Ercole (Euripide)/Primo stasimo

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Euripide - Ercole (423 a.C./420 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Primo stasimo
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coro

Strofe I

Dopo l’inno di gaudio,
col tristo elíno risuonar fa’ l’etra,
Apollo, fa’ con l’aureo
plettro vibrar l’armonïosa cetra.
Io, dell’eroe — chi del Croníde vuole
chiamarlo, e chi d’Anfitrïóne prole —
che fra gli estinti scese,
nel buio Averno, vo’ cantar le imprese.
Per le fatiche che gli eroi compierono
è corona l’elogio: all’eroe spento
di sue gesta il ricordo è monumento.
Pria dal leon fe’ libera
di Giove la foresta,
e il dorso con la fulvida
fauce del mostro orribile
cinse, e la bionda testa.

Antistrofe I

E la stirpe selvaggia
degli alpestri Centauri, col fatale
arco abbatté, sterminio

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ne fe’, vibrando delle frecce l’ale.
Lo sa Penèo, d’intorno alle acque pure
sue, lo san campi e sterili pianure,
e del Pelio le gole,
e le vallèe finitime d’Omòle,
donde le alpestri fiere il pian dei Tèssali
tutto invadeano di galoppi equini,
le mani armando coi divelti pini.
E la cerva dal vario
vello, terror d’agricoli
uccise: a Enèo ne giubila
or la Dea cacciatrice.

Strofe II

E quindi, asceso il cocchio,
di Dïomede pose la briglia a le cavalle,
che, di redini ignare, di sanguigne vivande
sazïavan le fauci ne l’omicide stalle,
imbandendo d’umane carni mense nefande.
Poi, dell’Ebro alle vene,
che tra l’eccelse ripe ora fluiscono,
mosse, in servizio al sire di Micene.
E su la spiaggia Pelia,
presso ai fonti d’Anàuro,
Cigno, sterminatore
d’uomini, uccise con le frecce, il barbaro
d’Anfèna abitatore.

Antistrofe II

Alle canore vergini,
quindi, agli orti che d’Espero crescon sui lidi, mosse,
per cogliere dai rami floridi l’aureo pomo.

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E il dragone custode, che le sue scaglie rosse,
avvolticchiava in orride spire, da lui fu domo.
Poi, per umida traccia,
nel mar s’immerse, e al remigar dei nauti
procurò la bonaccia.
E il cielo alto nell’ètere
levò, sottoponendovi
le palme, il dí che presso Atlante venne:
tanto era saldo; e la magion siderea
dei Superi sostenne.

Strofe III.

Fra i molti fiumi poi della Meòtide.
fra l’estuare dell’Eusin, le Amazzoni
schiera d’equestri vergini, affrontò.
E quanti mai dell’Ellade
eroi non radunò,
per conquistar la vesta
della fanciulla d’Ares figlia, il cingolo
d’oro intessuto, la preda funesta!
Della fanciulla barbara le spoglie
ebbe Acaia: Micene ora l’accoglie.
Quindi la sanguinaria
cagna, l’Idra dai capi innumerabili,
presso Lerna struggea
con la fiamma; e col tòssico
sterminò delle sue frecce il tricorpore
pastore d’Erittèa.

Antistrofe III

E lieto conseguí d’altre vittorie
trofei. Poi navigò fra il pianto e i gemiti

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d’Ade; e questa la prova ultima fu.
Quivi si spense, o misero,
né fe’ ritorno piú.
Deserto ora è l’ostello
d’amici; e i figli attende all’empio tràmite
di Caronte il battello,
donde niun mai riedé. Nella tua mano
spera or la casa; e tu sei ben lontano.
Se fossero ancor floride
le mie forze, e vibrare ancor la cuspide
fra gli amici cadmèi,
io potessi, ai tuoi pargoli
darei soccorso: ma ben lungi è il gaudio
dei giovani anni miei.