Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 49

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N. 49 - 8 dicembre 1872

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[p. 399 modifica]/M H LA N O AI presente numero è unito il N. 23 della Rivista Minima. I PROMESSI SPOSI del maestro Ponchielli AL TEATRO DAL VERME A quest’ora la notizia- fu sparsa dalle cento trombe della... pubblicità: i Promessi Sposi del maestro Ponchielli ebbero al teatro Dal Verme uno di quei trionfi legittimi ed autorevoli che si vanno facendo rarissimi. I nostri teatri secondari hanno alla mano varie paia di trionfi; ei è il trionfo d’amicizia, il trionfo di benevolenza e d’incoraggiamento oltre a molti altri trionfi più o meno autentici che si vedono qualche volta sulla mensa prima che incomincino le portate e che dopo le frutta vengono rimessi in dispensa perchè vi aspettino un’altra imbandigione. Sono trionfi usati che si danno a nolo; il solo che manchi alla raccolta è il trionfo spontaneo, che scatta improvviso e si traduce e si riassume in un gigantesco punto d’ammirazione! Questo trionfo è toccato al Ponchielli. Dico espressamente al Ponchielli e non ai Promessi Sposi, perchè non vi ha dubbio di sorta che più fu ammirato il babbo della sua creatura; la qual cosa è infinitamente più lusinghiera per un compositore che ha una larga e lunga strada maestra di anni da percorrere. Io ei metto col pensiero una ventina di tappe tutte splendide come questa, e più di questa, ed auguro prima a me di vederle (è un egoismo, ma sono fatto così) e poi all’arte italiana di non averci messo nulla del mio. Ma dico insieme che le chiamate (chi le ha contate? 40 o 50 in tutto) ad ogni pezzo, e le interruzioni e le grida di bravo, quasi senza distinguere tra il moltissimo veramente splendido, ed il mediocre, sono esagerazioni di entusiasmo. Collo scrivere esagerazioni, non pongo in dubbio la buona fede del pubblico. So» che l’entusiasmo può essere eccessivo senza cessar di essere sincero. Ci ha febbre e febbre e l’entusiasmo è di quelle febbri che danno il delirio. Pensando a niente riposata al magnifico successo dell’altra sera io me lo rimpicciolisco per non essere alla mia volta ingannato dalle sue proporzioni, e dire schiettamente la mia opinione sulla nuova opera. Nuova veramente non è un’opera che conta sedici anni di vita, ma nuova era per noi e nuova la rendevano alcune parti aggiunte o rifatte o ringiovanite dall’autore. E questo è* il difetto principale, anzi il solo e dipende dalle sorti bizzarre che toccarono in sedici anni allo spartito del Ponchielli. Però l’abilità della rimondatura non accontenta in tutto che i miopi; quei che ei vedon bene scoprono subito l’inganno; il belletto non fa bellissime le rughe, checché ne pensino in contrario le signore imbellettate. Questi Promessi Sposi appajono pieni di vita in tutte le membra che il maestro ha loro appiccicato di recente o in quelle che sedici anni sono era riuscito a fare eterne, ma in altre sembran quasi flosci e cascanti. Immaginate un bellissimo torace con entro un pajo di polmoni di prima qualità, e un cuore tanto fatto, e braccia nodose come quelle della quercia ed un collo da toro, e tutto ciò posto sopra due gambe esili che si piegano maledicendo il peso di ciò che sta sopra — ed avrete questi Promessi Sposi come li vedo nella mia fantasia. Quasi tutto il primo atto e molti luoghi del secondo sono antiquati di forme, e se ne stanno come oppressi dal formidabile confronto delle straordinarie bellezze che vengono o prima o dopo. Una di queste è la sinfonia che fu fatta ripetere ed è veramente tutta bella dalla prima all’ultima nota. Nel primo atto un coro interno a voci sole è assai ben trattato, con effetto, con arte, ma invece di essere un coro di contadini per nozze, potrebbe essere un coro di avventurieri, o di bevitori, o meglio di tutto un coro a voci sole fatto per mostrare l’abilità d’una qualunque società orfeonica di questo mondo. In quest’atto è pure un duettino tra Lucia e Renzo, ma il Ponchielli non ne trasse gran partito; il duetto finale tra Don Rodrigo e Padre Cristoforo mi parve freddo ed impotente nella ricerca di effetti di maniera. Scommetto che quest’atto è tutto di sedici anni sono, toltane la sinfonia. Nel secondo atto le cose poco caratteristiche sono ancora in maggioranza, ma s’incontrano due pezzi che bastano a farci intravedere l’autore della sinfonia, il quale quindi innanzi avrà bensì a lottare coi luoghi [p. 400 modifica]402 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO comuni, ma come un gigante lotta con un pigmeo che gli si attacca alle gambe, rimanendosi incrollabile nella sua grandezza. I due pezzi bellissimi sono un duetto fra Renzo e Lucia, di cui l’esecuzione tradì in parte l’effetto, ma che parve a me ed a tutti ispirato, affettuoso. originale e gentilissimo, ed un pezzo concertato di forme veramente grandiose; T orchestra si sposa colle voci in maniera da fare un tutto d’effetto irresistibile; il pubblico ne chiese la replica che fu consentita. Nel terzo atto è la pagina più grandiosa dello spartito: uno stupendo duetto tra Lucia e la Signora di Monza, nel giardino del convento, con coro religioso interno e coro dei bravi che stanno dietro i cancelli. Qui appare l’ingegno veramente straordinario del maestro Ponchielli, il quale mostra una valentia che è di pochissimi nel trattare le parti d’un pezzo concertato. Egli ha il raro privilegio di non trovarsi mai imbarazzato per l’abbondanza; più gli date materiali e più grandioso vi fa T edifìzio; nell’architettura musicale (mi si permetta la frase) non so se fra i giovani maestri vi sian molti che lo eguaglino, certo nessuno che lo superi. Questo pezzo è stupendo e d’un effetto immediato, e anche di questo il pubblico ghiotto ne volle due volte. Subito dopo è un lungo preludio per violino solo; il violinista a cui era affidata l’esecuzione ei fè provare tutte le torture che può dare un violino, ed io, ingenuo, non credeva che fossero tante. Se di quel migliaio di note ne diede quattro in tono giusto fu un miracolo; evidentemente il violino era scordato, ma le colpe dei violini, si sa, le scontano i violinisti. La scena fra Nibbio e Lucia che succede al preludio è poco caratteristica; la preghiera disperata di Lucia non ha nulla del disperato e pochissimo della preghiera; è quasi allegra. Bello di fattura è anche il finale di quest’atto. Nel quarto è abbastanza grazioso, sebbene non originalissimo, il brindisi di Don Rodrigo; di tetra efficacia la scena di Rodrigo colto dalla peste; l’effetto qui è ottenuto con molta semplicità di mezzi, e l’insistente, uguale e monotono ripetersi di due o tre note in orchestra, dà un’impronta sinistra singolarissima. Succede un altro preludio, e questo è così bene eseguito ed è proprio così bello, cosi bello, che il pubblico vuole udirlo ancora. La musica dice la desolazione della peste, lo sbigottimento dei sopravvissuti, la mesta rassegnazione di tante madri che han perduto i figli e i gemiti di tanti figli che non han più madre; dice tutto questo quella musica, assai meglio che non saprei ripeterlo io. Il coro che succede è bello; bella è anche la preghiera e la romanza del tenore, e tutto è bello fino al terzetto finale in cui è una parte a voci sole bellissima, e l’opera termina degna delle molte bellezze che contiene. Sommando i pregi ed i difetti di questo spartito (che mi pare destinato a bella fortuna) si trova che i primi non solo sono in maggior numero, ina di tal natura da far giustamente guardare con orgogliosa soddisfazione all’avvenire del suo autore. Nell’interpretazione fu ottima, assolutamente ottima, la signora Teresina Brambilla, giovine artista che canta con una voce soavissima, con buon metodo e che sa stare davvero nei panni che indossa. L’abbiamo applaudita come Regina, come Zeriina, ed ora e più l’applaudiamo come Lucia. Benissimo il basso Junca, un artistone, un Padre Cristoforo nato colla tonaca e col crocifisso; bene anche la signora Barlani-Dini nella piccola parte di Signora di Monza. Il baritono Brogi sta magnificamente in iscena, canta con garbo d’artista ed ha voce non molto voluminosa, ma simpatica; ebbe però qualche momento di debolezza, pagato ad usura, diciamolo subito, dalla valentia dimostrata nei punti drammatici. Il tenore Fabbri canta bene quando canta, ma molte volte invece di cantare starnuta; nei primi atti, o fosse timore o fosse indisposizione, il timbro nasale della sua voce era fatto più ingrato; ma nel quarto, alla romanza, riuscì a farsi applaudire dal pubblico, certo non troppo benevolo per lui. L’orchestra nell’insieme benissimo ed i cori anche. S. FARINA. Riportiamo i giudizii della stampa intorno all’esito del capolavoro di Verdi. Dal Roma: Scriviamo con l’animo commosso per una musica sorprendente. Non è il Verdi del Nabucco, non è quello del Ri goletto: è l’autore del Ballo in Maschera. Ei si determina, e, diremo, si compie nel Don Carlo. Notevolissimo è lo svolgimento artistico avvenuto nell’animo d’un uomo oggiinai in Italia solo rappresentante d’una scuola, onde la tedesca e la francese derivarono come robusti rami da quercia gigantesca e secolare. Verdi non ha riscontro che in Rossini. Unicamente a questi due era serbato di percorrere tre stadii nell’arte: ed entrambi rimarranno glorie solitarie e distinte fra i loro contemporanei. Eccoli, i due soli intorno a cui s’aggirarono e s’aggirano le minori stelle! - Quei che tennero dietro al grande di Pesaro nella nuova e splendida via che si aperse, Donizetti, Mercadante, Pacini ed altri del bel numero, dopo le prime imitazioni, assunsero tutti un carattere proprio e spiccato, una personalità, uno stile. Non accenniamo al Bellini; perchè costui non segui Torme di nessuno: era lo spirito di Pergolese che agitavasi in lui. era Paiesello della Nina pazza per amore che gl’inspirò la Sonnambula. Egli fu il poeta del dolore, diede l’elegia musicale e divenne insuperabile. Ma il Rossini non tardò guari a mettere in scompiglio i suoi seguaci. Ei da principio lasciavasi intravedere, a poco a poco superando gli antichi; poi ruppe l’argine ed affermò la potenza originale della sua fantasia; col Guglielmo Teli finalmente superò sè medesimo, vide l’arte al di fuori, fece il dramma. E così Verdi. Ei tenne a modello il Donizetti, che compose la Favorita,à. Lucrezia, il Don Sebastiano e che non descrisse tutta l’orbita sua. L’imitò Verdi: ma ben presto libero campo concedeva al suo largo imaginare, alla ispirazione profonda, e sarem per dire riflessa. Nè fu pago: ebbe miglior coscienza di sè, de’suoi tempi. L’intelletto infrenò la fantasia. 11 maestro di Busseto, come quel di Pesaro, la diresse ad interpretare e ad esprimere il fuori di sè. Invece di dar lo specchio dell’anima sua, volle dar quello del mondo; e compose il Don Carlo. Opera titanica è questa; v’è storia da tratteggiare, vi son caratteri da dipingere, passioni da rendere, contrasti da fare intendere, uomini p popolo da far movere e vivere in un dato ambiente, in date circostanze di tempo e di luogo. Vi è riuscito Giuseppe Verdi? Affrettiamoci a dire che sì. Quivi tutto è vivente, tutto palpita, tutto ricerca le più intime latebre della mente e del cuore. 