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Ermanno Raeli/X

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IX XI

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Il quartiere occupato dalla famiglia d’Archenval all’Hôtel des Palmes si componeva di quattro stanze: le camere della viscontessa e della signorina di Charmory, contigue; un salotto intermedio che serviva anche di stanza da pranzo, e la camera del visconte, dal lato opposto. L’ammalata si levava tardi, quando il sole era già alto, e intorno al tocco passava nel salotto, tutte le volte che se ne sentiva la forza, per la colezione. Erano delle sedute per lo più silenziose; la viscontessa reggeva di rado alla fatica di una conversazione; suo marito aveva sempre un’ansia febbrile di far [p. 163 modifica]presto e d’uscire; e quanto a Massimiliana, il suo spirito vagava lontano, ella tornava presto alla solitudine della sua camera, dove nulla veniva a disturbare il suo bisogno di raccoglimento, o scendeva nella serra, con un libro in mano, nelle ore in cui il luogo era deserto. Un’intesa, del resto, pareva esser corsa fra gli altri per rispettare la volontà della giovanetta, ed era soltanto quando il male della viscontessa si faceva più grave, che Massimiliana restava a lungo accanto alla zia, compiendo, con una abnegazione assoluta, il suo pietoso ufficio di suora di carità.

A questa enimmatica condizione di cose pensava la contessa Rosalia di Verdara, intanto che la sua carrozza, alcuni giorni dopo la visita di Ermanno Raeli, la trasportava verso l’Hôtel des Palmes. Che cosa andava ella a farvi? Un sorriso fra d’incredulità e di rassegnazione, di scetticismo e di pietà le si disegnava sulle labbra mentre ella si rivolgeva quella domanda. Come stranamente il suo martirio si compiva! Toccava a lei, a lei stessa, [p. 164 modifica]di apprestarne lo strumento... Ella non era stramazzata a terra, quando Ermanno l’aveva lasciata; non aveva smarrito i sensi o la ragione, non aveva gridato o pianto: era rimasta immobile, cogli occhi fissi nell’ombra saliente, con l’unica sensazione di un vuoto immenso fattosele intorno, di una solitudine sconfinata in mezzo alla quale era da quel tempo in poi condannata ad aggirarsi... finchè suo marito era sopravvenuto, a infliggerle i suoi insoffribili scherzi per quel romantico amore dell’oscurità... Ella viveva da quel giorno in uno stordimento così completo, da non trovare la forza di ribellarsi alla parte che si era richiesta da lei — che lei stessa aveva pensato di assumersi. Ella andava ora a compirla, trovando infine che non v’era nulla che non fosse giusto... Non era lei quasi una sorella di Massimiliana? Non era lei la sola amica a cui Ermanno avesse fatto la confidenza dell’amor suo? Era giusto, infine, che ella favorisse gli amori dei due giovani! che contribuisse ad affrettare la loro felicità!.. era quasi il suo dovere, se era [p. 165 modifica]una sorella, una amica!.. aveva quasi avuto torto a non offrirsi prima ella stessa!.. Il suo muto sorriso si faceva più amaro, gli occhi arrossiti le si gonfiavano un poco... Era giusto! Poteva ella aver nulla contro Massimiliana? Era un furto quello che la signorina di Charmory commetteva verso di lei, se il cuore di Ermanno non era, non era mai stato suo?.. Ella non aveva nessun diritto su di nessuno; potevano aver bisogno di lei in quei primi momenti, perchè riuscissero a intendersi; nessuno se ne sarebbe poi curato...

