Etica/Libro Quinto/III

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III. - La pratica della liberazione

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Baruch Spinoza - Etica (1677)
Traduzione dal latino di Piero Martinetti (1928)
III. - La pratica della liberazione
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III. — La pratica della liberazione.


1) Nella prima parte del libro quinto (prop. 1-20) è tracciato il cammino della perfezione suprema. Nelle prop. 1-4 Spinoza si richiama ai suoi principi generali. La prop. 1 rievoca il noto principio (II, 7) del parallelismo del corpo e della mente, ma in un senso inverso a quello che Spinoza suole. Qui si tratta di riformare l’essere nostro mediante una riforma della mente: a questa riforma s’accompagna parallela la trasformazione del nostro corpo. Nelle prop. 2-4 è enunciato genericamente il principio che deve guidarci nella repressione delle passioni: trasformare la conoscenza inadequata passionale in conoscenza adequata, chiara e distinta, volgere lo sguardo dall’oggetto particolare, [p. 136 modifica]che causa la passione, per considerare la concatenazione universale in cui è compreso. A fondamento dell’essere e delle affezioni nostre stanno (come si è veduto nel libro II) elementi universali, che non possono venir concepiti se non adequatamente: ora tutto ciò che procede da idee adequate è conosciuto adequatamente: quindi non vi è passione che non possiamo, almeno in parte, conoscere adequatamente. In altre parole: non vi è niente che non sia la manifestazione di leggi generali e che quindi, come tale, non possiamo per mezzo di queste leggi generali conoscere adequatamente: quindi nessuna passione che non possiamo trasformare sottoponendola ad una considerazione generale, filosofica (prop. 4). Quando ciò avviene, la mente nostra dalla considerazione limitata d’un oggetto passa ad alias cogitationes: onde tolto l’oggetto, è tolta la passione (prop. 2). La conoscenza oscura e vaga, che costituiva la passione, si trasforma in attività dello spirito: la stupefazione dolorosa lascia il posto alla comprensione congiunta con l’acquiescenza (prop. 3).


Poiché non vi è nulla da cui non segua qualche effetto e tutto quello che segue da una nostra idea adequata è inteso chiaramente e distintamente, ne viene che ciascuno ha il potere di comprendere sè e le sue passioni, almeno in parte, chiaramente e distintamente e quindi di far sì di essere meno ad esse soggetto. A questo bisogna sopratutto mirare, e cioè a conoscere, per quanto si può, ogni passione chiaramente e distintamente, affinchè la mente dalla passione venga a meditare sulle cose che concepisce chiaramente e distintamente ed in esse si rassereni; e così la passione venga separata per opera del pensiero dalla causa esterna e si associi alla considerazione della verità: dal che avverrà che non solo l’amore, l’odio, ecc., saranno distrutti, ma che anche i desideri, i quali sogliono procedere da tali passioni non avranno più nulla di eccessivo... Di questo rimedio delle passioni, che consiste nella vera conoscenza delle stesse, nessun rimedio più eccellente è in poter nostro, non avendo la mente nostra altra potenza che quella di pensare e di formare delle idee adequate. (Et., V, 4, scol.).

[p. 137 modifica]2) Nelle prop. 5-10 accenna ad un primo grado di questa dissoluzione delle passioni per opera della ragione. Può darsi che noi non possiamo avere subito una perfetta intelligenza delle nostre passioni: allora è bene contrapporre alla passione un sistema di sentimenti relativamente buoni: ordinare e concatenare la nostra vita passionale in modo che si indirizzi verso la vita razionale e non sia più turbata dalle passioni violente.

Un primo mezzo sta nel considerare la necessità delle cose per mezzo della ragione. Questa sa astrattamente che tutto è necessario: bisogna trasportare questa conoscenza nelle cose vive e concrete: il considerare le cose come necessarie attenua la forza della passione.

Prop. 6. In quanto la mente comprende tutte le cose come necessarie, in tanto ha una maggiore potenza sulle passioni e patisce meno da esse.

Scolio. Quanto più questa conoscenza della necessità delle cose è applicata alle cose singole, che ci rappresentiamo più distintamente e vividamente, tanto maggiore è la potenza della mente sulle passioni: ciò che anche l’esperienza insegna. Vediamo che la tristezza per un bene perduto si attenua quando l’uomo, che lo ha perduto, considera che tal bene non poteva più in nessun modo essere salvato. Così ancora vediamo che nessuno commisera il bambino perchè non sa parlare, camminare, ragionare e vive tanti anni quasi nell’incoscienza. Ma se i più nascessero adulti e solo questo o quello nascesse bambino, allora i bambini ci farebbero pietà: perchè considereremmo l’infanzia non come cosa naturale e necessaria, ma come un vizio di natura: e nello stesso senso si potrebbero osservare molte altre cose. (Et., V, 6, scol.).

