<dc:title> Gazzetta Musicale di Milano, 1843 </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Autori vari</dc:creator><dc:date>1843</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Gazzetta_Musicale_di_Milano,_1843/N._34&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20220110182008</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Gazzetta_Musicale_di_Milano,_1843/N._34&oldid=-20220110182008
Gazzetta Musicale di Milano, 1843 - N. 34 - 20 agosto 1843 Autori variGazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu
[p. 145modifica]- us 6AZZBTTA
MUSICALE
ANNO II.
N. 34.
DOMENICA
20 Agosto 843.
DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si
danno ai signori Associali dodici pezzi di scelta musica
classica antica e moderna, destinati a comporre un volume
in A.» di centocinquanta pagine circa, il quale in
apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà AnII
prezzo dcH’associazionc alla Gozzetto e aVOmologia
classica musicale è dì elicti. Aust.’L. 12 persemestre,
ed elTctt. Ausi. L.H affrancala di porlo lino ai confìnidclla
Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione aii■
La musique, par des inflexions vives, accentuées, et, liliale. — I.a spedizione dei pezzi ili musica viene fatta
• pour ainsi dire, parlantes, exprimetoutes les pas- mensilmente c franca ili porto ai diversi corrispondenti
• sions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, dello Studio Mcordi, nel modo indicato nel Manifesto.» soumet lu nature entière à ses savantes imitations, — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ullicio
• et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sen- della Gazzetta in casa Bicordi, contrada degli Omc•
timents propres à l’émouvoir. • noni N.°S7S0j all’estero presso i principali negozianti
J. J. Roussf.ju. di musica c presso gli Unici postali. — Le lettere. i grupSOUMAItlO.
I. Sii Giudizi Musichi. - II. Studi Biografici. Nicolò
Jomelli. - III. Autobiografia di Orlo Czersy.
- IV. Notizie Musicali Diverse. - V. Nuove Pubblicazioni
Musicali.
SUI GIUDIZJ MUSICALI
Carissimo Amico,» Quid tacici? ctc. Che farà,» che dirà nella Geometria o
■ nella Musica chi non le ha
• imparate ì O tacerà, o giudi»
chcrà da pazzo.
De Orai. lib. 3.
1 mondo delle arti è in alcuni
Jp’fà punii simile al mondo della na£vt.u|
tura, vario, vago, stupendo, cuSgV
vajgtjuioso; e gli artefici somigliano
inalcuncheaDio non tanto nel
creare, quanto nel gettar che fanno il loro
mondo alle osservazioni degli uomini, argomento
eterno di dispute, di opinioni, e di
giudizi. Ma come sul mondo fisico furono in
ogni età giudizi dritti e torti, opinioni ragionevoli
e sragionevoli: cosi su quel delle
arti si pronunziarono sempre sentenze eque
ed inique, rette e stravolte. Che se poi
volete a compimento del confronto presente
anche una delle dissomiglianze voi
ve l’avrete in questa, che il mondo della
natura, per dritto o torto giudicare che si
faccia, non soffre, non mula, anzi va proseguendo
con tutta sicurezza i giri suoi;
dove all1 opposto il mondo artiiiziale per
cotesto diluvio di opinioni e sentenze si
cangia, si ferma, retrocede, rallenta, e quasi
ruota per disastrosa via, gira come può.
Per questo non vi stupirete se oggi interrompo
con un episodio il corso delle
mie lettere, e se invece di parlarvi dell’Espressione
musicale, come vi aveva promesso
nell’ultima (I), io vi discorra de’giudizi
che soglionsi proferire sulla musica.
Veramente la cosa è un po’ardua, e delicata; ma l’obbligo che ho di spiegarmi
sopra alcune cose delle ultimamente, ed
una storiella antica in cui in’avvenni, la
quale fa per noi, mi fecero risolvere a
questo episodio.
Ed in quanto alla storiella voi dovrete
sapere che in Atene tempo fu erano molto
in voga i giudizi, popolari, sopra la fermezza,
e rettitudine de1 quali nulla è a di(I)
La lettera cui qui accenna il prof. B-i si legge
nel Subalpino, distribuzione di dicembre 1836.
re, tanto più che Socrate, e Aristide, e
I Temistocle, e Demetrio, e perfino Alcibiade
ve ne potrebbero fare ampie testimonianze.
