Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. V/Libro II/IV

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Libro II - Cap. IV

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CAPITOLO QUARTO.

Alberi, e frutta dell’Isole Filippine.


D
Ue sono le frutta di maggior pregio nell’Isole; et amendue nascono ne’ boschi, senza alcuna industria umana. Il primo vien detto Santore, della grandezza, figura, e colore d’una pesca matura; però un poco schiacciato. Egli, raccolto a tempo debito, ha la scorza dolce; e partito vi si truovano dentro cinque spicchi, come quelli de’ melarangi; e così agri, e bianchi. Gli Spagnuoli lo stimano al pari della mela cotogna; onde ne fanno conserva, della stessa maniera, divisolo per mezzo. Condito in aceto è anche buono; e, posto mezzo maturo nelle minestre, dà buon sapore. Or essendo [p. 169 modifica]pieni i boschi di questi alberi, e’l zucchero a dieci carlini il cantaro (peso, che val quanto cento libbre spagnuole); i Frati tutti delle Filippine ne sciroppano gran quantità, per servirsene mattina, e sera in fine della mensa. Oltreacciò le foglie han virtù medicinale, e’l legno è ottimo per fare statue. L’albero è simile a quello della noce, però con frondi più grandi. L’altro frutto, che si chiama Mabol, è alquanto più grande del primo; però lanuginoso, come una mela cotogna, ed a color di melarangio. La polpa è di sapor ingrato, di difficil digestione, e contiene sei noccioli. L’albero è alto quanto un buon pero; ha i rami spessi, e le foglie grandi, lunghe, e verdi, come quelle del lauro. Il legno stagionato è poco inferiore all’ebano. L’uno, e l’altro si vedrà nelle seguenti figure.

Vi nascono medesimamente Bilimbini, da’ Portughesi chiamati Carambolas (siccome nella terza parte divisai) però se nell’Indie Orientali sono acide, il terreno di Manila le produce d’un sapor misto di agro, e di dolce. Si mangiano crude (in vece di salsa) condite in aceto, e inzuccherate.

La Macupa, detta da Portughesi [p. 170 modifica]Giambo, è più grande di quella, che nasce in Goa. Non vi mancano altresì Banchilin (da’ Portughesi chiamate Bilimbin) Giacche, dette dagli Spagnuoli Nancas; Tampayes, che i Portnghesi dicono Giambos de Malaca; Cassuì, o Cagius, ed altre, che, per essere altrove descritte, a bello studio quì si tralasciano.

Vi sono di più Mangas di Siam (chiamate da’ Portughesi Mangas de Papagallo) da poco tempo introdottevi; e Camies, coll’ albero, e frutto simile alle Carambole Portughesi; però senza spicchi, e più acide.

Tutte le mentovate sin’ora sono come frutta di giardino; però ve ne sono altre silvestri, di non minor sapore, se si colgono a tempo debito. Il Lumboy (da’ Tagali appellato Dobat) è un’albero, simile in tutto al pero: fa un leggiadro, ma picciolo fiore bianco; e’l frutto, come una ciriegia, se non che è più lunghetto, a guisa d’oliva. I Portughesi lo dicono Giambulon.

Il Dottoyan è un’albero più raro, il di cui frutto è simile in tutto al Giambulon, di color rosso, e con nocciolo: la polpa è bianca, e’l sapore misto di agro, e di dolce. [p. 171 modifica]

Il Panunguian è albero grandissimo, che produce un frutto, quanto un’uovo di colomba, colla scorza rossa; simile in durezza, e in figura alla pina. Dentro vi sono noccioli, e una polpa trasparente, saporosa, e giovevole alla digestione. Altri a questa frutta han dato nome di licias, per la simiglianza, che ha con quelle della Cina; però sono diverse.

Il Carmon è buono a mangiarsi cotto, incitando l’appetito. E’ un frutto grande quanto un pomo; e tiene la scorza, come la cipolla; è la polpa di dentro agra, e dolce. L’albero è quanto un melo, e cresce di facile nelle rive de’ fiumi.