Bisogna in secondo luogo tener viva la considerazione delle cause generali che causano e spiegano le nostre passioni e che noi possiamo conoscere adequatamente: perchè gli affetti, anche se lievi, procedenti da cause sempre presenti, sono sempre più potenti di quello che procede da cause momentanee. La passione sensibile potrà essere più violenta, ma in considerazione [p. 138 modifica]del tempo è più debole: perciò dovrà col tempo cedere agli affetti razionali (prop. 7).

Inoltre la considerazione delle cause generali disperde la passione in una moltitudine di oggetti: quindi questa passione, pur essendo più forte d’un’altra passione riferita ad un minor numero d’oggetti o ad un oggetto solo, è più debole in rapporto a ciascuna delle cause: onde le passioni così diffuse turbano meno lo spirito e sono meno di ostacolo al pensiero. La passione, che nasce dalla morte d’una persona cara, è violenta e conturbante: l’elevarsi alla considerazione della legge universale della caducità di tutte le cose genera una tristezza che domina la passione singola, ma è in se più tranquilla e più conciliabile col pensiero (proposizioni 8-9).

Infine quando non infuriano le passioni, bisogna approfittare della pace dello spirito per ordinare e concatenare movimenti affettivi del nostro spirito, razionalizzandoli: a ciò giova particolarmente lo stabilire delle massime generali, certa vitæ dogmata, per averle costantemente pronte all’applicazione contro la violenza delle passioni (prop. 10).

Con questo potere di ordinare e concatenare convenientemente le affezioni del corpo possiamo ottenere di non essere così facilmente sopraffatti dalle male passioni. Perchè occorre una forza maggiore a vincere i sentimenti ordinati e concatenati secondo un ordine dettato dall’intelletto che a vincere dei sentimenti incerti e dispersi. Il meglio dunque che possiamo fare finché non abbiamo ancora una conoscenza perfetta delle nostre passioni è di crearci un metodo di ben vivere, ossia certi principi della condotta, di mandarli a memoria e di applicarli continuamente alle cose particolari che ci occorrono nella vita, in modo che la nostra immaginazione ne venga largamente affetta ed essi ci siano sempre pronti per l’applicazione. Per es., noi abbiamo posto fra questi principi, che bisogna vincere l’odio con l’amore e la generosità, non ricambiarlo con l’odio. Ma per avere sempre questo precetto della ragione pronto per la pratica bisogna pensare e meditare spesso sulle offese frequenti [p. 139 modifica]degli uomini e come e in che modo possiamo opporre ad esse la miglior difesa con la generosità: così uniremo la rappresentazione dell’offesa a quella di questo principio, il quale in questo modo ci sarà sempre presente tutte le volte che riceveremo un’offesa. Che se terremo anche pronto il criterio del nostro vero utile e del bene che nasce dalla mutua amicizia e società e rifletteremo ancora che dalla retta condotta deriva la più alta serenità e che gli uomini, come tutte le cose, agiscono per necessità: allora l’offesa e l’odio che ne suole derivare occuperanno la minima parte dell’immaginazione e saranno facilmente vinti: e se anche l’ira che nasce dalle più grandi offese non è così facile a dominarsi, sarà dominata tuttavia, sebbene non senza una certa oscillazione, in un tempo di gran lunga minore che se non avessimo premeditato tutte queste cose. (Et., V, 10, scol.).


3) Nelle proposizioni 11-16 Spinoza ci addita il mezzo supremo della perfezione, che è la contemplazione e l’amore di Dio. L’idea di Dio è implicata in tutte le cose: quando la mente conosce adequatamente le cose, le conosce in Dio. Perciò nella contemplazione filosofica tutto tende a risvegliare e rendere efficace in noi l’idea di Dio: le altre idee si associano più facilmente con essa, perchè è sempre presente in noi: e queste alla sua volta contribuiscono a rendere più viva ed attiva l’idea di Dio (prop. 11-14).

Prop. 14. La mente può far sì che tutte le affezioni del corpo ossia le immagini delle cose vengano riferite all’idea di Dio.

Siccome in essa, in quanto è il principio della comprensione adequata delle cose, l’anima è attiva, così in essa si allieta: perciò l’idea di Dio porta all’amore di Dio: che è l’affetto più efficace di tutti.

Prop. 15. Chi intende chiaramente e distintamente sè e le sue passioni, ama Dio; e tanto più lo ama quanto più intende chiaramente sè e le sue passioni.

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Prop. 16. Questo amore di Dio deve occupare la mente sopra tutte le cose.