Degli istinti di ribellione, a momenti, le facevano corruscare lo sguardo, deridere il suo buon movimento, stupido come tutti i buoni movimenti; poi, vinta dalla ingrata realtà, si lasciava andare alla forza della corrente. Essi si sarebbero intesi senza di lei; un amore come quello di Ermanno avrebbe presto o tardi trionfato di ogni esitazione; quale ostacolo avrebbe potuto frapporsi?.. Quale?.. E lo spirito della contessa si perdeva dietro a strane induzioni, ad ipotesi assurde, dinnanzi all’enimma [p. 166 modifica]che le era parso d’intravedere nell’esistenza di Massimiliana. A quell’ora, la malattia della viscontessa, la lontananza di suo padre, la sregolata condotta del visconte e sopra tutto la misteriosa tristezza della fanciulla, la freddezza osservata nei suoi rapporti coi parenti: tutto prendeva per lei una più profonda significazione. Su quei sintomi, ella imaginava non sapeva ella stessa quali difficoltà, che complicazioni, dalle quali i voti di Ermanno avrebbero potuto essere attraversati. Si compiaceva dunque nella previsione del dolore di lui? non si era dunque rassegnata, aspettava ancora qualche cosa?..

Scendendo dalla sua carrozza, entrando nell’albergo, la contessa aveva bandito dal suo spirito tutte le larve, tutte le preoccupazioni che lo popolavano, agguerrendosi contro la prossima prova. Giusto, la viscontessa d’Archenval riposava quel giorno sopra una sedia lunga, in una fase improvvisa di peggioramento; talchè, dopo essere stata un poco accanto a lei, come l’inferma si assopiva, Rosalia di [p. 167 modifica]Verdara potè passare con Massimiliana nella camera di quest’ultima. Anche la signorina di Charmory pareva sofferente, la sua carnagione era d’una tinta malaticcia e gli occhi cerchiati di nero avevano un’espressione d’abbattimento. «Finirete per ammalarvi anche voi, mia povera Maxette!» le aveva detto l’amica, amorevolmente rimproverandola di trascurarsi troppo per curare la zia. «No, io sono molto forte...» rispose la signorina di Charmory; «non mi credete?..» soggiunse, con una reticenza, come se avesse cercato di dare una dimostrazione della sua forza e si fosse ad un tratto pentita. «La vostra partenza è dunque necessariamente rimandata?» chiese però subito la contessa. «Non saremmo partiti egualmente, anche senza questa ricaduta...»

Massimiliana aveva data quella risposta con un tono così evidente di contrarietà, che Rosalia di Verdara notò: «Come lo dite! parrebbe che vi rincresca di restare con noi!..» Ma allora, mormorando qualche parola di affettuosa protesta, la signorina di Charmory [p. 168 modifica]aveva passato un braccio attorno alla vita della contessa, chinando un poco la testa sulla spalla di lei. «Il soggiorno di Palermo non vi è dunque gradito?» insisteva ancora l’altra, intanto che prendeva una mano della giovanetta. «Se debbo dirvi tutto il mio pensiero, no...» rispose costei, «o almeno non più. In questa nostra vita instabile, le attrattive di ogni nuovo soggiorno finiscono presto; e non si sta volentieri a lungo dove non si è poi certi di restare...» Massimiliana diceva quelle cose con voce bassa, con un tono di stanchezza, scrollando un poco il capo, e tutta la persona esprimeva una debolezza vinta, un abbandono rassegnato e definitivo. «Così, se voi doveste restare per sempre a Palermo, non direste altrettanto?..» chiese ancora la contessa, esaminando attentamente la fisonomia dell’amica. La signorina di Charmory la guardò a sua volta con un inquieto stupore. Stringendole allora la mano con più forza che la situazione non richiedesse, Rosalia di Verdara cominciò finalmente: «Ebbene, Maxette... voi [p. 169 modifica]sapete se a mia volta l’amicizia che ho per voi sia grande, se io desidero sapervi felice. È per questo ch’io vengo oggi a fare presso di voi un passo che, in altre circostanze, avrebbe potuto meravigliarvi...» L’ansia della contessa nel pronunziare quelle parole trovava solo un riscontro in quella con cui la signorina di Charmory ne aspettava la spiegazione... «Non avete dunque notato, mia cara Maxette...» continuava la signora di Verdara, «l’impressione da voi prodotta su... qualcuno che vi sta intorno? Il vostro cuore non vi dice nulla per... questa persona, e non formate voi un voto nel compimento del quale avreste assicurato l’avvenire più lieto?..»

