Gazzetta Musicale di Milano, 1843/N. 34

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N. 34 - 20 agosto 1843

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[p. 145 modifica]- us 6AZZBTTA MUSICALE ANNO II. N. 34. DOMENICA 20 Agosto 843. DI MILANO Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associali dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in A.» di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà AnII prezzo dcH’associazionc alla Gozzetto e aVOmologia classica musicale è dì elicti. Aust.’L. 12 persemestre, ed elTctt. Ausi. L.H affrancala di porlo lino ai confìnidclla Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione aii■ La musique, par des inflexions vives, accentuées, et, liliale. — I.a spedizione dei pezzi ili musica viene fatta • pour ainsi dire, parlantes, exprimetoutes les pas- mensilmente c franca ili porto ai diversi corrispondenti • sions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, dello Studio Mcordi, nel modo indicato nel Manifesto.» soumet lu nature entière à ses savantes imitations, — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ullicio • et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sen- della Gazzetta in casa Bicordi, contrada degli Omc• timents propres à l’émouvoir. • noni N.°S7S0j all’estero presso i principali negozianti J. J. Roussf.ju. di musica c presso gli Unici postali. — Le lettere. i grupSOUMAItlO. I. Sii Giudizi Musichi. - II. Studi Biografici. Nicolò Jomelli. - III. Autobiografia di Orlo Czersy. - IV. Notizie Musicali Diverse. - V. Nuove Pubblicazioni Musicali. SUI GIUDIZJ MUSICALI Carissimo Amico,» Quid tacici? ctc. Che farà,» che dirà nella Geometria o ■ nella Musica chi non le ha • imparate ì O tacerà, o giudi» chcrà da pazzo. De Orai. lib. 3. 1 mondo delle arti è in alcuni Jp’fà punii simile al mondo della na£vt.u| tura, vario, vago, stupendo, cuSgV vajgtjuioso; e gli artefici somigliano inalcuncheaDio non tanto nel creare, quanto nel gettar che fanno il loro mondo alle osservazioni degli uomini, argomento eterno di dispute, di opinioni, e di giudizi. Ma come sul mondo fisico furono in ogni età giudizi dritti e torti, opinioni ragionevoli e sragionevoli: cosi su quel delle arti si pronunziarono sempre sentenze eque ed inique, rette e stravolte. Che se poi volete a compimento del confronto presente anche una delle dissomiglianze voi ve l’avrete in questa, che il mondo della natura, per dritto o torto giudicare che si faccia, non soffre, non mula, anzi va proseguendo con tutta sicurezza i giri suoi; dove all1 opposto il mondo artiiiziale per cotesto diluvio di opinioni e sentenze si cangia, si ferma, retrocede, rallenta, e quasi ruota per disastrosa via, gira come può. Per questo non vi stupirete se oggi interrompo con un episodio il corso delle mie lettere, e se invece di parlarvi dell’Espressione musicale, come vi aveva promesso nell’ultima (I), io vi discorra de’giudizi che soglionsi proferire sulla musica. Veramente la cosa è un po’ardua, e delicata; ma l’obbligo che ho di spiegarmi sopra alcune cose delle ultimamente, ed una storiella antica in cui in’avvenni, la quale fa per noi, mi fecero risolvere a questo episodio. Ed in quanto alla storiella voi dovrete sapere che in Atene tempo fu erano molto in voga i giudizi, popolari, sopra la fermezza, e rettitudine de1 quali nulla è a di(I) La lettera cui qui accenna il prof. B-i si legge nel Subalpino, distribuzione di dicembre 1836. re, tanto più che Socrate, e Aristide, e I Temistocle, e Demetrio, e perfino Alcibiade ve ne potrebbero fare ampie testimonianze. Ora questi giudizi non tanto avevano luogo nelle pubbliche assemblee per gli affari di stalo, quanto anche nei | teatri per faccende meno serie, testimonio i sempre lo stesso Socrate non meno di! quelli, che di questi. Ciò posto, udite le! storiella che Platone racconta nel 5.° delle ’ j Leggi, e se non fa per voi datemi pure dello stolido per la testa, e per i piedi:; «Anticamente, racconta il filosofo, il po«polo ateniese non era padrone, ma servo?! delle leggi, dico di quelle che riguar- i s? dano la musica, la quale era allora di» stinta per specie, e ligure, cioè per in» ni, per elegie, per ditirambi. Per que- j» ste leggi non era lecito usare un genere j» ili canto per un altro1, e l’autorità di!» conoscere, giudicare, e condannare le!» trasgressioni musicali non era già in ba» lia uè’fischi, e dello schiamazzo come;» ora (il che pur dicasi dell’appiovazio» ne ); ma nelle mani di personaggi esi» mii, i quali nel silenzio potevano udire» sino al fine, perché i giovani, i peda» goghi, e la plebe venivano frenati colla;» verga... cosi che -non giudicavasi per;» tumulto. Ma colf andar del tempo inco» minciarono i poeti a farsi autori d’ir5» regolarità musicali, non badando, ben- j» che ingegnosi, al