Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. V/Libro I/I

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Libro I - Cap. I

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Libro I Libro I - II
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CAPITOLO PRIMO.

Navigazione sino all’Isole Filippine.


E
Gli si è tanta, e sì grande la dignità, ed eccellenza dell’umana natura, e cotanto attiva la virtù delle scintille di quel celeste fuoco, di cui partecipa; che molto dappoco, ed indegni d’essere appellati uomini; denno riputarsi coloro, i quali, o per pusillanimità, da essi chiamata prudenza, o per pigrezza, che [p. 2 modifica]dicono moderazione, o in fine, per avarizia, cui dan nome d’iconomica; dalle gloriose, e chiare azioni, per qualunque modo, s’arretrano. Molti, senza dubbio le difficili imprese, da altrui generosamcnte recate a fine, volontieri, con istudiate parole, e in rima, e in prosa, sino alle stelle s’ingegnano d’innalzare, ma pochissimi poi, per giugnere a cotal laude, le loro operagioni indirizzar vogliono: e molti Oratori, e Poeti sarà facile di rinvenire, che prendano a dir di Alessandro, e di Cesare, di Temistode, e di Scipione, che in nulla cosa avrebbono poscia ardimento di esserne imitatori. Sì fatto vizio, sin dalla mia prima giovanezza, avendo avuto a sdegno; ed avendo ormai, colla sperienza, apparato a soffrire i patimenti, che ne’ lunghi viaggi s’ìncontrano; deliberai, senz’altro indugio interporre, passar da Macao, all’Isole Filippine, sul Petacchio Spagnuolo, che drappi di seta colà portar dovea (siccome nel precedente volume divisai): per espormi quindi alla più pericolosa navigazione, che immaginar mai si possa, e che per lo spazio di sette mesi, fecemi bersaglio di fiere, e spaventevoli tempeste.

Erano già i 7. del mese di Aprile 1696. [p. 3 modifica]quando il Capitano della Nave suddetta, dovendo in brieve scioglier dal porto, fece (quasi per commiato dagli amici, che rimanevano) un lauto banchetto, e magnifico, in sua casa. Fui ancor’io degl’invitati; e desinato, ch’ebbi me n’andai alla nave; troppo dilicatezza parendomi quella d’alcuni Mercanti Spagnuoli, i quali vollero rimanersi a terra, per godere in quella notte ancora, della morbidezza del letto.

La Domenica 8. prima che spuntasse il Sole, venne lo Scrivano maggiore dello Xupu, o Doganiere, con altri Uficiali minori, a visitare il Petacchio, giusta il costume; per riconoscere, se vi erano imbarcate Donne, o Uomini Cinesi. Con tutto che dalla gentilezza del Capitano fussero stati regalati soprabbondantemente pure la loro ingordigia, non mai sazia di dimandare, pose loro nel capo nuove pretensioni; non ostante lo stabilito nel dì antecedente. Dissero voler fare nuova diligenza fra’ drappi, e ricami, per vedere se vi era color giallo, e Dragoni con cinque unghie, che sono spezial divisa dell’Imperadore; e come che vi era così l’uno, come l’altro, e di amendue vietata l’estrazione; s’ebbe per [p. 4 modifica]bene accomodar l’affare, con buona somma di pezze da otto; onde verso mezzo dì si partirono tutti ben contenti.

Liberati dalle pretensioni del Doganiere s’apprestò la mensa, e si desinò allegramente. Finito il desinare, vedendosi cominciar la corrente opportuna, si tolse l’ancora; e a seconda della medesima cominciammo a farci avanti; poiche non era il vento troppo favorevole. Giunti alla Fortezza della Barra, ci accodammo tanto a terra, che il Petacchlo diede in secco; però un Biscayno pratico, appellato Savaletta, usò tal diligenza, con un’ancora, che lo tirò subito fuor di pericolo. Salutata la Fortezza, collo sparo di cinque pezzi, de’ sei di bronzo, che portava la Nave, continuammo il cammino. A mezza notte però demmo fondo in alcune Isole, discoste dodici leghe da Macao. Venne la notte una Lorgia, o barca, con alcune balle di drappi per lo piloto; ed essendosi, coll’occasion dello scaricare, nascosti dentro il nostro Petacchio un Moro, e un’altro schiavo di Timor, per passare in Manila; il Capitano lo fece trovare, e per forza porre nella loro Lorgia: con tutto che il Moro, per non esser discacciato, dicesse, di volersi far Cristiano. [p. 5 modifica]

