Gemme d'arti italiane - Anno I/La derelitta

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Giulio Carcano

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Il fanciullo nella conchiglia Paolo e Virginia

[p. - modifica]SOCCORSO A UN ROVESCIO DI FORTUNA [p. 95 modifica]

LA derelitta quadro ad olio di Giuseppe Molteni

rappresentante

SOCCORSO AD UN ROVESCIO DI FORTUNA

...Nessun maggiore dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria...

Dante

Ella aveva veduto giorni meno lunghi e meno dolorosi, giorni pieni d’allegrezza e d’amore, abbelliti dai sogni della giovinezza, dalle prime ridenti speranze della vita; ella aveva creduto di poter essere felice su questa terra!

Quando pensava a’ suoi sedici anni, alla casa del padre suo, d [p. 96 modifica]ov’era vissuta fra le carezze e nell’abbandono della sua vispa adolescenza, ignara del male e troppo fiduciosa di sé medesima, quando vedevasi dinanzi, tal quale ancora fosse viva, la serena sembianza di sua madre, quell’anima santa che il Signore troppo presto aveva rivoluto nel cielo, oh allora desiderava l’infelice di non esser nata, o almeno di aver chiuso gli occhi alla vita quand’era tuttora bambina!

Nella solitudine e nella povertà, la ricordanza del passato le si affacciava sempre affannosa, inesorabile, e piena di sgomento. Eppure non poteva distaccarsi da quel passato, e avrebbe creduto di non viver più, dove le fosse stato possibile cosa il dimenticarsi. Vedeva la sua piccola e ornata stanzetta al secondo piano della paterna casa; le tende candide, ricamate, del balcone che guardava il giardino, la trasparente cortina del suo quieto letto dove aveva dormito per tanti anni que’ sonni che non dovevano scendere più sulle sue pupille. Vedeva lo sculto inginocchiatojo da un lato, la rabescata e lucida specchiera dall’altro; il suo scrittojo del bel legno intarsiato, la piccola libreria, e l’adorno telajo, a cui s’era seduta le tante volte a trapuntare i bei fiori cantando.

Ma i lieti anni suoi erano troppo presto svaniti! E tornava a quel tempo, e le pareva di vedere la severa faccia del padre suo, d’ascoltare quelle parole gravi ed amare che sì di sovente le pesavano sul cuore. Quell’uomo vecchio e serio, che rade volte l’aveva chiamata col nome di figlia, le stava tuttora dinanzi col suo abito nero, co’ suoi bianchi capegli incipriati, con quello sguardo fiso e penetrante che faceva tremare le più segrete fibre dell’intimo suo. Era un gran signore a [p. 97 modifica]cui tutti, o per riverenza, o per tema, facevano ossequio; poteva molto più che non facesse, e pur molto faceva benché nulla di fuori apparisse. Ond’è che, tutti lo circondavano con ossequiosa premura, mendicavano una sua occhiata di protezione, una sola sua parola benigna o indifferente.

Era uno di coloro che sembrano aver pigliato in ira i tempi che corrono.

Si ricordava di quel giorno, povera creatura! di quel giorno ch’essa credette il primo, e che invece fu l’ultimo della sua felicità! Ciascun’ora, ciascun minuto di quel dì le tornava nell’animo, ed ogni più lieve circostanza di quello erale una nuova ferita, un nuovo dolore. Fu la prima volta che essa comparve nella società, in quello che chiamano il gran mondo: suo padre aveva bisogno di presentarla ne’ circoli, poiché dispettoso di non avere un figlio che perpetuasse il lustro d’un antichissimo nome, voleva almeno che l’unica crede della sua ricchezza facesse un illustre matrimonio secondo l’alte sue mire.

La sua bellezza, la soave gioventù, il gran nome, e più di tutto la pingue sua dote, la cui sonora cifra colla rapidità dell’elettrico era passata da un orecchio all’altro, al primo suo apparire nella nobile conversazione, le chiamarono d’attorno uno sciame di vagheggini d’ogni età, d’ogni stampo. Uno solo, fra que’ tanti, un giovane

contegnoso e modestamente vestito s’era tenuto in un canto della splendida sala, ed aveva osato appena dirizzare lo sguardo alla nuova stella che faceva la sua bellissima apparizione in quella sera: egli era povero, aveva un nome sconosciuto, e per solo favore del caso si trovava in mezzo a quelle illustri importanze del giorno, la cui boriosa pretensione gli [p. 98 modifica]metteva pietà più che dispetto. Ma al primo veder la fanciulla ingenua, gaja, spensierata, una nube di malinconia gli offuscò la mente; e in quella sera, per la prima volta, sentì rammarico del suo nome oscuro, della onesta stia povertà.

