Guerino detto il Meschino/Capitolo XL

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Capitolo XL

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CAPITOLO XL.


Famosa battaglia contro i Persiani.


L
a sera dopo molta allegrezza andarono a dormire, e la bella Antinisca tutta allegra faceva gran festa. La notte si attendeva a far buona guardia e la mattina si radunarono tutti i maggiori della terra, facendo generale capitano il Meschino che fece fortificare la città. Fatto questo provvedimento, stettero venti giorni che poche battaglie si fecero e, poich’egli ebbe provveduto alle cose della città, diede ordine alle battaglie di fuori, nelle quali fu grandissima uccisione di Persiani, e mandarono per pigliar gente nella Media e nell’Armenia a molti amici del reame di Persepoli ed a molte terre del proprio reame. Passati venti giorni, e avendo il Meschino fornita la terra e fortificata, chiamò a sè Fidelfranco, Alessandro e Parvidas, e ordinò che Fidelfranco assalisse il campo la mattina vegnente con tremila cavalieri e tremila pedoni, e che Alessandro l’assalisse con duemila, ed egli fatto il giorno li soccorse con tremila pedoni, ordinando che Parvidas sempre andasse intorno alle mura facendo far buona guardia, acciò che mentre si combattesse, non fossero scalate le [p. 308 modifica]mura. E quando fu appresso il giorno a un’ora, il Meschino armato e Artibano ed Alessandro assalirono il disordinato campo, attendendo solo ad uccidere. Furono quella mattina morti dodici mila Persiani e cacciati per tutto il campo persiano ai loro padiglioni, e quando il giorno fu chiaro il Meschino tornò alle porte, e trovò che non n’erano morti di quei di Persepoli, ma quasi tutti erano insanguinati del sangue dei Persiani. Lionetto mandò una grande schiera alla battaglia, la quale fu stimata quarantamila, e questa conduceva il re Rafin del regno di Coromana. Quando il franco Guerino vide tanta gente rimandò dentro tutti i pedoni, e mandò per Alessandro, ed egli in questo mezzo si mise con Artibano e tremila cavalieri in punto.

Mosso il Meschino si levò gran rumore, che il cielo e l’aere era pieno d’orribili voci. Guerino abbassò la sua lancia, e contra a lui venne Serpeneros, figliuolo del re Rafin di Coromana, il quale gli dette un gran colpo di lancia, ma il franco Guerino lo abbattè in terra da cavallo, per la cui morte fu grandissimo dolore per il campo de’ Persiani. Era tenuto questo Serpeneros de’ più franchi e zelanti baroni del campo, e quando suo padre sentì la morte del suo caro figliuolo, corse sopra la città di Persepoli e come un ferocissimo dragone divorava; ma tal fortuna gli tornò in grandissimo danno, perchè quando il feroce Artibano lo vide correre per il campo facendo tanto danno d’arme, corse contro di lui ferocemente, e gli tagliò la testa. Così finì quel giorno la battaglia con gran danno de’ Persiani.

La mattina seguente il franco Meschino chiamò un buffone il quale era chiamato Araldo per mandarlo nel campo a Lionetto, e dissegli: — «Dirai a Lionetto figliuolo dell’Almansore, che io sono Guerino di Durazzo, e de’ Reali di Francia, il quale liberai il Reame di Persia dalle mani de’ Turchi, e sono Signore della città di Persepoli, e marito della bella Antinisca, perciò lo richiedo a battaglia acciocchè tutta la gente non perisca, che s’egli ha cuore da cavaliero, s’egli è di franca gente che accetti la battaglia d’un sol cavaliero, io lo farò sicuro per fede o per ostaggi, s’egli mi vince, di dargli la città e la bella Antinisca nelle sue mani. E s’egli per disgrazia perdesse la battaglia, ch’ei dovesse partire col campo». — Il messo andò in [p. T39 modifica]Il Meschino s’accese di grandissimo odio contro Lionetto. [p. 309 modifica]campo a Lionetto il quale furioso rispose: — «Macometto, io non metterei la mia persona contro uno schiavo, e mi sarebbe grande vergogna imbrattare la spada nel suo sangue». — Poscia comandò che il buffone fosse raso dalle spalle in su, chè era il maggior dispregio che si potesse fare ad un Signore di radere un messo. Molto pregò il buffone per non esser raso, ma niente gli valse il suo pregare, che tutto lo rasero, e così raso lo rimandò nella città al Meschino.