Il Lunedì 9. a cagion del vento cotrario, non potemmo partirci così presto; ma dopo essersi celebrata la Messa, si tirò l’ancora, e camminammo due leghe. Il Martedì 10. divenuto il vento favorevole, si sciolsero le vele verso mezzo dì; e non solo andammo avanti tutta la notte seguente, ma il Mercordì 11. uscimmo fuori, dalla strettezza del’Isole, in alto Mare. Al cader del Sole passammo la Pietra bianca, cotanto pericolosa a’ vascelli. Il Giovedì 12. rinforzossi il vento in maniera, che facemmo molto cammino: e se per lo passato eravamo andati verso Levante, per non dare in alcune secche, che si stedono dodici miglia; d’allora in poi si pose la prora per Scirocco e Levante: ch’è la linea, sulla quale si dee navigare, per iscoprire l’Isola di Manila.

Divenne così contrarlo il Venerdì 13. che non ci permise di far cammino, al che si aggiunse la corrente contraria il Sabato 14. che ne portò sempre verso Mezzogiorno. Cominciò a farsi più placido il vento la Domenica 15. e’l Lunedì 16. poi stemmo affatto in calma; come anche il Martedì 17. e’l Mercordì 18. sino al tramontar del Sole: ma poscia [p. 6 modifica]soffiando un buon vento, cominciammo ad innoltrarci.

Può dirsi, che la nostra felicità fu un sogno, poiche durò il vento solamente la notte; e la mattina del Giovedì santo 19. ritornò la calma. Presero i marinaj Venerdì 20. un gran Tuberone, coll’amo; ed apertogli il ventre, ne trovarono 3. altri piccioli, che buttati in Mare, andarono guizzando. Dissero alcuni, che il grande era femmina, e’ piccioli suoi figli, che s’avea inghiottiti, per non fargli perdere: e che ella a tal fine suole anche portargli sotto le ali. Altri erano di parere, che nel ventre fussero sbucciati dalle uova, ciò ch’è alquanto più verisimile, se si vorrà considerare, che v’ha tal pesce, che schiude le uova dentro il ventre, siccome osserviamo tutto dì nelle anguille.

Il Sabato santo 21. continuò l’istessa calma; come anche la Domenica 22. Pasqua di Resurrezione, che si solennizò con quella pompa, che permette un Petacchio. Continuò l’istessa calma il Lunedì 23. Il Martedì 24. si mosse un vento favorevole; ma poi di nuovo tornò la calma il Mercordì 25. Il Giovedì 26. dopo mezzo dì, tornò il vento, col quale andammo [p. 7 modifica]tanto avanti, che il Venerdì 27. vedemmo il terreno d’Illocos dell’Isola di Manila. Il Sabato 28. anche con buon vento costeggiammo; sicchè la Domenica 29. riconoscemmo il Capo di Bolinao, e la Terra di Pangasinan, Metropoli della Provincia. Il Lunedi 30. continuammo a costeggiare l’istessa Isola di Manila.

Il Martedi 1. di Maggio, essendovi poco vento, n’avvicinammo, col petacchio, a terra; e’l Mercordì 2. ritornò la calma in tal modo, che non potemmo passare due picciole Isole, dette Las dos Ermanas. Il Giovedì. 3. si fece parimente poco cammino. Il Venerdì 4. andammo lentamente, e appena ci facemmo a fronte di Playa onda. In questo luogo sta un picciol Castello, con venti Spagnuoli di presidio, che a gastigo vi manda il Governadore di Manila. I Padri Domenicani vi tengono una casa di Missione; per istruire gl’Indiani, che si riducono alla nostra santa Fede.