Ora questi giudizi non tanto
avevano luogo nelle pubbliche assemblee
per gli affari di stalo, quanto anche nei
| teatri per faccende meno serie, testimonio
i sempre lo stesso Socrate non meno di! quelli, che di questi. Ciò posto, udite le! storiella che Platone racconta nel 5.° delle ’
j Leggi, e se non fa per voi datemi pure
dello stolido per la testa, e per i piedi:;
«Anticamente, racconta il filosofo, il po«polo ateniese non era padrone, ma servo?! delle leggi, dico di quelle che riguar- i
s? dano la musica, la quale era allora di»
stinta per specie, e ligure, cioè per in»
ni, per elegie, per ditirambi. Per que- j» ste leggi non era lecito usare un genere j» ili canto per un altro1, e l’autorità di!» conoscere, giudicare, e condannare le!» trasgressioni musicali non era già in ba»
lia uè’fischi, e dello schiamazzo come;» ora (il che pur dicasi dell’appiovazio»
ne ); ma nelle mani di personaggi esi»
mii, i quali nel silenzio potevano udire» sino al fine, perché i giovani, i peda»
goghi, e la plebe venivano frenati colla;» verga... cosi che -non giudicavasi per;» tumulto. Ma colf andar del tempo inco»
minciarono i poeti a farsi autori d’ir5»
regolarità musicali, non badando, ben- j» che ingegnosi, al giusto, ed al legittimo,
n e ciò per una certa pazzia, e per se»
condare il gusto altrui. Cotestoro adun»
que confusero i canti lugubri cogli in»
ni, i ditirambi coi peani, imitarono col» canto le tibie e le cetre, posero tutto» sossopra. Inoltre da ignoranti ed iinpu»
denti mentirono pure contro la musica,» affermando che essa non aveva norma» e legge, ma che giudicavasi dal piacere» dell’uditore fosse egli dabbene o no; di» modo che componendo essi cosi fatti» poemi, e spargendo nel volgo cotali mas»
sime, resero la moltitudine si ingiusta ed» audace, che credette di poter giudicare 1» con cognizione; quindi i teatri dove prima» tacevano, schiamazzarono quasi che sot- j» tilmente sentissero il bello delle muse,!
55 quindi dall’arbitrio degli ottimali il giu55
dizio cadde in balia della platea, cioè;
55 nella Teatrocrazia».
Ora andatevi a lamentare de’tempi nostri,
se il costume di giudicare senza autorità
è così vecchio! Deplorate l’odierno
disprezzo del buono e del bello, se. per
fino gli Ateniesi cosi gentilmente educali
lasciavansi affascinare dai novatori! Ma che?
Vi si vorranno adunque tribunali, e verghe?,j
Oibò. Dio ci guardi dai rigori d’un’oligarchia
musicale. Se vi è cosa ancora posta
7/z medio, sono le arti belle, possessione
comune a tutti tanto per l’esercizio,
quanto per il giudizio. In ciò non solo
dissento dall’antica usanza d’Atene, ma
anche dalla mia epigrafe; poiché lasciamo
stare che nelle scienze, e nella musica
quando contava tra esse, si richieda per
giudicarne di averle studiate, nelle arti poi
fatte per dilettare gli uomini, create per
lutti, non si esige d’averle imparate, o di
professarle per sentirne, e’ giudicarne i lavori.
Ma come dall altra parte evvi la teatrocrazia, od il libertinaggio teatrale che
può nuocere all’arte, e screditare i pubblici
giudizi, è da vedere quale temperamento
abbiasi a prendere per salvare la
musica dal giudizio de’pochi, e ile’molti.
Ed in primo luogo martellatevi ben bene
il capo che il diritto di giudicare in fatto
di musica, siccome in tutte le arti, è legittimamente
nel pubblico senza privilegio,
restrizione, e prerogativa di curia, o tribù;
in secondo luogo che a siffatto tribunale,
per giudicare equamente, certi requisiti
si convengono, senza i quali la sentenza
non sarà inappellabile. Cosicché io
direi cosi all’ingrosso, e senza cercar il
pelo nell’uovo, che almeno almeno vi si
richiederebbe una certa intelligenza, una
tal quale rettitudine o coscienza, e finalmente
una sufficiente dose di buon gusto.
Che ve ne pare? Son io forse tanto rigoroso,
come credete? Un giudizio emanante
da cotesti principii debbe essere per la
musica la vera vojc populi, il voto unanime
della natura, la decisione che debbe sanzionare
il bello musicale, non essendo altro
che quella medesima, la Oliale ripetutamente
sanzionò i capi-lavori della poesia,
dell eloquenza, della pittura, decisione
per cui i moderni consuonano cògli antichi,
per cui lutti i secoli, e paesi concordano
in coro.
E cominciando dal primo requisito che
è l’intelligenza, dico che questa sarà come
la face che rischiarerà la mente de’giudicanti.
Ogni giudizio debbe partire da una
certa convinzione, da una cognizione della
causa, il che non si fa senza intelligenza.
Dunque, direte voi, bisognerà che il pubblico
s’intenda di musica? Si signore. Ma
intendersi di musica non equivale già al
sapere di musica, all’essere dotto in armonia,
al posseder più o meno q’Uést’arte.
Io chiamo intelligente colui che senta
e capisca quanto ode, che per ingegno,
educazione, coltura’, ed esperienza siasi formato
un criterio, che abbia esercitalo, od [p. 146modifica]- m»g|
eserciti le sue qualità intellettuali, e via
discorrendo. Non è egli vero che voi, sebI*?
ben non pittore, nè erudito in pittura, nè
/jUj poeta, nè esercitato 111 poesia, sapete distinguere
un buon quadro da un cattivo,
un bel sonetto da un brutto? Se è così
io vi assicuro che voi quantunque nè musico,
nè dilettante, per 1 intelligenza vostra
potete anche seder giudice di musica in
qualunque teatro. Mi direte che il vostro
orecchio non è molto fino, che non è in
grado di apprezzare tutte le armoniche
gradazioni. Lo so, mio caro, che il vostro
udito non eguaglia la delicatezza del vostro
sentire, e so pure che molti per essere
d’orecchio fino e sensibile si stimano
i migliori giudici in musica: ma io credo
che questa finezza e sensibilità, opportunissima
in vero, non costituisca tutta 1 intelligenza
musicale. L’intelligenza, primo
requisito del giudizio, debbe risiedere oltre
il timpano acustico, oltre i confini della
organizzazione1, l’orecchio non è che l’usciere
del giudice. Se la miglior disposizione
degli organi sensorii dovesse decidere
in questa ed in altre materie, penso
che molti sciocchi sarebbero intelligentissimi,
e gli occhi lincei sarebbero i migliori
giudici in pittura, siccome erano una volta
in letteratura gli uomini di netto naso,
emunclae naris. — Altri poi credonsi d’aver
la prerogativa di giudicare perchè sono
infarinati di musica, ne conoscono il vocabolario,
si dilettano di canto, o di suono, di cantori, o suonatori. Benissimo.