Quando quelli della città videro la grandissima ingiuria fatta al messo del franco Guerino, ebbero il maggior dolore che avessero in tutta la guerra. Il franco Meschino si accese di grandissimo odio contro Lionetto, e giurò che quanto prima si abboccherebbe con lui e che uno di loro converrebbe che morisse. Il giorno dopo Lionetto entrò nel campo. Il Guerino non fece come prima, ma come uomo acceso di grandissima ira pel grande dispiacere ricevuto, incontrò un cugino di Lionetto, ch’aveva nome Galafar di Arcuoro, e passollo con la lancia, e poi trasse la spada, ed entrò nella battaglia, e faceva tanto in arme, che era quasi impossibile che un corpo umano potesse tanta franchezza dimostrare, e giunto dove combatteva il ferocissimo Artibano, vide Fauridon che molto si affaticava per farlo morire. Allora il franco Guerino diede un grandissimo grido, e prese a due mani la spada e mirò a Fauridon un grandissimo colpo, sicchè gli ruppe l’elmo, ed aspramente lo ferì sul capo. Egli cadde in terra da cavallo, in modo che ognuno credette ch’ei fosse morto; allora fu grandissimo rumore, e per questo molti fecero largo al feroce Artibano ed egli riprese grand’ardire. Sentendosi il franco Guerino al largo della battaglia, tutta la gente Persiana fuggiva dinanzi a lui, come le pernici dinanzi al falcone; tanti di loro uccideva ed abbatteva. Il giorno dopo Lionetto mandò un suo messo nella città di Persepoli a dire al Meschino che si rendesse a lui, chè lo farebbe in Persia gran signore, e che gli concedesse la città di Persepoli, dandogli nelle mani la meretrice Antinisca. Disse il Meschino: — «Tu non avrai vantaggio del mio messo, il quale mi fu mandato tutto raso, ma qui non si guasterà rasojo! — E subito prese il messo e lo fece legare nudo ad una colonna, e fece torre delle fiaccole accese, e gli fece abbruciare tutti i capelli, la barba [p. 310 modifica]e quanti peli aveva addosso e così lo rimandò nel campo; questa fu la risposta che mandò il Meschino a Lionetto. Quando que’ signori ch’erano venuti fuori di Persia in ajuto de’ Persiani, videro questo, fu tanta turbazione fra loro, che non si potrebbe mai dire, e subito mandarono ambasciatori all’Almansore padre di Lionetto, che movesse maggior gente per lo assedio. Onde l’Almansore subito se ne venne a Persepoli con molti Persiani e re e gran signori.

Il Meschino deliberò dar loro la battaglia, nel furore della quale fu preso Alessandro. Condotto a Lionetto dimandò chi egli fosse. Alessandro disse ch’era signore di Costantinopoli. Disse Lionetto: — «Questo Guerino chi è? — Rispose Alessandro: — «Chi lo dee sapere meglio di voi, per cui voi Persiani potete dire che siete signori di Persia?» Allora Lionetto disse: — «A me pare essere stata una gran pazzia la tua d’aver lasciato la tua signoria ed esser venuto a morire in questo paese». — Disse Alessandro: — «Noi Cristiani non siamo fatti come voi, che rendete male per bene, ma noi il più delle volte rendiamo bene per male, e come questo nobile cavaliere m’ha difeso casa mia due volte, perchè non vi ricordate voi pure dei Turchi quando vi tolsero tutti questi paesi dai quali non vi potevate difendere, se non fosse stato questo cavaliero? Il merito che voi gli rendete si è che voi desiderate la sua morte». — Disse Lionetto: — «Lascia stare ora queste parole, perchè i Saraceni non furono mai amici de’ Cristiani; ma dimmi chi è questo Meschino, imperocchè molti dicono che fu già tuo schiavo?» — Allora rispose Alessandro: — «Non è vero, perchè mi fu donato con patto che lo francassi, ed io lo feci franco, e poi seppi che per paura de’ nemici e preso da’ Corsari, fu venduto ai mercadanti, per mezzo de’ quali capitò in Costantinopoli. — Disse allora Lionetto: — «Egli ha preso due miei vassalli e volli mandare dentro un mio messaggio, ma questi temono andare da lui. — Alessandro ridendo disse: — «Chi fa male non aspetti altro guiderdone, il suo messo a voi mandato lo faceste tornar con la testa rasa come una zucca, però rimandò il vostro senza peli». Disse Lionetto: — «Se io non ti avessi dato a Fauridon, io ti farei cavar la lingua dietro la nuca!»

