Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo XI. L'elisione delle parole nel discorso, e l'apostrofo.

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Parte I - Capitolo XI. L'elisione delle parole nel discorso, e l'apostrofo.

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Parte I - Capitolo XI. L'elisione delle parole nel discorso, e l'apostrofo.
Parte I - Capitolo X. Incontro delle parole. Il troncamento delle parole nel discorso. Parte II

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CAPITOLO XI

L’elisione delle parole nel discorso,
e l’apostrofo.


§ 1. L’elisione (vedi cap. x, § 1) può aver luogo colle seguenti condizioni:

che la parola da elidersi termini in semplice vocale non accentata, e che la seguente cominci per vocale o per dittongo, p. es. tútto áltro, tútt’áltro; tútto uòmo, tútt’uòmo; lo ha, l’ha. Si eccettua la cong. ché e i suoi composti (vedi più sotto § 5):
che la parola da elidersi (eccettuati i monosillabi lo, la, gli, le) abbia davanti alla vocale finale o una sola consonante non liquida, o due consonanti qualunque esse siano; perchè se vi fosse una semplice liquida (l, r, n; quanto ad m vedi cap. x, § 5), questa si unirebbe in sillaba colla vocale precedente, anzichè colla iniziale della parola seguente. Esempii: pòco áltro, -c’ál-tro; quán-do ánche, quán-d’án-che; quéllo ingráto, quél-l’in-gráto; sénza áltro, sén-z’ál-tro. Se invece diciamo fa-tàl-uomo, -bil-anima, non abbiamo l’elisione, ma il troncamento (vedi cap. x):
che si appoggi, senza la menoma interruzione di senso, alla parola seguente, come l’aggettivo od il [p. 69 modifica]pronome al sostantivo, la preposizione al suo complemento, il verbo al suo soggetto, l’avverbio all’aggettivo, ecc.

Il segno dell’elisione è l’apostrofo (’). Vedi indietro, pag. 6 in fine.


§ 2. Quindi ne deriva che, dovendosi spezzare una parola elisa in fine di riga, bisogna trasportare nella linea sottoposta la consonante che fa sillaba colla vocale iniziale della parola seguente. Se pertanto, arrivati in fine d’una linea, dobbiamo scrivere tutt’altro, sarà necessario che terminata la linea con tut-, cominciamo la seguente con la sillaba t’al-tro. Vedi cap. vii, § 10.


§ 3. L’elisione si suol fare comunemente nelle parole seguenti:

negli articoli lo e la, gli, le e nel femminile indeterminato una, soli e in composizione. L’articolo gli si elide soltanto dinanzi a parola cominciante per i; l’art. le solo davanti a parola che cominci per e, ma non davanti ad un plurale che sia simile al singolare: le età non l’età che sarebbe singolare. Esempii: le ánime, le usánze, l’époche, l’amóre, l’innocènza, un’ánima, alcun’áltra, gl’ingégni, gl’imperatóri; l’èrbe, l’eresíe, l’ánima; mentre deve scriversi gli ángeli, gli eremíti, per non alterare il suono del gli. Vedi cap. iv, § 12.


§ 4. nella preposizione di. Esempii: d’amóre, d’èrbe, d’òdio, d’uòmo. — La preposizione da non si elide fuorchè in poche locuzioni avverbiali, come sono d’altrónde, d’áltra párte, d’ora innánzi, d’allóra in poi:

nelle particelle enclitiche pronominali ed avverbiali mi, ti, si, vi, ci, ne, lo, la, gli, le. Esempii: [p. 70 modifica]m’accòrgo, t’espóni, s’intènde, s’onóra, n’udíi, m’ha détto, v’hò scrítto. La particella ci si elide soltanto dinanzi a parola cominciante per i od e. P. es. c’inségna, c’éntra; ma ci avéa, ci òdia, per conservare alla c la sua pronunzia (vedi cap. iv, § 5). Gli e le vanno soggetti alla regola degli articoli simili. Vedi qui sopra al § 3:


§ 5. nel pronome o congiunzione ché: ch’àltri, ch’òdio, ch’udíva; ch’èra, ch’intési. Davanti a parola cominciante per a, o, u, l’h resta inutile, e perciò alcuni la tolgono scrivendo c’àltri, c’òdo. — Di rado si elidono ancora alcune congiunzioni composte da ché. P. es. perché, benché, comecché:

nei pronomi ógni, quésto, quéllo, cotésto, áltro, ecc. Esempii: ógn’uòmo, ógn’ánima, quést’ánno, quéll’azióne, cotést’umóre, l’áltr’ánno. — Egli si elide soltanto dinanzi a parola cominciante per i. P. es. égl’intése:


§ 6. nei pronomi, avverbii e particelle seguenti: núlla, niènte, pòco, mólto, tútto, tánto, quánto, cóme, sénza, dóve, ónde, prèsso, ánche, óltre, ecc. Esempii: núll’áltro, niènt’affátto, pòc’áltro, tánt’è, quánt’avéano, cóm’égli, sénz’alcúno, quánd’ánche, ánch’éssi, óltr’a quésto. — La cong. condizionale può elidersi, specialmente davanti a parola cominciante per e. P. es. s’egli:

negli aggettivi sánto, bèllo, gránde e pochi altri, quando precedono immediatamente il loro sostantivo; ed in molti numerali: P. es. secóndo, tèrzo, quárto, dècimo; quáttro, cínque, ecc. vénti, trénta, cènto, mílle; mèzzo, ecc. Esempi: sánt’uòmo, bèll’ángelo, gránd’ánima; secónd’ánno, térz’último, vént’ánni, trènt’amíci, cènt’áltre còse, míll’ánni, mèzz’óra.
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§ 7. Quando la parola da elidersi, essendo di numero plurale, abbia una terminazione diversa dalla iniziale della parola seguente, sarà meglio non fare l’elisione. P. es. grándi uòmini e non gránd’uòmini; quésti anni e non quést’anni. — Quélli e bèlli si possono elidere solo davanti ad i, purchè -lli si ammollisca in -gli. P. es. quégl’impácci; bègl’ingégni.


§ 8. Nei nomi e ne’ verbi regolarmente non si elide. Può nondimeno lo scrittore pigliarsi di rado qualche licenza secondo che gli consigli il giudizio e l’orecchio. Nei verbi si trova comunemente elisa l’ultima vocale delle prime e terze persone singolari davanti ad ío ed égli, élla. P. es. créd’ío, diss’io, che dic’égli, fóss’ío. La terza sing. del condizionale si elide spesso davanti a parola che cominci per e: dovrèbb’èssere.


§ 9. In verso l’elisione può farsi con maggior libertà, quando lo studio dell’armonia lo richieda, e la chiarezza non ne patisca. Inoltre usano i poeti, pur per amore dell’armonia, di fare talvolta l’elisione all’inversa, togliendo cioè la vocale iniziale d’una parola che segua ad altra parola terminante in vocale. Ciò però si suol fare quasi solamente quando la parola da elidersi sia l’articolo singolare il, la sillaba in non accentata, e l’avverbio ove. P. es. vergógna è ’l frútto, lo ’ngégno, là ’ve mi scòrse.

Quanto alla elisione nelle parole composte, vedi la Parte III.


§ 10. L’apostrofo si segna altresì dopo le parole contratte, cioè dopo quelle parole in cui la finale si trova assorbita da una vocale accentata anteriore (vedi cap. v, § 4 e 5), e dopo alcune voci troncate. Ecco le più usate, che porremo a destra presso le forme intere.

Preposizioni articolate:

ái a’
dái da’

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déi de’
cói co’
súi su’
péi pe’
néi ne’
trái tra’
frái fra’
Pronomi:
ío i’ (raro)
nói, vói no’ vo’ (molto rari)
éi e’
quéi (per quelli) que’
Aggettivi:
bèi be’
pròde pro’ poet.
Verbi. La prima persona sing. del pres. indicat.:
vòglio vo’
Gl’imperativi seguenti:
(vái) va’
(fái) fa’
(stái) sta’
(dái) da’
védi ve’
guárda gua’
(tògli) to’
(díci) di’
tièni te’ (poet.)
di rado anche alcune pers. seconde sing. del pres. indic.:
sèi se’

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sái sa’
fái fa’
od alcuni condizionali, p. es.:
farèi faré’
vorrèi vorré’
o qualche passato remoto dell’indic. in éi:
potéi pote’
I poeti contraggono altresì alcune forme, poetiche esse stesse: per esempio:
fratèi frate’
capéi cape’
mái(da máli) ma’
tái ta’
quái qua’
Le voci segnate di apostrofo, se precedono a parole comincianti per consonante, non fanno su questa nissuna appoggiatura d’accento, e però non ne fanno raddoppiare la pronunzia. Vedi addietro cap. viii, § 13.