Siedano pure costoro tra giudici, ma non
a preferenza d’altri non infarinati, non
dilettanti. Anche in quest’arte, mio caro,
evvi la mezza scienza accompagnata dalla
presunzione^ anche la musica ha i suoi
saputelli, i quali portano ai tribunali della
platea quel fino discernimento che mostrano
ne’ privati concerti, allorché o cantando,
o suonando, eseguiscono un pezzo
di musica, in natura, o ridotto! Torno a
dire che richiedesi intelligenza, non scienza,
tanto meno la saccenteria } ripeto che
per pronunziare un giudizio esigesi criterio
e buon senso, non dottrina ed erudizione.
Che vale il cicalar tanto di musica
in pubblico ed in privalo, pizzicar corde,
gonfiar flauti, strimpellar chitarre, gorgheggiare
da mattino a sera se non ce ne intendiamo?
Poco son conosciute, diceva
MehuI, le cause produttrici de’grandi effetti
drammatici*, e perciò, comechè molti
ciarlino di melodrammi, pochi ne sanno
con esattezza ragionare. La grande dimestichezza,
cred’10, che abbiam contratta
colla musica, forse è quella che ci dispensa
dall’intelligenza. Evvi di più un pregiudizio
in questa parte, ed è che si possa dare
una musica dotta, ed un’altra popolare,
cosicché ove il comune intendimento a
quella non giunga, possa almeno a questa
arrivare. Così p. e. per chi non intende
Dante, od Alfieri, havvi Metastasio, o Gol!
doni} per chi non sente le opere di Rafaello,
e di Paolo, hanvi le bambocciate
fiamminghe. Al che si risponde essere nella
musica, come nella poesia, e nella pittura
diversi generi, diversi stili, i quali siccome
esigono egual maestria nell’artefice, così
richiedono pari discernimento nel giudice,
in modo che colui che non aggiunge allo
j stile sostenuto dell’opera seria, difficilmente
intenderà il semplice della buffa, supposto
che sieno ambedue lavoro perfetto nel loro
genere} epperciò divien superflua la di|§jl
stinzione tra la musica dotta e popolare,
perchè ogni musica debbe essere dottissima, cioè vera e buona musica, che significhi
qualche cosa, che esprima, che dica
quanto debbe dire, e corra speditamente
al suo scopo.
(Sarà continuato)
STIJDJ BIOGRAFICI
NICOLO johell:
La musica teatrale, se creder dobbiamo
all’erudito Mattei, cominciata a crescere ed
a farsi bella fra le mani del Sarti, dello Scarlatti,
del Vinci, del Sassone, del Leo, giunse
a un bel grado di perfezione sotto il Jomelli,
che fu il più celebre maestro che mai vedute
avesse fin a’quei tempi l’Europa. Egli studiò
i primi elementi della musica 111 patria sotto
il canonico Muzzillo. In età di sedici anni
passò a Napoli nel Conservatorio de Poveri
di Gesù, e di poi nell’altro della Pietà,
ove ricevette lezioni da un maestro di
oscura fama per nome Proto, poi da Mancini,
artista distinto della grande Scuola
italiana. Ma non ben pago di questi, poiché
ebbe appresa da Feo la composizione,
imparò da Leo il grande, il sublime della
musica} e ben si scorge dagl’intelligenti,
eli’ ei fece grandissimo stùdio sulle carte
di questo illustre compositore e che spesso
rivesti di miglior colorito gli stessi disegni
del suo maestro, il quale, già ricco di bella
fama, e superiore all’invidia, nel 4 756,
mentre si concertava una cantata del Jomelli
in casa di una sua discepola, rapito
dal piacere, e quasi fuor di sè stesso: Signora. le disse, non passerà molto che
questo giovine sarà lo stupore e V ammirazione
di tutta VEuropa. Leo andò più
volte a sentir quella musica nel teatro nuovo,
predicando che i suoi presagi si sarebbero
in breve avverali. Secondo il sig. Fétis,
a ventitré anni Jomelli aveva scrittala
sua prima Opera intitolata Y Errore amoroso,
e giusta una notizia del celebre Piccini
intorno alla vita di esso, nutriva egli sì
poche speranze sull’esito di quel suo primo
saggio, che non volle produrlo se non sotto
il nome di un compositore oscuro, un tal
Valentino. Se non che il favore ottenuto
dal suo spartito infiammò l’entusiasmo
del Jomelli, il quale da quel momento si
dedicò con ardore alla composizione. L’Odoardo
fu scritto da lui in età di ventiquattro
anni pel teatro de’ Fiorentini,
ecf ottenne applauso clamorosissimo.