1er sera ne parve d’udir la prima volta la stupenda creazione d’unitaliano che vinse lo Schiller come la musica vince la poesia. Il tedesco fece un poema drammatico, il Verdi un poema musicale. Il pubblico entusiasta, entusiasta in tutta la forza della parola, chiamò ventisei volte al proscenio l’illustre maestro. Tre volte volle udire ripetere il celebre crescendo dell’orchestra nell’atto terzo, quando Carlo e Rodrigo si allontanano nella scambievole fiducia d’un’amicizia senza pari. [p. 401 modifica]GAZZETTA MUSI Non ei si venga a parlare dei Don Carlo stranamente eseguito due anni or sono. Le c se mutarono d’aspetto: il Verdi può andar superbo anche della sua abilissima direzione. È stato ier sera un grande e meritato trionfo per lui. Oh perchè lo spazio non ei permette d’analizzare le innumerevoli bellezze d’un lavoro cosi immenso! E tutti concorsero per la lieta riuscita, e se non tutti raggiunsero la nobile meta, si deve alla trepidazione, ond’erano invasi artisti e professori, dal primo all’ultimo. Imperocché ier sera trattavasi d’un avvenimento musicale, d’un i festa per l’arte. Loderemo a preferenza l’orchestra, la Waldmann, (principessa d’Eboli), anche la St Itz (Elisabetta), il Patierno che ha voce di tenore degna d’un massimo teatro, il baritono Collini, il basso Cesarò, l’altro basso Miller i cori. Troviamo commend-vole lo scenario, le ricche vesti, e quanto mai servì, a rendere senza risparmio di spese, imponente e solenne la rappresentazione d’una musica che mostra al Wagner come qui tra noi il suo avvenire, le sue intenzioni, vennero già tradotte egregiamente ne’ fatti, non disprezzando però la logica ed il senso comune. Dopo lo spettacolo del Don Carlo, stanotte l’orchestra del nostro massimo ha voluto dare una serenata all’illustre Verdi, e si è recata ad eseguirla sotto i balconi di lui aW Hotel Crocelle. Ed il Pungolo scrive: Grandissima era l’aspettativa pel grandioso spartito del Don Carlo, studiato e posto in iscena sotto la immediata direzione dell’illustre suo compositore: nè quest’aspettativa rimase delusa, in molta parte almeno. Diversi pezzi infatti, massime i duetti soprano e tenore, nonché il terzetto dell’atto terzo, parvero cose assolutamente nuove, onde destarono un vero entusiasmo. Il maestro venne invitato al proscenio venticinque volte, con ovazioni indescrivibili; la bellissima canzone della Duchessa d’Eboli si volle ripetuta, e replicata tre volte quelle ormai famose battute di sola istrumentazione che all’atto terzo succedono al ballo. E nel Piccolo si legge: «Don Carlo, calunniato due anni fa, ebbe iersera piena rivendicazione; ed apparve quello che e; e fu applaudito con entusiasmo; e fece chiamare Verdi innumerevoli volte all’onore del proscenio. E non erano tutti venuti per ammirare. Più d’uno era entrato in teatro, scontento di dover subire questo Don Carlo che due anni fa gli avea dato noia, indispettito del sapere messa in rivoluzione la tradizionale» prima orchestra del mondo»>, disposto a non ismentire il primo giudizio del pubblico napoletano. Ma, levata la tela, dalla nuova precisione dell’orchestra — che non suonò mai così egregiamente, e che fu pari alla sua fama non nelle sole otto battute, come due anni fa, ma in tutto lo spartito — gustò quella studiata e cara melopea che rende pregevole il Don Carlo, e vide che il sentimento nuovo vinceva il vecchio, ed applaudì, applaudì freneticamente, e diede nuova conferma alla fama di buon gusto musicale che hanno i napoletani in Europa. La Stolz si mostrò superiore alla sua fama. Ella è artista, artista davvero che nulla lascia a desiderare. Udiamo la Gazzella di Napoli: Il successo del Don Carlo al nostro massimo è stato, a giudizio di quanti ebbero la fortuna di poterlo udire la prima sera, pieno, splendido, maggiore di quello che si potesse aspettare. I giudizii sui particolari dell’esecuzione e sul merito degli artisti che vi ebbero parte, non sono concordi, ma tutti convengono in questo: che il pubblico napoletano è giunto ora a gustare quest’opera che la pessima esecuzione di due anni sono aveva reso appena intelligibile agli esperti in cose musicali. La eccellenza degli artisti in generale, la perfezione dell’orchestra accresciuta, il miglioramento dei cori, il numero grande delle masse, la splendidezza e la verità dello scenario e del vestiario in tutti i più minuti particolari, concorron a fare del Don Carlo uno spettacolo che, abbiamo udito dire a certi signori francesi, supera di molto nel paragone quello dell’Opéra di Parigi, dove pure quello spartito fu preparato con molta diligenza e messo in iscena con grande ricchezza. L’illustre maestro Verdi, al quale Napoli deve che il nostro maggior; teatro si veda quest’anno restituito ai più bei giorni della sua grandezza, dopo essere stato entusiasticamente festeggiato a S. Carlo, ebbe, finita l’opera, all’Hotel Crocelle dove abita, una non meno bella dimostrazione. Lo stesso giornale dà i seguenti particolari su tale dimostrazione: La banda che suona nel Don Carlo, uscì dopo il terzo atto di teatro, e si recò ad aspettare Verdi alla Crocelle. Intanto lungo la via da S. Carlo al Chiatamone s’erano appostati uomini con lumi di bengala che doveano servir di segnale. Difatti verso la mezza, alla svolta del Gigante, fu àcceso il primo: era l’annunzio che il maestro era montato in carrozza per tornare a casa. Immediatamente l’avviso fu trasmesso su tutta la linea. La carrozza, che recava il maestro, giunta a Santa Lucia, fu rischiarata da 60 torce a vento e salutata dalla folla che le si accalcava intorno. Come il maestro fu giunto all’albergo, e scese di carrozza, la banda intuonò VOmaggio composto dal Savoia su motivi delle più belle opere di Verdi. La via si illuminò istantaneamente di bengala a varii colori, la gente s^affollava spingendosi presso la carrozza e gridando viva Verdi, tutti i passeggieri delle Crocelle erano usciti su per le scale a salutarlo e a congratularsi. CALE DI MILANO 403 In questo singolare accordo della stampa stona solo l’Unità Nazionale. Ecco quello che dice: Diciamolo subito: l’opera ebbe un gran successo... di stima. In tre punti solo il plauso fu unanime, ed anzi le falangi romane (come dice il nostro appendicista) restarono in seconda linea, cioè a dire nella Canzone del Velo che fu fatta ripetere; nel terzetto dell’Atto III con le celebri otto battute, che si vollero replicate tre volte, e nell’aria della Waldmann all’atto quarto. Nei suddetti pezzi, complessivamente, il Verdi fu chiamato al proscenio 11 volte, ed in tutta l’opera 24 volte, la maggior parte delle quali con plausi parziali, e talvolta contrastati. E vero che più sotto parlando dell’esecuzione, quel giornale dice della Stolz che pecca nell’intonazione e che non ha fusione dei registri della voce!!!! Che orecchie, cieli misericordiosi, che orecchie! E Tl Roma così parla della seconda rappresentazione: «La seconda rappresentazione del Don Carlo, ebbe ier sera esito più felice ancora della prima sera. — Gli artisti tutti, smessa la titubanza di una prima rappresentazione, interpretarono con più sicurezza il capolavoro del Verdi, il quale venue chiamato al proscenio, fra gli applausi entusiastici, circa trenta volte. — Il teatro era affollato e vi si notavano molti maestri di musica e dilettanti». Nostre particolari notizie ei informano poi che alla terza rappresentazione l’esito fu pari se non superiore alle due prime, e che l’opera è sempre meglio gustata. Rivista Milanese Sabato, "l dicembre. Oltre i Promessi Sposi al Dal Verme, non ei fu veramente altro di nuovo. Con quest’opera quel teatro, nato sotto cattiva luna, ripiglia vigore per giungere alla fine della stagione; e poi?.. E poi, è da molti e da molto tempo che si ripete, quel teatro ha bisogno di subire una metamorfosi, di addormentarsi verme e di rinascere farfalla, come ha detto il mio confratello del Trovatore. Perchè non ribattezzarsi Politeama? È un pregiudizio, ma per quanto illustre sia il gentiluomo che porta il nome di quel teatro, vi è chi si ostina a non trovarlo di buon gusto. E poi un nuovo teatro non ha un albero genealogico dalla sua, nè le tradizioni degli avi, nè le illustrazioni dei nipoti. Non si dice più: «andiamo al teatro dal Verme,» ma: «andiamo al Verme» e si ride. Certo durante il riposo si farà un consulto a prò’ dell’ammalato; ora si raccomanda alle meditazioni dei consulenti, più di tutto e innanzi tutto, un vermifugo. Con migliori auspici è nato il Teatro della Commedia — il quale si inaugurò l’altro di e fu trovato un magnifico teatro, elegante, ricco, splendidamente illuminato. Tanti han parlato dell’atrio e del peristilio, e del palchettone, e delle tribune, che a me manca il coraggio di fare un’altra descrizione, inutile certo ai lontani, fastidiosa più che inutile a chi ha letto o può leggere la più bella ed esatta descrizione, quella che fanno gli occhi proprii. E poi Aristofane Larva, a cui voglio un gran bene, mi ha detto che farà quattro chiacchiere lui nella Rivista Minima. Tanto peggio per i suoi lettori. I miei non sapranno altro se non che Bellotti-Bon ha pronunziato un magro discorso per dire... che il vecchio teatro Re era oscuro, e che il nuovo teatro luminoso mi pare minacci di essere retto con modi e forme di governo molto aristocratiche e con formalismi nuovi. Ah! signor Belletti, quanta luce bisogna che mandino le fiamme del nuovo teatro prima che possano ecclissare le tenebre di quello che non è più! [p. 402 modifica]404 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Alla Scala è alle prove il nuovo ballo del Pallerini - I selle peccali mortali. Al teatro Santa Radegonda recita la compagnia Capella. Al Carcano in una delle passate sere ebbe luogo la beneficiata della signora Mayer; negli intervalli degli atti fu molto applaudito come flautista il maestro Canepa, l’autore del Davide Ri z zio. L’altro di ebbe luogo la beneficiata del baritono Viganotti. L’egregio artista vi colse gran plauso. Accenniamo alla pubblica gratitudine il suo generoso pensiero di cedere la propria quota dell’introito a benefìcio dei danneggiati dell’innondazione. Parlando d’inondazioni mi viene in mente che il Teatro Milanese annunzia una prossima rivista umoristica del 1872 col titolo V Annada in umid. S. F. ALLA RINFUSA Leggiamo nel Boccherini: Il maestro Autori ha ricevuto commissione dalla celebre Galletti di scrivere una nuova opera seria, che essa s’impegna di far rappresentare. Fra le impressioni di viaggio del signor Paulus raccolte da Oscar Comettant e-pubblicate nell’Art Musical di Parigi.troviamo la seguente: «Di tutti i professori d’orchestra il timbaliere è il più serio e quegli che diventa calvo più presto. Niente invecchia tanto l’uomo come il passare le sue ore a misurare in silenzio il tempo». Dicesi che all’Esposizione universale di Vienna verrà eseguita un’opera! turca, il cui argomento e tolto dalle storie nazionali. Il compositore si nomina Dirian Bey. Nella musica saranno intercalate melodie armene. II comitató per l’erezione di un monumento a Beethoven a Vienna si è definitivamente costituito, ed invitò Liszt a comporre una cantata pel concerto solenne da darsi a beneficio del fondo pel monumento, che verrà eretto sulla gran piazza davanti al Ginnasio Accademico. Press’a poco nell’ora in cui Francesco Lucca usciva improvvisamente di vita, il Consiglio Accademico del Conservatorio di Milano lo nominava per acclamazione Socio On< vario, e decretava una prossima Accademia in cui venisse inaugurato il nuovo pianoforte donato dal defunto all’istituto e pervenuto appunto pochi giorni innanzi.