Nessuno aveva notato la mesta attenzione di lui, fuorché la leggiadra damigella, gli occhi della quale s’erano incontrati due volte con quelli del giovine. Ma, l’insipido cicaleccio del buon genere, le gentili parolette, le inzuccherate allusioni di parecchi zerbini sviarono gl’irrequieti pensieri della fanciulla, l’abbagliarono la sedussero. Ella dava orecchio a quelle studiate lusinghe, a quelle mezze proteste che sì facilmente allacciano il cuore di una giovinetta inesperta e desiosa di trovar veri nella sua vita i suoi sogni di amore. Fra tutti quegli schiavi che la bella ereditiera aveva letto al suo carro, o piuttosto allo scrigno di suo padre, fra tutti coloro, che con melliflua insolenza non facendo mai onta alle leggi elastiche, del bel mondo, le si profersero l’un dopo l’altro adoratori, ella incautamente scelse colui che doveva essere ben presto la prima cagione della sua sciagura.

Giovine bello, e re del mondo elegante, il cavaliere seduceva colla squisita sua attilatura e con so qual petulanza di spirito la facile cortesia delle belle donne, le quali con vanto geloso se lo rubavano a gara. Si parlava di certa misteriosa avventura, che avea messa a rischio la sua vita e l’onore altrui: bastava questo per farlo un necessario ornamento de’ circoli e delle compagnie, un caro pericolo a’ cuori troppo ardenti e leggeri delle dame e delle giovinette; ma avea di più una fortuna mezzo rovinata e un buon duello, comunque innocente e senza conseguenze. [p. 99 modifica]

A quest’uomo avevi confidato tutto il suo cuore l’inesperta fanciulla. Oh perché Dio le aveva tolto sì presto la madre sua? Non valse la severità, e l’ira paterna a contrastare quell’affetto mal collocato, che dal contrasto medesimo pareva pigliar forza maggiore. La disgraziata infermò, e per non vedersela morir sotto gli occhi, il padre, stretto dal consiglio de’ medici e domato dalle infinite promesse del cavaliero, gli diè la mano della figlia e l’ingente dote promessa.

Ohimè! Come rapidi eran passati due anni di Trionfo e di contentezza! La discordia era venuta a sedere tra i due giovani sposi, e a ritornarli alla pace e all’amore non bastò quell’angioletto che loro aveva dato il Signore dopo un anno di matrimonio. Il cattivo marito non lasciò le triste sue pratiche di prima; le spensieratezze eleganti eransi fatte vizii, e poco mancò non diventassero delitti:

ma intanto la ricchezza era svanita in gran parte; e gli usuraj ne avevano divorate le reliquie. Vennero i giorni della miseria e dell’abbandono. Il superbo signore è morto senza rivedere la figlia, e legò tutto il suo in fastose beneficenze. La povera moglie piange in una deserta soffitta il suo povero bambino che Dio le avea dato, e di recente ritolto. Il crudele marito era lontano già da mesi e mesi. Ella sa pure la misera che quell’uomo, veduta uscir vana la speranza di raccorre qualche parte dell’eredità del ricco suocero, non tornerà più: eppur piange e spera tuttavia.

Una malattia di languore ha solcate le sue guancie; la marezza del suo corpo addolorato e tremante, e quegli occhi vivi e infossati, e le sue braccia scarne e le dita affilate, mostrano ch’ella ha già troppo sofferto [p. 100 modifica]e che la fine del suo dolore non è lontana. Oh! il Signore l’ha di soverchio punita, perché, essa non ha più l’unica sua consolazione, il suo figliuolino; ma pure nella solitaria e inutile vita, nella lunga inedia de’ giorni e delle notti non ha perduta ancora quella vera, quell’unica virtù dell’anime povere e grandi, la rassegnazione. Ella sente che sua madre invoca per lei il Signore, e le dice che lo preghi di far più brevi le ore del suo patimento e di perdonarle il suo passato.

Ma talvolta ricade oppressa sotto il peso de’ pensieri della vita; e allora smette rifinita il lavoro che sebbene inferma aveva continuato, pone giù il tombolo del suo lento ricamo, va contando a uno a uno i molti e ricchi congiunti di che un dì era si frequente il palagio di suo padre; allora costoro andavano superbi del gran parentado; e poi l’abbandonarono sola e malata in quel bugigattolo, ov’essa andò a nascondere la povertà e il dolore. Nessuno ha cercato di lei, nessuno le disse da tanto tempo una sola parola d’amore e di conforto: e un po’ d’amore sarebbe il solo balsamo della profonda sua piaga, l’unico raggio di luce che potrebbe rianimare almen per poco la sua vita fuggitiva. Le illustri zie contesse, i titolati cugini, tutti gli amici di una volta la dimenticarono; non ve ne fu uno solo al quale bastasse l’animo di salire l’erta scaletta di legno che conduce alla sua soffitta. Passano le settimane, i mesi, l’autunno finisce, e s’avvicina l’inverno, il crudele inverno che miete la povera gente; e appena due o tre volte il medico del Luogo pio mise il capo dentro la porta della trista dimora. Una vicina, povera come lei, viene al mattino ed alla sera, e quando a pena il può le reca una tazza di brodo, tolta forse alla scarsa [p. 101 modifica]minestra che divide co’ suoi quattro figliuoli; è dessa che corre per lei alla bottega dello speziale, allorché lasciò sur un cencio di carta qualche ordinazione, che ben poco giova, ma serba almeno l’illusione dell’ammalata. Ma una cosa fino alla quale quel dì non poté ancora adattarsi fu quella di domandare il certificato del suo miserabile stato; sicché a provvedersi del poco che appena le vien necessario, si è spogliata de’ suoi ultimi gioielli, de’ preziosi merletti che ancora le restavano, e non ha più nemmeno l’anello di sposa: quell’anello aveva bastato appena a pagar la sepoltura del suo bambino.

