Gli amori/L'indiscreta domanda

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L’indiscreta domanda

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La muta Comunione L'Omonimo

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L’INDISCRETA DOMANDA


Spiritosa contessa ed amica spirituale,


Q
uando, per darle a intendere che ero d’accordo con lei e che mi

accostavo alla sua tesi della comprensibilità delle anime, io le narravo l’apologo della Muta Comunione, sapevo bene quel che facevo. Con una dama arguta come lei, siano pure gravi ed incomponibili i divarii delle opinioni, si è sempre certi di potersi accordare in quella media e sensata verità nella quale le menti equilibrate s’acquetano. Se pur misi una punta ironica nella mia narrazione, ella mi ha dato ragione, perchè «la vita è piena d’un umorismo come il vostro amaro e dissolvente;» e mentre io ho fatto un passo verso di lei, anch’ella ne ha mosso uno verso di me temperando la vivacità delle sue prime recriminazioni.

Nondimeno, quantunque ella ponga ora una maggiore indulgenza nel ribattere le mie idee, non per questo è disposta ad accettarle. Una specialmente le dispiace: ella rifiuta di credere che, in amore, la fredda, impassibile e vuota bellezza delle forme sia, da parte [p. 12 modifica]delle donne, maggiormente apprezzata del valore morale e dell’intellettuale grandezza negli uomini. Il caso di Mirabeau, che a onor del vero io stesso citai, le pare dimostrazione della regola e non mai, come io sostengo dell’eccezione. Ella dice che ogni Mirabeau, cioè ogni uomo fisicamente orribile, con un piede storto, col viso crivellato dal vaiolo, «brutto come Satana» — diceva lo stesso padre del grande oratore — ma grande moralmente, troverà una ed anche più d’una marchesa de Monnier capace d’amarlo di un immortale amore. Io dico, sì, che ad un genio sovrano la bruttezza non impedirà d’essere amato, ma che alla media umanità un poco di bellezza giova più di molta grandezza; perchè la bellezza si rivela immediatamente allo sguardo e basta aver occhi per apprezzarla; mentre le qualità del cuore e della mente richiedono una più o meno assidua frequentazione avanti d’essere riconosciute; quindi un uomo bello ma stupido produce una prima impressione favorevole, mentre un grand’uomo orrido produce una prima impressione repulsiva; ora ella non ignora che le prime impressioni sono le più importanti e sogliono anche resistere alle contrarie impressioni susseguenti. Il vantaggio dello stupido Adone sul Genio mostruoso mi pare quindi evidente; senza contare che la bellezza plastica, l’armonia delle proporzioni, la freschezza della gioventù, come sono immediatamente riconoscibili, così non si possono neppure negare; mentre le qualità morali sono, perchè morali, di più ambigua natura e più discutibile essenza, e corrono il rischio, pertanto, di restare disconosciute. Senza contare ancora che, mentre l’assoluta bellezza plastica, quantunque rara, pure esiste, l’assoluta simpatia, la perfetta grandezza morale e intellettuale non esistono; anzi, come ha luminosamente dimostrato un filosofo che è onore d’Italia, il Genio più alto ha più lati manchevoli. Con questo non voglio negare ciò che le ho già concesso, cioè che il Genio, a dispetto delle brutte forme, possa esercitare ed eserciti una forte attrazione. E guardi come sono arrendevole; non mi basta d’averle addotto l’esempio di [p. 13 modifica]Mirabeau; ne voglio aggiungere ancora un altro, forse più significativo!