giusto, ed al legittimo, n e ciò per una certa pazzia, e per se» condare il gusto altrui. Cotestoro adun» que confusero i canti lugubri cogli in» ni, i ditirambi coi peani, imitarono col» canto le tibie e le cetre, posero tutto» sossopra. Inoltre da ignoranti ed iinpu» denti mentirono pure contro la musica,» affermando che essa non aveva norma» e legge, ma che giudicavasi dal piacere» dell’uditore fosse egli dabbene o no; di» modo che componendo essi cosi fatti» poemi, e spargendo nel volgo cotali mas» sime, resero la moltitudine si ingiusta ed» audace, che credette di poter giudicare 1» con cognizione; quindi i teatri dove prima» tacevano, schiamazzarono quasi che sot- j» tilmente sentissero il bello delle muse,! 55 quindi dall’arbitrio degli ottimali il giu55 dizio cadde in balia della platea, cioè; 55 nella Teatrocrazia». Ora andatevi a lamentare de’tempi nostri, se il costume di giudicare senza autorità è così vecchio! Deplorate l’odierno disprezzo del buono e del bello, se. per fino gli Ateniesi cosi gentilmente educali lasciavansi affascinare dai novatori! Ma che? Vi si vorranno adunque tribunali, e verghe?,j Oibò. Dio ci guardi dai rigori d’un’oligarchia musicale. Se vi è cosa ancora posta 7/z medio, sono le arti belle, possessione comune a tutti tanto per l’esercizio, quanto per il giudizio. In ciò non solo dissento dall’antica usanza d’Atene, ma anche dalla mia epigrafe; poiché lasciamo stare che nelle scienze, e nella musica quando contava tra esse, si richieda per giudicarne di averle studiate, nelle arti poi fatte per dilettare gli uomini, create per lutti, non si esige d’averle imparate, o di professarle per sentirne, e’ giudicarne i lavori. Ma come dall altra parte evvi la teatrocrazia, od il libertinaggio teatrale che può nuocere all’arte, e screditare i pubblici giudizi, è da vedere quale temperamento abbiasi a prendere per salvare la musica dal giudizio de’pochi, e ile’molti. Ed in primo luogo martellatevi ben bene il capo che il diritto di giudicare in fatto di musica, siccome in tutte le arti, è legittimamente nel pubblico senza privilegio, restrizione, e prerogativa di curia, o tribù; in secondo luogo che a siffatto tribunale, per giudicare equamente, certi requisiti si convengono, senza i quali la sentenza non sarà inappellabile. Cosicché io direi cosi all’ingrosso, e senza cercar il pelo nell’uovo, che almeno almeno vi si richiederebbe una certa intelligenza, una tal quale rettitudine o coscienza, e finalmente una sufficiente dose di buon gusto. Che ve ne pare? Son io forse tanto rigoroso, come credete? Un giudizio emanante da cotesti principii debbe essere per la musica la vera vojc populi, il voto unanime della natura, la decisione che debbe sanzionare il bello musicale, non essendo altro che quella medesima, la Oliale ripetutamente sanzionò i capi-lavori della poesia, dell eloquenza, della pittura, decisione per cui i moderni consuonano cògli antichi, per cui lutti i secoli, e paesi concordano in coro. E cominciando dal primo requisito che è l’intelligenza, dico che questa sarà come la face che rischiarerà la mente de’giudicanti. Ogni giudizio debbe partire da una certa convinzione, da una cognizione della causa, il che non si fa senza intelligenza. Dunque, direte voi, bisognerà che il pubblico s’intenda di musica? Si signore. Ma intendersi di musica non equivale già al sapere di musica, all’essere dotto in armonia, al posseder più o meno q’Uést’arte. Io chiamo intelligente colui che senta e capisca quanto ode, che per ingegno, educazione, coltura’, ed esperienza siasi formato un criterio, che abbia esercitalo, od [p. 146 modifica]- m»g| eserciti le sue qualità intellettuali, e via discorrendo. Non è egli vero che voi, sebI*? ben non pittore, nè erudito in pittura, nè /jUj poeta, nè esercitato 111 poesia, sapete distinguere un buon quadro da un cattivo, un bel sonetto da un brutto? Se è così io vi assicuro che voi quantunque nè musico, nè dilettante, per 1 intelligenza vostra potete anche seder giudice di musica in qualunque teatro. Mi direte che il vostro orecchio non è molto fino, che non è in grado di apprezzare tutte le armoniche gradazioni. Lo so, mio caro, che il vostro udito non eguaglia la delicatezza del vostro sentire, e so pure che molti per essere d’orecchio fino e sensibile si stimano i migliori giudici in musica: ma io credo che questa finezza e sensibilità, opportunissima in vero, non costituisca tutta 1 intelligenza musicale. L’intelligenza, primo requisito del giudizio, debbe risiedere oltre il timpano acustico, oltre i confini della organizzazione1, l’orecchio non è che l’usciere del giudice. Se la miglior disposizione degli organi sensorii dovesse decidere in questa ed in altre materie, penso che molti sciocchi sarebbero intelligentissimi, e gli occhi lincei