Facezie (Poggio Bracciolini)/2

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II. Di un medico che curava i matti

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Poggio Bracciolini - Facezie di Poggio Fiorentino (1438-1452)
Traduzione dal latino di Anonimo (1884)
II. Di un medico che curava i matti
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II

Di un medico che curava i matti.


Eravamo in molti a discorrere di quella vanità, per non chiamarla stoltezza, che certuni hanno di mantenere cani e falchi per la caccia. Allora saltò su Paolo fiorentino a dire: — Aveva proprio ragione di ridere di loro quel matto di Milano. — E poichè noi lo pregammo di raccontarci la storia: “Fuvvi, una volta,” egli disse, “un cittadino milanese che faceva il dottore a’ dementi ed a’ pazzi e che prendeva a guarire in un certo tempo coloro che erano affidati alla sua cura. Ed ecco in qual modo egli la faceva: aveva in sua casa una corte dove era uno stagno di acqua sporca e fetente, nel quale, legati ad un palo egli immergeva i matti che gli conducevano; e alcuni fino a’ ginocchi, alcuni altri fino alle anche, qualcun altro anche più profondamente, secondo la gravezza del male, e li teneva a macerare nell’acqua e nell’inedia fino a che paressergli risanati. Gli fu tra gli altri una volta condotto un tale, che egli mise in quel bagno fino alle cosce, e che dopo quindici giorni ritornò alla ragione e pregava il medico di toglierlo da quel pantano; e questi lo tolse dal supplizio a patto però che non uscisse dalla corte; e quando ebbe per qualche giorno obbedito, lo lasciò passeggiare per tutta la casa, a condizione che non [p. 17 modifica]uscisse dalla porta sulla via: intanto i colleghi del matto erano sempre nell’acqua, e il matto osservò diligentemente gli ordini del medico.

Una volta che egli stava sulla porta, nè per timore della fossa osava di passarla, vide venire un giovine cavaliere col falco sul pugno, e due di que’ cani che servono per la caccia; e poichèFonte/commento: normalizzo non aveva memoria delle cose avvenute o viste prima della follia, gli parve cosa nuova, e lo chiamò a sè; e il giovine venne: “Ohè tu, gli disse, ascoltami un poco e rispondimi se ti piace: Che è la cosa su cui stai, e per che uso ti serve?” “È un cavallo, rispose, e l’ho per la caccia.” “E l’altra cosa che hai sul pugno come si chiama essa e a che è buona?” “È un falco educato alla caccia delle arzavole e delle pernici.” E il matto: “E quelli che ti accompagnano chi sono e a che ti giovano?” “Sono cani, disse, ammaestrati a snidare la selvaggina.” “Sta bene, ma codesta selvaggina per la quale tu hai pronte tante cose, che prezzo ha quando tu ne abbia cacciato per un anno intero?” “Poco ne so, rispose, ma non credo più di sei ducati.” “E quanto spendi tu nei cani, nel falco e nel cavallo?” “Cinquanta ducati.” Allora meravigliato della pazzia del giovane cavaliere: “Oh! oh! disse, va’ lontano di qui tosto prima che il medico torni a casa; perchè se ti trova qui, come se fossi tu il più stolto fra i viventi, ti getterà nella fossa per curarti cogli altri matti, e come non fa cogli altri ti metterà nell’acqua sino alla gola.” Mostrò così che la passione per la caccia è stoltezza se non è de’ ricchi o per esercizio del corpo. —