La fama principiò a spargere il suo nome
fuori della patria, e fu chiamato in Roma nel
1740, essendogli protettore il cardinale duca
di Yorck. Ivi scrisse il Bicimero,poi YAstianone
pel teatro di Argentina col più felice
successo. Si trasferì quindi nel 1741
a Bologna ove compose YEzio. Il poeta
Saverio Mattei, che lasciò una interessante
notizia intorno ad Jomelli, narra un sinolare
aneddoto che è da riferirsi all’epoca
ella dimora di questo compositore in Bologna,
ed è il seguente.
Recatosi a far visita,al celebre Martini,
già salilo in fama di uno de’più dotti musicanti
d’Italia, si presentò a lui senza farsi
conoscere, pregandolo di ammetterlo tra
suoi scolari. Gli diede il Martini un soggetto
di fuga, e nel vederlo cosi eccellentemente
eseguito: Chi siete voi, gli disse,
che venite a burlarvi di me? Anzi voglio
10 apprender da voi. - Sono Jomelli} sono
11 maestro che deggio scriver V opera in
questo teatro; imploro la vostra protezione.
Il severo contrappuntista: Gran fortuna
pel teatro, rispose, di avere un maestro
come voi., filosofo; ma gran disgrazia
è la vostra di perdervi nel teatro in
mezzo ad una turba di ignoranti corruttori
della musica.
Jomelli confessava più tardi di aver molto
imparalo da quell’insigne maestro, e specialmente
V arte <T uscire da qualunque
imbarazzo od aridità in cui si fosse ridotto
un compositore, e di trovarsi in un
nuovo spazioso campo a ripiglial e il cammino,
quando si credea che più non ci
fosse dove andare. Espressioni sincere, dice
il Mattei, che io ho intese più volte da lui
medesimo} ed egualmente mi confessava
che al Martini mancava il genio e che suppliva
coll’arte laddove era povera la natura.
Dopo d’aver il Jomelli scritto nuovamente
in Roma, ed in Napoli, ove, secondo il Fétis
compose YEumene, opera che ebbe un esito
meraviglioso, fu chiamato in Venezia. Quivi
la sua Merope piacque sì vivamente, che il
Consiglio dei Dieci, per conservare un tanto
artista, lo elesse a maestro del Conservatorio
delle figliuole. Per questo Conservatorio
egli scrisse varj pezzi di musica sacra,
tra’quali è da notarsi i! Laudate, pueri,
a due cori dijqualtro soprani, e quattro
contralti} la cui esecuzione, dopo quasi
settanta anni ch’è scritto, riempie tuttora
di ammirazione e di diletto non meno il
volgo che i dotti. È desso un capolavoro
di! espressione e di armonia. Nel 4 749, scrisse
YArtaserse(’pev l’Argentina in Roma, e YOratorio
della Passione pel cardinale d’Yorck.
Fu appunto a questo tempo e nella gran
capitale del mondo cristiano che un insigne
protettore, il cardinale Albani, prese
ad ammirare e a premiare efficacemente
l’alto suo ingegno. Era allora maestro della
cappella di San Pietro in Vaticano il Bencini,
ma il cattivo stato di sua salute rese
necessaria la nomina di un supplente. Ed
ecco il cardinale adoperarsi ad ottenere
questo impiego pel Jomelli, il quale lo ebbe
in fatto e ne prese possesso il §0 aprile del
4749. 11 Piccini riferisce a questo proposito
un aneddoto poco verisimile, ma che
pur merita di venir qui riportato. «Per essere
nominato maestro di cappella di San
Pietro, ei dice, è mestieri subire un esame
severo. Egli non si reputò abbastanza valente
per tentare la prova, e non fu se non
dopo avere studiato sotto il padre Martini
che si offrì disposto a subire il concorso
il quale però non ebbe luogo». - Evidentemente
il Piccini confonde le epoche, poiché
ad otto anni prima è da riportarsi il tempo
in cui Jomelli vide il padre Martini a
Bologna e da lui apprese le tradizioni dello
stile da chiesa dell’antica scuola. E d’altronde
la musica che si eseguisce nella basilica
di San Pietro è in uno stile concertato
di genere meno severo che non sia
quello che si canta nella Cappella Sistina.
Così il signor Fétis, il quale segue a riferire
come Jomelli rimanesse a Roma per
cinque anni, e non si dimettesse dal suo
posto che nel mese di maggio del 4754
per andare a Stutgarda ad occupare la
carica di maestro di cappella e compositore
della Corte, offertagli dal duca di Wirtemberg.
Da queste esattissime date si
rileva che il Mattei si ingannò quando fece
andare Jomelli a Vienna nel 4749 per iscrivervi
l’Achille in Sciro e la Didone e
quando dice che si fermò in quella capitale
per un anno e mezzo. Il viaggio di
Jomelli a Vienna ebbe luogo nel 4745. 11
Mattei afferma in oltre che Jomelli strinse [p. 147modifica]- 447 —
in questa città amicizia col Metastasio, e
che spesse volte protestò d’aver imparato
maggiormente nelle sue conversazioni col
celebre poeta che non in tutti i suoi studii
fatti con Feo, Leo e Martini. Quest’asserzione
del Maltei, che, come già accennammo, era poeta, non è da tenersi per
valida nè deve meravigliarci, dacché si sa
che i letterati sono mollo proclivi a dar
gran prezzo ai consigli di che sogliono essere
prodighi ai compositori. Noi intanto
crediamo che Jomelli aveva troppo buon
senso per voler paragonare due cose affatto
disparate. Feo e Martini gli insegnarono l’arte
di scrivere: Metastasio gli avrà suggerite
delle eccellenti idee sull espressione e sull’effetto
drammatico, il che ha a che far
nulla colla scienza.