  • Maria di Grand è il titolo dell’opera messa in musica dal maestro Tito

Mattei che verrà rappresentata al teatro Italiano di Parigi. L’Impresa ne aveva fatto acquisto contando sulla popolarità e sul credito del giovine maestro già levato in fama di originale e correttissimo compositore di fantasie, pezzi strumentali, melodie, ecc Quando poi a Parigi se ne’ diè lettura in intima riunione dei migliori artisti e maastri colà residenti, si fecero le meraviglie per le bellezze che l’opera contiene. Fantasia, affetto, vena melodica, colore locale e storico, nulla par che manchi al lavoro del giovine maestro che per la prima volta si prova in siffatto arduo genere di musica. — Il dramma lirico è del valente poeta Cimino.

  • L’elegante teatro di Bondeno, che venne inaugurato pochi mesi or sono,

patì gravi guasti, essendovi per lo straripamento del Po penetrata T acqua sino all’altezza dei palchi di seconda fila!

  • Il coreografo Giovanni Pulini ha in pronto i seguenti grandi balli: Psichima

in 6 quadri, Sublime e materia, azione mimo-danzante in 9 quadri, Mohamed Aben Al limar o Illusioni dell’Alhambra, in 8 quadri. ¥ In questi ultimi giorni il Guglielmo Tell f i rappresentato a Bruxelles, a Besançon, e a Namur; il Barbiere a Nantes, a Bajona e a Louvain; la Figlia del reggimento a Mons; la Traviata a Lille; il Trovatore e la Favorita a Nimes e la Lucia a Bajona. — In Germania poi fu dato: il Trovatore, in tedesco, a Breslavia, e la Lucia in Aimover.

  • Il cadavere dell’illustre Thalberg, affidato al prof. Efisio Marini per!

l’imbalsamazione, fu consegnato alla signora Lablache vedova Thalberg. Il cadavere è meravigliosamente conservato; nulla della mummia, moltissimo dell’uomo vivo. Sono conservati i tessuti; non distrutta la flessibilità delle membra; vive, si può dire, le mani; lapidea la faccia sì che si riconosce Thalberg al primo vederlo; coriaceo il resto del corpo. Il giornale da cui togliamo questa notizia, aggiunge che il corpo ha un colore,» che somiglia a quello della carne di pollo dopo un par d’ore ucciso. «Non si poteva trovare un paragone meno fedele? > A Pietroburgo è scoppiata la guerra... fra i Pattisti ed i Nillsonnisti. L’imperatore, si dice, è nillsonnista, la città pattista. e la stampa si divide in due campi incruenti. Così, mentre le Journal de Saint Pétersbourg canta i meriti della bella e celebre svedese, il Golos le mostra i denti fingendo di sorriderle. Leone Van Gheluwe, direttore del Conservatorio di Bruges, prepara una raccolta dei migliori lieder tedeschi allo scopo di arricchire il repertorio vocale popolare. Il nuovo teatro di Copenaghen, di cui il re pose nel mese passato la prima pietra, costerà mezzo milione di risdalleri, che verranno pagati dal governo e dal Comune, oltre 60,000 risdalleri, raccolti per via di sottoscrizioni private. L’edifìzio non sarà pronto che nel mese di settembre 1874. Bizzarra condizione del teatro Reale (che deve essere appunto sostituito dal nuovo) e che è posto sotto la protezione del Re, e che i cantanti sono considerati come funzionari! dello Stato. Lo stesso è a Stocolma degli artisti del teatro Nazionale.

  • In Ungheria invece la parola Komediaze è termine spregevole. Gli Un- i

gheresi hanno a Pesth un teatro Nazionale in cui vengono di preferenza eseguite le opere del compositore Erkel; gli altri teatri sono di solito occupati da compagnie ambulanti.