Il Sabato 5. si vide in alto Mare un prodigio; cioè una gran quantità d’acqua, levata in alto, chiamata dagli Spagnuoli Manga. Essi dicevano, che ciò si facea a modo dell’Arco baleno, nell’aria: però non volevano a patto alcuno [p. 8 modifica]concedermi; non esservi altra differenza, che queste erano gocciole più grosse, e quelle dell’Arco più picciole. Ciò fu presagio d’una grave tempesta, che sopravvenne a mezza notte, e ne pose in gran pericolo; durando sino a mezzodì della seguente Domenica 6. Acchetatasi poscia, passammo il Capo di Capones, chiamato così, per due piccioli scogli, che sono alla punta. Si stende questa molto spazio in Mare, e perciò è difficile a passarsi. Demmo fondo la notte a fronte del Seno di Mariumau; dove non ne parve d’entrare al bujo, a cagione delle secche, che vi sono.

Si tolse l’ancora di buon’ora il Lunedi 7. però si camminò poco, per difetto di vento; e appena ci avvicinammo al Capo di Batan. Al tramontar del Sole bensì si mosse un forte vento, con pioggia, tuoni, e lampi, che ne fece andare avanti, con molto pericolo. Passammo quindi gli Scogli, detti de las Porcas, y Porquittos; che sono due grandi, e cinque piccioli, nella bocca dell’Isola di Maribeles; e un’altro, detto la Monja. Nell’entrare, che facemmo per mezzo la bocca, formata dall’Isola di Maribeles, e la punta del Diablo, fece fuoco il Casale di Maribeles; acciò [p. 9 modifica]noi, nell’oscurità della notte, non urtassimo a terra. Essendoci avveduti, che la guardia dell’Isola d’Ilas, o Maribeles non ne avea veduti, a cagion delle tenebre, facemmo accender lumi, per avvertirla: E in fatti venne l’Alfiere, che stava di sentinella, con una picciola barchetta, a riconoscerci, e dimandar donde venivamo. Datogli il capo montò su; e dopo averne, per lo spazio d’un’ora, data notizia dello stato di Manila, se ne andò via. Innoltratici tutta la notte, la mattina del Martedì 8. di Maggio ci trovammo dirimpetto al Castello dì Cavite. Or mentre ci avvicinavamo a Manila, ne venne all’incontro il Maestro dì Campo Andaya, per vedere il Capitano del petacchio. Quando ne fu da presso, venne salutato con sei tiri di petriera (siccomc quando si partì); e in fine venne su, con molti altri suoi compagni; fra’ quali essendovi D. Gabriele de Sturis, di Pamplona, dell’istessa profession legale, contraemmo subito buona amistà. Venne frattanto un buon rinfresco di cioccolata, uve fresche, melloni, ed altre frutta del paese; di cui veramente avevamo di bisogno, per riaverci da’ disagi passati.

Avendo avuta notizia, che in [p. 10 modifica]Manila stava per Rettore il Padre Antonino Tutio Messinese, smontai l’istesso dì, per vederlo; e col suo mezzo provvedermi d’alloggio. Ebbe egli grande allegrezza del mio arrivo; perche il Padre Turcotti glie ne aveva data contezza sin dalla Cina; dandogli fermamente a credere, che io era Inviato Apostolico, per prendere informazione delle mentovate differenze, fra’ Missionarj, e’ Vicarj Apostolici: giudizio, che molti altri fecero in Manila.

