Gli strali d'Amore

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Gabriello Chiabrera

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L'Ametisto Il Diaspro
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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XIV

GLI STRALI D’AMORE

AL SIG. GIO. AGOSTINO SPINOLA.

     Già fa stagion, che gli amorosi strali
Piaga facean, che conduceva a morte
Senza alcun scampo, ed i piagati amanti
In lunga pena di sospiri accesi
5Perdean la pace dell’amato sonno,
E sempre afflitti da pensier nojosi
Volgeano il guardo nubiloso a terra:
Quinci d’Amore era odïato il nome
Siccome orrendo; e l’universo udiva
10Farsi ognora d’intorno alte querele.
Su ciò pensando, e del figliuolo a’ biasmi
Volgendo l’alma empiea di duolo il petto
Venere bella, ed aggiogando al carro
Con bei legami d’ôr l’alme colombe,
15Le va battendo per gli aerei campi,
E da Citera in Cipro ella pervenne:
Ivi nel grembo d’una valle ombrosa
Tra verdi mirti, al mormorar dell’aure,
Trovò la madre il ricercato infante:
20Egli con l’onde d’un argenteo fiume,
Su durissima cote iva affinando
L’armi dell’invincibile faretra;
Ed a lui con sembiante, ove lampeggia
E di pietate, e di disdegno un raggio,
25Aprendo varco tra nettaree rose
A dolcissime voci, ella dicea:
Ancor non sazio delle piaghe altrui
Orribili cotanto, ecco t’affanni
A dar più filo alle saette acute?
30Mio figlio, no: che? ti produsse l’onda
Del mare irato, e le nevose cime,
E l’aspre balze de’ Caucasei monti?
Se non ti cale degli amari pianti,
Che versa il mondo, e s’a te poco incresce,
35Che senta la tua corte alto cordoglio
Per tue quadrella, or non ti frena almeno
Nel gran furor la non usata infamia
Che t’accompagna? e non avvampi udendo
Bestemmiar coteste armi? io certamente
40Raccolgo ognora e di pietate, e d’ira
Immense strida; e non ascolto voce,
Che senza oltraggi al mondo oggi ti nomi.
Ti pregi forse esser mostrato a dito
Siccome peste de’ mortali? e godi,
45Che sotto la tua destra ognun s’affligga?
Sì tra perle e rubini ella favella
Con tal sembiante, ch’ammorzar può l’ira
D’una orba tigre, e disgombrar le nubi
Da i zaffiri dell’aria, e far tranquilla
50Nell’Oceán spumante ogni tempesta.
A lei rivolto, e con dimessa fronte,
Girando i suoi begli occhi, apre un sorriso
Di là dal modo dell’uman costume,
Dolce a vedersi il Dioneo fanciullo,
55E poi la man di rose al molle petto
Lieve accostò, quasi giurar volesse,
Indi il volo disciolse a cotai voci:
Perdere i dardi, e dell’amabile arco
Possa vedermi disarmato il tergo,
60E vada altri signor di mia faretra,
Se dell’immense colpe, onde m’accusi
Non son lontano: ahi sì veloce ai biasmi
Sciogli la lingua, o genitrice, e carchi
Me, tuo figliuol, di sì gran colpe a torto?
65Gli strali miei son di fin oro, in Stige
Io non gli tempro ad inasprir le piaghe;
D’atro aconito io non gli attosco, e quali
A me già fur commessi, io gli saetto:
Se pur t’aggrada, ed a giustizia stimi
70Ben convenirsi, che rimanga ignuda
La destra mia d’ogni possanza al mondo;
Se tu, ch’intenta alle mie glorie l’alma
Aver dovresti, e d’avanzar miei pregi,
Non mai pentirti, ami ch’io giaccia inerme,
75Ed insegna d’onor non mi rimanga,
Ecco gli strali bestemmiati, e l’arco
Abbominato: a tuo voler gli spezza,
Ardi la formidabile faretra,
Ed i titoli miei l’abisso involva.
80Ei così disse; e l’Acidalia Diva
Fra le braccia d’avorio il si raccoglie
Teneramente e lampeggiando un riso
Con bei baci di néttare il vezzeggia,
E gli dicea: vadano in mar sommerse
85Le fallaci bugie de’ tuoi pensieri:
Io non vo’, che tua destra si darmi,
Ma vo’, che l’armi tue, come gioconde
Sieno bramate da’ leggiadri amanti;
Fidami tua faretra, e come in cielo
90S’apran le porte alla seconda aurora,
Vientene a me volando in Amatunta:
Sul fin delle parole in man si reca
Salendo il carro gli amorosi strali,
E sferza le colombe, ed esse aprendo
95L’ali di neve trascorreano i nembi,
E spirando d’intorno aure di croco
Venner della speranza all’alto albergo:
Mirabil monte, a cui mai sempre spiega
Febo in serena fronte i raggi d’oro,
100Ne mai sostien, ch’egli patisca oltraggio
Dal folto orror della Cimmeria notte;
Ma di lucidi fiumi amate rive,
Ma lucide aure, e su dipinte piagge
Di colori, e d’odor varie vaghezze
105Sempre ha d’intorno, e sulle fresche fronde
Iti sospira Filomena, ed Iti
Iti la terra, ed Iti il ciel sospira,
Alternando dolente a quei dolori
Soavemente. Infra delizie tante
110La bella Ninfa de’ mortali amica
Chiusa soggiorna; e dal seren del core
Le sorge un lume di letizia in volto,
Che di caro sorriso empie i rubini
Dell’alma bocca, e dagli sguardi vibra
115Il più soave fra mortali ardore.
In verdissima seta ella è succinta,
Leggiadra gonna, e le fiorisce in testa
Ghirlanda, che disprezza i fieri orgogli
D’ogni aspro verno; e non risorge aurora.
120Ne mai tramonta Sol, ch’ella non stanchi
Con le dita di rose eburnea cetra,
A lei sposando armoniose note;
E pur allor cantò, come tradita
Dal re d’Atene in solitaria piaggia
125Sparse Arïanna alte querele al vento,