sarebbero i migliori giudici in pittura, siccome erano una volta in letteratura gli uomini di netto naso, emunclae naris. — Altri poi credonsi d’aver la prerogativa di giudicare perchè sono infarinati di musica, ne conoscono il vocabolario, si dilettano di canto, o di suono, di cantori, o suonatori. Benissimo. Siedano pure costoro tra giudici, ma non a preferenza d’altri non infarinati, non dilettanti. Anche in quest’arte, mio caro, evvi la mezza scienza accompagnata dalla presunzione^ anche la musica ha i suoi saputelli, i quali portano ai tribunali della platea quel fino discernimento che mostrano ne’ privati concerti, allorché o cantando, o suonando, eseguiscono un pezzo di musica, in natura, o ridotto! Torno a dire che richiedesi intelligenza, non scienza, tanto meno la saccenteria } ripeto che per pronunziare un giudizio esigesi criterio e buon senso, non dottrina ed erudizione. Che vale il cicalar tanto di musica in pubblico ed in privalo, pizzicar corde, gonfiar flauti, strimpellar chitarre, gorgheggiare da mattino a sera se non ce ne intendiamo? Poco son conosciute, diceva MehuI, le cause produttrici de’grandi effetti drammatici*, e perciò, comechè molti ciarlino di melodrammi, pochi ne sanno con esattezza ragionare. La grande dimestichezza, cred’10, che abbiam contratta colla musica, forse è quella che ci dispensa dall’intelligenza. Evvi di più un pregiudizio in questa parte, ed è che si possa dare una musica dotta, ed un’altra popolare, cosicché ove il comune intendimento a quella non giunga, possa almeno a questa arrivare. Così p. e. per chi non intende Dante, od Alfieri, havvi Metastasio, o Gol! doni} per chi non sente le opere di Rafaello, e di Paolo, hanvi le bambocciate fiamminghe. Al che si risponde essere nella musica, come nella poesia, e nella pittura diversi generi, diversi stili, i quali siccome esigono egual maestria nell’artefice, così richiedono pari discernimento nel giudice, in modo che colui che non aggiunge allo j stile sostenuto dell’opera seria, difficilmente intenderà il semplice della buffa, supposto che sieno ambedue lavoro perfetto nel loro genere} epperciò divien superflua la di|§jl stinzione tra la musica dotta e popolare, perchè ogni musica debbe essere dottissima, cioè vera e buona musica, che significhi qualche cosa, che esprima, che dica quanto debbe dire, e corra speditamente al suo scopo. (Sarà continuato) STIJDJ BIOGRAFICI NICOLO johell: La musica teatrale, se creder dobbiamo all’erudito Mattei, cominciata a crescere ed a farsi bella fra le mani del Sarti, dello Scarlatti, del Vinci, del Sassone, del Leo, giunse a un bel grado di perfezione sotto il Jomelli, che fu il più celebre maestro che mai vedute avesse fin a’quei tempi l’Europa. Egli studiò i primi elementi della musica 111 patria sotto il canonico Muzzillo. In età di sedici anni passò a Napoli nel Conservatorio de Poveri di Gesù, e di poi nell’altro della Pietà, ove ricevette lezioni da un maestro di oscura fama per nome Proto, poi da Mancini, artista distinto della grande Scuola italiana. Ma non ben pago di questi, poiché ebbe appresa da Feo la composizione, imparò da Leo il grande, il sublime della musica} e ben si scorge dagl’intelligenti, eli’ ei fece grandissimo stùdio sulle carte di questo illustre compositore e che spesso rivesti di miglior colorito gli stessi disegni del suo maestro, il quale, già ricco di bella fama, e superiore all’invidia, nel 4 756, mentre si concertava una cantata del Jomelli in casa di una sua discepola, rapito dal piacere, e quasi fuor di sè stesso: Signora. le disse, non passerà molto che questo giovine sarà lo stupore e V ammirazione di tutta VEuropa. Leo andò più volte a sentir quella musica nel teatro nuovo, predicando che i suoi presagi si sarebbero in breve avverali. Secondo il sig. Fétis, a ventitré anni Jomelli aveva scrittala sua prima Opera intitolata Y Errore amoroso, e giusta una notizia del celebre Piccini intorno alla vita di esso, nutriva egli sì poche speranze sull’esito di quel suo primo saggio, che non volle produrlo se non sotto il nome di un compositore oscuro, un tal Valentino. Se non che il favore ottenuto dal suo spartito infiammò l’entusiasmo del Jomelli, il quale da quel momento si dedicò con ardore alla composizione. L’Odoardo fu scritto da lui in età di ventiquattro anni pel teatro de’ Fiorentini, ecf ottenne applauso clamorosissimo. La fama principiò a spargere il suo nome fuori della patria, e fu chiamato in Roma nel 1740, essendogli protettore il cardinale duca di Yorck. Ivi scrisse il Bicimero,poi YAstianone pel teatro di Argentina col più felice successo. Si trasferì quindi nel 1741 a Bologna ove compose YEzio. Il poeta Saverio Mattei, che lasciò una interessante notizia intorno ad Jomelli, narra un sinolare aneddoto che è da riferirsi all’epoca