In alcune Isole sono i tanto celebrati Durioni. L’albero è grande, e’l frutto nasce al grosso de’ rami, come le pine. Sul principio, che s’assaggia, porge al naso un’ingrato odor di cipolla, ma assuefacendovisi, si rende soavissimo a tutti gli stranieri. Vi sono di più Maranes, alquanto simili a’ Durioni; e lanzones, o Boasbas, che al sapore ed altre qualità, ponno chiamarsi Uve.

In luogo d’olive nascono, ne’ monti dell’Isole, los Paxos, che, colti teneri, dalle olive poco differiscono. Acerbi si mangiano conditi in aceto; e maturi sono d’esquisito sapore. [p. 172 modifica]

Negli alti monti d’Iloccos, e Cagayan si truovano grandissimi pini silvestri. Non si truovano nelle lor pine, pinocchi, come i nostri; ma in lor vece los piles, non molto dissimili; ma del sapor di mandorle, e che servono a tutti quegli usi, che le mandorle fra di noi servono.

Il lumbon produce alcune picciole noci, con scorza dura, la di cui polpa ha il sapor de’ pinocchi. Come che debilita lo stomico, l’uso più ordinario appo i Cinesi si è, di trarne l’olio, ch’adoprano poscia, per calafatare, e spalmar le navi.

I melaranci sono di più spezie; e tutti diversi, e maggiori dì quelli d’Europa. Limoni ve n’ha piccioli, e grandi; però la più parte dolci. Vi sono Giamboe, due volte più grandi d’un capo umano, rotonde, e gialliccie. Alcune tengono dentro i spicchi incarnati, altre gialli, ed alcune bianchi. Il sapore è di limone, misto di agro, e di dolce; e l’albero altresì al limone s’assomiglia, in grandezza, e nelle foglie.

Delle frutta della nuova Spagna vi sono introdotte los Ates, Anonas, Zapotes prietos, Cicoszapotes, Aguacates, Papayas, Mameyes, e Goyavas Peruleras: e di queste abbondano cotanto i monti, che non hanno maggior [p. 173 modifica]soccorso i poveri. Ne fanno conserva, e vino assai migliore di quello di palme; e di quello di pome, che si sa, nel Tirolo. Questa frutta mangiata cruda ristringe; e quando è molto matura, per lo contrario rilascia lo stomaco. Cotte le foglie giovano all’enfiamento di gambe; e gl’Indiani, riducendole in polvere, si curano dalle battiture della settimana santa. Di frutta d’Europa non ponno assaggiare gl’Isolani, perche il terreno non è capace di produrle: e sebbene, nel Castello di Cavite, vi sia qualche vite d’uva moscata, non la porta però bene a maturità; come nè anche i fichi, e le melegrane del Convento de’ PP. Gesuiti dell’istessa Terra.

Tutti i mentovati sin’ora, servono solamente per diletto del palato; quegli alberi però, che recano utile insieme, e diletto, e ne’ quali consiste, per lo più, il patrimonio de’ migliori delle Filippine, sono le palme. Se ne contano sino a quaranta spezie; però fra le principali, che danno il pane cotidiano, si è primamente quella, detta da’ Tagali Toro, da los Pintados Landan, e da’ Molucchi Sagu. Ella, a differenza delle altre, nasce, e cresce naturalmente, senza coltura, sulle rive de’ fiumi. Non s’innalza molto; però [p. 174 modifica]tiene buona grossezza. Tutta quanta si è, dall’alto sino al basso, è di una sostanza molle, come un ravanello; coperta da un solo dito di corteccia, non molto dura, nè liscia. Se ne servono in questo modo: la tagliano in pezzi, e la pongono a macerare un poco nell’acqua; poi ne tolgono solamente una lista della corteccia (acciò il rimanente serva, per contenere la sostanza interiore) e tagliano quel bianco, che sta dentro in minutissimi pezzetti: tagliato, lo pestano co’ piedi, dentro ceste fatte di canne, presso al fiume; in modo tale, che la sostanza migliore, se ne scorra (coll’ajuto continuo dell’acqua) nella sottoposta barchetta, piena d’acqua. Indi poi si toglie, e si pone entro forme, fatte di foglie di palme (simili a quelle, in cui si fa il cacio, fra di noi) dove s’indurisce alquanto, come un’amido molle; che poi asciutto al Sole, senz’ajuto di forno, serve di pane, molto nutritivo, e durevole.

