I Marmi/Parte seconda/Ragionamenti arguti/Guasparri Faldossi, Francesco Scappella e maestro Mazzeo medico

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Guasparri Faldossi, Francesco Scappella e maestro Mazzeo medico

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Guasparri Faldossi, Francesco Scappella e maestro Mazzeo medico
Parte seconda - Ragionamenti arguti Parte seconda - Giorgio calzolaio, Michel Panichi, e Neri Paganelli
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Guasparri Faldossi, Francesco Scappella
e maestro Mazzeo medico.

Guasparri. Maestro mio eccellente, se voi mi dite di sífatte belle cose, io vi prometto di lasciare il forno e venirvi dietro per udirvi favellare. E’ si diceva bene che nella medicina voi valevi molto, ma del dire cose argute o raccontarle d’averle udite dire mai vi fu attribuita tanta lode.

Francesco. Io ve lo avrei saputo dire: maestro Mazzeo sa quel che si può sapere d’ogni cosa.

Mazzeo. Da che io ve ne ho dette di molte delle mie, vo’ pur farvene udire alcune altre che non sien delle mie.

Guasparri. E io volentieri ascolterò: e chi vuole infornare pane, inforni; oggi mai io sto bene, e per esser lá da Orbatello stramano, vo’ dar via la casa e la bottega e ritirarmi un poco piú in verso il corpo della cittá. Or seguitate.

Mazzeo. Come io v’ho detto, stetti a Carrara alcuni giorni a far quella cura. Il cavalieri faceva a punto cavare i marmi; e, dopo molte cose dette, io gli dimandai una volta quali erano stati i piú bei marmi che si fossero cavati da Carrara. Egli, che ha il cervello sottile, non attinse a bianchezza o bellezza di pietra, ma disse un’altra cosa: — Io credo che i piú bei marmi che fusser mai cavati da Carrara sien quegli che Michel Agnolo mirabilissimo ha lavorati nella sagrestia di San Lorenzo, e principalmente que’ due capitani sopra le sepolture. — Il cavalieri [p. 216 modifica] Bandinello, quando disse questo, non passò ad altra intelligenza che alle lodi di Michel Agnolo; e volle dire che, per esser uomo sí divino, aveva fatto due statue senza paragone e senza menda. Io, che so a quanti di vien san Biagio, andai con il cervello piú alto e dissi: — Voi fate bene a dir cosí, perché la casa de’ Medici v’ha dato e remunerato; ma Democrito Milesio ve ne vorrá male. — Quando egli m’udí fare questa risposta, stette sopra di sé, e, non intendendo, disse: — Fatemi piú chiaro. — Io gli dissi che, ricercandosi apresso Dionisio qual fosse il miglior metallo che avessero messo in opera gli ateniesi, fece questa risposta Democrito: «Quello che si fonde per far le statue di Armodio e di Aristogitone». — A che fine furon fatte coteste statue? — mi dimandò allora il cavalieri. Io gli dissi come avevano amazzati i tiranni.

Guasparri. Oh bene! Intese il cavalieri?

Mazzeo. Súbito; ma prima dormiva con la fante.

Francesco. State saldi; io vo’ veder s’io l’indovino anch’io.

Mazzeo. Ècci sí buio!

Guasparri. Perché? sarebbe sí gran fatto? Egli non attende ad altro che a far conti e la sua professione è andarsene a spasso a Rimaggio: n’è vero, Scappella?

Francesco. Piú che vero; però udite. Io avrei inteso che, sí come quel bronzo fu onorevolmente speso a far le statue di coloro che meritavano, cosí tal marmo fu bene impiegato a farne il magnifico Lorenzo de’ Medici e il signor Giuliano; ma non si distese se non quanto era lungo il suo lenzuolo né penetrò tanto sotto.

Guasparri. La fu arguta veramente.

Mazzeo. Arguta fu quella di messer Enea della Stufa, essendo degli Otto, che, vedendo un certo tristo che aveva sviato un uomo da bene e l’aveva condotto a rubare e poi l’andava accusare per farlo impiccare, gli disse: — Non ti bastava egli che fusse tuo buon scolare, senza vederlo alzar sopra te, che se’ stato suo maestro? —

Francesco. Almanco l’avesse egli fatto pigliare e tutti due gastigati! [p. 217 modifica]

Mazzeo. Cosí fece. Ancor quell’altra non fu brutta che disse il potestá di Livorno, quando quei dottori gli andarono a mostrare che egli aveva fatto due espresse pazzie, una nel fare metter non so chi in galea per dieci anni e un altro a vita, dicendogli che ciascuno lo teneva secretamente per pazzo. Ai quali egli rispose: — Di grazia, signor dottori, se mi volete bene, levatemivi dinanzi, acciò che, facendone un’altra, e’ non mi tenessin poi pazzo publico. —

Guasparri. Ah, ah, ah, l’ebbe del buono!

Francesco. L’è parente, cotesta, di quella disse il magnifico Lorenzo a colui che gli venne a dire: — Dice messer tale che voi avete fatte due stoltizie; la tale e la tale. — Egli rispose: — E’ ne fará ben tante, egli, che mi fará tener savio. —

Guasparri. Io credo che tutte le cose che si fanno o le arguzie che si dicono, sien dette altre volte e fatte.