Avendo dimandato al Padre Rettore, che giorno era, e quanti ne avevamo del mese; mi rispose, che in Manila era Lunedi 7. di Maggio; quando secondo il conto, e Diario, cominciato in Europa, da Oriente ad Occidente, io contava (e secondo il computo de’ Portughesi) Martedi 8. di Maggio, giorno dell’Apparizione di San Michele. Ciò mi fu di gran maraviglia sul principio, vedendo d’avere avuti, in una settimana, 2. Martedì; uno in Mare, e l’altro in Manila: ma considerando poi, che le Tavole della declinazione del Sole sono composte per un certo, e determinato Meridiano; e che tutto lo spazio dì tempo, che il Sole consuma, col movimento [p. 11 modifica]primo mobile, in ogni suo giro, da che esce da un Meridiano, sino al ritornarvi; si divide in 24. spazj, che si chiamano ore; cessai di maravigliarmi. E certamente, ciò presupposto, partendosi due vascelli da questo Meridiano, in un medesimo giorno; e l’uno navighi verso Oriente, l’altro verso Occidente, colle medesime tavole di declinazione; dopo che amendue avran fatto il giro del Mondo, ritornando d’onde erano partiti, vedrassi, che quello, che avrà navigato verso Oriente, avrà contato un giorno di più, di quello, che in verità avrà fatto il Sole, secondo le tavole di declinazione: e perche a misura, che la nave và sempre acquistando meridiani più Orientali, i giorni, che và contando, sono minori di 24. ore: sicchè ogni 15. gradi, che s’innoltra verso Oriente, i giorni saranno minori un’ora; e se sono 90. gradi, saranno minori 6. ore; e altrettanto spazio mancherà al Sole, per arrivare alla declinazione, che le Tavole mostrano in quel dì, o per crescere, o per mancare. In cotal guisa, quando il vascello avrà fatto tutto il giro per Oriente; compiendo i 360. gradi, a’ quali corrisponde un giorno intero; pensando il navigante, [p. 12 modifica]che arriverà in porto, d’essere in un certo dì, secondo il computo fatto de’ giorni minori; in verità, e secondo quello delle tavole, colle quali si regolano i Cittadini del porto, sarà un dì prima: perloche se in quel giorno le declinazioni crescono, è cosa chiara, che si ha da torne tutto quello, che da un giorno all’altro la declinazion cresce; e quando la declinazion manca, s’ha d’accrescere, per situarsi colla declinazion delle tavole, ch’è vera, et invariabile. Il contrario succede alla nave, che sarà andata verso Occidente; perche, come si va allontnando dal Meridiano del porto; il movimento diurno del Sole sarà più di 24. ore: e per questa causa anderà sempre il navigante contando maggiori dì; cioè, ad ogni 15. gr. che si allontana dal Meridiano, che ha lasciato, sarà maggiore d’un’ora; e in 90. gradi, sei ore, più di quello, che mostrano le tavole. E finalmente finito il giro del Mondo, si troverà aver consumato, ne’ giorni di sua navigazione, un giorno naturale, di 24. ore, meno (rispetto alle tavole) et esser giunto (secondo il suo conto) un dì prima di quello, che mostrano le tavole, e’l numerare degli abitanti del porto. In questo [p. 13 modifica]caso sarà necessario aggiugnere tutto quello, che il Sole cresce in declinazione da un giorno all’altro; togliendone quello, che in quel dì manca. Tutto ciò, ch’è detto, diverrà più chiaro, con questo esemplo.