ella dimora di questo compositore in Bologna, ed è il seguente. Recatosi a far visita,al celebre Martini, già salilo in fama di uno de’più dotti musicanti d’Italia, si presentò a lui senza farsi conoscere, pregandolo di ammetterlo tra suoi scolari. Gli diede il Martini un soggetto di fuga, e nel vederlo cosi eccellentemente eseguito: Chi siete voi, gli disse, che venite a burlarvi di me? Anzi voglio 10 apprender da voi. - Sono Jomelli} sono 11 maestro che deggio scriver V opera in questo teatro; imploro la vostra protezione. Il severo contrappuntista: Gran fortuna pel teatro, rispose, di avere un maestro come voi., filosofo; ma gran disgrazia è la vostra di perdervi nel teatro in mezzo ad una turba di ignoranti corruttori della musica. Jomelli confessava più tardi di aver molto imparalo da quell’insigne maestro, e specialmente V arte <T uscire da qualunque imbarazzo od aridità in cui si fosse ridotto un compositore, e di trovarsi in un nuovo spazioso campo a ripiglial e il cammino, quando si credea che più non ci fosse dove andare. Espressioni sincere, dice il Mattei, che io ho intese più volte da lui medesimo} ed egualmente mi confessava che al Martini mancava il genio e che suppliva coll’arte laddove era povera la natura. Dopo d’aver il Jomelli scritto nuovamente in Roma, ed in Napoli, ove, secondo il Fétis compose YEumene, opera che ebbe un esito meraviglioso, fu chiamato in Venezia. Quivi la sua Merope piacque sì vivamente, che il Consiglio dei Dieci, per conservare un tanto artista, lo elesse a maestro del Conservatorio delle figliuole. Per questo Conservatorio egli scrisse varj pezzi di musica sacra, tra’quali è da notarsi i! Laudate, pueri, a due cori dijqualtro soprani, e quattro contralti} la cui esecuzione, dopo quasi settanta anni ch’è scritto, riempie tuttora di ammirazione e di diletto non meno il volgo che i dotti. È desso un capolavoro di! espressione e di armonia. Nel 4 749, scrisse YArtaserse(’pev l’Argentina in Roma, e YOratorio della Passione pel cardinale d’Yorck. Fu appunto a questo tempo e nella gran capitale del mondo cristiano che un insigne protettore, il cardinale Albani, prese ad ammirare e a premiare efficacemente l’alto suo ingegno. Era allora maestro della cappella di San Pietro in Vaticano il Bencini, ma il cattivo stato di sua salute rese necessaria la nomina di un supplente. Ed ecco il cardinale adoperarsi ad ottenere questo impiego pel Jomelli, il quale lo ebbe in fatto e ne prese possesso il §0 aprile del 4749. 11 Piccini riferisce a questo proposito un aneddoto poco verisimile, ma che pur merita di venir qui riportato. «Per essere nominato maestro di cappella di San Pietro, ei dice, è mestieri subire un esame severo. Egli non si reputò abbastanza valente per tentare la prova, e non fu se non dopo avere studiato sotto il padre Martini che si offrì disposto a subire il concorso il quale però non ebbe luogo». - Evidentemente il Piccini confonde le epoche, poiché ad otto anni prima è da riportarsi il tempo in cui Jomelli vide il padre Martini a Bologna e da lui apprese le tradizioni dello stile da chiesa dell’antica scuola. E d’altronde la musica che si eseguisce nella basilica di San Pietro è in uno stile concertato di genere meno severo che non sia quello che si canta nella Cappella Sistina. Così il signor Fétis, il quale segue a riferire come Jomelli rimanesse a Roma per cinque anni, e non si dimettesse dal suo posto che nel mese di maggio del 4754 per andare a Stutgarda ad occupare la carica di maestro di cappella e compositore della Corte, offertagli dal duca di Wirtemberg. Da queste esattissime date si rileva che il Mattei si ingannò quando fece andare Jomelli a Vienna nel 4749 per iscrivervi l’Achille in Sciro e la Didone e quando dice che si fermò in quella capitale per un anno e mezzo. Il viaggio di Jomelli a Vienna ebbe luogo nel 4745. 11 Mattei afferma in oltre che Jomelli strinse [p. 147 modifica]- 447 — in questa città amicizia col Metastasio, e che spesse volte protestò d’aver imparato maggiormente nelle sue conversazioni col celebre poeta che non in tutti i suoi studii fatti con Feo, Leo e Martini. Quest’asserzione del Maltei, che, come già accennammo, era poeta, non è da tenersi per valida nè deve meravigliarci, dacché si sa che i letterati sono mollo proclivi a dar gran prezzo ai consigli di che sogliono essere prodighi ai compositori. Noi intanto crediamo che Jomelli aveva troppo buon senso per voler paragonare due cose affatto disparate. Feo e Martini gli insegnarono l’arte di scrivere: Metastasio gli avrà suggerite delle eccellenti idee sull espressione e sull’effetto drammatico, il che ha a che far nulla colla scienza. Il Jomelli non mancò di talento poetico ei stesso, ed ebbe in oltre il vantaggio di aver fatto regolari studii. Intorno alla musica