Massimiliana di Charmory si era tratta un poco indietro ed il pallore del suo viso era cresciuto. «Io non so, signora... io non ho nulla notato...» balbettava, contenendo il respiro, con le ciglia abbassate. «Ma la vostra emozione parla per voi!..» esclamò la contessa. «Non siete dunque sincera, Maxette?..» Ad un tratto, il viso della fanciulla si era fatto di [p. 170 modifica]porpora, ed i suoi occhi, fissatisi un momento sull’amica, si abbassarono dinnanzi allo sguardo fermo di lei. «Vedete...» riprendeva brevemente quest’ultima, a cui la specie di affermazione letta in quell’imbarazzo dava nuova energia e come un’impazienza di uscire da quell’umiliazione di tutta sè stessa: «Vedete, il signor Raeli vi ama... e dipende solo da voi... che egli faccia presso la vostra famiglia...» Non ebbe il tempo di finire, di trovar le parole da completare il proprio pensiero, che Massimiliana, levandosi in piedi: «Sono molto onorata,» rispose con accento risoluto, «della domanda del signor Raeli; ma non posso accettarla. Vi prego, mia buona amica, di riferirgli questo rifiuto, che non ha nulla di sfavorevole per lui...»

Le ultime parole erano state pronunziate a stento; la voce veniva mancando alla signorina di Charmory, e ad un tratto, ricadendo sul divano, ella aveva cominciato ad ansimare affannosamente, tutta la sua persona era stata scossa da un brivido nervoso come per l’ [p. 171 modifica]invasione della febbre. «Maxette... Maxette, bambina mia!...» aveva esclamato la contessa, chinandosi premurosamente su di lei, tentando di sollevarla, di sedare quella scossa inattesa.

Se vi è per ogni persona nello stato di calma sicura una punta di crudele compiacenza dinnanzi allo spettacolo dell’ambascia altrui, la contessa di Verdara doveva trovare tanto più giusto che Massimiliana soffrisse, quanto più aveva sofferto lei stessa. Nondimeno, chinata sulla sua giovane amica, le prodigava dolci parole, carezze materne, senza osare di riconoscere quanta parte aveva in quella sua pietà l’egoistica gioia per il rifiuto della fanciulla. «Maxette...» le ripeteva, tenendola amorevolmente abbracciata, «Maxette, ascoltatemi... perchè vi turbate così? Non ve l’ho già detto?.. Tutto dipende da voi; se voi non vorrete, non sarà... Chi potrà forzarvi ad accettare l’offerta di un uomo che non amate?..» Allora soltanto, nascosto il viso tra le mani, Massimiliana era scoppiata in pianto.

Nello stesso tempo che sosteneva la [p. 172 modifica]giovanetta, la contessa si guardava intorno, confusa. Ella sentiva tutta l’eloquenza di quel pianto, di quell’unica risposta, ma non arrivava a comprenderne il significato. Allora, se lo amava, che cosa volevano dire le sue parole e perchè si disperava a quel modo?.. In mezzo ai singulti, abbandonata fra le braccia dell’amica, Massimiliana rispondeva: «Non posso... non posso... Mio Dio, dovevo prevederlo!.. Io non ho nulla, voi lo sapete... vivo di elemosina, della carità che mi fanno,..» ma l’accento con cui ella insisteva nel rifiuto non era eguale a quello con cui ne dava la ragione. Ragione o pretesto? Poteva quella essere una difficoltà da arrestare Raeli? Egli era ricco per due... «No,» ripeteva ostinatamente la giovanetta; «io sono una straniera... bisognerà che io parta... debbo partire... ditegli che partirò!..» E una convulsione l’aveva fatta ricadere.

