Faust/Parte prima/Foresta e spelonca

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Foresta e spelonca

../Un casinetto nel giardino ../Stanza di Ghita IncludiIntestazione 10 luglio 2023 75% Da definire

Johann Wolfgang von Goethe - Faust (1808)
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
Foresta e spelonca
Parte prima - Un casinetto nel giardino Parte prima - Stanza di Ghita
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FORESTA E SPELONCA.


FAUSTO solo.

Fausto solo. Mente suprema! tu mi desti tutto, — tutto quanto io ti chiesi. E non indarno tu volgesti verso di me la tua faccia cinta di fuoco. Mi desti in regno la splendida natura, e possanza di amarla e di goderne. Nè tu mi concedi soltanto di [p. 147 modifica]guardare sovr’essa con fredda e torbida maraviglia, ma di mirare nel suo seno profondo come nel petto di un amico. Tu schieri dinanzi a me l’infinita varietà de’ viventi, e m’insegni a conoscere i mie fratelli per entro i taciti cespugli, e nell’aria e nell’acque. E quando la procella mugghia per la foresta e prostende gli ardui pini, che ruinando schiantano e spargono a terra tutta la selva soggetta; e le valli cavernose rintronano orrendamente della loro caduta, allora tu mi fai ricoverare nelle spelonche, e qui riveli me a me medesimo; qui tutte mi si disascondono le occulte maraviglie dell’anima mia. E intanto la luna sorge limpida nel cielo, che si riapre e serena, ed io veggo fuor degli umidi cespugli e su per le ripide balze muovere le ombre argentee dell’età andate, che tacite aleggiandomi intorno, temperano l’austero diletto della meditazione.

Ahi! ed ora io sento che non ci è per l’uomo nessun bene scevro di amarezze. Perchè veramente la mi hai dato quest’animo che mi leva a partecipare delle gioie degli immortali, ma poi tu mi hai messo a’ fianchi questo compagno, del quale io non so oramai più far senza; costui che freddo e impudente mi umilia dinanzi a me stesso, e coll’alito di una parola inaridisce e riduce a nulla tutti i tuoi doni. Egli mi tiene accesa nel petto una forbida fiamma che affannosamente mi caccia verso quella soave bellezza: ond’io trascorro insaziabile dal desiderio al godimento, e dopo il godimento sospiro il desiderio. [p. 148 modifica]

MEFISTOFELE entra.

Mefistofele. Che è di te? non ti viene ancora in noia cotesta sciocca tua vita? Come poi la compiacerti in essa sì a lungo? Che si voglia una volta assaggiarne non disapprovo, ma per passar tosto a cose nuove.

Fausto. Io vorrei che tu avessi altro da fare che molestarmi nelle mie ore buone.

Mefistofele. Eh! se tu dici da senno, io non sarò in gran fastidio per piantarti lì; chè in vero c’è ben poco da guadagnare con un compagno così rustico e lunatico e pazzo come sei tu. Ve’, gli si sta tutto ’l dì innanzi con le man piene, e non gli si caverebbe di bocca con le tanaglie quel ch’egli abbia o non abbia in piacere.

Fausto. Deh, come la piglia bene pel suo verso costui! Sta a vedere ch’ei vuol essere ringraziato della noia che mi dà.

Mefistofele. Meschinissimo mortale! qual vita, dimmi, sarebbe stata la tua senza di me? Io son quegli che ti ho guarito delle tue dolorose fantasie, e s’io non era, tu te ne saresti già da gran tempo andato dal mondo. Che stai tu qui a intorpidire, annidato nei fessi delle rupi e nelle spelonche, come un allocco? O che pastura vai tu aormando carpone sal putrido muschio, fra i sassi e il guazzo, come un rospo? Oh, bello e dolcissimo passatempo! Va, che pizzichi pur sempre del dottore.

Fausto. Un pari tuo potrebb’egli mai comprendere qual nuova forza io mi derivi dall’andarmi così aggirando per queste selvagge solitudini? Oh, se tu [p. 149 modifica]potessi sol averne un leggier senso, tu saresti tal demonio da portare invidia alle mie delizie.

