Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro I/II

Da Wikisource.
Cap. II

../I ../III IncludiIntestazione 9 luglio 2020 75% diario di viaggio

Libro I - I Libro I - III
[p. 16 modifica]

CAPITOLO SECONDO.

Brieve viaggio sino a Suratte, e ritorno

in Daman.


C
Urioso di veder Suratte, ed essendo facile l’andarvi per la pronta partenza della Cafila verso la Città di Cambaya, ed altri Porti; mi portai il Venerdì 14. a far una visita al Capitan Moro (che val quanto Capitan Maggiore) dello galeotte, che servivano di scorta alla Cafila; ed in fine lo pregai a darmi imbarco sopra la sua, ch’era fatta a modo di fregata, e munita di 20. pezzi d’artiglieria. Me lo concesse con molta cortesia (cotanto generosa è la nazion Portughese) ond’io ringraziatolo, ritornai a casa per prepararmi alla partenza. Il Sabato 15. dopo desinare, avendo lasciate le mie robe raccomandate al P. Francesco, per non aver disturbo in quella rigorosissima Dogana; m’imbarcai col servidore nella galeotta del Capitan Moro ed usciti dal Porto colla corrente [p. 17 modifica]grande circa le 21. ora, f‰acemmo vela con buon vento, che continuò tutta la notte.

Sul far del giorno la Domenica 16. fummo a vista della Baja di Suratte (non essendo lontana quella Città, che 60. m. da Daman) ed entrati nella medesima con ottimo vento, andammo a dar fondo a Sualì 12. miglia lontano dalla Città. Mi posi subito in barca, col nipote del Capitan Moro, ed andai a terra; dove diligentemente i Doganieri cercarono le nostre scarselle, per veder se vi avevamo perle, o zecchini. Andai quindi a vedere il Direttore della Compagnia Francese, il quale mi ritenne in sua casa.

Suratte è situata 20. gr. di latitudine, e 105. di longitudine nella bocca del seno di Cambaya, e Regno di Guzaratte. Ella si è di mezzana grandezza, circondata da deboli mura di terra, fattevi da poi che fu saccheggiata dal Salvagì, o Kacagì. Niente migliore si è ’l Castello (composto di 4. Torri, ma non terrapienate) appiè del quale bisogna passare, o si venga da Mare, o da Terra. Il suo Governadore non comanda che a’ Soldati della guarnigione, avendo la Città il suo Nabab, che la governa, e riscuote le [p. 18 modifica]rendite Reali per tutta quella Provincia. Le case de’ particolari sono di fango mescolato collo sterco di vacca, e picciole frasche; le buone saranno solamente una dozzina appartenenti ad alcuni mercanti Francesi, Inglesi, Olandesi, e Maomettani. Che che sia di ciò Suratte è il primo Emporio dell’Indie, dove si ha commercio da tutte le nazioni del Mondo; non essendo nave, per lo grande Oceano Indiano, che non vi si fermi per vendere, comprare, o prender carico: imperocchè nel porto di Suratte si fa negozio non solo di tutte sorti di spezierie, e fra l’altre di giengiovo, ma eziandio di drappi di seta, e d’oro ricchissimi; di tele finissime, e d’altre mercanzie, che vi si conducono da remotissime parti. Vi sono Mercanti così ricchi, che da una sola delle loro botteghe può prender carico qualsisia grosso vascello.

Certamente senza alcuna amplificazion di parole, posso dire, che tutti i ricchi drappi d’oro e seta, che ingegnosamente si lavorano con fiori, ed uccelli; i broccati, velluti, taffetà, ed altri lavori di seta, che si fanno in Amadabar, universalmente si conducono tutti in Suratte, che ne sta solamente quattro [p. 19 modifica]giornate lontana. Dico di Amadabat, ch’è la più gran Città dell’Indie, ed in sì fatto mestiere non ha che cedere a Vinegia; benche nel rimanente le sue case siano basse, e composte di fango, e bambù; siccome le strade ineguali, strette, e piene d’immondizie. Ma dove lascio le finissime tele di Cambaya, e i lavori della più stimata Agata, che si vegga in Europa?

Fu grande, e ricca Città Cambaya Metropoli di quel Regno, mentre vi signoreggiarono i Portughesi, non meno che Barosce, e Suratte; imperocchè questa valorosa nazione assai bene la governava (vedendosi sin ad oggi serrata) dalle porte, ch’ella vi fece:) ma dapoi che l’abbandonò, e si ritirò il Mare, perdè molto del tuo traffico, e magnificenza; perche le barche restano 12. miglia lontano, e non ponno arrivare alla Città, che con la corrente: la quale è sì veloce, ed impetuosa, che un cavallo appena può fuggirle innanzi correndo. Quindi è, che alle volte le navi restano senza potervi, entrare; perche bisogna andar contro vento, per resistere all’impeto dell’acque, che le conducono violentemente.

Barosce (della quale s’è fatta [p. 20 modifica]menzione) è famosa per le sue ottime tele dipinte, e bianche, come anche per lo giengiovo; nè truova miglior vendita delle sue cose, che in Suratte 10. miglia a se vicina. Il suo porto è il fiume, che 15. miglia più sotto rende le sue acque al Mare, dal quale entrano picciole barche, col favor della corrente.

Tralascio a bello studio di far minuto racconto de’ tanti paesi, che come fiumi al Mare, conducono in Suratte ogni loro avere, per lo buono spaccio, che vi truovano; essendo ciò ben noto a gli Europei. Molto maggiore però sarebbe il concorso delle nazioni, se il suo porto fusse migliore; e i vascelli entrati sei miglia dentro il fiume, non fussero obbligati rimanersi in Sualì 10. miglia lontano dalla Città; donde le picciole barche portano, e riportano le mercanzie.