  • II signor Gevaert, direttore del Conservatorio di Bruxelles, s’è posto

d’accordo con Ambrogio Thomas, allo scopo di fare una pubblicazione-modello degli oratorii e cantate di Haendel, che serva ai Conservatorii della Francia e del Belgio. Sarà pubblicata per la prima una cantata scritta per un ospizio di trovatelli. ¥ Gran successo Y Ombra di Flotow al Gran Teatro di Gand. La Società d’emulazione di Liegi ha formato un circolo corale di signore, che si riunì sotto la direzione della presidentessa, la signora d’Andrimont-de-Mélotte. L’esperienza prova ogni giorno che intonare le signore e farle andare d’accordo è sommamente difficile, pure la società d’emulazione non dispera di riuscire. Bruxelles, Gand, Anversa, Verviers ed altre città hanno già buoni cori femminili, e Liegi non vuol rimanersi indietro.

  • In un concerto dato a Parigi dalla pianista polacca Olga Janina, allieva

di Liszt, si notò un notturno di Chopin, con aggiunte (!) fatte da Liszt per la sua allieva.

  • A Magdeburgo si costruisce un nuovo teatro.
  • Anche a Dusseldorf verrà eretto un nuovo teatro.
  • L’antico Teatro di Porta Carinzia a Vienna viene ora demolito.
  • Il nuovo Residenztheater a Vienna si aprì di questi giorni con Nathan

der ~Weise di Lessing ed un prologo di Anzengruber.

  • In Augusta si raccolgono i fondi necessarii per la costruzione di un

nuovo teatro.

  • Il Comitato viennese per l’erezione d’un monumento a Beethoven si

radunò il 20 novembre e determinò di rivolgersi a Liszt pregandolo di comporre una cantata e di pigliar parte egli stesso ad un gran concerto che verrà dato per raccogliere la somma necessaria. Gli introiti dei teatri e degli spettacoli in genere di Parigi, durante il mese d’ottobre, si elevarono a 2,013,693 franchi e 38 cent. Gounod ha scritto al Times una lunga lettera, nella quale denunzia fraudolenti sotterfugi messi in opera da certi editori inglesi per mascherare il furto letterario ed artistico, e domanda la convocazione d’un gran congresso artistico che valga a stabilire le obbligazioni morali degli editori verso gli autori, Appunto a Londra la Chamery Court ebbe testò a condannare i signori Cramer et Hutchings che avevano posto in vendita molte romanze e duetti, spacciandoli come opera dell’autore dT Faust, mentre non erano se non raffazzonature spropositate di arie tolte alle prime opere dell’illustre maestro.

  • A Varsavia verrà quanto prima eretto un monumento a Chopin; l’iniziativa

è dovuta a varii principi e principesse. E noto che Chopin era nato appunto in Varsavia.

  • Riccardo Wagner e la sua novella sposa intraprendono un viaggio cir

colare in Germania in cerca di cantanti dei due sessi che vogliano e sappiano interpretare l’Anello dei Nibelungen a Bayreuth? Si arresteranno in tutte le città che hanno un teatro! Bizzarra luna di miele!

  • In Valladolid (Spagna), si deve inaugurare un nuovo teatro.

Ed a Santander se ne inaugurò diggià uno che porta il nome El Universal.

  • .Da Palermo ei perviene un nuovo giomAe-omnibus col titolo Pipistrello.