Lo spettacolo di quel dolore si faceva attristante. Rosalia di Verdara aveva dimenticato il proprio interesse che si giuocava in quella partita, per darsi tutta alle cure che lo [p. 173 modifica]stato della sua giovane amica richiedeva. Ella sentiva che nessuno di quei pretesti reggeva, comprendeva che sarebbe bastato insistere ancora un poco, perchè Massimiliana le dicesse tutto, le svelasse il secreto che la soffocava; ma la sua lealtà, la sua coscienza l’ammonivano, le dicevano che profittare della debolezza, del dolore di quella creatura per strapparle una confessione della quale avrebbe potuto giovarsi, sarebbe stata una indegnità. Se Massimiliana avesse parlato... ma la signorina di Charmory le si irrigidiva tra le braccia, pareva sul punto di perdere i sensi. «No, è impossibile...» mormorava ancora, «io dovevo prevedere questo momento fatale...» — «Maxette, mia povera Maxette... fatevi animo!..» riprendeva allora Rosalia di Verdara; «sono qua io!.. contate su di me, se avete bisogno d’un aiuto, se avete bisogno d’un appoggio...» Sì, sì, l’altra accennava di sì, passandosi macchinalmente una mano sulla fronte... «Ebbene, innanzi tutto rimettetevi. La domanda per la quale io sono venuta, facciamo conto che non ve [p. 174 modifica]l’abbia partecipata. Guadagneremo del tempo. Voi avrete del tempo per considerarla attentamente, per maturare una decisione... Sta bene?.. E se potrò esservi utile... se i miei consigli...»

Ad un tratto, un gemito s’era sentito dall’altra camera; la contessa aveva pòrto l’orecchio, e passata di là, scorgendo la signora d’Archenval svenuta sopra una sedia accanto all’uscio di comunicazione, aveva chiamato: «Maxette, vostra zia!...» La signorina di Charmory, rapidamente ricomponendosi ed asciugate le sue lacrime, era accorsa mettendosi accanto alla tramortita e scostando con un gesto di preghiera l’amica. Ma come Rosalia di Verdara aveva fatto per avvicinarsi al bottone del campanello, per chiamare qualcuno, l’altra aveva scongiurato: «No, di grazia... non occorre...»

Respirando dei sali, sotto l’azione di bagnature fredde sulla fronte e sulle labbra, la sofferente si era scossa dal suo letargo; poi, battute un poco le palpebre, aveva spalancato gli [p. 175 modifica]occhi, e scorta Massimiliana curva su di lei, l’aveva stretta a sè con una forza che non si sarebbe sospettata in quel miserabile corpo stremato dal male. Si sentiva una specie di singulto rauco, di querela soffocata ma così lacerante, che la contessa di Verdara ne era rimasta turbata ed oppressa. Ella era nello stesso tempo piena d’imbarazzo, presentendo un secreto fra le due donne, persuasa che nessuna intimità poteva giustificare una sua più lunga presenza. Appena dunque Massimiliana si staccò dalla stretta della zia, ella si avvicinò alle amiche, mormorando un pretesto per ritirarsi. Prese la mano della viscontessa d’Archenval: era di una freddezza cadaverica. Massimiliana, terribilmente pallida, con le labbra quasi scomparse, le porse una mano che scottava; e tenendola a quel modo, la accompagnò fino al salotto.

Non diceva nulla, col respiro quasi spento, la testa china, gli sguardi fissi. E tutt’in una volta, come Rosalia di Verdara, fermandosi innanzi all’uscio, aveva fatto per abbracciarla, [p. 176 modifica]ella si era scostata un poco dall’amica, portando le mani alla bocca, come per soffocare il suono delle sue parole. «Ebbene... è una pazzia!.. bisogna, intendete? che tutto finisca!..» — «Massimiliana!» tentò d’interrompere la contessa, spaventata dall’espressione della giovanetta. Ma l’altra, abbassando ancora di più il tono della sua voce e accennando con la mano alla stanza vicina: «Zitta!..» scongiurò; «lasciatemi... Voi non sapete!.. Più tardi... più tardi!..»