Il Jomelli non mancò di talento poetico
ei stesso, ed ebbe in oltre il vantaggio di
aver fatto regolari studii. Intorno alla musica
da lui apposta alla Didone,ecco in qual
modo il gran poeta testé menzionato ne
scrisse alla principessa di Belnjonte: Andò
in iscena la mia Didone, ornata di una
musica, che giustamente ha sorpreso ed incantata
la Corte. E piena di grazia, di fondo,
di novità, di armonia, e soprattutto di
espressione. Tutto parla, sino cC violini e ai;
contrabbassi. Io non ho finora in questo
genere inteso cosa che ni’ abbia più per- •
stiaso. Nel tempo della sua dimora in Vien- j
na, Jomelli fu più volte chiamato ad accompagnare
al cembalo l’imperatrice Maria
Teresa, la quale fece levar via lo sga- j
’ ), e sostituire una se-!
di doni, tra’ quali j
li.lei guarnito di j
grossi brillanti. Il gran Lambertini nel 4750,;
vacando il posto di maestro in San Pietro,;
volle che l’occupasse il Jomelli, a preferenza
di molti cospicui concorrenti sì romani che i
esteri. Egli nel solo spazio di tre anni, dopo!
i quali rinunciò a quell’onorevole posto, arricchì
di moltissime carte la musica di chiesa.
Può leggersene il lungo catalogo nell’elogio
di lui, scritto dal Maltei, a cui rimandiamo
il lettore eziandio pel rimanente
delle sue composizioni da teatro e da chiesa,
scritte d’allora in poi per le Corti di Slutgarda,
di Madrid, di Lisbona, di Torino e di
Napoli. Solamente osserveremo col sig. Fétis,che
durante Usuo soggiorno a Stutgarda,
ove dimorò non meno di 25 anni, una notevole
modificazione si osservò nella sua
maniera. Assoggettato all’influenza della
musica tedesca,ch’egli ivi udiva, diede al
suo modulare delle transizioni più frequenti,
e ravvigorì il suo strumentale. Questa trasformazione,
della quale abbiamo le prove
in quasi trenta opere da lui scritte a quel
tempo, lo fece salire in faVore presso il
principe, la cui orchestra era da lui diretta,
e gli procurò non pochi successi in
Germania, ma per contrario gli nocque
grandemente al suo ritorno in patria.
A que’ giorni gli Italiani non erano sensibili
che ai nudi vezzi della melodia ch’ei
volevano spoglia d’ogni estraneo ornamento:
tutto ciò che poteva disturbare la loro
attenzione dal prender diletto alla melodia
era per essi biasimevole. Le menome modulazioni
sgradivano ai mòlli loro orecchi,
e il suono degli stranienti consideravano
come un disturbo se a malappcna si faceva
udire di concorrenza col canto. E d’altronde
la lunga assenza di Jomelli gli aveva nociuto
in questo che i suoi compatrioti!
eransi poco meri che dimenticati di lui, e
juando tornò a Napoli gli toccò quasi di rieiificare
la sua fama. Se non che già toccava
egli allora il cinquantottesimo suo anno;
e meno fuoco
idee. La sua Armida che, scrisse pel teatro
di San Carlo, è certamente, al dire del
sig. Fétis, una delle più belle sue opere,
fors’ànche è l’opera più completa di quante
ne scrivesse prima di quell’epoca: nondimeno
non ebbe successo popolare; i soli
artisti ne compresero il valore. Il Demofoonte,
spartito eccellente, riuscì ancor meno
i dell’Armida. Per ultimo la Ifigenia scritta
per quel teatro nel 4773, e pessimamente
eseguita in sua assenza, diè campo alla malevolenza
e all’invidia di scagliarsi contro
il suo autore, come già per vecchiezza rimbambito
e disutile. Il dispiacere ch’egli ne
risenti, malgrado la sua filosofica moderazione,
gli cagionò un accidente di apoplessia,
da cui non perfettamente riavuto, scrisse
il suo Miserere, tradotto in versi italiani
dal Mattei, a due voci, col solo accompagnamento
di due violini, viola e basso,
capolavoro dell’arte, ed immortale come
10 Stabat del Pergolesi, pel quale potea
giustamente esclamare l’autore: Exegi monumentimi
aere perennius... non omnis
moriar. Questa sua composizione sacra fu
11 canto del cigno, cosi d già citalo signor
Fétis; perocché appena la ebbe terminata
che l’illustre maestro, a ragione chiamato
il Glucfc dell Italia, colpito da un secondo
insulto apopletico, cessò di vivere il 28
agosto del 4/74. L’44 novembre susseguente
si celebrarono a suo onore sontuose
esequie dove si eseguì una messa di Requiem
a due cori composta dal padre
Sabbatini.
Fu il Jomelli di ottimi costumi, buon
cristiano, buon cittadino, e culto di intelletto
in modo non ordinario fra i compositori
di musica. In mezzo ai furori dell’invidia
non seppe dir mai una parola
contro di alcuno: modesto ne’suoi giudizj,
superiore alla rivalità, non negò i dovuti
elogi ai grandi maestri suoi contemporanei.