La direzione del giornale il Sistro di Firenze si è trasferita in Via Cerretani numero 1, primo piano. CORRISPONDENZE ROMA, 3 dicembre. Spettacoli dell’Apollo: Don Carlo, Rigoletto — La Reale Academia di Santa Cecilia ed il progetto d’un Liceo musicale. Il vostro umilissimo corrispondente potrebb’essere paragonato ad uno di quei cani magri ed affamati, i quali dopo aver errato qua e là il giorno intero finiscono per trovare un osso spolpato di qualche animale antidiluviano e, spinti dal lungo digiuno, se lo mettono fra’denti. Questo a me accade qui in -Roma: l’osso spolpato è il nostro teatro Apollo, unico cibo ch’io mi abbia in questa sciagurata stagione d’autunno che, gravida di tante promesse, ha poi partorito una famiglinola di topi teatrali, bellini, carini, gentili, ma sempre topi, che per conseguenza non possono dare argomento che ad una rassegna di topiche. Il Don Carlo vive una vita grama e stentata coll’olio santo di qualche applauso agli artisti principali. Intanto si prova alacremente il Conte Verde del maestro Liban!, ed a quest’ora il giovine maestro prova tutte le delizie de’compositori esordienti, compresi i pronostici poco benevoli che vengono fatti da chi avrebbe maggior dovere ed interesse di sostenere il nuovo spartito. Non conosco l’opera del Libani, il quale, però, mi è simpatico per la guerra che da taluno gli viene mossa. Secondo il solito, non va in iscena che verso il fine della stagione e, dato il caso di un bel successo, non potrà essere rappresentata che poche sere. Grande, ad ogni modo, è l’impazienza di udirla, e fin d’ora si può prevedere che il maestro, appunto perchè romano, sarà giudicato senza soverchia indulgenza. Per dar tempo alle prove del Conte Verde, nel quale hanno parte quasi tutti gli artisti che cantano il Don Carlo, l’impresario ei ha allestito in fretta e furia un Rigoletto, che ha fatto capolino l’altra sera, e che nella sua qualità di topo, deve ascrivere a sua grande ventura, se non fu divorato dai gatti. Io non credo che il Rigolelto possa essere rappresentato come opera di ripiego, vale a dire con due o tre prove. Le tracce di questa fretta erano evidenti nel concerto generale dello spartito, e sovratutto nell’ultimo atto che avrebbe richiesto ben mag [p. 403 modifica]GAZZETTA MUSICALE DJ. MILANO 405 giori cure. Trattandosi di un’opera di ripiego non voglio muover appunti nè sulle scene nè sul vestiario, ma il ripiego, secondo me, non deve mai servire di scusa ad una cattiva esecuzione musicale. Del resto, il Rigoletto non è peggio eseguito del Don Carlo ed il pubblico se non lo ha portato alle stelle, non volle neanche precipitarlo nel baratro infernale. Vi furono applausi e disapprovazioni in misura quasi uguale. Ciò che posso assicurare si è che la musica di quest’opera, per quanto notissima, fu riudita con piacere; il teatri) era pieno zeppo, ed io non dubito che se l’illustre Jacovacci avesse avuto il buon pensiero di mettere in scena un’opera con maggior diligenza, ne sarebbe stato ricompensato con una serie di lucrose serate. Il baritono Ciapini era applauditissimo qualche mese fa al Politeama in Trastevere. E giovine intelligente e studioso e neanche all’Apollo ha fatta cattiva figura. Avrebbe bisogno di rafforzare alquanto le note medie, ma in complesso il pubblico n’è rimasto soddisfatto. La signora Rubini, quella stessa che il maestro Thomas ei spedì da Parigi per la parte di Filina nella Mignon, volle assolutamente farsi udire nel Rigoletto, opera che si dice da; lei ardentemente desiderata e quasi imposta all’impresario. E una cantante di genere leggiero anzi leggerissimo: ha eseguito egregia mente Tana Caro nome, che terminò con un limpidissimo trillo. Ma la parte di Gilda è in molti punti drammatica, e nel quartetto e nel famoso duetto dell’atto secondo col baritono, la signora Rubini mi parve deboluccia anzi che no. Tuttavia non dispiacque, quantunque io non intenda per qual regione esse abbia scelta quest’opera a preferenza di un’altra. Nel Rigoletto esordiva un nuovo tenore venuto da Parigi, il signor Blume, che qui si fa chiamar Biumi. Le nom ne fait rien à la chose. Blume o Biumi o Blumini, poco importa. Il baritono Maurel si chiama Maurel tout court e non Morelli o Morellini, e ciò non impedisce che sia il beniamino del pubblico romano. Sul conto del signor Blume avrete letto nei giornali guidizi molto discordi, che rispondono esattamente all’incertezza del pubblico. Si è detto di lui che ha poca voce; è vero ma non hanno voce più forte nè il Montanaro, nè il Piazza, nè altri tenori che percorrono una brillante carriera, senza parlare del Calzolari, che, come tutti sanno ne’ suoi bei tempi, era un tenorino? La voce del Blume è piccola, ma simpatica e quel che più importa, intonatissima. Aggiungete che il signor Blume pronunzia bene, canta egregiamente. Un solo torto egli ebbe a mio avviso e fu quello di presentarsi ad un pubblico italiano nel Rigoletlo. Può darsi che la parte del Duca in Francia sia nel repertorio dei tenori leggieri; in Italia non è cosi. In Francia si adoperano le voci di falsetto; in Italia il pubblico non le vuole che in qualche caso eccezionale. Il signor Blume, informato di questa disposizione del pubblico italiano, aboli i falsetti ai quali probabilmente era avvezzo; di qui uno sforzo troppo evidente nelle note acute specialmente nel quartetto e nel duetto con Gilda. Invece cantò squisitamente Mandante dell’aria e la canzone La donna è mobile. In complesso, io non esito a dichiarare che in tanta deficienza di tenori, il signor Blume è un buon acquisto per le scene italiane, a condizione che canti le opere che meglio convengono alla sua voce. Non male il Morroto (Sparafucile) e la Mariani (Maddalena). La Reale Accademia di Santa Cecilia ha presentato all’onorevole Scialoia, ministro dell’istruzione pubblica, i suoi nuovi statuti ed il progetto per un Liceo musicale. Per quest’ultimo si richiede il concorso del governo oltre quello del Municipio e della Provincia. L’onorevole Scialoia ha dato, per ora, buone parole. Speriamo che, nella sua qualità di ministro, darà pure denari. E se anche questo sarà un topo, tanto peggio. E cosi ho terminato, per oggi, di narrarvi le gesta dei nostri topi grossi e piccoli. E mentre i topi ballano sulla scena chi è preso in trappola? Il pubblico. APS. Ricevo la Gazzetta Musicale del 1° corrente e non vi trovo una lunga corrispondenza che io vi ho mandata sul Don Carlo rappresentato al nostro teatro Apollo. Mi duole che la medesima sia andata smarrita, certamente per colpa della Posta, la quale ha molti di questi peccati sulla coscienza. D’altro canto mi parrebbe inopportuno rendervi conto, oggi, di quella rappresentazione, che fu giudicata molto severamente da tutta la stampa romana. Vedo che avete riprodotto gli articoli dei principali fra i nostri giornali, che hanno detto nè più nè meno della verità. Speriamo che almeno si voglia trarre profitto dalla dura lezione. TST APOLLI, 21 novembre. Il Don Carlo al massimo Teatro — Modificazioni nell’illuminazione e nell’orchestra del S. Carlo. Oh questa volta sì che il Don Carlo si è messo davvero sul retto cammino! Vi confesso che ne sono talmente sbalordito dalla prima sera in cui ricomparve al nostro Teatro massimo che propriamente non so come principiare la mia solita relazione. Non ve ne potreste agevolmente figurare lo splendido successo. Musica, orchestra e cantanti, tutto eccellentemente.. Ma ripeto, non so come principiar a scriverne, e se non mi oriento e fo ricorso un po’al taccuino degli appunti, non me ne sento capace. Lunedì sera dunque, alle 7 e mezzo, la folla invade il teatro ove il Don Carlo raccoglie intorno a sè i curiosi di ogni fatta, quattro quinti dei quali pagano a carissimo prezzo il loro posto, disputato e accaparrato più giorni prima. E sul prezzo del viglietto sappiate che furono dessi rincarati quest’anno, ma era tanto il desiderio di riudire, e bene eseguito, il più stupendo fra i capilavori del Verdi, che qualche signore per avere un palchetto al secondo ordine contentossi di pagare cento lire a chi glielo cedesse, oltre il prezzo del nolo che era segnato cento dieci lire sul cartellone. Due poltrone furono pagate novanta lire, e i primi e secondi posti pagavansi dai richiedenti per essere certi di averne, tre, quattro lire più del prezzo stabilito. Il teatro quella sera presentava uno spettacolo insolito; splendide acconciature brillavano in tutti i palchetti, anche in quelli del quinto e sesto ordine, perchè per entrare nel novero de’fortunati astanti della prima rappresentazione, molte persone segnalate contentaronsi di assistere allo spettacolo dalle ultime file. Due novità intanto si offersero allo spettatore, la mancanza del lampadario e la novella disposizione dell’orchestra E tanto nell’uno quanto nell’altra novità permettete che io m’addentri in qualche particolarità. Da buona pezza riputavasi ben fatto il torre di mezzo al teatro quell’immensa mole di lampadario che avrebbe potuto esser talvolta fonte di sventure, ma che era sempre un incomodo pei meno favoriti dalla fortuna, i quali dovevano assistere allo spettacolo dalla quarta fila de’ palchetti in su. Per costoro il lampadario era un disturbo positivo, essi non potevano ben godere degli effetti ottici. Però l’anno scorso prima che si desse principio ad uno de’ veglioni il coreggiato di esso lampadario logoro in qualche parte pel lungo uso produsse la caduta di una piccola parte di esso; per buona ventura non trovavasi alcuno nella sala. Aggiungete che anco per l’impresario era di danno perchè dalla quarta fila doveva perder quattro palchetti e i più pregiati, e adoperarli per gallerie, le quali poi neppure erano molto frequentate pel grande ed incomodo riflesso della molta luce de’tanti becchi del lampadario. Al Musella devesi dunque la scomparsa di quell’incomodo e pericoloso ornamento e se ne abbia lode. Temevano alcuni che col nuovo sistema de’bracci di lumi a tre viticci, da