Fisiologia vegetale (Cantoni)/Capitolo 29

Da Wikisource.
§ 29 - Le piante, quando maturano il frutto e quando deperiscono, elaborano in parte i loro proprj materiali — Applicazioni pratiche

../Capitolo 28 ../Capitolo 30 IncludiIntestazione 6 febbraio 2019 100% Da definire

§ 29 - Le piante, quando maturano il frutto e quando deperiscono, elaborano in parte i loro proprj materiali — Applicazioni pratiche
Capitolo 28 Capitolo 30
[p. 145 modifica]
§. 29. — Le piante, quando maturano il frutto e quando deperiscono, elaborano in parte i loro proprj materiali. — Applicazioni pratiche.


Tutti ormai riconoscono di quanto danno sia, per la normale costituzione del frutto di molti cereali e d’altre piante, il togliere nel momento della sua prima formazione, in tutto od in parte le foglie, o porzione di stelo o dei rami, sebbene il frutto venga rispettato. In tal caso i semi dei cereali riescono più piccoli e rugosi, ed i frutti in generale difficilmente acquistano le ultime loro proprietà speciali, cosa che risulta di sommo danno, singolarmente per le piante a frutto dolce. — Molte piante possono maturare i loro semi sebbene levate del suolo alcuni giorni prima della loro perfetta maturanza, quando però si scorga che le foglie, essendo ingiallite o dissecate, più non si prestano alla respirazione. [p. 146 modifica]

Esempj di questo tutto ne abbiamo nel ravvizzone1, nel lupino, nel lino, nella canapa, ed in molti cereali, quali il riso, il miglio, il frumento ed anche nel melgone lasciato in panocchia. Che anzi è frequentissimo il vedere migliori, più pesanti e meno rugosi, i semi delle piante levate piuttosto immature dal suolo, che non quelli d’altre rimaste in terra sino a perfetta maturanza, e finchè il seme abbia acquistato il grado normale di secchezza, pel quale possa conservarsi. Lo stesso però non avverrebbe quando si staccassero dallo stelo le silique, le spighe, od i bacelli. Anche le piante a radice carnosa, quando maturano il seme, consumano gran parte della sostanza che le costituisce.

Un’altra conseguenza pratica di questo stesso principio, cioè che lo stelo prepara in sè i materiali pel seme, e che il seme, nei suoi ultimi momenti di formazione, vive in parte a spese del proprio stelo, è la seguente:

L’erba destinata ad essere convertita in fieno non si lascerà mai arrivare a tal punto che incominci a togliere al terreno i materiali pel seme, e meno ancora si permetterà che questo possa maturare. Tale intento facilmente lo si ottiene, senza grave scapito nella qualità nutriente del foraggio, falciando il prato quando la maggior parte delle erbe, che ne compongono la cotica, stia per isfiorire. Così operando, il fieno riesce migliore, cioè più nutriente, perchè steli e foglie nulla hanno somministrato alla formazione e maturazione d’un seme che ordinariamente va perduto nell’essiccamento, nel trasporto sulle cascine, e nelle mangiatoje. E queste sostanze, o materiali che servono alla formazione del seme, sono le più nutrienti, quelle cioè che contengono la massima quantità di materie albuminoidi. Inoltre, se l’erba che non ha maturato il frutto è migliore pel bestiame, meno [p. 147 modifica]toglie in pari tempo al terreno, e meno prontamente lo estenua. — Ho detto che il frutto, per maturare, sottrae in parte i materiali necessarj alla propria parte erbacea, ma il resto lo sottrae al terreno. Provate sopra due superficie uguali di prato, poste in eguali condizioni, a tagliar erba a frutto maturo in una, ed appena sfiorita nell’altra, e vedrete che, entro un anno, avrete maggior foraggio da quest’ultima; e che, se in questa potete concimare ogni due anni, in quella ove tagliate l’erba a frutto maturo, sarete obbligati a concimare tutti gli anni, se volete ottenere la stessa quantità di prodotto.