Il secondo genere di palme si è quello, che dà il vino, e l’aceto. I Tagali le chiamano Sasà, i Bisay Nipa. Elleno non giungono a tal grandezza, che meritino il nome d’albero; perocchè nascono in luoghi abbondanti d’acqua salmastra, [p. 175 modifica]e spezialmente dove giungono le onde del Mare. Il frutto sarebbe simile al dattilo; però giammai non giunge a maturità, perche gl’Indiani, appena spuntato il fiore, troncano il ramo (com’è detto di sopra) acciò, nel tronco di canna, sottopostovi, renda il licore. Accade alle volte, che uno di tai tronchi, capace di ben dieci caraffe Napoletane, in una notte si empie. Quando non si distilla, o non s’accomoda, nel modo di sopra narrato, (cioè colla scorza di calinga, simile alla cannella) diviene agro, come aceto. Le foglie di queste palme, tessute con sottili canne d’India, servono per coprir le case, a guisa di tegole, e durano sino a sei anni.

Si fa anche vino, aceto, e tuba di palme di Cocco; le quali oltreacciò sono di maggior utile, e importanza all’Isole, a cagion dell’olio, che se ne tragge; e che quando è fresco, è buono anche per mangiare. Si tira anche, dal midollo del medesimo cocco, un’acqua dolce, come zucchero; e un certo, come zucchero, formato dall’istessa acqua condensata. La prima scorza serve per corde, e miccie, e per calafatar le navi. L’altra scorza più interiore serve per far vasi, e per altri [p. 176 modifica]usi, notati altrove.

V’ha un’altro genere di palme, appellato Burì, dal quale han preso nome l’Isole di Birì, e Burias, verso lo Stretto di San Bernardino. L’albero è più grosso di quello del cocco; le frutta sono propiamente dattili (del cui nocciolo si fanno buoni Rosarj), e le foglie altresì come delle palme comuni d’Africa. Sul principio dell’anno i Bisay tagliano il piede del frutto; e così ne raccolgono il licore, come si fa nella nipa, e palma di cocco. Di questo licore, oltre l’aceto, fanno, per mezzo del fuoco, un come mele, e zucchero nero (che dicono Pacascas), che poscia vendono in cassette, come cosa molto pregiata da gl’Isolani. Avendolo io assaggiato, lo trovai un poco salso, e solutivo. Ne fanno anche il Sagù, come delle prime; e in caso di sterilità, si fa una spezie di farina del frutto macinato; però non così salubre, come quello del Sagù.

L’altra palma, appellata Bonga, ha le foglie simili a quella del Burì; però dissimile il tronco, e le frutta. Il tronco della Bonga è alto, sottile, diritto, e nodoso da per tutto. Il frutto è come grossa ghianda, e stimatissimo, perche con [p. 177 modifica]esso, fronda di Betle, e gesso si fa una composizione, quanto una picciola ghianda, da essi, e da tutti gli Orientali molto pregiata; come cosa, che conforta lo stomaco, fortifica i denti, fa buono il fiato, e le labbra morbidissime, e rubiconde: però usata immoderatamente, rende i denti, e le labbra nere; siccome sperimenta la maggior parte degl’Indiani, che dalla mattina alla sera altro non fanno, che masticarne. V’ha taluno, che se ne starà uno, e due giorni senza mangiare, credendo di riceverne nutrimento.