ognuno de’quali parte una fiamma di gas, messi alternativamente ad ogni palchetto, non avessero prodotto sufficiente luce, ma ancor questa tema è dileguata ed ora la sala è più splendidamente illuminata che per lo innanzi. Circa l’altra novità dico che la presente disposizione dell’orchestra fa crescer a mille doppi gli effetti strumentali. I fatti non si possono distruggere e credo che gli apati stagionaci, ritrosi alle innovazioni, siensi persuasi, dopo lo stupendo accordo delle masse orchestrali, mostrato tanto fulgidamente pel nuovo modo onde i suonatori sono collocati: rinsaviscano e imparino a rispettare ciò che sul meglio dell’arte praticasi da tempo sui principali teatri d’Europa. Ed infatti era sciagurata distribuzione della nostra orchestra quella che accoppiava un primo violino ad un secondo, sparpagliava i violoncelli, collocandone due in mezzo, e quattro in un lembo estremo a dritta del direttore, e quattro dall’altro estremo, e cosi via. M’auguro pertanto che questa nuova distribuzione sia conservata sempre e non si creda che il mutamento sia praticato per le esigenze del Verdi, bensì per quelle dell’arte giustamente appagate a Pietroburgo, a Londra, a Parigi ed a Milano. E quando scompariranno i codini dell’arte?! Ed ora al Don Carlo. Vi scrivo dopo la seconda rappresentazione avvenuta ieri sera, e vi confesso che di rado videsi un successo più fortunato e più crescente, più pieno, più splendido e più clamoroso sì che gli stessi ammiratori del Verdi, cioè gli adoratori del sublime drammatico nella musica, non avrebbero saputo desiderare maggiore. Non furono applausi prodigati per disegno di pochi fanatici; non fu la manifestazione d’un partito; furono applausi spontanei, universali clamorosi, che cominciarono al duetto fra Carlo ed Elisabetta, proruppero ad ogni luoo-o, continuarono e lungo e dopo lo spettacolo. Il maestro Verdi fu evocato al proscenio assai di frequente tanto la prima quanto la seconda rappresentazione, ma egli comparve solamente 26 volte la prima sera e 33 alle insistenti ed entusiastiche grida del pubblico di iersera. La somma eloquenza delle frasi, quel sublime magistero di [p. 404 modifica]406 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO suoni, onde, col dialogo e col discorso degli strumenti, il maestro dipinge il pensiero, svolge le situazioni del dramma, ve ne suscita la passione tutta, formano il pregio principale di questa musica. Aggiungete a questo i nuovi pensieri e freschi, gai, vivaci, vivacissimi al primo atto: lamentosi e flebili come il dolore nel secondo; lugubri e laceranti, come l’aspetto di sciagura irreparabile dove occorre e concludete che il pubblico sente muoversi e bisognoso sempre di forti emozioni, trova in questo sublime capolavoro un campo oltremodo ubertoso. Nel Don Carlo il cuore si pasce di grandi passioni, lo spirito innalzasi ai più soavi pensieri, inebriasi d’un incanto dove la fantasia vivificasi ed accendesi Si, il Don Carlo è un lavoro perfetto, un’opera meravigliosa, ingemmata d’infinite bellezze, che sarà collocata fra quelle rare produzioni che piacciono ai dotti e agl’indotti, e che fanno epoca nella storia dell’arte V’ha cosa che stupisca più del finale del terzo atto, dove mille esordii raggruppansi senza che il discorso musicale mai s’interrompa? Vasta tela è questa dove brilla il colorito del Rubens con certa distinzione di forme che il pittore fiammingo mai non conobbe. Ma come oggi sono dolente del poco spazio che voi mi consentite, egli è perciò che debbo terminare, senza neppur cominciarla. la particolareggiata analisi di questo capolavoro che tutti dovrebbero tenere nella mente e nel cuore come quello che ei dà un’epopea che collocasi accanto a quella dello Schiller donde fu tratta e la vince in più d’un luogo, chè il linguaggio della spiritualissima delle arti vince talvolta la poesia, la figlia della parola, l’organo immediato della passione e dell’intelligenza. Mi piace pertanto farvi noto che iersera nessun pezzo dell’opera passò inosservato; vi furono applausi a molti punti che per la trepidazione d’una prima rappresentazione non furono resi, come alla seconda perfettamente. La canzone del velo è sempre bissata, perdonatemi il barbarismo, e le otto misure celebri del duetto tra tenore e baritono alla fine della prima parte del terzo atto suscitano entusiasmo indescrivibile e il pubblico la fece ripetere tre volte in ambe le rappresentazioni. Al grand’effetto di questo grande spartito ha contribuito la perfetta esecuzione. L’orchestra esegui con tale maestria, unione ed accordo da non potersi domandar di più, e per verità in nessnn’altra potrebbe con più opportuno colorito sonare, e tutte e due le sere ebbe un fragoroso tributo d’applausi da tutto il pubblico. Per parlare della Stolz nel Don Carlo converrebbe impiegare la frase che i maggiori di me usarono per la Pasta nella Norma e per la Malibran neWOlello. Ella crea la sua parte, e la crea con tale verità di finzione che meglio non vide chi vide il vero. I giudici più severi hanno riconosciuto nella Stolz una voce magnifica, di estensione straordinaria, un metodo perfetto, una facilità che incanta, un ingegno drammatico pieno di forza, di fantasia, di verità. Comparsa nel Don Carlo non lasciò desiderii, le difficoltà anziché indebolirla sembravano darle maggior lena; la sua voce, rarissimo impasto di soprano e di contralto, spiegasi con grande agevolezza. Anche ai passaggi più arditi e perigliosi ella sa dare, quando è uopo, l’accento del dolore. La Stolz è dunque attrice e cantante e chi l’ascolta può promettere più che diletto commozione a sè stesso; poiché è in lei un vero ammaestramento, nè dubito che col tempo l’alta intelligenza ch’ella manifesta cantando la musica de’ sommi, avrà una felice influenza sul gusto e sull’istruzione del pubblico e degli artisti. La Waldmann ritorna fra noi con tutto l’ingegno e le finitezze d’una grande artista; vinse le aspettazioni di tutti e adoperò e nel canto, e nell’accento, e nell’azione, un tale prestigio ed affascinamento d’arte da non trovarsi il maggiore. Il Patierno ne fece conoscere una parte che sospettammo soltanto finora; la sua voce è bella e potente e, quel ch’é più, sa farne buon uso. Il Patierno è nostro concittadino, cantò un’altra volta fra noi e piacevasi talvolta di promuovere effetti plateali, ma oggi è un cantante finito e può dirsi che abbia fatta ora la sua fortuna. Le tante melodie ond’è cosparsa la parte di Don Carlo sono da lui rese con magistrale valore, e nel duetto con Elisabetta e in quello con Posa e altrove produce effetti mirabili. Il Collini nella seconda rappresentazione andò assai meglio che nella prima; è artista coscienzioso, e con la maestria e la grazia del canto sa farsi applaudire. Il Miller seppe mostrarsi perfetto artista e fu applaudito assai nella romanza magnifica: Ella giammai m amò. Assai bene andarono i bassi Cesare e D’Ottavi, la D’Aponte (Paggio), e i cori da varii anni non cantavano tanto bene. La decorazione è magnifica, degna del San Carlo, ed ammirabile per precisione storica. Stasera si darà la terza rappresentazione del Don Carlo. Mi dicono che dopo avremo la Favorita; il ballo Alfa e Omega va innanzi con le prove. Evviva il Musella che si è messo sulla buona via. Avrei da darvi un altro sacco di notizie, dovrei parlarvi del concerto dato dal Palumbo, ma per oggi fo punto. Acuto. GENOVA, 5 dicembre. L’acqua e le beneficiate — Fiera delle Fioraie — Mario Tiberini nello Zampa — Romeo e Giulietta di Marchetti — Bellini — Vaccai — Le cronache Veronesi e il libretto di Marcello. La scorsa quindicina fu fertile d’acqua e di beneficiate nei teatri. ma sgraziatamente la prima, che cadde in abbondanza, tolse molto al proficuo risultato delle seconde. Al Paganini vi furono serate a beneficio per Brandini. per la Bay. prima ballerina, per Bini, coreografo riproduttore, per la prima ballerina italiana, di cui non rammento il nome, ed una quinta, da dividersi a metà fra la cassa della Società per l’incremento dell’arte, ed i danneggiati dall’inondazione. Al Nazionale vi furono beneficiate per la brava Budel-Adami e per la prima ballerina Limido. Al Boria, per i clown Courads e per i coniugi Andrea e Clotilde Ciniselli e per l’aurea chiomata Ubenski. E inutile il dirvi che corone, fiori e nastri ed applausi vennero impartiti ai singoli eroi delle feste. Se gli abbonati non amano le beneficiate, le fioraie genovesi pel contrario ne vanno pazze, perchè esse trovano il vero lucro. Vengo per ultimo a parlarvi della comparsa di Tiberini al Nazionale sotto le spoglie di Zampa. Tiberini è un grande artista, checché ne dicano i suoi avversari, e di fronte ad altri cantanti mi parve l’uomo nei paesi lilipuziani. La musica di Hérold è indiscutibile come fattura, come testo, ma è monotona per noi che siamo abituati a melodie varie e spiccate Quantunque questa musica diletti ma non commuova come i lavori di Bellini e Donizetti e si senta un distacco dalle sublimi note di Lucia e di Amina, pure il teatro fu sempre gremito ad ogni volta che il cartello annunciava Zampa con Tiberini. Era voce che si dovesse riprodurre la Matilde di Chabran, nella quale avrebbe cantato anche la Ortolani-Tiberini, ma in questo momento mi si vuol far credere il contrario, e che invece al 14 andante andrà in iscena il sempre giovane-vecchio Barbiere di Siviglia. Tardai a scrivervi nella certezza di potervi dare il resoconto della prima rappresentazione del Romeo e Giulietta di Marchetti, protratta -di sera in sera dal 20 dello scorso novembre, ma mi fu impossibile il farlo, perchè annunciata definitivamente per questa sera. L’esecuzione è affidata alla signora Spaak-Maresi ed ai signori Karl, Balsamo e Zimelli, ed è posta in iscena dallo stesso maestro. L’aspettazione è grande, e domani saprete se l’esito vi corrispose. P‘- F- rFjVRIGtI, 26 novembre. Madame Turlupin, opera-comica di Cormon, musica di Guiraud all’Ateneo Poscritto: les deux Reines. Non