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Non si mirando intorno altro che morte:
Ma poscia sposa di sublime amante
Ebbe regno superbo, ebbe corona,
Non mai goduta da mortal donzella.
130Appena chiuse le rosate labbra,
Che Citerea le fu da presso; e poscia
Ch’ebbono posto all’accoglienze fine,
Venere bella a così dir le prese:
Ninfa gentil, che de gli umani cori
135Sempre pietosa il loro mal consoli
Per via ch’a sofferir fassi men grave,
Queste del mio figliuolo aspre saette
Giungono altrui nell’anima sì forte,
Che’l mondo duolsi, e con querele eterne
140Ei ne bestemmia il vïolento arciero;
Onde io m’attristo; or tu gentil, che tempri
Co’ bei segreti tuoi l’umane angosce,
Ungi queste armi d’alcuna erba, o note
Mormora sopra lor, che sian possenti
145A svenenarle, e n’avrà pace il mondo,
E tu gran fama di pietate, ed io
Non mi sciorrò giammai da’ merti tuoi.
A questi prieghi la gentil donzella
Diede risposta prontamente, e disse:
150Nè tu di cosa indegna unqua desire
Aver potresti, ed alle tue vaghezze
Io non posso venir giammai ritrosa:
Al fin delle parole ella raccolse
I fieri dardi, e d’un licor gli sparse
155Meraviglioso alla mortal credenza:
Con questo tempra ogni cordoglio, e scema
Ogni orribile angoscia; onde il martire
Non lascia in preda a morte alma dolente:
Sì medicata la terribil punta
160De gli aurei strali, a Citerea gli porse.
Ella partissi, e ritornando al regno
Poi ridonogli all’amoroso infante;
Ed ei piagando altrui non diè ferita,
Che fosse a sopportar senza diletti.
165Aggia qui fin la dilettosa istoria;
E se giammai ne i campi d’Anfitrite
Trascorrerai, Gian Agostin, co’ remi
Cercando l’aure volatrici allora,
Che latra il can dalle stellanti piagge,
170O se giammai sovra fiorita erbetta,
Cui purissima Najade rinfreschi,
Ti schermirai dalla stagione ardente,
Rivolgi ivi la mente al mio Parnaso:
Che se di pochi fiori oggi t’onora,
175Tesserà forse un dì maggior ghirlanda.