L*ultima spezie di palme utili (lasciando l’altre, benche fruttifere) è la Yonote. Ella provvede gl’Isolani di lana (detta Baroc) per materasse, ed origlieri, e di canapa nera (che chiamano Jonor, o Gamuto) per far le gomene delle navi. Le sue fila, nella lunghezza, e grossezza, sono come canapa; nella nerezza, come crini di Cavallo: e si stima, che resistano molto all’acqua marina. Così la lana, come la canapa si toglie d’intorno al tronco. Produce quest’albero alcuni piccioli cocchi, attaccati a lunghi grappoli; però di niun’uso. Gl’Indiani traggono anche da’ teneri rami Tuba dolce, che divenuta acida ubbriaca. Le cime tenere si mangiano, [p. 178 modifica]ma non sono così buone, e saporose, come quelle del Cocco, che si mangiano cotte.

A tutte queste differenti palme è comune, il potersi tessere le loro foglie, così per farne cappelli; come per coprir le case, farne stuoje per le camere, vele per le Navi, ed altro: sicchè la povera gente, truova in esse da mangiare, da bere, da vestire, e da abitare: ciò che Plinio, nella sua naturale Istoria lib. 13. c. 4., lasciò scritto, sono più di mille, e cinquecento anni.

Le Tamarindi, o Sampalos sono frutta silvestri; e vengono entro guaine, a modo di fave verdi. Sono di sapor piccante, onde si mangiano col sale, e se ne fa conserva col zucchero. L’albero è ben’alto, e folto; le frondi plcciole; e’l legno stagionato, serve per varj lavori, come ebano.

Si truova anche nell’Isole gran copia di Cassia. L’albero non è così grande, come quello delle Tamarindi; però è molto più folto di rami. Le foglie sono tinte di un vago verde, e maggiori di quelle del pero; e cotte col fiore, a modo di conserva, fanno il medesimo effetto, che la polpa del frutto, e con minor nausea. Parimente il frutto tenero, fatto in conserva, è sicurissimo, e buon solutivo. Ne [p. 179 modifica]abbondano tanto i monti, che ne’ mesi di Maggio, e Giugno ne ingrassano i porci; particolarmente in Mindoro.

In tutti i monti sono tante altre differenti sorti d’alberi grandissimi, (che servono per la fabbrica delle navi, e delle abitazioni), e sempre verdi; che a patto alcuno non può fra di loro innoltrarsi, chi, per lunga isperienza, non ne ha apparati i vadi: siccome io per veduta compresi, andando a caccia. Tra’ più stimati si è l’ebano nero; il Balayong rosso; l’Asanà, o naga, di cui si fanno tazze, per bere (perocchè in esse l’acqua, divenuta turchina, è molto salubre, nè di mal sapore; siccome io sperimentai), e si trae un licore, the si appella sangue di Drago, intaccando l’albero. Di più il Calingak odoroso, e con corteccia aromatica, come cannella; ed altri molti, tutti utilissimi, così per tingere, come per odore; ed altri infiniti usi, de’ quali sin’ora, nè anche la centesima parte è venuta a conoscenza di que’ Popoli. Quelli, che sono detti Tigas (cioè duri) sono ottimi per far Vascelli; e ve n’ha una spezie così dura, che non può segarsi, che con serra ad acqua, come il marmo. I Portughesi perciò lo chiamano ferro. [p. 180 modifica]

In alcuni monti dell’Isola di Manila, vi è gran copia altresì di noce moscata silvestre, di cui non si cava alcun profitto. Nell’Isola però di Mindanao, sono ne’ monti, molti grandi alberi di cannella. La stravaganza maggiore, che si osservi nell’Isole, si è, che le foglie di alcuni alberi, giunte a una certa maturità, si trasformano in viventi; che hanno ale, e piedi, e coda, e volano, come qualsivoglia uccello; quantunque rimangano dello stesso colore delle altre frondi. Dalle fibre più dure del mezzo si forma il corpo (più, o meno grande, giusta la grandezza della fronda); da quella parte, che sta attaccata all’albero si fa la testa; dall’altra estremità la coda; dalle fibre laterali i piedi; dal rimanente le ale.