vi avrei scritto quest’oggi se TAteneo non me ne avesse fornito l’occasione. Avevo troppo contato sul teatro Italiano che promise per lunedi la prima rappresentazione delle deux Reines, e che l’ha anche questa volta ritardata. La promette «immancabilmente» per questa sera. L’avverbio è di soverchio. Chi può esser sicuro, con la presente stagione, della gola d’un artista. Una raucedine, un ingorgo alle tonsille e Y immancabilmente è bell’e spacciato. Anche l’Ateneo aveva creduto poter dar la stessa sera due novità Madame Turlupin di Guiraud, e Dans la forêt di Constantin. Ma all’ultima ora ha dovuto metter una striscia bianca sul cartello, per annunziare a lettere manoscritte che per causa dell’improvvisa indisposizone del baritono Troy l’opera di Constantin era rimessa ad un’altra sera. Vi lascio immaginare il dispetto del pubblico; per buona fortuna Madame Turlupin è un cosi bel lavoro, ed il successo ne è stato così splendido, che ei ha ricompensati del ritardo dell’altra partitura. — Vi parlerò dunque di questa bell’opera comica, o piuttosto opera buffa, una delle migliori tra quante ne sieno state scritte, da qualche anno a questa parte. Comincio dal libretto, che quantunque molto semplice, è chiaro, ameno, divertente. Eccone in poche parole l’argomento: Madame Turlupin, moglie d’un artista girovago, commediante da fiera o saltimbanco, come più vi piace, è bella quanto onesta. Essa ama alla follia suo marito, ma ciò non impedisce che più d’uno le faccia la corte e speri arrivar al suo fine. Vero è che non ei arriva mai. Ma la bella non è così sciocca da respingere gli omaggi. Come attrice, la sua amabilità farà aumentar l’incasso. Il capitano dei moschettieri (la scena è al tempo di Luigi XIII) e l’albergatore sono tutti e due innamorati cotti di lei. Quegli la minaccia di proibir la commedia che la compagnia Turlupin si accinge a rappresentare; questi non vuol far credito, e non c’è un soldo in cassa. Madama Turlupin promette un ritrovo segreto all’uno ed all’altro, ed ecco che la commedia è permessa ed il [p. 405 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 407 credito è aperto. Ma il capitano dei moschettieri ha un nipote, e l’albergatore ha una figlia in un pensionato. Il giovine rapisce la giovine e via. Ma dove andare?’Incontrano Madama Turlupin, le raccontano i loro amori e le loro angoscie e la pregano di aiutarli — Lasciate far a me, ella dice, e li fa nascondere. — L’ora fissata ai due vecchi libertini arriva; Madama Turlupin è sul teatro; essa riceve l’uno dopo l’altro il capitano e l’oste, li fa vestire d’un costume ridicolo, ed al bel momento mostra loro la coppia innamorata. «Mia figlia!» grida l’uno; «mio nipote!» esclama l’altro — 0 maritarli, dice Madama Turlupin o fo alzar il sipario e vi abbandono alle beffe ed alle risate del pubblico, vestiti come siete. Capirete come tutto va a finire. Padre e zio perdonano; e la commedia comincia al momento in cui la tela cala veramente. Raccontato così in riassunto, il libretto sembra insignificante; ma è pur piacevole ed abbonda di situazioni comiche. La musica del signor Guiraud è veramente beila; originale, gaia, melodica, e quel che è più d’uno stile eccellente. Tutti credevano venir ad assistere a quel che chiamasi ordinariamente «,musica dotta.» Ebbene la musica è quella d’un compositore che sa perfettamente il contrappunto, ma che non ne fa sfoggio a detrimento dell’ispiraziione. Cori, arie, duetti, strofe buffe, un terzetto, un finale, tutto è di grand’eloquenza e di bella fattura. Applausi a tutti i pezzi, e bis ad una canzone, che finisce in quintetto, ripresa dagli altri personaggi. Ecco dunque una lunga serie di rappresentazioni e di piene assicurata al povero Ateneo che ne aveva molto bisogno. Sull’esecuzione dirò che la parte principale, quella di Madama Turlupin è rappresentanta dalla signora Daram, che ha fatto immensi progressi e che ha preso all’Ateneo il posto lasciato vacante della signora Marimon. Il baritono Lepers ha avuto la sua parte di successo. Gli altri artisti non han guastato; ed è già molto. Il sjgnor Guiraud aveva scritto finora due opere comiche che avevano avuto un esito felice; ma non era stato così felicemente ispirato come in questo bel lavoro. Egli scrive in questo momento la musica d’un ballo per VOpéra Eccolo arrivato, come suol dirsi. Ora può dirsi che la sua carriera musicale è assicurata. PS. — Riapro la mia lettera per dirvi che ho assistito jer sera alla prima rappresentazione delle Deux Reines di Legouvé, al teatro Italiano. Se mi domandate qual genere di lavoro è egli questo, sarò molto impacciato per rispondervi. Non è un dramma, perchè due dei personaggi cantano, gli altri declamano; non è un melodramma perchè la musica non vi ha una parte molto importante. È un misto di due generi; un’opera anfibia. Credo die il Legouvé avebbe fatto meglio di trattarla a modo di libretto; Gounod l’avrebbe messo in musica e l’argomento è abbastanza nteressante per offrire belle situazioni al maestro. — Del resto posso avvisare coloro che avrebbero voglia di far del dramma les deux Reines quel che non ha fatto Legouvé, vale a dire di tirarne un libretto, che arriverebbero troppo tardi. Un poeta francese (d’accordo col Legouvé) ed un poeta italiano hanno accettato l’assunto di far questo libretto nelle due lingue, in modo da potersi cantare con la stessa musica. Vuol dire che Gounod si risolverà a compire il suo lavoro, ed a scrivere l’opera in quistione. Ne ha già scritti sette od otto pezzi, oltre l’ozi— venture e ^’intermezzi; farà più facilmente il resto. ’A • ìA • BERLINO, 25 novembre. Anniversario della morte di Mendelssohn — Società Corale Stern — Le Stagioni di Haydn alla Singakademie — Primo concerto della Gustav-Adolfstiftung — ’Wilhelmy e la sua serata di quartetto. La società corale diretta dal valentissimo prof. Stern, fondata 24 anni sono, ha fra le sue massime la pietà, che la fa benemerita non dei musicisti, soltanto ma dell’umanità; non è molto diede una festa di commemorazione in onore dell’immortale Mendelssohn-Kartholdy. Sapete che l’anniversario della morte di Mendelssohn ricorre il 4 novembre; questo giorno fu un vero trionfo per la brava società corale che esegui l’oratorio, Paolo, lavoro che se pure non rivela tutta la potenza mendeksohniana, la quale non si mostrò che più tardi nell’oratorio, Elia, pure ha mille pregi. Si potrebbe dire di Mendelssohn che fu riformatore dell’oratorio tedesco protestante il quale ebbe la base di due colonne ferree: Haendel e Bach. Ci rimanevano le creazioni gigantesche ma non possedevamo più la fede ingenua per comprendere interamente la significazione mistica, Mendelssohn non solamente ei aprì gli occhi colla intelligenza sua musicale, ma (o che vale di più) il suo genio animò l’obiettività fredda dei due eroi musicali, rendendoci nei due suoi ca ilavori la religiosa grandezza, ma in aspetto moderno. Un bravo nostro critico disse di questo lavoro: è una regione della luce purissima nella quale è involto Mendelssohn; egli cesse ad altri compositori moderni i diritti di dipingere la tenebrosità, di dar espressione al dolore dei pessimisti moderni, e prese l’arte nel senso dello Schiller, per cui la forma deve superar la materia e la comune forza naturale deve idealizzarsi alla bellezza celeste, e l’anima non deve esser incatenata alla potenza umana, ma. riunendovisi, sorgere alla vera libertà artistica Sono bellissime parole che caratterizzano infatti il creatore del Sogno d’una notte d’estate. Quant’all’esecuzione del Paolo fu eccellente, ed è il solito questa società corale fondata da Mendelssohn 25 anni sono. Ora mai essa ha una purezza e sicurezza artistica da far stupore - canta colla stessa valentia un semplice canto fermo, come una fuga difficile di Bach. Le soliste furono la Schramke-Falkner (soprano), la Joachim (alto), lo Schott (tenore) ed il Gura da Lipsia (basso). Speciale e doppia lode spetta alla prima, la quale benché non pregata di cantar la sua parte che poche ore prima del concerto (per causa di malattia d’un altro soprano) esegui la sua parte con molta bravura. Dir qual cosa della Joach m torna vano - è perfettissima; lo Schott cantò benissimo la sua difficile parte nell’oratorio. Il Gura è uno dei primi fra i bassi viventi, non crediamo che siano molti i bassi dotati di tanta forza. Abbiamo riudito le Stagioni di Haydn eseguite dalla Singakademie; la magnifica interpretazione fe’ valere lo stupendo lavoro che il settuagenario compositore fece col fuoco di vent’anni. Nel primo concerto della Gustav-Adolfstiftung, prese parte il coro del duomo imperiale eseguendo sotto la brava direzione del maestro di Hertzberg, due motetti di Gabrielli e di G. S. Bach, poi una stupenda cantata del maestro ungherese Volkmann, Confidenza in Dio ed il 47 salmo del maestro bremense Reinthaler. Le due ultime erano novità, e meritarono con piena ragione gli applausi non scarsi - hanno ambedue fattura magistrale, e le idee sono d’una profodità severa ed espressiva. Dì più fecesi udire nella stessa serata una giovine pianista polacca, col nome di Dobjansky (la quale il programma menzionò allieva del Tausig) eseguendo lo scherzo (mi bem. mini) di Chopin ed un notturno proprio. Mi sembrò oppressa da una paura insuperabile, tanto che per esempio mancò spesso le ottave nello scherzo, che suonò assai mediocremente - il Notturno ha pensieri non spregievoli, ma è lavoro d’una donna! Finalmente suonò il Rehfeldt (detto a torto: maestro concertatore imperiale, perchè è vacante ancora la carica del defunto Spohr) una suonata del Rust per violino. il Canto della sera di Schumann e un Notturno di propria fattura. Egli suona da uomo che ha fatto studii severi, ma a cui manca la forza originale che fa riconoscere subito il vero genio del violino; nel braccio destro è negletto di molto, fa per esempio gli arpeggi e gli staccati coll’intero braccio levato, invece di farli solamente colla mano leggiera ed un poco col