Partirono due vascelli dal porto di Lisboa, il 1. giorno di Maggio del 1630. un verso Oriente, e l’altro verso Ponente; e compiuto da amendue il giro del Mondo, ritornarono nel medesimo porto di Lisboa, parimente al primo di Maggio del 1631. ch’era terzo dopo il bisesto. Come che, secondo le tavole, tenea il Sole, in quel dì, di declinazione 15. gradi, e 6. minuti; e quello, ch’egli cresce da un dì all’altro, son 18. minuti; venne quel dì ad essere in Lisboa, Giovedì; ma perche colui, che navigato avea verso Oriente, avea fatti più piccioli i giorni, necessariamente, nel fine del suo viaggio, si trovò averne soverchio uno intero; e trovò, secondo il suo conto, essere arrivato nel porto di Lisboa il Venerdì seguente, 2.di Maggio: e perciò dicea, che il Sole avea di declinazione 15. gr. e 24. m. ciò che non era vero, per esser giunto, secondo le tavole, al primo di Maggio, nel quale il Sole non avea di declinazione più di [p. 14 modifica]15. g. e 6. m. Togliendosi adunque i 18. m. che il Sole, in tal tempo, cresce da un dì all’altro, venne a restare la vera declinazione del primo di Maggio 1631. Ma quello, che navigò per Occidente, e per conseguente con giorni maggiori; di necessità, in fine del viaggio, venne a trovarsi meno un giorno: sicchè quando, secondo il suo conto, credea d’essere arrivato nel porto di Lisboa, il Mercordì precedente al primo di Maggio (perche vedeva la declinazione nelle sue tavole di 14. gr. e 48. m.) si avvide, d’essersi ingannato; trovando in porto, conforme alle tavole del primo di Maggio, la declinazione di 15. gr. e 6. m. Aggiunti adunque 18. m. a’ 14. e 48. m. si fa in tutto la somma di 15. gr. e 6. m. quanta era la declinazion del Sole nel primo di Maggio. In questa guisa i due vascelli mentovati, secondo i loro conti, si trovarono differenti in due giorni; perche quello, che navigò verso Oriente, pensava d’essere arrivato nel porto di Lisboa, il Venerdì a’ 2. di Maggio, e l’altro il Mercordì precedente al primo di Maggio: ma secondo la verità delle tavole, e’l conto degli abitati di Lisboa, arrivarono amendue i vascelli nel 1. di Maggio. [p. 15 modifica]

Se si potesse dare un’oriuolo, tanto giusto, ed uguale, che non mai variasse; un navigante, partendosi da Napoli, col medesimo in moto, e girando attorno al Mondo; quando egli sarebbe di ritorno in Napoli, troverebbe alla fine dell’anno il medesimo giorno, senza alcuna mancanza. Parimente partendosi alle 6. ore dal meridiano di Napoli, e camminando in 6. ore 90. gr. (quanto cammina il Sole) quando si crederebbe esser già le 12. nel meridiano, dove giugnerebbe, siccome nel meridiano lasciato; troverebbe, con sua maraviglia, eziandio le sei ore.

Per confermare adunque colla sperienza ciò, ch’è detto; da quì avanti continuato il Diario, secondo il computo di Manila; lasciando un dì, che di più numerava, secondo il conto d’Oriente, e Macao: e in vece di dir Martedì 8. dirò Lunedì 7.

Mi licenziai dal P. Rettore la mattina del Martedì 8. per ritornare alla nave, a tor le mie robe. Desinai nel petacchio, con D. Domenico di Seila, Fattore; che vi rimase, per soprantendere al medesimo, fino a tanto, che il Fiscale facesse la visita. Tre ore prima di tramontare il [p. 16 modifica]Sole, venne l’avviso in iscritto del Capitan Basarte; che ogni uno potea prendersi la sua roba; perche di già s’era fatta transazione, per las Alcavalas, o diritti Reggi, in tre mila pezze d’otto: ciò che fu ben poco per ducento mila pezze di valsente; pagandosi da’ Cinesi il 6. per 100.

Fatta porre in barca la mia cassa, e la valige, andai a terra presso la porta di S. Domenico; dove trovai un’Ajutante, mandato dai Governadore, che mi disse, che questi mi attendeva in palagio. Vi andai allora medesima; e fui ricevuto con molta cortesia, e regalato di cose dolci, e cioccolata. Era egli un Cavaliere quanto curioso, altrettanto virtuoso; e perciò mi trattenne per lo spazio di 4. ore, sempre interrogandomi de’ costumi de’ Regni, e delle nazioni, colle quali io, viaggiando, avea trattato: di maniera che stando già pronta una carrozza a sei, colla quale volea andare a diporto; fece tor via i cavalli, per soddisfar la curiosità. Alla fin, essendomi licenziato, mi si offrì gentilmente in tutto quello, che mi bisognava. Feci condurre le mie robe in una stanza del Collegio; dove venne ad onorarmi il P. Rettore; come avea fatto anche la notte antecedente.