Mi disse il P. F. Giuseppe d’Orense Francescano Riform. e Provinciale della Provincia di S. Gregorio delle Filippine, ch’essendo egli Minisiro nella Provincia di Camarines del Villaggio di Camalic, ciò vide con gli occhi proprj; e me ne fece una fede autentica, che appresso di me si conserva. Confermò l’istesso D. Fr. Gines Barrientos, Vescovo di Troya, e Coadjutore dell’Arcivescovato di Manila. La figura seguente di tal fronda s’è posta, per [p. 181 modifica]soddisfazione de’ curiosi; però, se fusse mio mestiere il filosofare, direi, che ciò potrebbe esser vero in un sol modo: cioè generandosi da quella tal foglia un verme, che poi mettesse l’ale; siccome osserviamo tutto dì nelle mosche, zanzare, bachi da seta, ed altre infinite sorti di vermi.

Dalla nuova Spagna è stata portata nell’Isole, la pianta del Cacao; ed è riuscito in tal modo il moltiplicarvisi (benche non così buono) che fra poco tempo non vi sarà bisogno di quello d’America.

Quelle antiche selve, che da molti, e molti secoli non han provato colpo di scure, sono anche di grandissima utilità e guadagno agli Isolani; perocchè v’ha infinite api, che loro somministrano, [p. 182 modifica]senza che essi vi si adoprino, incredibile copia di mele, e di cera. Elleno sono di molte spezie: quelle dette dagl’Indiani Pocoytan, sono maggiori dell’Europee; e fanno i loro favi (ben quattro palmi lunghi, e larghi a proporzione) sui rami d’alberi altissimi; e talora sette, e otto nel medesimo luogo, che, malgrado delle continue pioggie, pure si conservano interi. Quelle, che si dicono Liguan, sono grandi quanto l’Europee, e fanno i favi nella concavità de’ tronchi degli alberi. Altre picciole, come mosche, dette Locot, non hanno aculeo; ma fanno il mele acido, e la cera nera; e vanno in traccia del mele delle altre. Ve n’ha un’altra spezie, che si chiama Camomo, la quale, a simiglianza delle pocyotan, si alloga in alberi sublimi. S’aggiugne a ciò, che i tronchi de’ medesimi alberi distillano, in tutto l’anno, diverse gomme. Una più comune, chiamata dagli Spagnuoli Brea, serve di pece; le altre, quali hanno virtù medicinale, o servono di profumi odorosi, e quali per altri usi. L’abbondanza di esse è così grande, che gli alberi non solo, ma il terreno ne sta coperto; e vi ha pianta, che nel mese di Aprile, e Maggio ne dà eziandio delle frondi. Quindi, non senza ragione [p. 183 modifica]diceano gli antichi, che gli alberi di queste terre stillavan mele, ed altri pregiati licori.

Non si dee tacere quì dell’albero appellato Aimit. Egli si è grande assai, e tanto abbondevole d’umido, che quando i cacciatori, e gli uomini silvestri han bisogno d’acqua, l’intaccano; e in brieve ne riportano un cannuto (overo tronco di canna) pieno d’acqua limpidissima. Fa eziandio alcune frutta, appese a certi grappoli, che mature non sono affatto dispiacevoli.

Terminarei quì questo Capitolo, se la Canna d’India (overo Vexuco, come dicono gli Spagnuoli) non crescesse eziandio per mezzo gli alberi; loro avviticchiandosi, sino alla sommità, a guisa d’edera. Ella è coperta tutta di spine, quali tolte rimane liscia. Se si taglia, dà tanta acqua ben chiara, quanta basta a fare una bevuta; sicchè standone pieni i monti, giammai non vi manca acqua. Il tronco più grande di esse, serve a diversi utili, e necessarj usi; cioè per coprir mura, solaj, e tetti: la parte un poco più sottile, come ch’è molto diritta, e non si tarla, serve per arme d’asta; e di esse è fornita tutta l’Armeria Reale di [p. 184 modifica]Manila: nella Provincia di Camarines, per colonne, di modo che tutta la casa è composta di canne. Il più sottile, serve per bastoni di Capitani, e d’appoggio (come a ciascheduno è noto); e partito, per ligare, far canestri, forzieri, cassette, cappelli di Religiosi Francescani, ed altri vaghi lavori, che fanno gl’Indiani.