Il Lunedì 17. essendo andato alla Chiesa de’ Padri Cappuccini, la trovai ben ornata; e molto comoda la Casa, che quei buoni Religiosi si han fabbricata all’uso d’Europa.

Fui il Martedì 18. a vedere l’Albero de’ Gentili (da noi detti Baniani) sotto al quale essi tengono le Pagodi de’ loro Idoli, e s’uniscono a far le loro [p. 21 modifica]cerimonie. Egli si è della medesima grandezza, e spezie del descritto in Bander-Congo; le Pagodi però sono diverse, perche sotto questo ne trovai quattro; una detta di Mamaniva (che tiene una grandissima facciata) due altre del Dio-Ram, e la quarta per ritiro de’ Pachir, che fanno penitenza; quando sotto quello del Congo non ve n’è che una.

Sotto quell’albero, e nelle sue vicinanze si veggono molti, i quali s’han preferito, e continuano a fare sì terribili penitenze, che pareran favolose a chi legge, ed impossibili a farli senza ajuto del demonio. Taluno sta sospeso per sotto le braccia da una corda ligata all’albero, toccando solamente i piedi in terra, e’l rimanente del corpo tenendo incurvato; ciò da molti anni senza mutar sito nè giorno, nè notte: altri tengono le braccia alzate in aria, di maniera che col tempo si formano loro dentro le giunture durezze tali, che non possono più abbassare le braccia: taluno sta seduto colle mani in alto senza mai muoverle; altri sopra un sol piede, ed altri stesi con le braccia sotto la testa per capezzale; in somma stanno in modo, che alcuna fiata par che non si debba dar credenza a [p. 22 modifica]ciò che veggono gli occhi, se pure non è illusione. Così dimorano d’ogni stagione ignudi (con lunghissimi capelli, ed unghie cresciute) esposti alle pioggie, a’ raggi del Sole, ed alle punture delle mosche, senza poterle scacciare. Alla necessità di mangiare, e bere danno ajuto altri fachiri, che ne hanno cura.

Questi penitenti non s’arrossiscono di andar nudi da per tutto, come sono usciti dal ventre delle lor madri. Le donne vanno a baciar loro per divozione quelle parti, che non è lecito di nominare: ed eglino prendendole con le dita non sentono alcun movimento di sensualità; e senza riguardarle giran gli occhi d’una maniera spaventevole; siccome ne vidi uno il Mercordì 19. intorniato da alcune semplici donne Gentili, che con molta umiltà lo veneravano.

Il Giovedì 20. fui menato da un giovane Francese a veder un’Ospedale di Gentili, dove 11 alimentava gran quantità d’animali. Questo avviene, perche eglino concedono la Metampsicosi, o trasmigrazione dell’anime e per conseguente pensando, che quelle de’ loro maggiori ponno informare i più vili, e sozzi viventi, gli provvedono di cibo. [p. 23 modifica]Quindi si veggono le scimie dalla campagna venire a mangiare quello essi apprestano. Oltre la diversità di tanti quatrupedi, ed uccelli, che vi si sostentano, si prende particolar cura de’ stroppj, ed infermi. Quello che mi recò orrore (essendovi andato a tal fine) si fu il vedere un poveraccio nudo, ligato di mani o piedi, per servir di pastura a’ cimici, che perciò aveano fatti uscire da’ loro puzzolenti nidi. Il più bello si è, che si truovi uomo, che volontariamente s’esponga a quella carnificina, per una tenue mercede, che se gli dà, secondo la quantità dell’ore, che si contenta di starvi.

Il Venerdì 21. ritirandomi a casa; dopo aver alquanto passeggiato, vidi avanti la bottega d’un Mercante Gentile radunate molte persone, e in mezzo di esse un Birbante, che teneva in una mano una gallina, e nell’altra un coltello. Richiesta la cagione di tal novità, mi risposero: che quegli si era un forfante, il quale quando voleva cavar danari, portava quella gallina per la strada de’ Gentili, in atto di volerla uccidere; acciò que’ meschini gli dassero danari per iscamparla dalla morte; credendo ogn’uno di essi, che in quella gallina potria esser l’anima di [p. 24 modifica]qualche suo parente. In fatti vidi, che riscosse poche monete, e passò avanti, minacciando di far lo stesso.

Il Sabato 22. essendosi unite le Cafile, che venivano da Diù, Cambaya, Barosce, ed altri luoghi, per passare in Goa, e nelle Terre di Portogallo; e stando parimente per partire le galeotte, per accompagnarle; io ritornai ad imbarcarmi nell’istessa di prima. Usciti con vento prospero dalla bocca del fiume entrammo in alto Mare; ed avendo due ore aspettato che passassero innanzi le picciole barche, camminammo lentamente tutta la notte.

Al far del giorno la Domenica 23. ci trovammo molte miglia lontani da Daman, e fuor di tempo di sentir Messa. Sulle 22. ore diedero fondo le galeotte fuori la bocca del fiume, dove cominciarono ad entrare alcune picciole barche. Trovai, che m’attendeva con gran deriderio il Padre Francesco, il quale mi ricevè con gentilissime, e sincere espressioni. Il Lunedì 24. andai togliendo commiato dagli amici, che mi avean favorito, essendo pronto l’imbarco per andare a Bassin.