Egli era alto di statura e corpulento. Il
dott. Burney che lo vide ne’ suoi viaggi,
dice che singolarmente rassomigliava a
Hàndel, ma che molto più di costui era
pulito ed amabile. La musica di Jomelli
si distingue per uno stile tutto suo proprio, per una immaginazione sempre feconda
di nuovi concetti, sempre lirici, e
di voli veramente pindarici; egli passa da
un tono all’altro in una maniera affatto
nuova, inaspettata e dottamente irregolare;
se pecca alle volte di troppa arte e difficoltà, la sua difficoltà è del genere di
quella di Pindaro. Non tutti sono in grado
di comprender Pindaro e molto meno di
imitarlo. Pindaro vola per mezzo alle nubi,
chi si fiderà di seguirlo? Quindi nacque
che il Jomelli ottenesse gli elogi de’ conoscitori
e de’ filosofi, e perdesse alle volte
quelli del volgo.
Per chiudere questa biografia con un’ultima
citazione del chiarissimo Fétis, diremo
che a ben apprezzare il merito di Jomelli
come scrittore drammatico, è mestieri esaminare
quali fossero le forme dell’arte prima
di lui. Non ha dubbio che nelle partiture
di Scarlatti, di Leo, di Pergolesi e
di Vinci si ammiravano dei bellissimi pezzi
nei quali l’invenzione melodica brillava al
più alto segno: ma questi pezzi erano poco
sviluppati: poco svariato ne era il disegno,
ed anche si può dire che, salve poche eccezioni,
era mal inteso nelle situazioni forti;
perocché nelle arie a due tempi l’andante
o l’adagio del principio si ripigliava alVallegro,
lo che è contrario al procedere
delle passioni. Jomelli evitò questo errore;
ei comprese la necessità di mantenere fino
alla fine la gradazione di interesse drammatico,
e seppe con raro ingegno soddisfare
a questo bisogno dell’arte. Primo tra
i compositori italiani, ei diede parimenti
al recitativo obbligato l’energia e aggiustatezza
d’espressione di che è suscettibile
questa bellissima forma musicale. Nella musica
da chiesa ei non comprese punto l’arte
al modo che la compresero i maestri della
scuola di Palestrina; e se vi infuse una
espressione troppo viva dei sentimenti mondani
fu almeno sempre nobile e sempre
puro. La sua messa di Requiem, il suo
Miserere, il suo oratorio della Passione saranno
sempre considerati quali modelli di
bellezze assolute nel loro genere.
L. E.
AUTOBIOGRAFIA
DI CARLO CZERNI.
(tradus. verbale dalla Gazz. Mus. di Vienna N. 86).
ii Sono nato a Vienna nella Lcopoldstad, il 21 feb«brajo 1791. Mio padre, nativo della Boemia, ernia
«madre della Moravia, erano domiciliati fino dal 1786
a a Vienna. Mio padre, a quei tcfnpi valente pianista
ii allevalo alle scuole di Mozart e di Clementi, si gua«dagnò la vita come maestro di cembalo. Fino dalla
a mia fanciullezza venni destinato cd educalo per la
a musica, c si vuole che fin dalla tenera età di tre o
ii quattro anni addimostrassi disposizione naturale per
a quest’arte. Siccome durante la mia fanciullezza i» migliori pianisti allora in rinomanza Gclinek, Liii
powsky, Vanhall cd altri, visitavano i mici genitori
a come compatriotti, cosi io avevo occasione ili udire
a molta buona musica, c mio padre, all’uopo di fare
a di me un sonatore a prima vista, mi procurò tutte
ii le composizioni dc’macstri di quel tempo: di Mozart,
«di Clementi, di Beethoven, di Bach, ecc., le quali
a fin dall’età di dicci anni io suonava con franchezza,
a Nel 1801, ossia nel mio decimo unno, fui condotto
«da Beethoven, il quale si prese di molta bontà per
a niCjJe contribuì ai miei ulteriori progressi tanto col
«suo consiglio dato a mio padre, quanto coll’avermi
«fatto studiare egli stesso parecchie delle sue conili
posizioni. L’affetto ch’ci mi pose, andò crescendo» sino alla più amichevole benevolenza, la quale si
a mantenne sino alla sua morte. Scarseggiando i guaii
dagni di mio padre, la cui salute col crescere delti
l’età si venne non poco affievolendo, cominciai fin
«dal 1805, nel mio quattordicesimo anno, a dare leii
zioni di pianoforte. Ebbi la fortuna di poter presto
a produrre allievi dolati di molto talento, tanto che
ii il mio credito ne guadagnava, ed era occupato Finii
tcro giorno. Nell’inverno 1809, mi si offrì occa«sionc d’imparare a conoscere Clementi, c ili assiti
stere sempre alle lezioni ch’egli qui dava in una
a casa. A questa circostanza vo’ debitore dei principj
«secondo i quali perfezionai il mio mètodo d’insc«gnamento. Fra i mici numerosi allievi furono: la» Bclvillc (morta sgraziatamente troppo presto), Ostcr,
a Liszt, Dòlilcr, e molti altri che più tardi si resero
a noti nel mondo. Il mio insegnamento durò per
a trent’anni interi (1805-1855), dopo i quali lo alili
bandonai, parte per motivi di salute, parte per dediii
carmi interamente alla composizione. Mio padre mi
a aveva posto in mano di buon’ora le opere tcorcti»
che di Marpurg, Kirnbcrgcr, Tiirk, Albrcchtsberii
ger, ecc., e le ripassava in mia compagnia. Mi ocii
cnpai altresì nella mia gioventù a Stendere in parli
lilura le composizioni d’orchestra de’gran maestri,
a come le sinfonie cd i quartetti di Mozart, Ilaydn c
a Beethoven, il quale esercizio mi fornì molte coli
gnizioni per rispetto all’istrumcntalc, cd in gcncii
ralc riguardo all’armonia. Fin dal settimo mio anno
u incominciava, senza eccitamento altrui, a scrivere [p. 148modifica]nvcntarc melodie, temi ecc., continuando cosi
o durante il tempo che dedicai all’insegnamen’» to; ma non mi reggendo la pazienza di finire un» componimento, durava lungo tempo prima di pubu
liliea’rc qualche cosa.