da lui apposta alla Didone,ecco in qual modo il gran poeta testé menzionato ne scrisse alla principessa di Belnjonte: Andò in iscena la mia Didone, ornata di una musica, che giustamente ha sorpreso ed incantata la Corte. E piena di grazia, di fondo, di novità, di armonia, e soprattutto di espressione. Tutto parla, sino cC violini e ai; contrabbassi. Io non ho finora in questo genere inteso cosa che ni’ abbia più per- • stiaso. Nel tempo della sua dimora in Vien- j na, Jomelli fu più volte chiamato ad accompagnare al cembalo l’imperatrice Maria Teresa, la quale fece levar via lo sga- j ’ ), e sostituire una se-! di doni, tra’ quali j li.lei guarnito di j grossi brillanti. Il gran Lambertini nel 4750,; vacando il posto di maestro in San Pietro,; volle che l’occupasse il Jomelli, a preferenza di molti cospicui concorrenti sì romani che i esteri. Egli nel solo spazio di tre anni, dopo! i quali rinunciò a quell’onorevole posto, arricchì di moltissime carte la musica di chiesa. Può leggersene il lungo catalogo nell’elogio di lui, scritto dal Maltei, a cui rimandiamo il lettore eziandio pel rimanente delle sue composizioni da teatro e da chiesa, scritte d’allora in poi per le Corti di Slutgarda, di Madrid, di Lisbona, di Torino e di Napoli. Solamente osserveremo col sig. Fétis,che durante Usuo soggiorno a Stutgarda, ove dimorò non meno di 25 anni, una notevole modificazione si osservò nella sua maniera. Assoggettato all’influenza della musica tedesca,ch’egli ivi udiva, diede al suo modulare delle transizioni più frequenti, e ravvigorì il suo strumentale. Questa trasformazione, della quale abbiamo le prove in quasi trenta opere da lui scritte a quel tempo, lo fece salire in faVore presso il principe, la cui orchestra era da lui diretta, e gli procurò non pochi successi in Germania, ma per contrario gli nocque grandemente al suo ritorno in patria. A que’ giorni gli Italiani non erano sensibili che ai nudi vezzi della melodia ch’ei volevano spoglia d’ogni estraneo ornamento: tutto ciò che poteva disturbare la loro attenzione dal prender diletto alla melodia era per essi biasimevole. Le menome modulazioni sgradivano ai mòlli loro orecchi, e il suono degli stranienti consideravano come un disturbo se a malappcna si faceva udire di concorrenza col canto. E d’altronde la lunga assenza di Jomelli gli aveva nociuto in questo che i suoi compatrioti! eransi poco meri che dimenticati di lui, e juando tornò a Napoli gli toccò quasi di rieiificare la sua fama. Se non che già toccava egli allora il cinquantottesimo suo anno; e meno fuoco idee. La sua Armida che, scrisse pel teatro di San Carlo, è certamente, al dire del sig. Fétis, una delle più belle sue opere, fors’ànche è l’opera più completa di quante ne scrivesse prima di quell’epoca: nondimeno non ebbe successo popolare; i soli artisti ne compresero il valore. Il Demofoonte, spartito eccellente, riuscì ancor meno i dell’Armida. Per ultimo la Ifigenia scritta per quel teatro nel 4773, e pessimamente eseguita in sua assenza, diè campo alla malevolenza e all’invidia di scagliarsi contro il suo autore, come già per vecchiezza rimbambito e disutile. Il dispiacere ch’egli ne risenti, malgrado la sua filosofica moderazione, gli cagionò un accidente di apoplessia, da cui non perfettamente riavuto, scrisse il suo Miserere, tradotto in versi italiani dal Mattei, a due voci, col solo accompagnamento di due violini, viola e basso, capolavoro dell’arte, ed immortale come 10 Stabat del Pergolesi, pel quale potea giustamente esclamare l’autore: Exegi monumentimi aere perennius... non omnis moriar. Questa sua composizione sacra fu 11 canto del cigno, cosi d già citalo signor Fétis; perocché appena la ebbe terminata che l’illustre maestro, a ragione chiamato il Glucfc dell Italia, colpito da un secondo insulto apopletico, cessò di vivere il 28 agosto del 4/74. L’44 novembre susseguente si celebrarono a suo onore sontuose esequie dove si eseguì una messa di Requiem a due cori composta dal padre Sabbatini. Fu il Jomelli di ottimi costumi, buon cristiano, buon cittadino, e culto di intelletto in modo non ordinario fra i compositori di musica. In mezzo ai furori dell’invidia non seppe dir mai una parola contro di alcuno: modesto ne’suoi giudizj, superiore alla rivalità, non negò i dovuti elogi ai grandi maestri suoi contemporanei. Egli era alto di statura e corpulento. Il dott. Burney che lo vide ne’ suoi viaggi, dice che singolarmente rassomigliava a Hàndel, ma che molto più di costui era pulito ed amabile. La musica di Jomelli si distingue per uno stile tutto suo proprio, per una immaginazione sempre feconda di nuovi concetti, sempre lirici, e di voli veramente pindarici; egli passa da un tono all’altro in una maniera affatto nuova, inaspettata e dottamente irregolare; se pecca alle volte di