Sofia de Monnier era una donna moderna — o press’a poco — e come tale s’intende che il fascino dell’ingegno la facesse passar sopra alla diabolica bruttezza di Onorato Gabriele di Riquetti. Di più, aveva un marito di settant’anni, e ciò spiega una quantità di cose... Ipparchia, invece, della quale le voglio narrar l’avventura, era una fanciulla greca, e quantunque l’avessero educata come per farne un’etera — ella sa che in Grecia le etere erano le sole donne cui s’impartissero gli alti insegnamenti della filosofia — pure è maggiormente notevole che s’innamorasse di Crate, celebre filosofo cinico, il quale era poverissimo, gobbo ed orribile. La passione d’Ipparchia divampò così gagliarda, che ella volle lasciar tutto per vivere con costui, a dispetto di quanti la accusavano di pazzia, a dispetto dello stesso filosofo — che non doveva poi esser tanto cinico quanto pareva, se le mise sotto gli occhi la propria miseria e la propria infermità. Tutto fu inutile: Ipparchia rispose a lui, come ai parenti ansiosi di distoglierla da quell’amore, che non avrebbe mai potuto trovare un marito più bello d’un tal filosofo. Allora Crate, il quale non poteva sempre dimenticare i precetti della sua canina filosofia, la condusse nel Pecile, che era uno dei portici più frequentati d’Atene — come dire quelli della Galleria qui a Milano — e lì... ma io non farò come Sant’Agostino, che ricamò pepati commenti su quanto accadde lì tra quei due; farò piuttosto come fece un amico del cinico, traversando per caso il Pecile nel punto culminante dell’avventura: getterò sulla coppia un mantello...

E poi? Che cosa importa? Due, dieci, cento, mille eccezioni potranno infirmar mai la regola? E la regola è che, per l’opera di seduzione, le qualità fisiche esercitano un’azione più pronta e producono un risultato più decisivo delle morali virtù; che, per essere amati, è più importante, è necessario essere semplicemente belli, e giova meno possedere una grande bontà, un’anima ardente, un’intelligenza sovrana. Se [p. 14 modifica]noi distingueremo l’amor sensuale dall’amor morale, potremo forse dire che la bellezza fisica accenderà il primo e che le qualità morali susciteranno il secondo. Ma se ciò sta bene astrattamente, la distinzione non è così facile in pratica. Imaginiamo un caso. C’è un uomo brutto, ma quest’uomo possiede — e la gente sa che possiede — un grande ingegno, una squisita sensibilità, le migliori disposizioni del cuore e della mente. La sua bruttezza gli nocerà, dinanzi alle donne, più che non gli gioveranno queste magnifiche disposizioni, oppure quest’ultime faranno dimenticare la prima? Ella m’ha detto che la cosa dipende «dall’indole diversa delle diverse donne,» e va bene; perchè, evidentemente, una donna superiore, che nell’amore cerca l’appagamento di cordiali e ideali bisogni, apprezzerà le virtù e passerà sopra alla bruttezza; ma su cento donne prese a caso in mezzo alla folla, quante provano a un tal grado questi bisogni? Reciprocamente, se c’è un Adone inanimato come la statua del bellissimo dio, le sue probabilità di riuscita non saranno maggiori, paragonate a quelle del brutto grand’uomo?

«Sois beau!» dice l’amabile autore dei Consigli ad un giovane che si dedica all’amore. «Sinon, n’aime pas. Sans beauté l’on peut être choisi; il arrive aux plus jolies de préférer les plus laids; c’est une histoire souvent renouvelée que celle de la femme de Joconde. Toi cependant, mon élève, docile aux bons conseils, qui te fais enfin de l’amour l’idée qu’il convient d’en avoir, défends toi d’aimer si tu n’as pas reçu les dons qui charment les yeux...» — «Un’altra citazione?...» l’odo esclamare di qui; «e avete il coraggio di citarmi proprio quel gran moralista che si chiama Catulle Mendes?...» Non vada in collera, contessa: io lascerò lì subito l’autore di Zo’ har, e le narrerò invece un altro fatterello: va bene così? Le narrerò un fatterello che dimostra appunto quanto sia grande e superiore a quello esercitato dalla eccellenza morale, l’impero della plastica e corporea bellezza.