Mazzeo. Sí, ma diversamente. Credo bene che se noi vivessimo assai, che noi ritroveremmo di molti medesimi casi accadere, accaduti altre volte. E io ne dirò uno: per l’assedio della nostra cittá, non si fuggí egli un soldato del campo di fuori? e’ venne a trovar Malatesta dentro, con mostrarsi affezionato alla republica, e disse: — Per migliore spediente, io ho lasciato il cavallo. — Allora gli rispose súbito un fiorentino: — Tu hai saputo meglio accomodare il cavallo che te. —

Francesco. O sono eglino stati piú assedii, che questo caso sia intervenuto altre volte?

Mazzeo. Non questo, ma uno simile quasi quasi a punto. Fuggendo uno dall’esercito di Cesare, se n’andò in quel di Pompeo, se bene ho memoria, e disse che per la fretta aveva lasciato il suo cavallo: Cicerone, quando udí costui e seppe il caso, rispose súbito: — Tu hai del cavallo fatta miglior deliberazione che di te medesimo. —

Guasparri. Piacemi d’udir simil cose equali.

Francesco. Non si legge egli d’un certo re che tolse quel terribil uomo appresso di sé e gli dava un gran prezzo il giorno acciò che la notte egli amazzasse alcuni, e, avendone morti parecchi, il re gli disse: — Non fare altro, insino che io non [p. 218 modifica] te lo dico; — e cosí stette molti giorni che non si seppe risolvere? Un dí egli chiamò questo bravo e gli disse: — Per ora non voglio piú omicidi; — e gli diede il suo pagamento. Ma nel contargli i dinari disse: — E’ non è stato fatto omicidio che non mi costi mille ducati, sí pochi n’hai fatti. — E’ mi sa male, — rispose il bravo, — che non ti venghino manco d’un ducato l’uno, sí ho caro di far quest’arte. —

Mazzeo. Ancor voi v’addestrereste a dir qualcosa.

Guasparri. Il caso di Modon Valdesi con la sua donna fu simile a cotesto, che, essendo andata a marito e avendo fatto una infinitá di veste alla moglie, Modone gli disse, quando l’ebbe dimesticata: — So che non è notte che non mi costi una veste insino a ora. — Ella, che gli venne compassione di lui, gli rispose: — Caro marito, noi possiamo andare quattro o sei ore del giorno nel letto ancóra, se ti pare, e verrai a rinfrancarti una gran parte di cotesta spesa. —

Francesco. Chi ne sapesse assai di queste novelle, sarebbe bella cosa.

Mazzeo. I moderni studiano gli antichi, acciò che voi sappiate, e hanno le cose loro sempre in memoria, e, quando accade una cosa a proposito di quello che sanno, non mancano di dire di quelle cose dette; come avvenne a Salvestro del Berretta, che, sentendo i ladri in casa, disse loro: — Frategli, voi perdete tempo a cercare di tôrre della roba di casa mia e siate mal pratichi, conciosia cosa che io, che ci nacqui, di giorno non ci saprei trovar cosa alcuna; pensate quel che farete di notte voi che non ci sète usi! — E questo medesimo motto disse un filosofo antico medesimamente.

Guasparri. Non fu bel quello che disse Grifon buffone, quando il principe gli disse: — Cavallo; — ed egli rispose: — E’ non mi si conviene altro nome né altri in corte lo merita —?

Mazzeo. Non fu nessuno che intendesse?

Guasparri. Nessuno.

Mazzeo. Io, c’ho l’istorie a mente, avrei súbito attinta la cosa; perché Cameade diceva che i figliuoli de’ principi eran forzati a saper cavalcare, perciò che il cavallo non è adulatore; [p. 219 modifica] cosí getta egli a terra un famiglio, come il signore. Grifone tirò in buona parte il detto del suo signore, come colui che, essendo buffone, aveva autoritá di dir qualche cosa piú degli altri.

Francesco. La moglie di Tamburino Cozzone ne disse una bella, quando la si trovò a trebbio con certe altre donne maritate di pochi mesi.

Guasparri. Sará ben che tu la dica.

Mazzeo. Io veggo levata una certa baia stasera, che noi staremo poco a questi Marmi.

Francesco. Fia bene menar la lingua, acciò che la sia finita a tempo. Le raccontavano le loro cirimonie di monna Schifailpoco, quando le dormivano con i lor mariti, perché una diceva: — Io non voleva che mi toccasse — quell’altra: — Io mi nascosí sotto il lenzuol di sotto — chi diceva: — M’annodai la camicia bene bene — e la moglie di Tamburino disse: — Tanto avesse egli fatto quanto io l’avrei lasciato fare! —

Guasparri. Guardatevi, guardatevi, ché traggon de’ sassi da un capo all’altro de’ Marmi.

Francesco. Sará ben nettarsi.

Mazzeo. Pigliánci per un gherone: mai si può dir cosa buona; ogni sera c’è qualche baione che ci dá il mattone! Un’altra sera diremo il resto.