troppa arte e difficoltà, la sua difficoltà è del genere di quella di Pindaro. Non tutti sono in grado di comprender Pindaro e molto meno di imitarlo. Pindaro vola per mezzo alle nubi, chi si fiderà di seguirlo? Quindi nacque che il Jomelli ottenesse gli elogi de’ conoscitori e de’ filosofi, e perdesse alle volte quelli del volgo. Per chiudere questa biografia con un’ultima citazione del chiarissimo Fétis, diremo che a ben apprezzare il merito di Jomelli come scrittore drammatico, è mestieri esaminare quali fossero le forme dell’arte prima di lui. Non ha dubbio che nelle partiture di Scarlatti, di Leo, di Pergolesi e di Vinci si ammiravano dei bellissimi pezzi nei quali l’invenzione melodica brillava al più alto segno: ma questi pezzi erano poco sviluppati: poco svariato ne era il disegno, ed anche si può dire che, salve poche eccezioni, era mal inteso nelle situazioni forti; perocché nelle arie a due tempi l’andante o l’adagio del principio si ripigliava alVallegro, lo che è contrario al procedere delle passioni. Jomelli evitò questo errore; ei comprese la necessità di mantenere fino alla fine la gradazione di interesse drammatico, e seppe con raro ingegno soddisfare a questo bisogno dell’arte. Primo tra i compositori italiani, ei diede parimenti al recitativo obbligato l’energia e aggiustatezza d’espressione di che è suscettibile questa bellissima forma musicale. Nella musica da chiesa ei non comprese punto l’arte al modo che la compresero i maestri della scuola di Palestrina; e se vi infuse una espressione troppo viva dei sentimenti mondani fu almeno sempre nobile e sempre puro. La sua messa di Requiem, il suo Miserere, il suo oratorio della Passione saranno sempre considerati quali modelli di bellezze assolute nel loro genere. L. E. AUTOBIOGRAFIA DI CARLO CZERNI. (tradus. verbale dalla Gazz. Mus. di Vienna N. 86). ii Sono nato a Vienna nella Lcopoldstad, il 21 feb«brajo 1791. Mio padre, nativo della Boemia, ernia «madre della Moravia, erano domiciliati fino dal 1786 a a Vienna. Mio padre, a quei tcfnpi valente pianista ii allevalo alle scuole di Mozart e di Clementi, si gua«dagnò la vita come maestro di cembalo. Fino dalla a mia fanciullezza venni destinato cd educalo per la a musica, c si vuole che fin dalla tenera età di tre o ii quattro anni addimostrassi disposizione naturale per a quest’arte. Siccome durante la mia fanciullezza i» migliori pianisti allora in rinomanza Gclinek, Liii powsky, Vanhall cd altri, visitavano i mici genitori a come compatriotti, cosi io avevo occasione ili udire a molta buona musica, c mio padre, all’uopo di fare a di me un sonatore a prima vista, mi procurò tutte ii le composizioni dc’macstri di quel tempo: di Mozart, «di Clementi, di Beethoven, di Bach, ecc., le quali a fin dall’età di dicci anni io suonava con franchezza, a Nel 1801, ossia nel mio decimo unno, fui condotto «da Beethoven, il quale si prese di molta bontà per a niCjJe contribuì ai miei ulteriori progressi tanto col «suo consiglio dato a mio padre, quanto coll’avermi «fatto studiare egli stesso parecchie delle sue conili posizioni. L’affetto ch’ci mi pose, andò crescendo» sino alla più amichevole benevolenza, la quale si a mantenne sino alla sua morte. Scarseggiando i guaii dagni di mio padre, la cui salute col crescere delti l’età si venne non poco affievolendo, cominciai fin «dal 1805, nel mio quattordicesimo anno, a dare leii zioni di pianoforte. Ebbi la fortuna di poter presto a produrre allievi dolati di molto talento, tanto che ii il mio credito ne guadagnava, ed era occupato Finii tcro giorno. Nell’inverno 1809, mi si offrì occa«sionc d’imparare a conoscere Clementi, c ili assiti stere sempre alle lezioni ch’egli qui dava in una a casa. A questa circostanza vo’ debitore dei principj «secondo i quali perfezionai il mio mètodo d’insc«gnamento. Fra i mici numerosi allievi furono: la» Bclvillc (morta sgraziatamente troppo presto), Ostcr, a Liszt, Dòlilcr, e molti altri che più tardi si resero a noti nel mondo. Il mio insegnamento durò per a trent’anni interi (1805-1855), dopo i quali lo alili bandonai, parte per motivi di salute, parte per dediii carmi interamente alla composizione. Mio padre mi a aveva posto in mano di buon’ora le opere tcorcti» che di Marpurg, Kirnbcrgcr, Tiirk, Albrcchtsberii ger, ecc., e le ripassava in mia compagnia. Mi ocii cnpai altresì nella mia gioventù a Stendere in parli lilura le composizioni d’orchestra de’gran maestri, a come le sinfonie cd i quartetti di Mozart, Ilaydn c a Beethoven, il quale esercizio mi fornì molte coli gnizioni per rispetto all’istrumcntalc, cd in gcncii ralc riguardo all’armonia. Fin dal settimo mio anno u incominciava, senza eccitamento altrui, a scrivere [p. 148 modifica]nvcntarc melodie, temi ecc., continuando cosi o durante il tempo che dedicai