Ermanno Raeli/XIII
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XIII.
Le assiduità di Ermanno Raeli presso la signorina di Charmory avevano finito per essere state notate, e nel mondo in cui vivevano si cominciava già a parlare del loro matrimonio. La sempre rimandata partenza della famiglia d’Archenval ne pareva una conferma; l’arrivo del duca Gastone di Précourt fu considerato come il segno sicuro d’una realizzazione imminente.
Lo schianto d’un fulmine non avrebbe potuto atterrire Massimiliana di Charmory più della notizia data un giorno dal visconte, che il duca suo suocero stava per arrivare a Palermo... L’uomo che era l’origine della sua atroce sciagura osava dunque ricomparirle dinnanzi — e quale suggestione perversa gli faceva scegliere quel momento in cui ella nutriva almeno l’illusione d’un ritorno alla vita? Ella avrebbe dunque dovuto trovarsi ogni giorno, ogni ora a contatto con lui?.. Intanto che il partito di fuggire precipitosamente da quella casa, da quella città, le si affacciava allo spirito, il visconte aveva soggiunto che l’alloggio del duca era già fissato alla Trinacria.
Nessuna intenzione ostile a Massimiliana guidava il gentiluomo libertino a raggiungere, per la prima volta dopo l’attentato, la sua famiglia. Il suo desiderio brutale si era spento non sì tosto appagato; per gli uomini di quella natura, la passione non va oltre la sensazione, e l’orrore espressogli dalla fanciulla l’aveva dissuaso dal ritentare la prova, non già perchè quell’orrore lo ferisse, ma perchè gli scemava la previsione del piacere. Gli rincresceva pertanto che quell’incidente lo avesse tenuto al bando della sua famiglia, dove la sua presenza sarebbe stata necessaria per invigilare sul visconte, che cominciava a fare un po’ troppo a fidanza con la sua borsa. Nei continui imbarazzi di cui il giuoco sfrenato era causa a d’Archenval, questi aveva ricorso al suocero, che si era sempre affrettato a rispondere alla aspettazione di lui, come fosse passata fra loro una intelligenza e quel denaro pagasse il silenzio del naturale tutore di Massimiliana... Tali compromessi taciti sono molto più frequenti che non pare e solo la malignità sospettosa dei più vede un mercato formalmente contratto, là dove nessuna dubbia parola è stata scambiata da una parte e dall’altra. Il visconte domandava degli aiuti al duca per l’unica ragione delle ingenti spese a cui la malattia della moglie lo obbligava; il duca si affrettava a rispondere a quelle richieste da padre affettuoso, zelante della salute della figliuola... Era però arrivato un momento in cui il duca aveva cominciato a trovare che la malattia della viscontessa gli costava un po’ troppo e che non sarebbe stato male di controllare un poco le note dei medici, dei farmacisti e degli albergatori. Palermo intanto, gli dicevano i suoi amici, era quell’anno il convegno d’una numerosa e scelta colonia; e dopo tutto sarebbe stato interessante fare una corsa in quell’isola che, secondo la geografia particolare alle persone della sua società, si considera come fuori d’Europa. Aveva però avuto il buon senso di seguire i suoi amici alla Trinacria, e con la figliuola e la signorina di Charmory si era incontrato, la prima volta, in pubblico, come con delle semplici conoscenze.
Dal momento che aveva appreso l’arrivo di lui a Palermo, Massimiliana era vissuta in un così grande terrore, che ogni altro sentimento ne era rimasto eclissato. Se egli fosse venuto ad abitare sotto lo stesso tetto, ella non avrebbe aspettato; sarebbe fuggita, scomparsa, non importa come... Intanto, l’attesa dell’inevitabile momento in cui si sarebbero ritrovati in presenza, le era causa d’un’ansia mortale, come non aveva creduto possibile di provarne una simile dopo tutto quello che aveva sofferto. E, ad un tratto, ella si accorgeva che quell’ansia era nulla, era quasi la tranquillità, dinnanzi al pensiero subitamente affacciatosele, che anche Ermanno avrebbe incontrato quell’uomo... Che cosa era finalmente il prossimo incontro per lei? Una prova di più, che non doveva esserle risparmiata, che era meglio, sotto un certo aspetto, affrettare. Nella sua cinica ferocia, l’uomo credeva probabilmente che ella avesse finito per consolarsi — e non aveva ella indovinato, poichè, facendosele incontro nel giardino delle Palme, egli le sorrideva disinvoltamente, trovava, che il soggiorno di Sicilia le aveva conferito e formulava voti per la sua prosperità?.. Appena arrivato, infatti, la voce circolante intorno ai due giovani era venuta all’orecchio del duca, e se egli aveva fin a quel momento nutrito degli scrupoli, questi erano subito spariti dinnanzi alla prova della consolazione che Massimiliana aveva trovata. Si era anzi fatto beffe di sè, per l’esagerazione d’un rimorso che la sua esperienza avrebbe dovuto dimostrargli infondato, e facilmente superate, con l’abituale sua disinvoltura, la difficoltà di un primo incontro, aveva del tutto dimenticata la giovane per le belle signore di cui la colonia straniera era provvista a dovizia.