Ognuno sa che il legno delle piante morte in piede viene rifiutato da chi lo lavora e da chi lo fa servire come combustibile. A parità di volume e di secchezza, esso pesa meno di quello proveniente da piante tagliate ancora in corso di vegetazione. Al fuoco il legno, delle piante morte, dà minor fiamma e lascia una minor quantità di ceneri, perchè negli ultimi momenti della vita le piante consumarono una maggior o minor quantità dei loro stessi materiali; eppertanto il legno riuscirà di qualità tanto più scadente, quanto maggiore sarà stata la durata o l’intensità del deperimento. Su tale principio è fondata la rotazione pel taglio dei boschi, importando che lo scalvo od il taglio sia fatto non solo dopo l’epoca del massimo aumento, ma eziandio avanti che si mostrino gl’indizii di deperimento.

Da dove credete voi che traggano il loro nutrimento quei germogli che sorgono sul tronco delle piante di recente tagliate? — Quei germogli sono gemme latenti che si sviluppano a spese della sostanza del tronco istesso, come farebbe la gemma d’un innesto ad occhio.

Perchè ad alcune piante, il cui legname vorrebbesi conservare più a lungo, si leva in primavera un largo anello di corteccia in basso, mentre si lasciano in terra ancora per altro anno? — Perchè i germogli che [p. 148 modifica]svilupperà in quell’anno sono mantenuti a spese delle sostanze elaborate ed assorbite nell’anno antecedente, e non ancora indurite; eppertanto il legno in seguito si altera meno facilmente, siccome spoglio di gran parte delle sostanze non ancora solidificate nell’organismo vegetale.

Tutto insomma ci conferma che appena venga alterato l’ufficio delle foglie o delle radici, ossia la relazione strettissima che esiste fra le loro funzioni, la pianta, sebbene continui ad assorbire umidità, cessa di elaborare materiali nuovi, e mantiene la respirazione o supplisce ai bisogni proprii, elaborando materiali già stati assimilati, e che già formano parte del proprio organismo.

Il dottor Zanardini2 oppone che vi sono piante, quali le Aerides e Tillandsie, che vivono ed aumentano sospese nell’aria.

Ora, ci dice, quali materiali inorganici possono in tal caso intaccare le radici mediante l’acido carbonico proveniente dalle foglie? Come riparano al perduto senza ritrarre alimento alcuno dal suolo? Sappiamo benissimo che le piante a radici bulbose, tuberose o carnose vivono e vegetano fuori del terreno a spese della propria sostanza, e ammettiamo pure che tutti i vegetabili, al termine normale della loro vita, cessano di elaborare sostanze esterne consumando parte dei loro stessi materiali; ma, nel primo caso notevole e progressiva è la diminuzione di sostanza consumata a sostegno della vita, nel secondo evidenti sono i fenomeni che palesano un languore vitale, mentre nelle piante suaccennate (le Aerides e Tillandsie) anzichè diminuzione, vi è continuo aumento di sostanza, e piuttosto che languore, cresce la vigoria col crescere della fase vegetativa.

Nelle piante che vivono sospese nell’aria, le foglie o le radici dovrebbero essere pertanto inutili. Pure un semplice riflesso basta a provare la non inutilità delle une e delle altre. Queste piante allorchè vivono sospese [p. 149 modifica] nell’aria, aumentano in modo appena percettibile, e solo quanto forse lo permetta l’elaborazione del pulviscolo atmosferico che va a depositarsi sulle radici; provando per avventura con questo fatto essere appunto più necessaria la presenza dei principii inorganici, che non quella dell’umidità terrestre, essendovi piante che non ricevono altro umore tranne il vapore acqueo atmosferico. Nè è a credere che le piante dette aeree aumentino per condensamento di elementi combustibili atmosferici, poichè sappiamo che essi non entrano a far parte nell’organismo vegetale, se non in concorso degli elementi incombustibili inorganici. Si conceda a queste piante il contatto dell’aria, ma s’impedisca ogni contatto di pulviscolo atmosferico, e vedrassi di quale aumento siano suscettibili. Riparare ed aumentare un organismo qualunque senza concorso di materie nutritive è cosa concessa soltanto a cert’uni, i quali, volendo ingannare il mondo, si privano del piacere di mangiare in pace ed in società. — E finalmente, impossibile è la riparazione e l’aumento dei vegetali che nessun alimento ritraggano dal suolo; ne è supponibile che le Aeridi e le Tillandsie pratichino astinenze od inganni per farsi canonizzare.

Note

  1. Vedi, Études sur le colza, par Isidore Pierre, Comptez rendus de l’Académie des Scientes. Paris
  2. Relazione del D.r Zanardini all’Istituto Veneto