Disse allora Fauridon ad Alessandro: «Non si potrebbe mandare [p. 311 modifica]un messo, a cui non fosse fatto oltraggio? — Disse Alessandro; — «Io gli darò il mio anello, che potrà andar sicuramente. — Così formarono il patto, che il messaggio mandato dall’una parte all’altra non fosse offeso, facendo così fatto onore all’una e l’altra parte, e fece Alessandro un salvo condotto sigillato col suo anello, che fu abbastanza senza dargli l’anello. Lionetto e Fauridon mandarono questo messo a Guerino con una lettera dimandando la terra con gran minaccie. Il Meschino se ne rise e disse al messo: — Chi ti ha fatto sicuro di venire nella nostra terra?» Ed egli mostrò il sigillo di Alessandro, e fu franco, e gli disse che Lionetto aveva promesso di non offendere nessun messo, e così promisero quelli di Persepoli. Rispose Guerino alla dimanda di Lionetto che dimandava la terra, e gli disse che ritornasse al suo signore, e che gli dicesse che, se voleva la terra, venisse a combattere con lui a corpo a corpo. Poi disse il messaggiero: — «Egli ha prigione un vostro barone, e voi avete in prigione due vassalli di Fauridon, il quale vi darà il vostro all’incontro di questi due. — Consentirono del cambio, e quando furono cambiati, Personico domandò battaglia a corpo a corpo col Meschino.

Il Meschino accettò e nel susseguente giorno il franco Meschino si armò di tutte le sue arme, e chiamati a sè Artibano, Alessandro ed Arcomano di Media, avvisandoli, che si armassero e facessero stare armati tutti i cavalieri, disse loro che non si fidassero di que’ Saraceni, e come conosceva ben chi era Personico, però si maravigliava ch’ei volesse combattere con lui, e per questo temeva che non lo tradisse. Per tali parole s’armarono i cavalieri e tutta la gente della città; essendo già levato il sole, giunse Personico armato in campo che domandava battaglia suonando il corno. Il franco Guerino andò fuori della città verso Personico, ed appressati l’uno all’altro, il franco Guerino lo salutò gentilmente, e Personico lo bestemmiò e disfidollo; e preso del campo, si diedero due gran colpi colle lancie, sicchè il cavallo di Personico cadde ed il franco Guerino disse: — «O Personico, a uso di buoni cavalieri tu sei prigione. — Rispose Personico non esser caduto per difetto, ma per mancamento del cavallo. Allora il Meschino smontò di cavallo, e trassero fuori le spade, e mentre che combatteva molta gente del campo venne a vedere. Allora uscì dalla città il feroce [p. 312 modifica]Artibano ed il valente Alessandro con dieci mila cavalieri armati, e stando al lato della porta videro i due campioni far due assalti e ricominciato il terzo abbracciarsi. Il franco Guerino gli cavò l’elmo, e voleva ch’ei si rendesse. Personico all’incontro lo feriva; quando Guerino vide questo, gli levò la testa dal busto, e prese la testa e la portò alla bella Antinisca.

Que’ del campo s’attristarono grandemente per la morte di Personico, e molto minacciarono la città di Persepoli e sopra tutti il franco Meschino con nuovi soccorsi di gente.

Quando il franco Meschino vide tanta moltitudine di gente intorno alla città, e vide quelli della città per questo esser molto afflitti e spaventati, in questa forma loro parlò e disse: — «Fratelli carissimi, niuno per grande signore ch’ei sia, non puote alla fortuna contraddire, la quale ha tutti i fatti di questo mondo nelle sue mani, e dà e toglie secondo che a lei piace; pertanto noi che gli siamo soggetti, come gli altri, dobbiamo star contenti ai rivolgimenti di quella. E per tre cagioni dobbiamo cacciar da noi ogni paura e combattere. La prima è, che i vili codardi, i quali pigramente si sono difesi, si sono sempre vinti e disfatti senza remissione. Ma coloro, che senza paura francamente e animosamente si sono difesi sino alla morte, il più delle volte hanno trovato misericordia nel suo nemico, e se non misericordia, almeno il nemico non ha avuto piena allegrezza, però che a suo grandissimo danno ha vinto, e se pure i vincitori hanno privato i perditori di molte cose, non li poterono privare della fama che difendendosi hanno acquistata. La seconda ragione perchè francamente dovete combattere, si è che gli Dei e il cielo ajutano chi si ajuta; non resistono contra i valenti, ma bensì contro i cattivi; e quanti sono per il tempo passato stati assediati, che per la loro franchezza ed ardire e per molti e varj avvenimenti della fortuna sono rivolti per modo che sono dal pericolo campati! La terza ragione che noi dobbiamo francamente combattere, si è per la vostra patria alla quale ho sanguinità, e non mi sgomento ma solo sono disposto di morire per voi, ed ho tanti nemici in questo campo che per ben fare ai Persiani mi fanno male, ma ho speranza che non passerà un anno, che la pace che hanno fatto con i Turchi tornerà a loro grandissimo [p. 313 modifica]danno. Noi siamo forniti di vettovaglia per un anno, ed abbiamo buona gente, forti mura e siamo forniti d’arme. Attendete voi cittadini, solamente alla guardia della terra e l’arme lasciate adoperare a noi francamente». — Per queste parole tutta la città si confortò.