Incapace di dir nulla dinnanzi all’incredibile impudenza dell’uomo, col sangue gelato nelle vene come alla vista di un rettile, Massimiliana aveva sentito ridestarsi tutto l’orrore dei lontani giorni, complicato dallo strazio della situazione presente. Il domani d’una grande sciagura, quando la coscienza comincia a destarsi tra le ultime nebbie di una sonnolenza pesante, e la memoria suggerisce ad un tratto la crudele certezza, si prova un’angoscia forse più grande di quella determinatasi nel primo momento. Una simile impressione di risveglio aveva determinata in Massimiliana la presenza del duca. Malgrado i contrasti provati, le lotte sostenute, era come se ella fosse rimasta lungamente immersa in un sonno, nel sonno profondo dell’illusione voluta, da cui la voce di quell’uomo la strappava ora violentemente. Come nutrire più nessuna lusinga, come e che cosa aspettare, se con la sua stessa presenza quell’uomo le ricordava la propria vergogna, e il dovere che aveva fin troppo trascurato di compiere?.. Ed egli aveva osato sorriderle, ed un sorriso di più sarcastica compiacenza, di compiacenza più iniqua avrebbe rivolto ad Ermanno, e le loro mani si sarebbero strette... A questo pensiero fitto, cocente, Massimiliana credeva d’impazzare. La sua complicità del silenzio le appariva più grande, imperdonabile; la confessione fatta alla contessa un calcolo ipocrito, poichè era sicura che non aveva avuto effetto; e la sua tortura si acuiva talmente, che ella affrettava coi voti il momento della soluzione, per tremenda che potesse essere...
Un calcolo, da canto suo, la contessa Rosalia aveva finito anche lei per credere la confessione dell’amica. Fino a quando i rapporti dei due giovani non si erano mutati, ella non aveva fatta un’accusa a Massimiliana di nascondere ancora il suo secreto ad Ermanno, aveva creduto che la confessione sarebbe bastata a dissipare ogni speranza di felicità; e la compassione per il dolore che li aspettava era riuscita a soffocare la voce della gelosia. Ma dinnanzi al prolungarsi di quella situazione, al crescere di quella intimità, alla intelligenza che indovinava esser corsa tra loro, al propagarsi della voce che li diceva promessi malgrado l’arrivo del duca, la sua pietà, la sua discretezza, i suoi riguardi, tutti i suoi buoni sentimenti le erano parsi delle debolezze e delle ingenuità. Con una grande amarezza ella sentiva di essere stata molto sciocca nel prendere sul serio la disperazione di Massimiliana, quasi tutta la condotta di lei non dimostrasse l’intenzione di raggirare Ermanno, la fiducia che l’accecamento dell’amore lo avrebbe fatto passar sopra ad ogni ostacolo!.. E questa fiducia che cosa aveva insomma d’infondato? Ella arrivava a coinvolgere nella sua disistima anche l’uomo che aveva amato — che amava ancora, senza speranza, ma tanto da perdere per lui la nozione del giusto!.. Come si era esagerata l’importanza di quell’ostacolo! Sarebbe egli forse stato il primo a passarvi sopra? Era verosimile ch’egli non si fosse accorto delle anormalità di quella famiglia? Ma chi le diceva che egli non sapesse tutto, che non si fosse già accomodato di quella condizione di cose? E il ricordo di romanzi, di commedie, in cui un lieto fine corona i dolorosi contrasti, avvalorava la sua persuasione... Allora, a che cosa sarebbe valso l’andare a mettere sotto gli occhi di lui la lettera di Massimiliana, come talvolta aveva la tentazione di fare? E la sua serenità di un tempo si perdeva in una irritazione crescente, in una contrarietà insofferente, dimostrata ad ogni momento e che il tono inalterabilmente scherzoso del marito finiva per esasperare... Più che mai sicuro che quella montatura di sua moglie sarebbe stata senza effetto, Giulio di Verdara si divertiva talvolta a punzecchiarla garbatamente, come una specie di punizione pel principio di colpa da lei commessa in idea. Ella aveva finito per domandarsi se Giulio sapeva quel che le passava per l’anima; e negli urti a cui era esposta, aveva a momenti la tentazione di sfidarlo, di provocarlo, come una rappresaglia, come un mezzo di uscire da quella situazione, che si affrettava intanto alla catastrofe...