Mefistofele. Delizie più che umane! Giacersi a notte oscura sui monti, alla rugiada ed al vento; trascorrere con mente elastica il cielo di giro in giro; gonfiarsi per agguagliare un Dio; inabissare la mente giù nelle cupe viscere della terra; covarsi in petto tutte e sei le giornate della creazione, orgogliosamente godendosi di non so che; e uscito dell’umano, struggersi e risolversi per gran dolcezza nell’immenso, e allora conchiudere l’alta intuizione.... (con un gesto) io non oso dir come.

Fausto. Vergogna!

Mefistofele. Questo non ti va! Sta bene a te, uomo di buona creanza, l’empirti la bocca di quel vergogna. Non si vogliono ai casti orecchi nominare quelle cose di cui i casti cuori non sanno far senza. Ora, alle corte, io non t’invidio già il piacere di vender menzogne a te stesso di tempo in tempo; ma bada che tu non sei uomo da goderti in ciò lungamente. Tu torni già a vaneggiare come un tempo, e se non sai tosto rilevarli, tu impazzirai, o ti morrai fra breve di affanno o di terrore. Ma basti di questo. La tua dolce amica è là in casa, e tutto intorno a lei è mestizia e travaglio. Tu non le esci mai del pensiero, mai; e misera si strugge a occhi veggenti. Da principio il tuo amore riboccava come un ruscello allo sciogliersi delle nevi; glie l’hai versato nel cuore, ed ecco il tuo ruscello è riseccato. Or pare a me, che in vece di starti qui a fare il grande, intronizzato nelle boscaglie, tu faresti assai meglio di andarne a consolare dell’amor suo quella [p. 150 modifica]travagliata. Il tempo le par lungo, che è una compassione. E stassi alla finestra guardando le nubi che traggono sulle antiche mura della città. «S’io fossi un uccellino!» così canta tutto il dì, canta mezza la notte. Talvolta è gaia; mesta per lo più; ora sfoga il cuore con dirotte lagrime, pare alquanto acquetarsi; ed arde pur sempre.

Fausto. Serpente! serpente!

Mefistofele da sè. Non è il vero? E già ti allaccio!

Fausto. Impudentissimo! lèvamiti dinanzi, e non nominare mai più quella soave creatura. Non mi riardere nei sensi già mezzo affascinati il desiderio della sua dolce persona.

Mefistofele. Che sarà dunque? Ella crede che te ne sii fuggito, e il sei già in parte.

Fausto. Io le son presso; e le fossi pur anche lontano, nè io la dimenticherei, nè la perderei mai. Sì, io porto invidia al corpo del Signore, allorchè le sue labbra lo toccano.

Mefistofele. Egregiamente! Ed io ho spesso invidiato a voi que’ due gemelli che pascolano fra le rose.

Fausto. Va via, ruffiano!

Mefistofele. Per eccellenza! Voi mi svillaneggiate ed io non so tenermi di ridere. Quel Dio che creò il fanciullo e la fanciulla ben conobbe qual fosse il più nobile di ogni ufficio, sino a cogliere il destro di praticarlo. Su via, gran malanno è il vostro! dovete andare in camera della vostra innamorata, e non per ventura alla morte.

Fausto. E che son le delizie del paradiso nelle sue braccia? Io mi riconforterò sul suo petto! — Ma non sentirò io pur sempre la sua gran miseria? Non [p. 151 modifica]sono io fuggiasco? non discredato della mia casa? — non un disumano senza scopo nė riposo? – il quale simile ad un torrente ha imperversato giù di balza in balza, anelando all’abisso. In margine alla corrente, sul verde declivio dell’alpe, quella infelice avea posta la sua capanna; erano placidi i suoi sensi; era nel suo cuore infantile innocenza, e ogni sua cura raccolta nel suo povero ricetto. Ed io che il Signore ha riprovato, io rosi e diradicai e rovinai il monte; io divorai essa e la sua pace, io la feci vittima all’inferno. Orsù, togliti, o demonio, la tua preda, dammi aiuto a scorciare le mie angosce, e ciò che dee avvenire avvenga subitamente. Aggrava il suo destino sopra di me, e sia d’ambedue una medesima perdizione.

Mefistofele. Come e’ ribolle! come e’ riarde! Va, e consolala, o gran pazzo che tu sei. Quando un povero cervello non sa di subito ritrovare l’uscita, egli si abbatte, e dice: Io sono spacciato! Viva colui che non cade mai d’animo! Io ti ho già veduto bellamente indiavolato; e or pensa che non è al mondo più sciocca cosa di un diavolo che dàssi alla disperazione.