all’insegnamen’» to; ma non mi reggendo la pazienza di finire un» componimento, durava lungo tempo prima di pubu liliea’rc qualche cosa. ii Fu soltanto nel 1818 (nel mio ventisettesimo» anno) che il signor Diabclli, che a quel tempo ii apri il suo negozio di musica, senza conoscermi» personalmente, mi chiese di comporre per lui qualii che cosa. Gli diedi un Rondò a quattro mani, che «al suo comparire ebbe la fortuna d’interessare in ii. modo non comune. Da quel momento in poi ebbi «frequentemente simili incarichi da tutti gli editori di ii musica; e ben presto me ne vennero bcnanco dalli l’estero,a tal che sino al dì d’oggi (1845) conili parvero in pubblico 754 opere originali di mia u composizione, fra le quali di 10, 20, 50 fino a 60 «fascicoli, senza tener conto delle riduzioni di opere ii‘ d’altri maestri. Un quarto.del totale di queste 754 ii opere spelta allo stile serio, un quarto è approprialo u alla comune esecuzione, il restante, parte è dediti calo al dilettantismo, parte all’istruzione pratica, a Nel 1827 dovetti scrivere una messa, lo clic mi a venne fatto in 15 giorni, e avendo essa incontrato, u ne composi susscgucntcmcnlc undici altre che ora ii tengo manoscritte, (fra le quali otto solenni), inol» tre 90 Offertorj e graduali, due Requiem e due Teli dami. Amavo tanto maggiormente dedicarmi a conili porre musica’ di chiesa, in quanto che era troppo a a lungo obbligato a soddisfare il comune desiderio ii con musica profana. Posseggo pure in manoscritto ii varie sinfonie, ouvertures per orchestra, quartetti per «Violino, cori con accompagnamento d’orchestra, ed a altro per canto. Oltre a che tradussi la grand’opera a francese del signor Rcicha, contenente la dottrina a dell’armonia e della composizione, pubblicatasi presso a Diabclli in 5 voi. in fui. Sono sempre rimasto nella ii mia città patria di Vienna; nel 1856 feci un viag» gio per Lipsia, e un altro di tre mesi di dimora a a Londra e Parigi nel 1857. NOTIZIE MUSICALI DIVERSE I. K. TEATRO ALLA SCALA Mercoledì, giorno 10 corrente, ebbe luogo l’apertura del nostro grande teatro pella stagione autunnale colla Favorita di Donizctti, (Opera, coni’ ò noto, scritta su libretto francese, c destinata al teatro francese) c con un ballo del coreografo Vostri. Complessivamente lo’ spettacolo, ottenne un esito modesto. Noi non daremo un giudizio della musica della Favorita, giucche attendiamo per far questo di udirla eseguita nella sua integrità, vale a dire senza alterazione di parti, c con una più lodevole varietà c ricchezza di colorito. La parte della Favorita, scritta adatt t i 11 ig io i Alboni, deciso contralto, per cui la maggior parte degli effetti musicali ideali da Donizctti andarono perduti. Nella produzione di quest’opera, che nell’originale.partitura reca un’impronta di stile diversa dalla maniera italiana di Donizctti, noi di qualche rilievo che la comparsa d’un tenore nuovo per noi, del sig. Ferretti, clic ha una bella e robusta voce di tenor serio, alla maniera di Donzelli, e della quale seppe nelle prime recito valersi non senza effetto. Veniamo assicurati da persone dotate di molto gusto c intelligenza, che, qualunque ne fosse il motivo, la musica della Favorita, qual si udì le prime sere alla Scala, sembrava assolutamente diversa da quella che cccheggiava nei teatri di Parigi cd in quello di Lisbona, ove ottenne un successo di fanatismo. Anche il ballo il Jìaja e le Bajadere fu accolto freddamente. malgrado gli sforzi dei due valentissimi artisti la Muratori c il Catte. C. L. TEATRO RE La Dama e lo Zoccolajo del maestro Fioravanti fu rappresentata giovedì sera, e venerdì si tornò alla Figlia del Reggimento. Le lungaggini della musica clic non ha un grande carattere di novità, quelle del libretto, che è d’un genere buffo lutl’affallo napoletano e volgare, furono forse le cause principali della tranquillila lasciata nel pubblico dall’esecuzione di questo spartito. Non ò clic manchino alcune melodie ideate e svolte felicemente, non e clic in alcuni pezzi, come principalmente nell’introduzione e nel secondo finale, non vi sia una certa festività d’ispirazione, ma in complesso vi sono troppi dilavamenti, delle tiritere languidamente prolisse, dei brani in cui l’arte ha ceduto luogo interamente al mestiere. La signora Zoja, che continua ad eccitare l’entusiasmo degli abituali a questo teatro, nè ebbe campo di sfoggiare i tesori della sua azione, nè potò trovare una parte clic musicalmente le fosse molto adattata. Nel rondò per altro gli applausi scoppiarono assai numerosi per essa, e furono seguiti da due chiamate. 