La presenza in Palermo del duca Gastone di Prècourt e dei suoi amici, se aveva gettato in quello stato la signorina di Charmory e la contessa, se aveva ridestato le apprensioni della signora d’Archenval, aveva messo una animazione nella colonia degli stranieri. Unicamente occupato del mondo femminile, il duca aveva trovato nelle signore un valido appoggio per i suoi disegni di svaghi, e come il carnevale s’inoltrava, e gli stranieri delle Palme e della Trinacria erano stati oggetto di molte cortesie da parte dell'ospitalissima società palermitana, egli aveva messo innanzi l’idea di una festa da offrire ai loro ospiti, a mezza quaresima. L’idea era stata subito accolta, e i preparativi erano incominciati alle Palme, dove i locali si adattavano meglio.
Ermanno Raeli, che aveva incontrato una o due volte il duca e si era interessato a lui come a tutto ciò che aveva qualche rapporto con Massimiliana, aspettava l’avvenimento con ansietà irrequieta. La malattia della viscontessa, ragione o pretesto, aveva fatto che la signorina di Charmory rifiutasse tutti gli inviti che le erano stati rivolti; adesso che l’iniziativa era presa dal duca e che la festa aveva luogo nello stesso albergo, non avrebbe certamente mancato di assistervi. Ed Ermanno si vedeva già al suo fianco, stringerle un braccio alla vita, tenerla per mano, confondere il suo respiro con quello di lei... L’imaginaria rappresentazione era così evidente che, solo, nel suo studio, egli si alzava di scatto, tentando di divertire l’attenzione da quella turbatrice visione... Fuori, era già la primavera che si annunciava, nel primo tenero verde delle robinie, nelle emanazioni delle zágare nuziali, nei tepori del sole di marzo, nella maggior durata delle giornate troppo piene di luce, da abbacinare alla lunga. Erano delle ubbriacature d'aria, delle ipnotizzazioni d’azzurro, delle saturazioni di sottili profumi che si prendevano in quella felice Palermo, porta dell’Oriente, lembo d’Arabia trasportato, quasi per una fantastica operazione da Mille ed una notte, in riva al lago del Mediterraneo. Un languor nuovo, uno snervamento molle che faceva intensamente assaporare la voluttà del riposo, guadagnavano Ermanno, lo mantenevano in una specie di dormiveglia durante il quale, abolito il pensiero, solo delle imagini gli passavano e ripassavano dinnanzi, svegliando in lui sopìte sensazioni di avidi dissetamenti, di abbandoni profondi... Una sorda irritazione nasceva in lui per quelle suggestioni incoscienti, con un bisogno di castigarle che finiva per esasperarle. E l’impeto di sdegno che lo aveva vinto quando la Figura adorata era stata attaccata da quella abominazione, cedeva adesso ad impeti di desiderio, a una tentazione di indissolubili strette, che si mutava ancora in terrore all’idea di passare soltanto un braccio intorno alla vita di Massimiliana durante la prossima festa...
Sul punto di vedersi abbandonata dalle proprie forze, Massimiliana non aveva neppur tentato di evitare quell’avvenimento di cui sentiva le minaccie. Una oppressione la vinceva in mezzo a quel risveglio primaverile, a quel rifiorire di tutta la natura: l’oppressione morale alla certezza che la sua fatalità si sarebbe abbattuta su di lei prima dell’appassir di quel verde; il turbamento fisico, prodotto dal dardeggiare d’un sole infuocato sopra quella natura quasi tropicale. E dovunque ella si rivolgeva, il trionfo del fior d’arancio: nell’aria tutta compenetrata del soavissimo profumo, nei giardini il cui verde era tempestato come di candide costellazioni, nei quadri dei coloristi dilettanti, nei mazzi che egli mandava alla viscontessa. «Kennst Du das Land?..» l’appassionata canzone di Mignon le tornava alla memoria; ed in quella Terra appunto il suo destino aveva dovuto sospingerla; e da quelle prode fiorite sorgeva come una voce che le ricordava la sua sfiorita esistenza; e il simbolico candor di quei fiori le dava più dolorosa la coscienza della sua macchia indelebile...