separate per suo onore. Voi sete in Siena, c Cecca (/) e la Nonna (C) sono a monte Piiloiano.


Frate Bartolomeo (D), e frale Malico vi saranno,

sonovi stati. Alessa e monna Bruna (is) sono a monte Giovi (/’’), di lunga da monte Pulciai»© dicidotto miglia, o sono con la contessa (G) e con madonna lsa; fiato Raimondo (//) e frale Tomaso, e monna Tomma, c Lisa, u io siamo alla lìoccu fra mascalzoni, c mangiatisi v

[p. 153 modifica]153 tanti dimoni incarnali (/), die frate Tomaso, dice, che gli duole lo stomaco; e con tutto questo non si può saziare e più appetiscono, e trovanci lavoro per uno buono prezzo. Pregate la divina bontà, che lor dia di grossi e dolci ed amari bocconi: pensate, che 1’ 01101* di Dio e la salute ddl’anime si vede molto dolcemente!

voi non dovete volere altro, nè desiderare: facendo questo non potete fare cosa che più piaccia alla somma eterna volontà di Dio, ed alla mia. Orsù, figliuole mie, cominciate a fare sacnfizio delle volontà vostre a Dio, e non vogliate sempre stare al latte, che ci conviene disponere 1 denti del desiderio ad ammorsare il pane duro e muffato, se bisognassi. Altro non dico. Legatevi nel legame dolce della carità: a questo mostrarete, che voi siate figliuole, ed in altro no. Confortatevi in Cristo dolce Jesù, e confortate tutte l’iltre figliuo* le, ec. Noi tornaremo più tosto che s: potrì, secondo che piacerà alla divina bontà. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore, [p. 154 modifica]154 Annotazioni alla Lettera 175.

(A) A noi conviene fare per-onore di Dio, come fecero gli apostoli santi. Da c|ncst

parole e «lai rima mote della lettera si può rèdere che la santa non si leuea sodamente nell’ audar ella spargendo sudori in diverse parti a beneficio dell’ anime; ma che in tale rainisterio v’adoperava ancora l’altre compagne, indirizzandole a questo fine a luoghi diversi giusta il bisogno che v’era.


(* Cocca. Cioè la Francesca vedova di Clemente Gori nobile sanese,di cm s’è altrove parlato.

(C) E la Nonna. Chi ella intenda per Nonna, quando che tal nome non fosse proprio d’alcuna, il che non credo, non posso cou certezza asserire. Forse ella appella con tal nome Lapa sua madre ( la quale appunto fu a Montepulciano con questa Cecca, come s*ha dalla lettera 167, avendo loro scritto da questo castello della Rocca, ond’è scritta questa epistola) giacché avendo queste buone donne la santa per madre, doveano avere la madre a essa per nonna,

di tal nome appellarla; onde la santa vergine accomodandosi al modo loro di favellare la dice nonna, non madre.


Del resto, sotto il nome di nonna, la santa potè intender^ anche mia monaca, madre badessa; poiché come osservò, dietro assai documenti il Du-Cange, furono con questo nome alcuna volta chiamati snnctìmoniales praesertim antiquae et senes virgines aut sacrae viduae.

(D) Frate Bartolomeo, ec. O Fra Bartolomeo di Domenico, o Fra Bartolomeo Montucci, ognuno d’essi domenicano e familiare della santa. Fra Matteo è il Tolomei pur religioso di s. Domenico, come altrove *’è avvisato.

(E) Alessa e monna Bruna. Amendne inantellate, e la prima d’esse delle più confidenti e care alla santa.

(F) A Monte Giovi. Le impressioni antiche diceano Monte Ginovi per M»nte Giovi o Giove. Questo è un castello di montagna posto sull’antico Moute Amiata 3o miglia di Siena e 18 di Montepulciano.

Questo luogo, insieme colle terre e castella di Castiglio» di ^ il d’Orcia, di Rocca Federighi, di Montorsajo e di Boccheggiano, fu donato dalla repubblica di Siena alla nobile famiglia de’ Snlimbeni a cagione d’aver favorata la parte del popolo contra gli altri nobili nell’ usurpare il governo della città, facendo»! pur ella ascrivere fra le famiglie popolari.

(G) Sono con la contessa. Questa era o madonna Rianchina vedova di Giovanni d’ Agnolino Snlimbeni signora di Monte Giove; .i la contessa Randoccia sua figliuola. Madonna Isa era altra figliuola di «piella contessa.

(//) Frate Raimondo ec. Di questa lunga dimoia della salila alla [p. 155 modifica]Rocca li Val d’Orcia, odi I entennano, della ancora la Rocca dei Snlimbeni, favella il bealo Raimondo in occaMone di rapportare la liberazione d’uno indemoniato per le orazioni della sauta; cd alcuna cosa se n’ è pur della di sopra favellando della grazia die *i ricevette d apprendere a scrivere per magisteio del cielo. Il beato Raimondo non istetle lutto il tempo della dimora della »a*ita in questo luogo; essendone partito per Roma d’ordine M questa vergine, come egli slesso testifica al luogo citato di sopra, rra Tommaso dovea essere quello della Fonie, confessore ancor esso di santa Caterina. Monna I omtna, cioè Tommasa e Lisa cognata della santa, erano manleilale e sue compagne.

(/) E mangiatisi tanti (Unioni incarnati. Come Cristo Signor nostro appellò nel Vangelo cibo suo la conversione de’ peccatori, co»! la santa in questa ed altre lettere, favellando del ridurre a via di salute le anime cbe n’erano fuori, usa la slessa metafora, volendo con ciò palesare il gusto che ne provala. Quanto grande fosse il concorso delle genli a sentirla favellare, e quale il guadagoo d averla udita, accennasi dal bealo Raimondo; il qunle, auulie con tutta schiettezza confessa talora rnancavaiigli le forze nelP amministrar loro il sagramenlo della penitenza, stando ella sempre più vigorosa: onde none maraviglia, se qui la sauta medesima soggiugue, che a Fra Tommaso ne dolesse lo stomaco, tenendosi nell’allegoria del cibo. A ragione delle molle conversioni che facea dei peccatori, Gregorio XI concedette pieno podere al beato Raimondo e a due altri religiosi, cb’erauo di suo seguito, d’assolvere da ogni colpa in qual si fosse luogo quei che dalle prediche e dalle orazioni di questa sanla vergine riduceansi a penitenza, e volpano acconciarsi dell1 anima e confessarsi, come testifica lo stesso beato; e può leggersi uel breve del pontefice che si dà nella giunta alla vita della sauta, e da noi si acceuuó di sopra.