Un dì - era un dì che aveva pregato il Signore coll’animo più confidente e sereno che mai, e non provando quella muta assidua doglia che da gran tempo le stava fitta dal lato manco presso al cuore, gustava ancora la dolcezza e la cara speranza della vita - sentì un passo nuovo, pesante venirne su per la scala, fermarsi sul pianerottolo come fosse di persona che cercasse una porta non conosciuta - poi una voce domandare, e un’altra rispondere, era quella della sua vicina - finalmente aprirsi l’uscio e farsi a passo tardo e riverente vicino al suo nudo giaciglio, un vecchio di cui non erale ignota la sembianza.

Quando i suoi deboli occhi poterono meglio raffigurarlo, essa riconobbe in quel vecchio un antico servo pensionato di sua madre; un uomo semplice e dabbene che l’aveva veduta nascere, che l’aveva portata le tante volte in braccio, che s’era allontanato dalla casa dopo che sua madre era morta. Il povero vecchio portava ancora l’antica livrea, e veniva a lei, ma non poteva parlare altro che con le lacrime che gli venivano agli [p. 102 modifica]occhi. Egli pose giù accanto al letto, senza dir motto, come facesse la cosa più naturale del mondo, un canestro con qualche provvigione, una bottiglia di vin vecchio, e un cartocetto che l’ammalata aperse con mano tremante, e nel quale trovò parecchie monete d’oro e d’argento.

Poi che fu un po’ cheto il tumulto de’ pensieri che d’improvviso l’avevano conturbata, essa chiamò per nome il suo vecchio servitore, il buon amico della sua fanciullezza; e allora il brav’uomo incominciò una litania di querele, compiangendo la sua povera padroncina ch’egli trovava in quell’estremo ed era cotanto degna di diventare una regina; rammentando i passati tempi e la defunta benefica sua padrona; e ripeteva i più lieti, i più fuggevoli avvenimenti de’ suoi giorni felici, che forzavano a piangere la infelice donna al solo sentirli ricordare; e non ristava, per quanto ella dicesse, dall’imprecare la maledizione di Dio sul capo dell’uomo che l’aveva condotta in fondo di ogni miseria.

Ma quando essa il pregò, lo scongiurò perché volesse almeno dirle da che mano le veniva quell’inopinato soccorso, il vecchio tentennò il capo, si pose l’indice a traverso le labbra e stette muto. L’addolorata donna sollevò gli occhi al cielo, e rimase a lungo pensosa; poi disse con voce rassegnata e fievole al buon servitore:

«Ripigliati pure ciò che portasti; io ti prometto che non toccherò nulla di tutto ciò dove non sappia a chi io debba codesto beneficio.» Il vecchio allora vedendola ricadere sfinita sul povero lettuccio: «Ah no!» proruppe: «Abbia un po’ di compassione di sé non voglia morire... E…»

poi stette intraddue alquanto, si batté col [p. 103 modifica]pugno la fronte, e: «Potessi parlare! ... ma ho giurato! Dio mio! Egli piangeva quel bravo signore, quando venne a trovarmi per darmi questa commissione... Oh! sì quello ha il cuor buono, meglio dell’altro, veda di quello… Dio gli perdoni!

Che l’ha abbandonata così, e che un dì o l’altro renderà conto di tutto il male che ha fatto... Oh l’avesse udito quel giovine, signore come parlava... è un amico, che le resta, un amico che il Signore le manda! Oh non rifiuti il suo soccorso; egli ne morrebbe! Me lo disse egli stesso.»

Dopo queste parole il vecchio si morse le labbra accorgendosi sorse di aver detto anche troppo; e la infelice abbandonata comprese abbastanza; poiché trasse dall’intimo petto un lungo sospiro, e sulle dimagrite sue guancie una leggerissima vampa di rossore si diffuse, che tosto disparve.

Ripensò al giovine solitario e melanconico che due anni prima, a quella festa, solo fra tutti l’aveva riguardata con uno sguardo così soave in uno e così severo, con uno sguardo ch’essa non aveva potuto mai più dimenticare.

Dopo quella sera essa non lo aveva più riveduto.

Ella tacque; giunse le mani in atto di preghiera; e le lagrime cominciarono a sgorgare dagli occhi suoi.

L’antico servitore era partito.

Giulio Carcano