I Bernardi/Prologo

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Personaggi Atto I
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PROLOGO

Vien, questo giorno, alla vostra presenzia,
illustrissimo ed eccellentissimo
principe, e voi altri nobilissimi
spettatori, una nuova comedia
uscita delle man di quel medesimo
che, son tre anni e piú, dette materia,
non so se per le sciocchezze o arguzie
sue, a tutti quanti voi di ridere;
la qual si chiama I Bernardi. E la causa
di tal nome è per ciò che s’introducono
in quella, fra gli altri, due giovani
cosi detti, i quali in travaglio
vedrete per lor nomi: benché, il proprio
e vero de l’un de’ duoi sia Giulio,
non Bernardo; che cosí per suo comodo
si fa chiamar per fin che venga al termine
di quello che desia. Ma, perché dubita
l’autor che alcun di que’ maledici
che si diletton sempre di dar biasimo
all’altrui opre non piglin materia
di dare infamia a questa sua comedia
per questo nome, dicendo che gli uomini,
quando qualcosa esser goffa s’ingegnono
persuadere altrui, in proverbio dicono
«l’è di Bernardo», vi prega, di grazia,
che prima non vogliate far giudizio
dell’esser suo che non veggiate l’ultimo
fine. Ed a nessun porga molestia
questo tal nome: che ancor che non paiavi

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cosi leccato, per questo non macula
giá la comedia, perché ben si trovano
delle cose che hanno un nome simile
e poi son buone e belle; e ancor degli uomini
assai per nomi si fatti si chiamano
e son savi, accorti e di giudizio.
E, perch’i* so ch’ognun alla memoria
n’ha infiniti, non vo’ tempo perdere
in adducere essempi. E, se non bastano
queste ragion, noi altri, che la favola
vi recitiamo, adomandiam, di grazia,
a Vostre Nobilita che Quelle abbino
per iscusato questo nostro comico:
cosi fatto che, nel vero, ingegnasi
di fare el me’ che sa; ma cosí porgeli
la natura di dare alle sue opere
simil nomi. Che, se ben a memoria
avete, anco a l’altra sua comedia
dette nome d’infamia, domandandola
El furto; che pur poi dette non piccolo
piacere a chi la vide. Forse il simile
v’interverrá adesso. Promettetevi
pure d’aver piacer; e non arrechivi
disturbo tale il nome che ei guastivi
il gusto si ch’e’ non possa discernere
il sapor buon dal rio né far giudizio
retto quando fia el fin della comedia.
Ma lasciamo ornai questo. Io avvertiscovi
che, ’n questo giorno, la scena apresentavi
la cittá vostra. E ciò s’è fatto a studio
dallo autor acciò non abbia a nascere
tra voi disputa come possa essere
ch’una gran cosa entri in una piccola
senza disertarla; il che impossibile
pare a ciascuno che è di san giudizio.
E pur convien una tal cosa ammettere,
quand’un’altra cittá, nelle comedie,
si figura che quella ove si trovano
gli spettator: com’altra volta veddesi,
se non in questo luogo, in altro simile,

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né piú di questo capace o piú ampio,
essere entrata Roma senza un minimo
danno di quella stanza. Or, voi trovandovi
in Firenze e vedendo la medesima
cittá, non doverrá entrar ne l’animo
di alcun di voi questi cotali scrupoli;
anzi, quietamente e con silenzio,
stará ognuno a veder questa favola.
In quanto all’argumento, se desidera
alcun d’averlo, levisi dall’animo
questa voglia; per ciò che non è solito
questo nostro autor farlo. E vedetelo:
che, se noi fece allor ch’avea in ordine
(come vedesti) maestro Cornelio,
non lo fará giá or che non ci è ’l medico.
Ma, per dir pur il ver, non è piacevole
l’argumento se non a certi stitichi
a’ quai di compiacer punto non curasi
l’autor: si che abbino pazienzia,
per questa volta, e faccin me’ che possono.
A’ dotti abbiamo a dir che non aspettino
una comedia grave e copiosissima
di sentenzie, come una di Terenzio
o d’altro antiquo; ma tal qual producano
i nostri tempi che, non sendo simili
a quelli antiqui, non è anco miracolo
se non son simil gli uomini e le favole
da lor composte. E, in questo caso, faccino
come le pecchie: tutto il buono piglino,
se però ve ne fia, e l’altro lascino
agli altri, che son piú, a cui basta ridere.
Ma ecco giá gl’istrion che fuori escono.
Da questo vecchio e da un altro simile
vi sará quel ch’a ’ntender questa favola
fa di mestieri detto, se audienzia
lor presterete, come siate soliti.
Ma, per dar luogo loro, a Dio accomandovi.