Er gatto
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Questo testo fa parte della raccolta Centoventi sonetti in dialetto romanesco
LXV.
ER GATTO.
Ma com’è uscito fòri sto gattaccio,
Si1 propio mo stav’in suffitta, e ho chiuso
La porta e puro messo er catenaccio?
Ma se ne trova un antro più sconfuso2
De sto gattaccio qui? Pe’ quanto faccio,
Lui sempre appresso.... E làsseme stà er fuso,
Vattene via.... Ma gnente: io più lo caccio,
Più me viè attorno a strufinasse ’r muso.
Ma che vòi, micio mio? Che te s’è sciòrto,3
Che me guardi accusì tutt’intontito?4
Ma che hai che me pari mezzo morto?
Ah! sta’ a guardà l’ucelletto che vola?
Hai fame, poverello?... Ah, mo ho capito...
Ma nu’ j’amanca propio la parola?!
- ↑ Se.
- ↑ Noioso, importuno. Ma qui è detto per vezzo.
- ↑ Che ti si è sciolto? Maniera ironica (qui però adoprata scherzevolmente), per domandare: Di che hai bisogno? Come se dicesse: «Che cosa ti si è sciolto, ch’io ti deva rilegare o riallacciare?»
- ↑ Istupidito, incantato. Da intontire, che è voce viva non solo a Roma e nell’Umbria, ma (secondo il Fanfani, Voc. dell’Uso tosc.) anche in «quasi tutta Toscana.» Credo quindi che manchi per mera svista al pregevolissimo Rigutini-Fanfani, tanto più che non vi manca tonto.