Ella conosce la storia del mio povero amico Raeli. Nella breve esperienza di questo infelice vi furono [p. 15 modifica]molte cose che sarebbero state degne di nota; disgraziatamente la più gran parte egli le portò via con sè, nel sepolcro che troppo presto si schiuse. Io posseggo tuttavia molte sue lettere ed anche un suo libro di memorie, del quale una volta o l’altra le riferirò alcuni curiosi passaggi. Già narrai, tempo addietro, la crisi tremenda che spinse l’amico mio a togliersi la vita; la strana fatalità per la quale ad un uomo come lui, disgustato dei reali amori, assetato di purezza, doveva venire incontro un’altra disgraziata che non poteva più dargli ciò che le avevano portato via. Ma prima di questa tragica avventura egli aveva amato, una volta: se ne rammenta? Egli s’era acceso, a Vienna, della Woiwosky, d’una dama che avrebbe fatto — ed aveva fatto veramente! — la felicità di molti uomini, ma con la quale egli non poteva andare a lungo d’accordo. L’amor loro finì male, come ella sa; e la brutta fine di quest’amore non fu una delle minori ragioni che resero Ermanno Raeli così esigente e tanto dolorosamente sensibile; ma, sul principio, la felicità sorrise ad entrambi. La Woiwosky non aveva ancora idea delle delicatezze ingenue, delle poetiche fantasie, delle invenzioni sentimentali che un uomo come Raeli sapeva mettere nella passione. Con una cultura fuor del comune, con un’anima bizzarramente complicata e quasi duplice, ora sottilmente indagatrice, ora tumultuosamente appassionata; con uno spirito ora critico, ora inventivo, mezzo tedesco e mezzo arabo, scettico per esperienza, tollerante per persuasione, buono in fondo d’una bontà candida, a quel giovane non mancava proprio nessuna delle doti intellettuali, delle morali disposizioni che, secondo lei, importano principalmente. Ne aveva fin troppe ad un tempo, ed appunto per ciò egli sofferse tanto e non potè mai contentarsi di quel che la vita gli diede. Ma ora io non voglio ragionare di queste cose; voglio rammentarle che pochi uomini avevano un’anima ed uno spirito più riccamente dotati dei suoi. E non era neppur brutto! Bello non si poteva dire, nel preciso senso di questa parola; ma la curiosa fusione del tipo nordico e del [p. 16 modifica]meridionale dava alla sua persona un gran carattere, oltre che la sua espressione era delle più simpatiche. Ed alla Woiwosky egli era dapprima piaciuto fisicamente; costei aveva cominciato ad apprezzare più tardi la rarità del suo spirito. Ma, pure amandola e sentendosi amato da lei, Raeli, che fu chiamato con Byron the child of doubt and death, indagava assiduamente, come sempre, il proprio sentimento e l’altrui. Egli pensava, ed era nel vero, che le sue proprie qualità morali sopravanzavano di gran lunga le fisiche, e che, se pochi uomini potevano stargli a fronte nel campo del pensiero e del sentimento, moltissimi altri erano senza fine più avvenenti di lui. Allora, curioso come quei bambini che spezzano i balocchi pur di vederne il congegno, egli cominciò a smontare l’amore dell’amica sua per vedere com’era fatto. Discutendo tra sè il problema che ci occupa e ci divide, egli pensava come me, contessa: che la bellezza preme sopra ogni cosa. A questa persuasione lo aveva condotto non l’astratto ragionamento, ma il positivo studio della storia naturale. Grazie a questo studio egli sapeva che in tutto il mondo vivente c’è una scelta sessuale e che questa scelta è fatta con i criterii della vistosità delle forme, della vivacità delle colorazioni, della ricchezza degli ornamenti. Gli uomini, animali ragionevoli, sono, prima che ragionevoli, animali; quindi obbediscono a quelle stesse leggi che regolano tutto il mondo animato: in forza di questa argomentazione egli non dubitava della capitale importanza della venustà. Così pensando, si proponeva questo problema: «Che cosa varranno le mie doti morali e quella poca bellezza che posseggo, se un giorno un uomo veramente bello tenterà di portarmi via il mio bene?...» Egli non prevedeva ancora, non sospettava neppure che l’amica sua l’avrebbe tradito, — nè realmente ella poi lo tradì per un Adone! — ma, pur concedendo che la virtù di costei avrebbe saputo resistere a ogni seduzione, egli temeva d’essere menomato nel concetto di lei, di dover necessariamente scapitare ai suoi occhi quando ella avrebbe conosciuto un vero Adone. [p. 17 modifica]