ii Fu soltanto nel 1818 (nel mio ventisettesimo» anno) che il signor Diabclli, che a quel tempo
ii apri il suo negozio di musica, senza conoscermi» personalmente, mi chiese di comporre per lui qualii
che cosa. Gli diedi un Rondò a quattro mani, che
«al suo comparire ebbe la fortuna d’interessare in
ii. modo non comune. Da quel momento in poi ebbi
«frequentemente simili incarichi da tutti gli editori di
ii musica; e ben presto me ne vennero bcnanco dalli
l’estero,a tal che sino al dì d’oggi (1845) conili
parvero in pubblico 754 opere originali di mia
u composizione, fra le quali di 10, 20, 50 fino a 60
«fascicoli, senza tener conto delle riduzioni di opere
ii‘ d’altri maestri. Un quarto.del totale di queste 754
ii opere spelta allo stile serio, un quarto è approprialo
u alla comune esecuzione, il restante, parte è dediti
calo al dilettantismo, parte all’istruzione pratica,
a Nel 1827 dovetti scrivere una messa, lo clic mi
a venne fatto in 15 giorni, e avendo essa incontrato,
u ne composi susscgucntcmcnlc undici altre che ora
ii tengo manoscritte, (fra le quali otto solenni), inol»
tre 90 Offertorj e graduali, due Requiem e due Teli
dami. Amavo tanto maggiormente dedicarmi a conili
porre musica’ di chiesa, in quanto che era troppo a
a lungo obbligato a soddisfare il comune desiderio
ii con musica profana. Posseggo pure in manoscritto
ii varie sinfonie, ouvertures per orchestra, quartetti per
«Violino, cori con accompagnamento d’orchestra, ed
a altro per canto. Oltre a che tradussi la grand’opera
a francese del signor Rcicha, contenente la dottrina
a dell’armonia e della composizione, pubblicatasi presso
a Diabclli in 5 voi. in fui. Sono sempre rimasto nella
ii mia città patria di Vienna; nel 1856 feci un viag»
gio per Lipsia, e un altro di tre mesi di dimora a
a Londra e Parigi nel 1857.
NOTIZIE MUSICALI DIVERSE
I. K. TEATRO ALLA SCALA
Mercoledì, giorno 10 corrente, ebbe luogo l’apertura
del nostro grande teatro pella stagione autunnale
colla Favorita di Donizctti, (Opera, coni’ ò noto, scritta
su libretto francese, c destinata al teatro francese)
c con un ballo del coreografo Vostri. Complessivamente
lo’ spettacolo, ottenne un esito modesto. Noi
non daremo un giudizio della musica della Favorita, giucche attendiamo per far questo di udirla
eseguita nella sua integrità, vale a dire senza alterazione
di parti, c con una più lodevole varietà c ricchezza
di colorito. La parte della Favorita, scritta
adatt t i 11 ig io i Alboni, deciso contralto, per
cui la maggior parte degli effetti musicali ideali da
Donizctti andarono perduti. Nella produzione di quest’opera,
che nell’originale.partitura reca un’impronta
di stile diversa dalla maniera italiana di Donizctti, noi
di qualche rilievo che la comparsa d’un tenore nuovo
per noi, del sig. Ferretti, clic ha una bella e robusta
voce di tenor serio, alla maniera di Donzelli, e della
quale seppe nelle prime recito valersi non senza effetto.
Veniamo assicurati da persone dotate di molto
gusto c intelligenza, che, qualunque ne fosse il motivo, la musica della Favorita, qual si udì le prime
sere alla Scala, sembrava assolutamente diversa da
quella che cccheggiava nei teatri di Parigi cd in quello
di Lisbona, ove ottenne un successo di fanatismo.
Anche il ballo il Jìaja e le Bajadere fu accolto freddamente. malgrado gli sforzi dei due valentissimi artisti
la Muratori c il Catte.
