Filocolo/Libro quinto/21

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Libro quinto - Capitolo 21

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Avea detto costei, quando Asenga, che alla sua sinistra sedea, così cominciò a dire: "Veramente ingiuria sanza ragione sostegnamo; e ben che ogni potere agl’iddii, sì come voi dite, falsamente s’attribuisca, ancora con questo è alle dee e a loro attribuita ogni bellezza. E prima diciamo della Luna, la quale non si vergognò per adietro d’amare, e sanza vergogna sostiene d’essere bella chiamata. Or non ci è egli ogni mese mille volte manifesto il suo viso variarsi in mille figure, tra le quali molte una sola n’è bella, e quella è quando essa, opposita al suo fratello, tutta quanta ci si mostra lucente, ancora che allora non so di che nebula ne mostri il suo viso dipinto? Ciascun’altra stagione, da questa infuori, difettuosa e laida ci appare, né ci si mostra, se ben riguardiamo, se non la notte, bella nella quale stagione le più laide si possono, sanza essere conosciute, tra le bellissime mescolare. Ma s’egli avviene che tra lei e Febo alcuna volta la terra si ponga, noi la veggiamo di sozza rossezza tutta contaminata: perché dunque bella? Giunone similmente e Apollo da un poco d’austro sono turbati, e guaste le loro bellezze per li suoi nuvoli. Diana non dico, però che è a presumere che se stata fosse bella non avria consentito che Atteon, per averla veduta, fosse tornato cervio, ma che avesse parlato e narrato la sua bellezza agl’ignoranti avria consentito. E più possiamo ancora di lei dire che, per che ella conobbe più la sua rustichezza essere atta alle cacce che ad amare, però quello uficio si prese. E come di queste diciamo, così di Venere possiamo dire, la quale se bella come si canta fosse stata, saria sì piaciuta ad Adone, che egli pauroso di perdere per morte sì bella dea, avria i suoi sani consigli seguiti. E similemente possiamo di molte altre dire quello che di noi non avviene. Io, bellissima, continuo bella nella mia forma mi mostro, né cambio viso né figura perch’io cambi stagione; né patisco eclissi come la luna fa, né mi nocciono i nuvoli d’austro, né i rischiaramenti d’aquilone mi giovano come ad Appollo e a Giunone fanno, anzi, e con questi e sanza quelli, continuamente bella dimoro. Né similemente mai al viso d’alcuno riguardante mi nascosi, né mi nasconderei, ma sentendomi com’io sento bella, mi diletto da molti essere amata e guardata. Io non comandai, né pregai, né consigliai mai cosa ch’ella non fosse con sollecitudine messa in effetto e osservata: dunque, più tosto io che alcuna delle sopradette sono da essere chiamata dea". E qui si tacque.