Un giorno essi andarono insieme a Schönbrunn. Provveduti d’un permesso, visitarono il Palazzo d’estate. Nella corte, mentre stavano per avviarsi alla scalea, apparve dinanzi alla coppia amante un militare, un alfiere delle Guardie del Corpo. Ermanno Raeli soffermossi, turbato dalla maraviglia. Quell’uomo aveva la bellezza d’un Dio. Alto oltre la media, e tanto che appena un poco più sarebbe parso sgraziato, la sua dominatrice statura, il portamento marziale, la stupenda proporzione delle membra, la felice armonia dei lineamenti, l’agile forza che rivelavasi all’incesso, alle mosse; la delicata morbidezza della carnagione, la serica biondezza dei capelli e dei baffi, la dolce e nobile espressione degli occhi, le stesse smaglianze della divisa che non pareva sovrapposta alla persona ma far tutt’uno con essa, mortificavano ed avvilivano ogni altra figura, intorno a lui. Ed Ermanno, con una stretta acutissima al cuore, sentiva di non valere più niente, d’esser meschino, povero, inutile, spregevole; ma tuttavia il senso di felicità che la vista di quella miracolosa creatura gli procurava, il sentimento estasiato che lo invadeva quasi contemplando una sublime opera d’arte, erano ancora più forti della sua umiliazione. Se in lui, uomo, rivale, si produceva un effetto tanto profondo, che cosa doveva provare l’amica sua?... Egli si volse verso di lei: la donna non esprimeva meraviglia alcuna. Quando il militare, allontanatosi, non potè più udirli, le domandò:

— Hai visto che bella figura?

Ella rispose semplicemente:

— Sì, molto bella.

Più tardi, quando furono proprio soli, intimamente, egli tornò a interrogare:

— È proprio vero che sei rimasta indifferente dinanzi a quell’uomo?... Ne vedesti mai di più belli?... Non è possibile che tu non abbia nulla provato!...

Ella continuò a rispondere che gli era parso molto bello, che non rammentava d’averne visti altri così, e che aveva appunto pensato: «Ecco propriamente un bell’uomo!....» [p. 18 modifica]

Ma da quel giorno egli non la lasciò più in pace, cupido di sapere. Le descriveva con calore la divina bellezza del militare, le domandava se lo avrebbe amato; ella rispondeva che le persone non si amano così, per averle viste a pie’ d’una scala. Le diceva ancora:

— Se io sembro una marionetta, vicino a lui, come ti posso ancora piacere?

Ed ella rispondeva:

— Tu non mi piaci soltanto, ti amo.

— Riconosci dunque che è più bello di me?

— È bello come una statua. Le statue s’ammirano, non si amano.

— Se non amassi me?...

— Che idea!

Gli sfuggiva; ma Raeli sentiva che in fondo al pensiero di lei c’era qualcosa che ella non diceva, che non voleva dire. Naturalmente la paura di offender l’amato, di perdere la stima di lui, la vergogna e il morale pudore le impedivano di rivelare il proprio sentimento, di confessare che la sola venustà della forma bastava ad accendere il suo desiderio. Ermanno voleva però ad ogni costo ottenerne la confessione. E una volta, in uno di quei momenti che ogni pudore è dimenticato e la sincerità trionfa di tutte le vergogne, dopo aver ripreso a descrivere, ammirato, la bellezza del militare, egli le domandò improvvisamente, prendendole una mano, guardandola negli occhi:

— Ascolta: se io partissi, se tu non avessi più notizie di me, se fossi come perduto, come morto per te; se in queste condizioni tu ti trovassi sola con lui e se egli ti cadesse ai piedi, che cosa faresti?...

Ella liberò la mano dalla stretta, chiuse gli occhi, portò le mani agli occhi chiusi, stette un istante così, in silenzio, come per raccogliere tutta la propria pazienza contro l’offensiva insistenza dell’amico suo; poi, molto piano, rispose:

Non me lo domandare...