C. L.
TEATRO RE
La Dama e lo Zoccolajo del maestro Fioravanti fu
rappresentata giovedì sera, e venerdì si tornò alla Figlia
del Reggimento. Le lungaggini della musica clic
non ha un grande carattere di novità, quelle del libretto,
che è d’un genere buffo lutl’affallo napoletano
e volgare, furono forse le cause principali della tranquillila
lasciata nel pubblico dall’esecuzione di questo
spartito. Non ò clic manchino alcune melodie ideate
e svolte felicemente, non e clic in alcuni pezzi, come
principalmente nell’introduzione e nel secondo finale,
non vi sia una certa festività d’ispirazione, ma in complesso
vi sono troppi dilavamenti, delle tiritere languidamente
prolisse, dei brani in cui l’arte ha ceduto
luogo interamente al mestiere. La signora Zoja, che
continua ad eccitare l’entusiasmo degli abituali a questo
teatro, nè ebbe campo di sfoggiare i tesori della
sua azione, nè potò trovare una parte clic musicalmente
le fosse molto adattata. Nel rondò per altro
gli applausi scoppiarono assai numerosi per essa, e
furono seguiti da due chiamate. 11 buffo Soares fu assai
festeggiato, e gli altri cercarono di sostenere con
sufficiente impegno un’opera, che non sembrò eccitare
gran fatto le simpatie degli spettatori.
Col giorno 25 avranno fine le rappresentazioni dell’attuale
compagnia del Re, che chiamò, sempre a quel
teatro un numeroso concorso. Noi probabilmente ci
permetteremo di ridire qualche parola sul suo conto
in un prossimo numero.
— Vienna. Il 10 agosto un numeroso pubblico accorse
all’l. R. teatro Kòrncrllior per riudire le Nozze di Figaro
di Mozart, applaudendo liètamente questa vecchia
opera buffa, composta or sono 66 anni per il medesimo
teatro. Quale sorte mai avranno da qui a un mezzo secolo
le opere clic attualmente fioriscono tanto i e di
quante se ne ricorderanno ancora i nomi?...Ma di Mozart
si può asserire arditamente, che le sue opere in
musica rallegreranno ancora i nostri pronipoti. L’esecuzione
delle Nozze di Figaro fu nel totale eccèllente.
— Al teatro Joseplislàdt fu data per prima opera lo
Czar e il Falegname di LOrzing, giudicata nella Germania
fra le moderne unica nel genere buttò. La folla
degli uditori accolse tale produzione assai favorevolmente.
(Gazz. teatr.e Mus. di Vienna)
— L’Ultima parte del Comico, commedia tedesca
in 3 atti, con musica de’ maestri Donizetti, Fanseron,
Hcrold e Mùllcr, data qui per la prima volta sul teatro
della IFien il 7 corrente agosto, ebbe grande incontro,
massime per la maestria con cui il signor Cari,
il quale non abbandona quasi mai la scena, eseguì la
parte del protagonista.
— Londra. Si è formata in questa capitale una Società
J/tindel, composta di circa 1000 membri, ognuno
de’quali paga una ghinea, onde fare stampare una nuova
edizione di tutte le composizioni di Iliindel, clic ormai
contano un secolo. Si desidera di mettere a capo di
questa impresa il maestro Mcndelssolin, occupato già
anteriormente a. pubblicare tutte le musiche di qucll’illustre
maestro.
— Diiksda. Mommi ebbe pure grande applauso nella
Linda di Chamounix, data qui per la prima volta lo
scorso 21 luglio.
(Gazz. lealr. di Vienna)
quinto e sesto all’unione di SciafTusa e al circolo supc- f
riore del lago di Zurigo, riva sinistra; altri doni, con- s
sistenti in componimenti musicali, poesie, ecc., ebbero I
le altre unioni. La Festa de’ cantanti dell’anno venturo;
avra luogo a ScialTusa. (Ivi) i
— Meyerbeer fu nominato membro della Regia Ac- ’
endemia di Musica di Londra, e n’ebbe il relativo db
ploma. [Ivi)
— Hkhi.ino 7 agosto- - Meyerbeer e Mendelssohn non
sogliono mai esser qui uniti in attività. Arrivato qui
quest’ultimo da Lipsia, il primo parte dimani ai bagni,
da dove si repherà a Parigi. (Gazi. Univ.)
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- L’acustico Kaufmann di Dresda eccitò entusiasmo
coi suoi islromeuti a Jlrcma c Amburgo. Egli ne ha
cinque: la Tromba-Automatica, il Corduulodico,Salpitiyio,
Sin fottio e Armonicordo. La tromba-automatica (in
mi bemolle), eseguisce i passi più difficili; il Cordaulodicoèun
composto di flauti con una tastiera; il Salpingio,
composto di nove trombe e due timpani, eseguisce
principalmente YAlleluja di Handcl a meraviglia, e con
vera maestà; il Sinfonio si avvicina al Cordaulodio, con
nauti più gagliardi; entrambijicrò si distinguono per
stronien tf del6 Kaufmann CèCE Armonicordo, Tqualenon
vicn messo in moto, come gli altri simili, da un giuoco
a guisa d’orologio, ma viene eseguilo colle mani dello
stesso maestro, c produce una vera musica celestiale, c
nel medio i suoni dell’Arpa d’Eolo.
(Gazz. Bfus. Univ.)
circa 2(J Unioni di canto convenute a gara, ammontanti nel
totale a presso Suuo artisti, dai Cantoni della Svizzera tedesca.
Nel primo giorno 16 Unioni eseguirono a gara de canti
PrSSMBSKES&BEf&S!
in chiesa. Nel secondo giorno ebbe luogo la festa gene- 1
rate, in cui si procedette alla distribuzione de’ premj: il
primo toccò al coro «li cantanti del lago di Zurigo, riva!
destra, il secondo all’Unione della Valle Limma, il terzo
e quarto ai cantanti del lago di Zurigo riva siuistra. il i