11 buffo Soares fu assai festeggiato, e gli altri cercarono di sostenere con sufficiente impegno un’opera, che non sembrò eccitare gran fatto le simpatie degli spettatori. Col giorno 25 avranno fine le rappresentazioni dell’attuale compagnia del Re, che chiamò, sempre a quel teatro un numeroso concorso. Noi probabilmente ci permetteremo di ridire qualche parola sul suo conto in un prossimo numero. — Vienna. Il 10 agosto un numeroso pubblico accorse all’l. R. teatro Kòrncrllior per riudire le Nozze di Figaro di Mozart, applaudendo liètamente questa vecchia opera buffa, composta or sono 66 anni per il medesimo teatro. Quale sorte mai avranno da qui a un mezzo secolo le opere clic attualmente fioriscono tanto i e di quante se ne ricorderanno ancora i nomi?...Ma di Mozart si può asserire arditamente, che le sue opere in musica rallegreranno ancora i nostri pronipoti. L’esecuzione delle Nozze di Figaro fu nel totale eccèllente. — Al teatro Joseplislàdt fu data per prima opera lo Czar e il Falegname di LOrzing, giudicata nella Germania fra le moderne unica nel genere buttò. La folla degli uditori accolse tale produzione assai favorevolmente. (Gazz. teatr.e Mus. di Vienna) — L’Ultima parte del Comico, commedia tedesca in 3 atti, con musica de’ maestri Donizetti, Fanseron, Hcrold e Mùllcr, data qui per la prima volta sul teatro della IFien il 7 corrente agosto, ebbe grande incontro, massime per la maestria con cui il signor Cari, il quale non abbandona quasi mai la scena, eseguì la parte del protagonista. — Londra. Si è formata in questa capitale una Società J/tindel, composta di circa 1000 membri, ognuno de’quali paga una ghinea, onde fare stampare una nuova edizione di tutte le composizioni di Iliindel, clic ormai contano un secolo. Si desidera di mettere a capo di questa impresa il maestro Mcndelssolin, occupato già anteriormente a. pubblicare tutte le musiche di qucll’illustre maestro. — Diiksda. Mommi ebbe pure grande applauso nella Linda di Chamounix, data qui per la prima volta lo scorso 21 luglio. (Gazz. lealr. di Vienna) quinto e sesto all’unione di SciafTusa e al circolo supc- f riore del lago di Zurigo, riva sinistra; altri doni, con- s sistenti in componimenti musicali, poesie, ecc., ebbero I le altre unioni. La Festa de’ cantanti dell’anno venturo; avra luogo a ScialTusa. (Ivi) i — Meyerbeer fu nominato membro della Regia Ac- ’ endemia di Musica di Londra, e n’ebbe il relativo db ploma. [Ivi) — Hkhi.ino 7 agosto- - Meyerbeer e Mendelssohn non sogliono mai esser qui uniti in attività. Arrivato qui quest’ultimo da Lipsia, il primo parte dimani ai bagni, da dove si repherà a Parigi. (Gazi. Univ.) MOIE PUBBLICAMI MUSICALI iiell’i. r. stabilimento nazionale privileg.” di GIOVAMI RICORDI DI PASSE imiM.ASTC Iter il Pianoforte Estratti ’dalle Oliere dei celebri Pianisti antichi e moderni, raccolti, digitati e classiiicati per ordine cronologico da «mmì qbwbqi Diviso in 4 fascicoli a Fr. 4 ciascuno In un solo volume Fr. 12. 44897-14900. a ^f. WOGTTXRHE Itone Piano et Violon TH. DO II LEU 44944 Op. 46 N. 1. Fr. 4 75 Soiwmit c)e ’tXCa.yùé mmitm jtour Piano et Violon va. 14945 Op. 46 K. 2. Fr. 6 — BEVUE THÉÂTRALE COEEECTIOJV périodique de Fantaisies élégantes SUR LES MOTIFS LES PLUS FAVORIS DES NOUVEAUX OPÉRAS lutta- tleuæ Elûtes Sa Op. 15. 44756 N. 481.e Fantaisie. Linda di Chamounix.Vr. 5 50 14757 19 II.l’id. id, n 5 50 44758 ii20I.c id. Nabucodonosor.. n 5 50 44759 n 21 11 e id. id’.. n 5 50 GIOVAVA! RICORDI EDITORE— PROPRIETARIO. AB. fi unisce a cinesio foglio il K. 7 dell’ANTOLOGIA CLASSICA MUSICALE Dall’I. R. Stabilimento Razionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia musicale di GIOVANNI RICORDI Contrada degli Omettimi N. 4720. - L’acustico Kaufmann di Dresda eccitò entusiasmo coi suoi islromeuti a Jlrcma c Amburgo. Egli ne ha cinque: la Tromba-Automatica, il Corduulodico,Salpitiyio, Sin fottio e Armonicordo. La tromba-automatica (in mi bemolle), eseguisce i passi più difficili; il Cordaulodicoèun composto di flauti con una tastiera; il Salpingio, composto di nove trombe e due timpani, eseguisce principalmente YAlleluja di Handcl a meraviglia, e con vera maestà; il Sinfonio si avvicina al Cordaulodio, con nauti più gagliardi; entrambijicrò si distinguono per stronien tf del6 Kaufmann CèCE Armonicordo, Tqualenon vicn messo in moto, come gli altri simili, da un giuoco a guisa d’orologio, ma viene eseguilo colle mani dello stesso maestro, c produce una vera musica celestiale, c nel medio i suoni dell’Arpa d’Eolo. (Gazz. Bfus. Univ.) circa 2(J Unioni di canto convenute a gara, ammontanti nel totale a presso Suuo artisti, dai Cantoni della Svizzera tedesca. Nel primo giorno 16 Unioni eseguirono a gara de canti PrSSMBSKES&BEf&S! in chiesa. Nel secondo giorno ebbe luogo la festa gene- 1 rate, in cui si procedette alla distribuzione de’ premj: il primo toccò al coro «li cantanti del lago di Zurigo, riva! destra, il secondo all’Unione della Valle Limma, il terzo e quarto ai cantanti del lago di Zurigo riva siuistra. il i