Poichè la parte migliore di noi è l’intelletto, certo è, se vogliamo veramente cercare l’utile nostro, che dobbiamo sopra tutto studiarci di renderlo più che si può perfetto; perchè nella sua perfezione deve consistere il nostro sommo bene. Ora, siccome ogni nostra cognizione e certezza, veramente superiore ad ogni dubbio, dipende dalla sola cognizione di Dio, e siccome senza Dio niente può essere ed essere concepito e siccome possiamo dubitare di tutte le cose finchè non abbiamo un’idea chiara e distinta di Dio, di qui segue che il nostro sommo bene e la nostra perfezione dipendono dalla sola cognizione di Dio. Ancora, siccome niente può essere ed essere concepito senza Dio, certo è che tutte le cose della natura esprimono, ciascuna secondo la sua essenza e la sua perfezione, il concetto di Dio; e quindi, quanto meglio noi conosciamo le cose naturali, tanto più grande e più perfetta è la conoscenza che acquistiamo di Dio; ossia (perchè la conoscenza dell’effetto per la causa non è altro che conoscere una certa proprietà della causa) quanto più conosciamo le cose naturali, tanto più perfettamente conosciamo l’idea di Dio (che è la causa di tutte le cose); e così tutto il nostro sapere, cioè il nostro sommo bene, non solo dipende dalla conoscenza di Dio, ma consiste in essa. Il che si deduce anche da questo che l’uomo è tanto più perfetto quanto più perfetta è la natura della cosa che ama sopratutto, e reciprocamente: quindi è necessariamente perfettissimo e partecipe della più alta beatitudine colui che sopra tutte le cose ama la conoscenza intellettuale di Dio, essere perfettissimo ed in essa massimamente si compiace. A questo si riduce quindi il nostro sommo bene e la nostra beatitudine: la conoscenza e l’amore di Dio. (Trattato teol. polit., cap. IV).


4) Nelle proposizioni 17-20 Spinoza mostra che la perfezione così conquistata è definitiva: nulla più può distruggere l’amore di Dio una volta che è sorto. Dio non conosce le passioni umane: perciò non ama nessuno di amore particolare; è il bene comune egualmente [p. 141 modifica]a tutti, perchè è il bene della ragione: perciò non può suscitare nè invidie, nè gelosie. Si cfr. la prop. 35 ove è detto che Dio non ama nessuno, perchè non ama che sè ed in sè tutte le cose: non vi sono amori particolari in Dio. — Quanto alla proposizione che Dio non conosce la gioia e l’amore, bisogna intendere qui la gioia e l’amore come passioni. Si deve distinguere la gioia e l’amore disordinati (che sono passioni cattive), la gioia e l’amore come passioni temperate dalla ragione (ma ancora col carattere di passioni) e la gioia e l’amore come attività razionali pure: in questo senso convengono a Dio. La gioia come passione (buona o cattiva) è un transire ad majorem perfectionem, la gioia come attività pura è perfetta acquiescentia in se ipso, beatitudine assoluta (si cfr. V, 33, schol.).

Prop. 17. Dio è incapace di passione e non è affetto da alcun sentimento di gioia o di tristezza.

Prop. 18 Nessuno può odiare Dio.

Prop. 19 Chi ama Dio non può volere che Dio lo ricambi di amore.

Prop. 20. Questo amore verso Dio non può essere inquinato dalla passione dell’invidia e della gelosia: ma anzi tanto più è accresciuto, quanto più uomini possiamo pensare uniti con Dio dallo stesso vincolo di amore.

Se noi diciamo che Dio non ama gli uomini, ciò non deve essere inteso come se li abbandonasse per così dire a se stessi, ma nel senso che, essendo l’uomo in Dio congiuntamente a tutto ciò che è e Dio essendo costituito dalla totalità di ciò che è, non può esservi propriamente un amore di Dio per altro, perchè tutto ciò che è non forma che una sola cosa, cioè Dio stesso. (Trattato breve, II, 24, 3).

L’amore di Dio, riducendo al minimo le passioni ed inducendo nell’anima nostra un amore beatifico ed immutabile, ci dà la pace interiore, che è il bene più alto che possiamo raggiungere in questa vita. [p. 142 modifica]

Bisogna notare inoltre che le afflizioni dell’animo e le sventure traggono per lo più origine dal troppo amore verso cose soggette a molti mutamenti e delle quali non possiamo mai essere padroni. Perchè nessuno è turbato ed ansioso se non per ciò che ama; nè le offese, i sospetti, le inimicizie nascono da altro che dall’amore di cose delle quali non siamo mai veramente padroni. Da ciò comprendiamo quanto possa sulle passioni la conoscenza chiara e distinta e specialmente quel terzo genere di cognizione, il cui fondamento è la stessa cognizione di Dio; che, se non sopprime assolutamente le passioni, fa sì almeno che occupino la minima parte della mente. Inoltre esso genera un amore verso cosa immutabile ed eterna, e di cui siamo sempre partecipi; un amore che quindi non può più essere inquinato dalle miserie dell’amore comune, che può sempre diventare più grande, occupare ed affettare profondamente la parte maggiore della mente. (Et., V, 20, scol.).