sottobraccio - è però molto istrutto nella musica e sa suonar come suonerebbe ogni buon concertista. Il suo Notturno è un lavoro a cui non si potrebbe dar molta importanza: pure sono piacevoli i motivi e T accompagnamento non,’ è privo di valore musicale., Ritorniamo al nostro eroe del violino, al Wilhelmy, il quale benché unico nella sua maniera, pure è uomo ed ha anzi i gran falli suoi; parlo della sua serata di quartetto, la quale diede col concorso dei signori Herrmann, Haubold ed Hegar (tutti del Gewandhaus in Lipsia), della cantatrice svedese Glena Falkmàùn e del pianista Giorgio Leiter da Dresda. L’aspettazione di udir nel quartetto questo fenomeno dell’arte del violino, allato del nostro impareggiabile Joachim, non era poca - ma il Wilhelmy non v’ha corrisposto pienamente. Dico pienamente e ciò perché Joachim nel quartetto non usa l’arte sua che come mezzo - ma il Wilhelmy l’usa spesso al solo scopo di far osservar le sue doti brillanti di virtuoso! Mentirei dicendo che Wilhelmy non suonò come un Dio, ma ei non ei diede il puro godimento a cui ei hanno avvezzi i quartetti dello Joachim. Suonando poi assolo una trascrizione sua del Notturno (si bem.) di Chopin ed una romanza di propria fattura fece quasi dimenticare la sua prova nel quartetto. Cantò benissimo la Falkmann la celebre aria di chiesa dello Stradella, non che alcune canzonette svedesi, e T esecuzione di questi pezzi le procacciò gran plauso. Il Leitert, già in Roma dal Liszt, è uno scolare prediletto del maestro abbate e mostrò nella riproduzione della fuga (la min. originalmente per l’organo) di G. S. Bach e nei pezzi dello Schumann e dello Chopin, non che nella parte di piano del celebre quintetto dello Schumann, d’essere un pianista di primo ordine, dal polso ferreo e d’una abilità immensa. [p. 406 modifica]408 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO CAIRO, 22 Novembre. Z’Aida al teatro dell’Opera — Pipelé al teatro della Commedia. Al domani stesso del giorno in cui vi mandai l’ultimo mio breve carteggio fu quasi improvvisamente annunziata l’andata in scena deli’Azcùz per la stessa sera. L’Aida era annunziata ed aspettata ansiosamente da parecchi giorni, ma domenica non ce l’aspettavamo proprio. Grazie della bella sorpresa al gran Duca Nicolò di Russia che si trova qui ospitato dal Kedive e per cui si volle apprestare il grandioso spettacolo. Bisogna che sappiate che qui quando si vuole si può - è la massima; costa alcuni danari, ma è la massima! I biglietti di stalli erano già tutti venduti prima del mezzodi; e il concorso alla sera fu immenso. Assisteva allo spettacolo il Kedive, il Granduca ed il suo seguito. Che dire dell’immenso successo di questa Aida? Vi basti sapere che non fu punto inferiore al primo trionfo del passato anno. L’Aida d’oggi non è in tutto però VAida d’allora; la Bozzoni è rimasta, ma la parte di Amneris in cui applaudimmo già la Grossi, ora ei offrì occasione di far feste alla Destin; ed invece di Mongini abbiamo il tenore Corsi. Steller e Modini rimasero fedeli. Delle vecchie conoscenze non potrei dir nulla che già non sappiate; quanto alla Destin voi l’aveste alla Scala, se non erro, alcuni anni sono, e sapete di che valore sia; Corsi non è Mongini per la voce, ma è buon artista e diligentissimo e riuscì a farsi vivamente ap laudire. Ottima l’orchestra diretta da Bottesini; discreti i cori; magnificamente eseguiti i ballabili. La messa in scena da sbigottire. Nel teatro della Commed.a andò in scena il 20, l’opera il Pipelè del maestro Deferrari, eseguita dal buffo Fioravanti, dal baritono Baldassari, dal tenore Piazza e dalle signore Smeroschi ed Allievi. L’esito fu lieto assai, specialmente per Fioravanti e per Piazza e più per la Smeroschi, che ebbe accoglienze entusiastiche. Si provano gli Ugonotti. Caramella. Rimandiamo al prossimo numero la pubblicazione dei Carteggi di Londra, Torino e Pavia e d’un altro carteggio da Parigi, giunti troppo tardi. 3. Gli alunni-uditori potranno profittare di tutti i rami d’istruzione che s’insegnano nel Conservatorio, previa dichiarazione alla Direzione. 4. Tale eventuale istruzione sarti. affidata in massima ai maestrini del Conservatorio; ma sempre sotto la sorveglianza della Direzione e del personale insegnante. 5. Gli alunni-uditori si obbligano per un anno, e vanno soggetti a tutte le discipline portate dai Regolamenti, tranne l’ubbligo degli esami. 6. Saranno esenti da qualsiasi tassa. 7. La qualità di alunno-uditore non toglie, nel mese di ottobre di ogni anno, di poter aspirare ad essere accettato quale alunno regolare, di conformità alle norme stabilite dai vigenti Regolamenti per qualsiasi aspirante. 8. Le domande d’ammissione al posto di alunni-uditoii, dovranno essere indirizzate alla Direzione del Conservatorio corredate dalle fedi di nascita, di vaccino, o vainolo subito, e da quella di buoni costumi. 9. Il concorso è aperto a tutto il 15 corrente dicembre 1872. 10. L’esame di ammissione avrà luogo nel locale del R. Conservatorio il successivo giorno di martedì 17 dicembre alle ore 9 ant. precise. GIOVANNI BIFFI La notizia della morte di questo egregio giovine, lungamente temuta dagli amici, non giunse perciò meno dolorosa. In Giovanni Biffi si piange un onesto cittadino, un aureo cuore di uomo, un patriota fervente. Fu soldato delle lotte che ei diedero la patria, e trattò con pari coraggio la spada, quando fu l’ora, e la libera penna poi. D’intelletto pronto e vivace, fu scrittore piacevole ed ameno, e scrisse varii racconti pregevoli. Nella drammatica si segnalò con un dramma, molto e molto meritamente applaudito — Il Ministro Prina. Venerdì mattina, al cimitero monumentale, giungeva da Erba, dove lo raggiunse la morte lungamente e coraggiosamente aspettata, la sua salma. Molti che lo amavano vivo, accorsero al cimitero per salutarlo un’ultima volta. La Gazzetta Musicale perde in Giovanni Biffi uno dei suoi collaboratori. — Bologna. Giovanni Tadqlini, venerando e valente campione dell’arte musicale italiana, morì testé. È autore di molte opere e di composizioni di stile classico di gran pregio. Era nato nel 1793. — Illenau. Sabina Marquet, che sotto il nome di Sabina Heinefetter fu tra le più festeggiate cantanti del suo tempo; morì il 18 novembre. — Wiesbaden. Ferdinando Bòhme, professore di canto ai Conservatorii di Lipsia e Colonia, morì il 4 novembre. — Mosca. Ernesto Petzold, membro della Cappella imperiale, morì in ottobre. TEATRI FIRENZE. Nel teatro Nuovo andò in scena la Lucia colla signora Orgeni che si fece molto applaudire. L’esito fu buono anche per gli altri. BARCELLONA. Al teatro del Liceo si darà fra pochi giorni l’Aroldo, colla Ponti, Vincentelli, Toledo, ecc.; e nel corrente mese si appresterà con tutta la magnificenza l’opera (nuova per Barcellona) La Forza del Destino nella quale esordirà il basso signor Junca che si attende da Milano. Le altre parti verranno eseguite dalla Ponti (Leonora), Teresa Forni (Preziosilla), Toledo (Don Carlo), Vincentelli (Don Alvaro) e Ronconi (Melitene). — Frattanto si alternano, col ]>iù felice successo, le opere: Lucia, Ruy-Blas colla Ponti ecc., e la Favorita colla Ferni. Del Ruy-Blas si sono già date sette rappresentazioni. VIENNA. L^Abou Hassan di Weber fu rappresentato testé; quest’opera, scritta nel 1810-11 a Darmstad, fu quivi eseguita per la prima volta. GRATZ. Le rappresentazioni della compagnia italiana dell’impresario Pollini commovono tutta la città. Nel Barbiere, wXVElisir e nella Traviata la signora Artot-Padilla riportò veri trionfi; Padilla, Vidal e Bossi formano colla celebre artista una quaterna invidiabile. MOSCA. Altri due trionfi: Il Don Pasquale, e la Linda a beneficio di Graziani. Nella prima opera cantarono: la Patti. Naudin, Oraziani ed il buffo Ciampi. Il notturno del terzo atto fra la diva (linguaggio d’obbligo) e Naudin fu cosa perfettissima La Linda fu un avvenimento. Raddoppiati i prezzi d’ingresso, si introitarono 8000 rubli, pari a 32.000 lire! La Patti ebbe 45 chiamate, dico quarantacinque! trionfo alquanto faticoso, ma inferiore a quello della Sonnambula data per beneficiata della stella. In quella sera dopo l’opera la disgraziata Adelina fu chiamata 60 volte al proscenio... Sessanta!... e di seguito! Ora la compagnia è a Pietroburgo. NOTIZIE ITALIANE — Milano. All’intento di rendere meglio proporzionata e completa l’orchestra degli alunni in questo R. Conservatorio, si apre anche quest’anno un concorso di alunni-uditori allé seguenti modalità e condizioni: 1. I giovani aspiranti dovranno dar prova alla presenza di apposita Commissione di saper suonare lodevolmente uno dei seguenti istrumenti: Violino, Viola, Violoncello, Contrabasso, Fagotto. Corno, Tromba e Trombone. 2. I giovani ammessi dalle prelodate Commissioni dovranno intervenire alle periodiche esercitazioni che hanno luogo in uno o più giorni alla settimana, ordinariamente dalle 9 alle 11 antim. POSTA DELLA GAZZETTA Signor Alb. — Cremona. Mandi pure e ei farà un vero regalo. Signor Pasquale V... — Acerenza — N. 827. Avete ragione, fu uno sbaglio dell’Amministrazione, di cui ei duole e che sarà rimediato inviandovi i numeri arretrati. REBUS H* fluOp-A-rr Quattro degli abbonati che spiegheranno il Rebus, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA DEL NUMERO 47: CHI - AVE Fu spiegata esattamente dai signori: Capitano Cesare Cavallotti, Alfonso Fantoni, professore Angelo Vecchio, Società del Casino d’Acqui, Ernestina Benda, Ferdinando Ghini, Gaetano Grilli, maestro Salvatore Botta, Letizia Recanati Aghib. Giuseppe Falavigna, luogotenente G. Orrù, M.° Annibaie Piersantelli, B. Lopez-y-Royo, Luigi Stame, P. Pietra, Orazio Zunica, avvocato B. Bottigella, Giuseppe Onofri. Estratti a sorte quattro nomi, riuscirono premiati i signori: Società del Casino d’Acqui, Annibaie Piersantelli, luogotenente G. Orrù e Giuseppe Falavigna. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe, gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob.